Corte d'Appello Catania, sentenza 13/12/2024, n. 1852
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Testo completo
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI APPELLO DI CATANIA
PRIMA SEZIONE CIVILE composta dai magistrati:
Antonella Vittoria Balsamo Presidente
Dora Bonifacio Consigliere
Enrico Rao Consigliere rel. ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa di appello iscritta al n. 1617/2021 R.G. tra
CC GI (cf: [...]), titolare dell'omonima impresa individuale avente p.iva n. 00404440885, rappresentato e difeso, per procura su foglio separato allegato all'atto di appello, dagli avv.ti Margherita Guccione e
PU Graziella, domiciliato ai fini del giudizio all'indirizzo pec della prima;
appellante
e
COMUNE DI MODICA (00175500883,), in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso, per procura su foglio separato allegato alla comparsa di costituzione, dall'avv. Luigi Piccione, presso il cui studio in Modica è elettivamente domiciliato;
appellato
All'udienza collegiale del 21 giugno 2024 i difensori delle parti hanno precisato le rispettive conclusioni, come in atti, qui da intendersi riportate e trascritte e la causa è stata posta in decisione, con l'assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza pubblicata in data 31.3.2021, il Tribunale di Ragusa ha rigettato le domande proposte nel 2012 - in riassunzione del giudizio già proposto, nel novembre
2009, innanzi al TAR Catania, dichiaratosi privo di giurisdizione - da IO PU, titolare dell'omonima impresa individuale, nei confronti del Comune di Modica, dirette a: i) dichiarare nullo o annullare l'atto, contenuto nella nota sottoscritta il 20 agosto 2009 dal dirigente del X settore del Comune di Modica, di risoluzione di diritto del contratto di affidamento del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti solidi urbani, di nettezza urbana ed accessori, per il periodo di anni due, sottoscritto tra l'attore ed il Comune di Modica in data 17.6.2009, e, con esso, di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale;
ii) accertare il diritto dell'impresa attrice all'esecuzione del contratto di appalto su citato;
iii) condannare, per l'effetto, l'amministrazione convenuta al risarcimento dei danni derivati all'attore, in conseguenza del diniego di esecuzione del suddetto contratto e dell'illegittima risoluzione unilaterale dello stesso, pari al mancato utile d'impresa e alle spese generali sostenute in funzione del contratto stesso, quantificati, come da relazione di parte, nella complessiva misura di euro
965.504,65, oltre accessori di legge, o in quell'altra misura ritenuta equa.
Al rigetto delle domande il tribunale è pervenuto per l'assorbente ragione (cd.
"ragione più liquida") della mancanza di prova dell'esistenza e dell'ammontare dei danni derivanti dalla risoluzione del contratto di appalto, restando per tal modo assorbita la questione dell'eventuale illegittimità della risoluzione stessa.
Difatti la pretesa attorea, di risarcimento di un danno complessivo di €.965.504,65, era stata espressamente contestata dal Comune di Modica, con l'evidenziare che il
PU aveva comunque svolto il servizio di raccolta e trasporti dei rifiuti solidi urbani in forza di ordinanza sindacale contingibile ed urgente, ex art. 54 t.u.e.l., dall'ottobre
2009 sino al febbraio 2017, maturando i relativi compensi;
sicchè, il danno da mancato utile, che costituiva la parte preponderante dell'importo richiesto (euro 921.289,20 compresi gli interessi), non poteva sussistere nella misura dedotta in citazione, sulla scorta di una consulenza di parte priva di idoneità probatoria.
Né poteva essere accolta, per il giudice, l'istanza di consulenza tecnica d'ufficio ai fini della determinazione del danno, siccome esplorativa.
