Corte d'Appello Genova, sentenza 21/05/2024, n. 100
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Testo completo
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D'APPELLO DI GENOVA
SEZIONE LAVORO
Composta da:
Giuliana Melandri PRESIDENTE
Caterina Baisi CONSIGLIERA Rel.
Maria Grazia Cassia CONSIGLIERA ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A nella causa di lavoro iscritta al n. 89 /2023 R.G.L. promossa da:
, c.f. , rappresentato e Parte_1 C.F._1
difeso dall'avv. Giuseppe De Santis ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Milano, via B. Marcello 48, per procura allegata al ricorso.
appellante
CONTRO
, c.f. , in Controparte_1 P.IVA_1
persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avv. Paolo
Pugliese ed elettivamente domiciliata in Genova, presso il suo studio in via
XX Settembre 8/16, per procura allegata alla comparsa di costituzione. appellata
CONCLUSIONI
Per l'appellante: come da ricorso in appello depositato in data 21.3.2023 e da note scritte depositate in data 7.3.2024.
Per l'appellata: come da comparsa di costituzione depositata in data
13.11.2023 e da note scritte depositate in data 7.3.2024.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 187 del 3.3.2023, il Tribunale di Genova ha respinto il ricorso proposto da , dipendente di con Parte_1 CP_2
mansione di autista, avverso il provvedimento di sospensione dal servizio e dalla retribuzione adottato dalla datrice di lavoro ai sensi dell'art. 1 co. 4 d.l.
1/2022, in quanto lavoratore ultracinquantenne sprovvisto del c.d. Org_1
per il periodo 21.2.2022-15.3.2022, data in cui il ricorrente era
[...]
risultato positivo al test per SARS CoV-2.
In particolare il ricorrente chiedeva l'accertamento dell'illegittimità della sospensione, con la condanna della società convenuta al pagamento della retribuzione trattenuta a tale titolo (euro 1.638,97) e al risarcimento del danno non patrimoniale (euro 3.000,00), invocando a tal fine, previo rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea, la disapplicazione della norma interna contrastante con la normativa unionale
(tra cui la Direttiva 54/2000, la sentenza CEDU n. 116/2021, la Risoluzione
CoE 2361/2021, il Regolamento UE n. 536/2014 e il Regolamento UE n.
679/2016, il Regolamento UE n. 953/20219).
Avverso la sentenza il ricorrente ha proposto appello e l'appellata ha resistito al gravame, chiedendo la condanna dell'appellante per temerarietà della lite.
La Corte, tentata la conciliazione, ha sostituito l'udienza di discussione con il deposito di note ai sensi dell'art. 127 ter c.p.c. e le parti hanno depositato tempestivamente dette note nel termine fissato (7.3.2024).
Quindi, per esigenze di tutela del contraddittorio sulle difese diffusamente svolte con le note depositate, è stata disposta la discussione orale all'udienza del 18.4.2024, all'esito della quale la causa è stata decisa come da dispositivo trascritto in calce.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il Tribunale è pervenuto al rigetto del ricorso, dando innanzitutto atto che il provvedimento di sospensione dell'appellante era stato emesso in
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applicazione della normativa emergenziale di cui all'art. 4 quater d.l.
44/2021 conv. dalla l. 76/2021 (Estensione dell'obbligo di vaccinazione per la prevenzione dell'infezione da SARS-CoV-2 agli ultracinquantenni) introdotto dal d.l. 1/2022, e rilevando da un lato che la perdita della retribuzione per l'impossibilità di svolgere l'attività lavorativa in assenza della certificazione verde COVID-19 era conforme ai principi generali in materia di obbligazioni, dall'altro che la norma si caratterizzava per la previsione, a vantaggio del lavoratore, del diritto alla conservazione del posto di lavoro e dell'esenzione da conseguenze disciplinari.
