Corte d'Appello Roma, sentenza 16/05/2024, n. 3435

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Sul provvedimento

Citazione :
Corte d'Appello Roma, sentenza 16/05/2024, n. 3435
Giurisdizione : Corte d'Appello Roma
Numero : 3435
Data del deposito : 16 maggio 2024

Testo completo

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D'APPELLO DI ROMA SEZIONE SECONDA SPECIALIZZATA IN MATERIA DI IMPRESA così composta: dr. Benedetta Thellung de Courtelary presidente relatore dr. Marina Tucci consigliere dr. Mario Montanaro consigliere riunita in camera di consiglio ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile in grado d'appello iscritta al numero 1669 del ruolo generale degli affari contenziosi dell'anno 2021, posta in decisione all'udienza del giorno 15 gennaio 2024 e vertente TRA DI.COS. S.P.A., C.F. 02692400589, con gli avvocati Alessandro Balestra e Monica Allulli
PARTE APPELLANTE E LOGIS 2030 SOC. CONS. A R.L. IN LIQUIDAZIONE, CF e P. IVA 08678501001, con l'avvocato Antonio Blandini PARTE APPELLATA OGGETTO: CODICE OGGETTO 181004, appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma, sezione specializzata in materia di impresa n. 12130/2020. FATTO E DIRITTO
§ 1. — Con atto di citazione ritualmente notificato, la DI.COS. S.R.L. ha convenuto in giudizio la Logis 2030 Società
Consortile a R.L. affinché venisse dichiarata nulla o venisse annullata la delibera assunta il 3/2/17 dall'assemblea dei soci della società convenuta, della quale essa attrice era socia, titolare della quota del 19% del capitale sociale, delibera con la quale era stato approvato il bilancio di esercizio chiuso al 31/12/15. Ha sostenuto che il bilancio in questione era stato redatto in violazione dei principi di veridicità, chiarezza e correttezza e che la decisione era viziata anche dal punto di vista della forma, sotto i seguenti profili: era stata adottata con il voto favorevole di un solo socio che non
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avrebbe potuto neppure partecipare all'adunanza, essendo in mora con i versamenti;
l'unico socio che aveva votato rappresentava il 18% del capitale sociale, con conseguente difetto del quorum deliberativo previsto dallo statuto nella misura del 65%;
la deliberazione era restata priva di regolare verbalizzazione, risultando il relativo verbale sottoscritto dal solo presidente dell'assemblea e non anche da un segretario. La società convenuta si è costituita ed ha resistito alla domanda.
§ 2. — All'esito del giudizio il tribunale ha così deciso:
il Tribunale, definitivamente pronunciando, respinge le domande proposte dalla DI.COS. S.P.A. nei confronti della Logis 2030 Società Consortile in liquidazione a R.L. e condanna l'attrice a rimborsare alla convenuta le spese sostenute per il presente giudizio, che liquida in € 8.000,00, per compensi, oltre IVA, CPA e rimborso spese generali come per legge”.
A fondamento della decisione il primo giudice ha ritenuto l'inammissibilità della domanda diretta all'accertamento dei dedotti vizi sostanziali del bilancio 2015, impugnato dall'attrice, come dalla stessa espressamente allegato, per ragioni del tutto identiche a quelle già esposte per far valere l'invalidità del bilancio dell'esercizio precedente in altro giudizio pendente in grado di appello, e dovendosi escludere la sussistenza di vizi di forma della deliberazione in questione. Quanto al primo profilo, il Tribunale ha ritenuto la carenza di interesse della società attrice, in applicazione del principio della continuità dei bilanci, in virtù del quale l'accoglimento delle censure mosse sotto i profili in questione al bilancio del 2014, non potrebbe non riverberarsi su quello successivo, che presuppone quello precedente, dovendo pertanto escludersi l'interesse dell'attrice alla proposizione delle domande formulate al riguardo nel presente giudizio. Infatti, l'art. 2377 settimo comma c.c. prevede che, una volta pronunciata l'invalidità di una delibera di approvazione del bilancio, gli amministratori sono obbligati a
prendere i conseguenti provvedimenti, sotto la propria responsabilità”. Conseguentemente, per come è stato affermato anche da altre pronunce della giurisprudenza di merito, anche dello stesso Tribunale (cfr., Trib. Roma, sez. III, 6 ottobre 2008, n. 19456, ma si veda, altresì, Trib. Milano, 4 dicembre 1986), coloro che hanno fatto valere determinate pretese d'invalidità di una delibera di approvazione di un bilancio non solo non hanno,
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dunque, l'onere di impugnare tutti i bilanci successivi, sino alla definitività della sentenza, per ottenere puramente e semplicemente una pronuncia “derivata”, ma non hanno nemmeno il diritto di farlo, proprio perché la pretesa all'adempimento di quanto imposto dal citato art. 2377 c.c. diventa concreta ed attuale nel momento in cui le denunciate invalidità sono state definitivamente accertate in sede giudiziale. Nel caso di specie difetta, ai fini dell'accertamento dell'interesse - in concreto e nell'attualità - ad agire, il requisito dell'impossibilità, per l'istante, di conseguire il medesimo risultato che egli demanda alla pronunzia giurisdizionale senza il ricorso al giudice. Infatti, è evidente che, una volta ottenuta una sentenza