Avverso detta sentenza ha proposto appello il soccombente, con atto di citazione notificato il 2.11.2021, cui ha resistito il Comune di Modica.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.) Con il primo motivo di impugnazione, l'appellante censura la sentenza per aver ritenuto la mancanza di prova dell'esistenza e dell'ammontare dei danni derivanti dalla risoluzione del contratto d'appalto del 17.6.2009. Deduce che, con l'allegata perizia di parte, sono state prospettate due voci di danno, ossia le spese generali sostenute dall'impresa in dipendenza della stipula del contratto d'appalto (danno emergente) e la perdita dell'utile economico che sarebbe derivato dall'esecuzione del contratto (lucro cessante), le quali fanno entrambe riferimento a documenti allegati agli atti di causa, di cui il primo giudice non ha affatto tenuto conto;
la prima voce di danno consta infatti delle spese contrattuali, documentate nell'importo di €.13.917,00
(come da ricevuta in atti, non contestata da controparte nell'ammontare e nella imputazione), e di quelle relative alla garanzia prestata mediante stipula di polizza fidejussoria, pari ad €.6.600,00 (come da relativa ricevuta in atti, anch'essa non contestata, rilasciata dalla Reale Mutua Assicurazioni);
lo stesso vale per le ulteriori spese documentate;
quanto al lucro cessante, il giudice aveva a disposizione tutti i dati documentali e normativi per il calcolo del danno e, segnatamente, dell'importo a base
d'asta (€ 4.541.104,65), del ribasso d'asta dell'1,25% applicato dall'impresa PU e del dato normativo (art. 345 della L. 20 marzo 1865, n. 2248, allegato F) del 10% da applicarsi in rapporto alla durata biennale del contratto;
tale essendo il parametro ordinario di liquidazione equitativa del danno seguito dalla giurisprudenza in analoghe fattispecie.
L'appellante censura, altresì, la sentenza nella parte in cui ha affermato che il danno da mancato utile economico non può sussistere nella misura dedotta in citazione, avendo l'impresa PU svolto il servizio dall'ottobre 2009 in poi.
Deduce, in contrario, che il mancato utile di impresa è stato richiesto perché
l'ordinanza sindacale contingibile ed urgente, che ha imposto lo svolgimento del servizio, essendo agganciata agli “stessi patti e condizioni del progetto originario ... e con lo stesso ribasso d'asta (8,88%)” a suo tempo offerto dalla precedente affidataria del servizio, ATI BU - ECO.S.I., non ha consentito all'appellante nemmeno la copertura degli ordinari costi, men che meno un utile di impresa;
per contro,
l'espletamento del servizio in forza del contratto d'appalto oggetto del giudizio, in cui
l'impresa PU aveva offerto il diverso ribasso d'asta dell'1,25%, avrebbe consentito alla medesima appellante di ottenere il giusto utile di impresa scaturente da tale ribasso, richiesto nel presente giudizio in misura pari al 10% dell'importo a base
d'asta depurato del ribasso.
Del cosiddetto “aliunde perceptum”, quale importo da detrarre dalla misura risarcitoria richiesta (limitatamente al chiesto utile di impresa), e da riferirsi, nel caso in esame, allo specifico utile alternativo che l'impresa PU avrebbe acquisito svolgendo attività ulteriori e diverse rispetto a quella che avrebbe dovuto eseguire in forza del contratto d'appalto illegittimamente risolto dalla stazione appaltante, d'altra parte, il soggetto danneggiante (il Comune di Modica), che ha sostanzialmente opposto la compensazione, non ha però fornito alcuna prova.
Con il terzo motivo, l'appellante censura la sentenza nella parte in cui ha affermato che, nella ritenuta mancanza della prova dell'esistenza e dell'ammontare dei danni derivanti dalla risoluzione del contratto d'appalto, diventa superfluo affrontare il problema dell'eventuale illegittimità della risoluzione di diritto, avendo omesso di considerare che i capi di domanda attorea, sui quali il primo giudice ha reputato
“superfluo” decidere, sono, per contro, rilevanti.
