Corte d'Appello Roma, sentenza 28/01/2025, n. 550
Sentenza
28 gennaio 2025
Sentenza
28 gennaio 2025
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Sul provvedimento
Testo completo
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D'APPELLO DI ROMA
SEZ. VIII° CIVILE – II° Collegio
così composta:
dott.ssa GISELLA DEDATO Presidente
dott. GIUSEPPE STAGLIANÓ Consigliere rel.
dott.ssa GEMMA CARLOMUSTO Consigliere
Riunita in camera di consiglio, ha pronunciato la seguente
S e n t e n z a
nella causa civile di nuovo rito di II grado iscritta al n. 537 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2019, posta in decisione all'udienza di discussione del
20.06.2024, vertente
tra
MA GE, elettivamente domiciliata in Roma, Via Tuscolana n. 1348, presso lo studio dell'Avv. Giampaolo Ruggiero, che la rappresenta e difende in virtù di procura in atti;
Attrice in riassunzione
e
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BO TE e BO UC;
Convenuti in riassunzione
Oggetto: revocazione della sentenza n. 1801/10 della Corte di Appello di Roma.
Conclusioni: come da scritti difensivi.
Svolgimento del processo
Con atto di citazione ritualmente notificato, la sig.ra NA NE, proprietaria di un fondo di mq. 1321 ubicato in Roma, località Quarto Miglio, una porzione della quale era stata concessa in comodato dal proprio marito al sig. ID RO, adiva il
Tribunale di Roma assumendo che nel febbraio 1998 era venuta a conoscenza del fatto che i sigg. VI e CA RO, aventi causa dal comodatario, avevano intrapreso a sua insaputa alcune opere di trasformazione del fondo;
pertanto, l'attrice concludeva chiedendo la condanna dei predetti al rilascio del fondo oggetto di comodato, alla relativa riduzione in pristino e al risarcimento dei danni.
Costituitisi in giudizio, in sigg. VI e CA RO contestavano le asserzioni dell'attrice, assumendo che fin dal mese di settembre 1956 la famiglia RO si era occupata della manutenzione e della cura del fondo, nonché della sua coltivazione e pulizia, occupandolo con materiali vari e destinandolo, tra l'altro, al ricovero delle autovetture di famiglia;
inoltre sostenevano che i propri danti causa e, successivamente, essi stessi avevano esercitato sul fondo un possesso continuato, sicché, in via riconvenzionale, proponevano domanda per ottenere la declaratoria dell'avvenuto acquisto in loro favore, per usucapione, del diritto di proprietà sul terreno, ovvero, in subordine, per ottenere la condanna della ricorrente alla restituzione delle spese da loro sostenute ai sensi dell'art. 1808 c.c..
All'esito dell'istruttoria, il Tribunale rigettava entrambe le domande, compensando le spese processuali tra le parti.
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Proposto appello principale da parte dei sigg. VI e CA RO, e appello incidentale da parte della sig.ra NA NE, la Corte di Appello di Roma rigettava entrambe le impugnazioni, compensando tra le parti le spese del grado.
I sigg. VI e CA RO proponevano ricorso per cassazione avverso tale decisione, mentre la sig.ra NA NE, oltre a resistere, proponeva ricorso incidentale;
quindi, la Suprema Corte, con sentenza n. 6823/08, nel respingere il ricorso principale, accoglieva il primo motivo (concernente la mancata dimostrazione del rapporto di comodato) ed il secondo motivo di censura (avente ad oggetto la mancata ammissione delle prove) e, dopo aver dichiarato assorbito nella decisione il terzo motivo di gravame (concernente la mancata pronuncia sulle domande di rilascio del terreno, di riduzione in pristino e di risarcimento dei danni), cassava l'impugnata sentenza “in relazione ai motivi accolti”, rinviando ad altra sezione della Corte di
Appello di Roma.
A seguito della riassunzione del giudizio, la Corte di Appello di Roma, dopo aver assunto la prova testimoniale offerta dalla sig.ra NA NE, con sentenza n.
1801/10 dichiarava l'inammissibilità della domanda di usucapione riproposta dai sigg.
VI e CA RO, perché coperta da giudicato (di rigetto);
quindi, dopo aver ritenuto di accogliere la domanda di restituzione del terreno avanzata dalla sig.ra
NA NE, condannava i sigg. VI e CA RO a restituire alla predetta il fondo già oggetto di comodato e a procedere alla chiusura dei varchi su di esso realizzati, dichiarando inammissibile la domanda di risarcimento del danno svolta dalla sig.ra NE perché “mai spiegata in primo grado”.
Ciò premesso, la sig.ra NA NE impugnava detta sentenza dinanzi alla stessa
Corte di Appello per revocazione, assumendo, ai sensi dell'art. 395, n. 4, c.p.c., che la declaratoria d'inammissibilità della domanda risarcitoria era stata determinata da un evidente errore (costituito dalla ritenuta inesistenza di un fatto la cui verità, invece, era positivamente stabilita), in quanto, contrariamente a quanto ritenuto, la stessa era stata ritualmente formulata sin dal primo grado di giudizio e poi riproposta in tutti i successivi gradi di giudizio.
Con sentenza n. 6841/16, la Corte di Appello respingeva l'impugnazione per revocazione, condannando la sig.ra NA NE alla rifusione delle spese
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processuali (poi effettivamente versate dalla medesima), sostenendo che quanto da lei indicato quale errore, invece, costituiva “questione di apprezzamento (delle allegazioni di parte) e conseguentemente valutazione operata dal Giudicante in sede di rinvio all'esito della disamina degli atti del processo, ovvero con interpretazione di questi, come tale sindacabile unicamente in sede di legittimità (…)”.
Pertanto, a fronte di tale pronunciamento, con un ulteriore ricorso per Cassazione la sig.ra NE si vedeva costretta ad impugnare anche detta sentenza, lamentando, con due distinti motivi di censura, la violazione ovvero la falsa applicazione dell'art. 395
n. 4 c.p.c. (in riferimento all'art. 360 n. 3 c.p.c.) e, comunque, l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (in riferimento all'art. 360 n. 5 c.p.c.);
il sig. CA
RO resisteva con controricorso, mentre il sig. VI RO ometteva di costituirsi.
Quindi, con ordinanza n. 30850/18, la Corte accoglieva il primo motivo di ricorso e, dichiarando assorbito il secondo, cassava l'impugnata sentenza rinviando alla Corte di
Appello di Roma in diversa composizione, chiarendo, in punto di diritto, che “se il giudice di merito omette di pronunciare su una domanda che si assume essere stata proposta, motivando la propria decisione col fatto che quella domanda non sarebbe mai stata formulata, la sentenza contenente tale statuizione dev'essere impugnata con la revocazione ai sensi dell'art. 395, n. 4, cod. proc. Civ., e non con i mezzi ordinari, in tal caso non sussistendo