Il Tribunale ha, quindi, ritenuto infondate le doglianze riguardanti
l'illegittimità costituzionale della disciplina e il contrasto con il diritto europeo sulla base delle seguenti argomentazioni:
- il diritto all'autodeterminazione individuale non aveva valenza assoluta e/o intangibile bensì era suscettibile di bilanciamento con altri beni costituzionalmente tutelati, posto che l'art. 32 Cost. delinea la salute non solo come diritto individuale ma anche come interesse pubblico, che abbraccia, in ottica solidaristica, anche l'interesse ad attenuare l'impatto della malattia sul Servizio Sanitario in termini, soprattutto, di ricoveri e in particolare presso le terapie intensive;
- a fronte delle esigenze di tutela della salute collettiva e del buon funzionamento di un servizio pubblico, anche la temporanea compressione del diritto al lavoro era ragionevole e proporzionata (come affermato dalla
Corte Costituzionale nella sentenza n. 14/2023), siccome collegata alla fase pandemica e di durata contenuta e tenuto altresì conto della tutela indennitaria prevista dall'art. 1, comma 1, l. 210/1992 e dall'art. 20, comma
1 bis, d.l. 4/2022;
- la normativa era conforme alla Convenzione EDU, come interpretata nella sentenza e altri c. UB CE dell'8 aprile 2021, secondo cui Per_1 le vaccinazioni obbligatorie possono costituire, ai sensi dell'art. 8 della
CEDU, una legittima interferenza nel diritto al rispetto della vita privata quando vi sia una base legale, uno scopo legittimo ed esse siano necessarie
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in una società democratica per garantire, tra l'altro, il principio di solidarietà, cioè la protezione tutti i membri della società e, in particolare, di quelli che sono più vulnerabili, a tutela dei quali si chiede al resto della popolazione di assumersi un “minimo rischio” sotto forma di sottoposizione alla vaccinazione;
- il Regolamento UE n. 953/2021 non era conferente in quanto riguardante la libera circolazione dei cittadini da uno stato all'altro dell'Unione durante la pandemia Covid-19, e, in ogni caso, conteneva il riconoscimento del potere degli Stati membri di limitare il diritto fondamentale alla libera circolazione per motivi di sanità pubblica;
- la materia degli obblighi vaccinali e delle misure di tutela della salute pubblica non rientravano tra quelle di competenza dell'Unione Europea, essendo riservate al legislatore nazionale, con la conseguente impossibilità di un'applicazione diretta del diritto dell'Unione (Cass. 23272/2018);
- il diritto alla retribuzione nel periodo di sospensione dal lavoro non poteva fondarsi sull'asserita violazione da parte del datore di lavoro dell'art. 44 del
d.lgs. 81/08 (attuativo della direttiva 54/2000 sulla “protezione dei lavoratori contro rischi derivanti da un'esposizione ad agenti biologici durante il lavoro”) per il fatto di avere consentito ai lavoratori vaccinati
l'accesso ai luoghi di lavoro senza sottoporli ad alcun controllo, essendo tale prospettazione contraddittoria rispetto all'accettazione del rischio a cui il lavoratore aveva deciso di esporsi, scegliendo di non vaccinarsi, e non potendo imporsi al datore di lavoro, ex art. 1375 c.c., cautele quasi inattuabili (alla luce della perdurante situazione pandemica) e incomparabilmente più onerose (oltre che particolarmente gravose e foriere di grave disagio per i dipendenti costretti a sottoporsi quotidianamente a tamponi nasofaringei);
- era inconferente il richiamo all'art. 28, c.1, lettera h), del Regolamento
UE n. 536/2014 sulla sperimentazione clinica di medicinali ad uso umano non avendo i vaccini carattere sperimentale (Corte Cost. 14/2023);
- né era configurabile la violazione dell'art. 9 del Regolamento UE
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679/2016 in ordine all'utilizzo dei dati personali del ricorrente nella procedura di controllo del cd. in quanto lo stesso art. 9, comma Org_1
2, alle lettere h) e i) consentiva deroghe per finalità di salute pubblica, quali quelle ricorrenti nel caso di specie, essendo scientificamente acquisito che la vaccinazione, pur non proteggendo dalla malattia, aveva ridotto i decessi e in misura rilevantissima la gravità e le conseguenze della patologia;
- l'obbligo del datore di lavoro di acquisire ex art 2087 c.c. dati relativi allo stato di vaccinazione dei propri dipendenti in una situazione di emergenza pandemica trovava altresì riscontro nelle deroghe contenute nei
“considerando” nn. 46 e 54 del Regolamento UE 679/2016;
- l'abrogazione della norma impositiva dell'obbligo vaccinale con il successivo decreto legge n. 24/2022, oltre a non avere efficacia retroattiva, non assumeva alcuna rilevanza confessoria dell'illogicità ed inutilità delle misure oggetto di causa, essendo espressione del potere del legislatore di adeguare le leggi al mutamento delle esigenze, tanto più in materia e in tempi emergenziali, dovuti alla pandemia.
2. Con il primo motivo di impugnazione, l'appellante censura la
sentenza nelle parti in cui il Tribunale, pur riconoscendo quale fatto notorio
l'inidoneità del vaccino a prevenire i contagi, non ha ravvisato il contrasto dell'art. 4 d.l. 44/2021 e dell'art. 1 d.l. 1/2022 con la sentenza CEDU n. 116 del 2021 e la Risoluzione Consiglio D'Europa n. 2361/21, che legittimano
l'obbligo vaccinale alla sola condizione che il vaccino immunizzi, e ha omesso di rilevare che lo scopo della normativa risultava irraggiungibile, sì da rendere la sospensione del lavoratore contrastante anche con i principi affermati dalla Corte Costituzionale con le sentenze 14, 15 e 25 del 2023, circa la legittimità dell'obbligo vaccinale se imposto con legge conforme allo stato delle conoscenze scientifiche.
Con il secondo motivo, l'appellante lamenta l'erroneità della decisione nella parte in cui il giudice, riconosciuta l'inidoneità del vaccino a
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prevenire i contagi, non ha ravvisato violazioni in materia di trattamento dati sanitari, quale la procedura di controllo del cd. green pass da parte del datore di lavoro, ritenendo erroneamente operanti le deroghe previste nelle lettere h) e i) dell'art.
9.2 Regolamento UE 679/2016 GDPR sul presupposto che il vaccino preveniva malattie gravi e decessi.
In particolare, ad avviso dell'appellante, non sarebbe pertinente il richiamo alla lettera h), riguardante la medicina preventiva e comunque il trattamento dei dati da parte di operatori soggetti al segreto professionale.
Inoltre, nella nota Ares
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