Ciò sia, ed in primo luogo, al fine di ottenere lo svincolo della cauzione definitiva
(polizza fideiussoria sottoscritta a garanzia del contratto di appalto), mai autorizzato dalla stazione appaltante, costringendo l'impresa PU a continuare a
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI APPELLO DI CATANIA
PRIMA SEZIONE CIVILE composta dai magistrati:
Antonella Vittoria Balsamo Presidente
Dora Bonifacio Consigliere
Enrico Rao Consigliere rel. ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa di appello iscritta al n. 1617/2021 R.G. tra
CC GI (cf: [...]), titolare dell'omonima impresa individuale avente p.iva n. 00404440885, rappresentato e difeso, per procura su foglio separato allegato all'atto di appello, dagli avv.ti Margherita Guccione e
PU Graziella, domiciliato ai fini del giudizio all'indirizzo pec della prima;
appellante
e
COMUNE DI MODICA (00175500883,), in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso, per procura su foglio separato allegato alla comparsa di costituzione, dall'avv. Luigi Piccione, presso il cui studio in Modica è elettivamente domiciliato;
appellato
All'udienza collegiale del 21 giugno 2024 i difensori delle parti hanno precisato le rispettive conclusioni, come in atti, qui da intendersi riportate e trascritte e la causa è stata posta in decisione, con l'assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza pubblicata in data 31.3.2021, il Tribunale di Ragusa ha rigettato le domande proposte nel 2012 - in riassunzione del giudizio già proposto, nel novembre
2009, innanzi al TAR Catania, dichiaratosi privo di giurisdizione - da IO PU, titolare dell'omonima impresa individuale, nei confronti del Comune di Modica, dirette a: i) dichiarare nullo o annullare l'atto, contenuto nella nota sottoscritta il 20 agosto 2009 dal dirigente del X settore del Comune di Modica, di risoluzione di diritto del contratto di affidamento del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti solidi urbani, di nettezza urbana ed accessori, per il periodo di anni due, sottoscritto tra l'attore ed il Comune di Modica in data 17.6.2009, e, con esso, di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale;
ii) accertare il diritto dell'impresa attrice all'esecuzione del contratto di appalto su citato;
iii) condannare, per l'effetto, l'amministrazione convenuta al risarcimento dei danni derivati all'attore, in conseguenza del diniego di esecuzione del suddetto contratto e dell'illegittima risoluzione unilaterale dello stesso, pari al mancato utile d'impresa e alle spese generali sostenute in funzione del contratto stesso, quantificati, come da relazione di parte, nella complessiva misura di euro
965.504,65, oltre accessori di legge, o in quell'altra misura ritenuta equa.
Al rigetto delle domande il tribunale è pervenuto per l'assorbente ragione (cd.
"ragione più liquida") della mancanza di prova dell'esistenza e dell'ammontare dei danni derivanti dalla risoluzione del contratto di appalto, restando per tal modo assorbita la questione dell'eventuale illegittimità della risoluzione stessa.
Difatti la pretesa attorea, di risarcimento di un danno complessivo di €.965.504,65, era stata espressamente contestata dal Comune di Modica, con l'evidenziare che il
PU aveva comunque svolto il servizio di raccolta e trasporti dei rifiuti solidi urbani in forza di ordinanza sindacale contingibile ed urgente, ex art. 54 t.u.e.l., dall'ottobre
2009 sino al febbraio 2017, maturando i relativi compensi;
sicchè, il danno da mancato utile, che costituiva la parte preponderante dell'importo richiesto (euro 921.289,20 compresi gli interessi), non poteva sussistere nella misura dedotta in citazione, sulla scorta di una consulenza di parte priva di idoneità probatoria.
Né poteva essere accolta, per il giudice, l'istanza di consulenza tecnica d'ufficio ai fini della determinazione del danno, siccome esplorativa.