favorevole con riferimento al “primo” bilancio impugnato, l'attore ha diritto a che gli amministratori procedano ad adottare i provvedimenti conseguenti, anche con riferimento agli esercizi successivi, alla pronunzia del Tribunale. Risulta, quindi, altrettanto evidente che, per converso, l'adozione di tali provvedimenti (adozione che costituisce l'oggetto di un preciso obbligo normativo che il codice pone a carico degli amministratori) è idonea a soddisfare, in modo pieno ed esaustivo, gli interessi della parte che invoca il medesimo vizio in relazione ai bilanci successivi a quello impugnato per primo. Né potrebbe giungersi a conclusione difforme evidenziando come il giudizio relativo al primo bilancio potrebbe concludersi, eventualmente anche in sede di appello o di successivo giudizio di legittimità, con una pronunzia sfavorevole per gli istanti. Infatti, in tal caso il definitivo accertamento della legittimità del bilancio e, dunque, dell'operato degli amministratori non potrebbe che riverberare i suoi effetti anche in relazione alla legittimità, sotto il profilo sostanziale, del bilancio successivo e del successivo operato degli amministratori medesimi. L'attrice, tuttavia, con il presente giudizio ha inteso far valere, oltre ai vizi sostanziali dedotti, anche vizi formali della deliberazione di approvazione del bilancio del 2015: vizi del procedimento di deliberazione, consistenti nella invalidità del voto determinante espresso dal socio Cooperativa Costruzioni, titolare del 18% del capitale sociale che sarebbe dovuto essere escluso dal voto in quanto in mora con i versamenti, come espressamente previsto dall'art. 10 dello statuto, nel mancato raggiungimento del quorum deliberativo previsto dallo stesso statuto e nella mancata sottoscrizione del relativo verbale da parte del segretario. A prescindere da ogni considerazione circa l'esistenza di un interesse residuo dell'attrice, anch'esso concreto ed attuale, a far
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valere tali vizi per l'ipotesi, meramente eventuale, che l'accertamento dei vizi sostanziali dei bilanci precedenti abbia esito negativo, si deve, però, ritenere che, se anche potesse ritenersi sussistente un interesse ad ottenere una rinnovazione della deliberazione di approvazione qui impugnata con modalità conformi alla legge, dovrebbe, in ogni caso, escludersi la sussistenza dei vizi lamentati. Con riguardo all'invalidità del voto determinante espresso dalla Cooperativa di Costruzioni di Bologna, infatti, si deve rilevare che, da un lato, deve ritenersi carente qualsiasi prova della morosità del socio che ha espresso il voto, non potendosi desumere univocamente tale circostanza dalla procedura di concordato preventivo cui la cooperativa era sottoposta, e, dall'altro, che dalle allegazioni della stessa attrice non si desume alcun riferimento all'omesso versamento da parte di quest'ultima dei conferimenti dovuti, unica circostanza che, ai sensi del principio dettato dall'art. 2466, quarto comma, c.c., implicitamente richiamato e non derogato dall'art. 10 dello statuto, può giustificare l'esclusione del socio moroso dalla partecipazione alle decisioni dei soci.
Il mancato raggiungimento del quorum deliberativo, previsto dallo stesso art. 10 nella misura del 65% del capitale sociale rappresentato dai voti necessari per l'approvazione della deliberazione, d'altra parte, non può ritenersi essersi verificato nel caso di specie, nel quale l'unico socio presente che non si era astenuto per conflitto di interessi e aveva espresso il voto positivo possedeva solo il 18% del capitale sociale. In conformità con l'orientamento dottrinario e giurisprudenziale prevalente, infatti, si deve ritenere che il principio dettato dall'art. 2368, terzo comma, ai sensi del quale le azioni occasionalmente prive di voto, a seguito della dichiarazione di astensione per conflitto di interessi da parte del soggetto al quale spetta il diritto di voto, non sono computate nel calcolo della maggioranza e della quota di capitale richiesta per l'approvazione della deliberazione. Tale principio dettato in materia di società per azioni, come è stato autorevolmente osservato, rappresenta la logica implicazione, sul piano della determinazione delle maggioranze, del limite di voto del socio in conflitto, la cui legittima astensione non può che assumere il significato di affidamento agli azionisti restanti del potere di fissare, in concreto, l'indirizzo assembleare e, poiché eguale limite opera anche nella società a responsabilità limitata, nulla osta all'applicazione analogica della detta disposizione anche a quest'ultima.
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Posto, dunque, che, come risulta dal verbale e non è in contestazione fra le parti, all'assemblea del 3/2/17 erano presenti soci rappresentanti il 73% del capitale sociale, con conseguente raggiungimento del quorum costitutivo, e che i soci Cooperativa Costruzioni di Modena, ITER Società Cooperativa e Improgest S.R.L. si sono astenuti per conflitto di interessi, l'unico voto favorevole espresso dalla Cooperativa di Costruzioni di Bologna rappresenta la maggioranza assoluta dei votanti e, senza computare nel conto per il
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