Corte d'Appello Roma, sentenza 03/05/2024, n. 1618

CA Roma
Sentenza
3 maggio 2024
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CA Roma
Sentenza
3 maggio 2024

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Sul provvedimento

Citazione :
Corte d'Appello Roma, sentenza 03/05/2024, n. 1618
Giurisdizione : Corte d'Appello Roma
Numero : 1618
Data del deposito : 3 maggio 2024

Testo completo


REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE DI APPELLO DI ROMA IV Sezione Lavoro La Corte composta dai signori Magistrati:
dott. Alessandro Nunziata Presidente dott.ssa Gabriella Piantadosi Consigliere dott.ssa Alessandra Lucarino Consigliere rel.
il giorno 23.4.2024 ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
nella causa civile in grado di appello n. 1216/2022 Registro Generale Lavoro, vertente
TRA
BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA S.P.A., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv. Marcello Giustiniani, Antonella Negri, Anna Grazia Sommaruga,
Pietro Burroni, Andrea Biondi
Appellante
E
ME IN, rappresentata e difesa dall'avv. Riccardo Bolognesi
Appellata
Oggetto: appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 9611/2021 pubblicata il 17.11.2021
RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO

1. Il Tribunale di Roma, con la sentenza indicata in epigrafe, ha rigettato l'opposizione proposta dalla Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. avverso il decreto ingiuntivo n. 6089/2020, notificato il
5.8.2020, con il quale le era stato ingiunto il pagamento, in favore dell'odierna appellata, della somma di € 26.696,90, a titolo di retribuzione maturata da settembre 2019 al 30.3.2020, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dalla data di maturazione del diritto al soddisfo, per effetto della sentenza della Corte di appello di Roma n. 1567 del 24.3.2017 che, dichiarata
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l'inefficacia della cessione del rapporto di lavoro della OZ dalla Banca MP s.p.a. in favore della UE s.r.l, aveva ordinato alla Banca MP la riammissione in servizio, mai in concreto attuata dal datore di lavoro prima dell'1.4.2020, malgrado l'ordine giudiziale e la formale offerta della prestazione da parte della lavoratrice con missiva datata 27.3.2017, ricevuta il 12.4.2017.
Ciò premesso, il Tribunale ha ritenuto che la prosecuzione del rapporto di lavoro anche dopo il
31.12.2013 sancita dalla sentenza sopra richiamata, unitamente all'offerta formale della prestazione lavorativa da parte dei lavoratori, avesse determinato il ripristino della funzionalità del vincolo obbligatorio tra le parti, con conseguente riattivazione dell'obbligazione retributiva gravante sulla cedente, e ciò in forza dei principi affermati dalla copiosa giurisprudenza di legittimità, secondo cui al dipendente la retribuzione spetta tanto se la prestazione di lavoro sia effettivamente eseguita sia se il datore di lavoro versi in una situazione di mora accipiendi nei suoi confronti;
in caso di mancata cooperazione del datore di lavoro al ripristino del rapporto, l'unica tutela effettiva per il lavoratore è costituita dall'azione di adempimento dell'obbligo di corrispondere le retribuzioni, il cui peso economico dovrà essere sopportato dal soggetto riconosciuto come reale e giuridico datore, resosi volontariamente inadempiente.
Il Tribunale ha, inoltre, evidenziato che “deve escludersi l'unicità del rapporto di lavoro intrattenuto dai prestatori con la cedente e con la cessionaria, nel caso di accertata illegittimità del trasferimento ed affermarsi, invece, in tale ipotesi l'esistenza di due rapporti (uno di fatto con la seconda;
l'altro quiescente con la prima), con la conseguente ininfluenza delle vicende del rapporto con la cessionaria su quello con la cedente e “pure a fronte di una duplicità di rapporti
(uno, de iure, ripristinato nei confronti dell'originario datore di lavoro, tenuto alla corresponsione delle retribuzioni maturate dalla costituzione in mora del lavoratore;
l'altro, di fatto, nei confronti del soggetto, già cessionario, effettivo utilizzatore), la prestazione lavorativa solo apparentemente resta unica: giacché, accanto ad una prestazione materialmente resa in favore del soggetto con il quale il lavoratore, illegittimamente trasferito con la cessione di ramo d'azienda, abbia instaurato un rapporto di lavoro di fatto, ve n'è un'altra giuridicamente resa, non meno rilevante sul piano del diritto, in favore dell'originario datore, con il quale il rapporto di lavoro è stato de iure (anche se non de facto, per rifiuto ingiustificato del predetto) ripristinato…” (così Cass. 8162/2020)”.
Ha, quindi, ritenuto che a nulla rileva “la circostanza che nel caso di specie accanto alla cessione, inefficace, vi sia anche un contratto di appalto di servizi stipulato tra MP e la cessionaria. Invero tale contratto di appalto non riveste alcun rilievo nella presente sede in cui i ricorrenti invocano il proprio credito retributivo nei confronti della cedente, esclusivamente in forza di un rapporto di lavoro formale,
riattivatosi a seguito della costituzione in mora per effetto della declaratoria di inefficacia della
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cessione: si verte dunque in una ipotesi perfettamente sovrapponibile rispetto a quelle esaminate dalla più recente giurisprudenza della Suprema Corte”.
Riguardo al quantum, il Tribunale ha considerato corretta la richiesta monitoria, stante la genericità delle contestazioni mosse ai dettagliati conteggi sviluppati dall'odierna appellata sulla scorta delle buste paga prodotte e del CCNL di cat.