Avverso detta sentenza ha proposto appello il soccombente, con atto di citazione notificato il 2.11.2021, cui ha resistito il Comune di Modica.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.) Con il primo motivo di impugnazione, l'appellante censura la sentenza per aver ritenuto la mancanza di prova dell'esistenza e dell'ammontare dei danni derivanti dalla risoluzione del contratto d'appalto del 17.6.2009. Deduce che, con l'allegata perizia di parte, sono state prospettate due voci di danno, ossia le spese generali sostenute dall'impresa in dipendenza della stipula del contratto d'appalto (danno emergente) e la perdita dell'utile economico che sarebbe derivato dall'esecuzione del contratto (lucro cessante), le quali fanno entrambe riferimento a documenti allegati agli atti di causa, di cui il primo giudice non ha affatto tenuto conto;
la prima voce di danno consta infatti delle spese contrattuali, documentate nell'importo di €.13.917,00
(come da ricevuta in atti, non contestata da controparte nell'ammontare e nella imputazione), e di quelle relative alla garanzia prestata mediante stipula di polizza fidejussoria, pari ad €.6.600,00 (come da relativa ricevuta in atti, anch'essa non contestata, rilasciata dalla Reale Mutua Assicurazioni);
lo stesso vale per le ulteriori spese documentate;
quanto al lucro cessante, il giudice aveva a disposizione tutti i dati documentali e normativi per il calcolo del danno e, segnatamente, dell'importo a base
d'asta (€ 4.541.104,65), del ribasso d'asta dell'1,25% applicato dall'impresa PU e del dato normativo (art. 345 della L. 20 marzo 1865, n. 2248, allegato F) del 10% da applicarsi in rapporto alla durata biennale del contratto;
tale essendo il parametro ordinario di liquidazione equitativa del danno seguito dalla giurisprudenza in analoghe fattispecie.
L'appellante censura, altresì, la sentenza nella parte in cui ha affermato che il danno da mancato utile economico non può sussistere nella misura dedotta in citazione, avendo l'impresa PU svolto il servizio dall'ottobre 2009 in poi.
Deduce, in contrario, che il mancato utile di impresa è stato richiesto perché
l'ordinanza sindacale contingibile ed urgente, che ha imposto lo svolgimento del servizio, essendo agganciata agli “stessi patti e condizioni del progetto originario ... e con lo stesso ribasso d'asta (8,88%)” a suo tempo offerto dalla precedente affidataria del servizio, ATI BU - ECO.S.I., non ha consentito all'appellante nemmeno la copertura degli ordinari costi, men che meno un utile di impresa;
per contro,
l'espletamento del servizio in forza del contratto d'appalto oggetto del giudizio, in cui
l'impresa PU aveva offerto il diverso ribasso d'asta dell'1,25%, avrebbe consentito alla medesima appellante di ottenere il giusto utile di impresa scaturente da tale ribasso, richiesto nel presente giudizio in misura pari al 10% dell'importo a base
d'asta depurato del ribasso.
Del cosiddetto “aliunde perceptum”, quale importo da detrarre dalla misura risarcitoria richiesta (limitatamente al chiesto utile di impresa), e da riferirsi, nel caso in esame, allo specifico utile alternativo che l'impresa PU avrebbe acquisito svolgendo attività ulteriori e diverse rispetto a quella che avrebbe dovuto eseguire in forza del contratto d'appalto illegittimamente risolto dalla stazione appaltante, d'altra parte, il soggetto danneggiante (il Comune di Modica), che ha sostanzialmente opposto la compensazione, non ha però fornito alcuna prova.
Con il terzo motivo, l'appellante censura la sentenza nella parte in cui ha affermato che, nella ritenuta mancanza della prova dell'esistenza e dell'ammontare dei danni derivanti dalla risoluzione del contratto d'appalto, diventa superfluo affrontare il problema dell'eventuale illegittimità della risoluzione di diritto, avendo omesso di considerare che i capi di domanda attorea, sui quali il primo giudice ha reputato
“superfluo” decidere, sono, per contro, rilevanti.
Ciò sia, ed in primo luogo, al fine di ottenere lo svincolo della cauzione definitiva
(polizza fideiussoria sottoscritta a garanzia del contratto di appalto), mai autorizzato dalla stazione appaltante, costringendo l'impresa PU a continuare a
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