2. Avverso tale sentenza La Banca Monte Paschi di Siena s.p.a. ha proposto tempestivo appello affidato a sei motivi ai quali ha resistito l'appellata.
All'udienza del 23.4.2024 la causa è stata decisa come da dispositivo.

3. Con il primo motivo di appello la Banca MP censura la sentenza gravata perché non avrebbe rilevato che la Corte Costituzionale (sent. n. 29/2019) ha già affermato la piena convergenza tra la natura retributiva dell'obbligo in capo all'ex cedente moroso e l'efficacia liberatoria dei pagamenti dell'ex cessionario.
Con il secondo motivo la Banca appellante censura la sentenza de qua nella parte in cui ha ritenuto che, nonostante vi sia stata una sola prestazione di lavoro, sussistano due rapporti e, quindi, all'appellata spetti una seconda retribuzione.
Secondo la deducente, con il passaggio a UE nel 2014, tutti i lavoratori appartenenti al ramo back office, compresa l'appellata, hanno mantenuto il medesimo CCNL applicato da MP e la medesima retribuzione;
non vi è stata una nuova assunzione dei lavoratori da parte di UE, poiché il rapporto è passato a UE esclusivamente in forza della cessione, il contratto di lavoro e il relativo rapporto sono rimasti unici;
conseguentemente, le retribuzioni corrisposte da UE ai lavoratori devono considerarsi adempimenti effettuati consapevolmente dal terzo che sa di non essere tenuto a dette prestazioni e, quindi, di adempiere ad un obbligo altrui, ai sensi dell'art. 1180
c.c.

Con il terzo motivo si censura la sentenza di prime cure nella parte in cui ha erroneamente applicato, da un lato, l'art. 1207 c.c., ritenendo che l'offerta formale della prestazione riattivi l'obbligo di pagare la retribuzione senza che sia eseguita la prestazione di lavoro, e, dall'altro lato, gli artt. 1207, 1460, 1463, 1464 c.c. non ritenendo che le prestazioni non rese si estinguano con conseguente diritto del lavoratore al solo risarcimento dell'interesse positivo e non a percepire due volte la retribuzione.
Invero, secondo la difesa appellante, poiché il lavoratore ha offerto a MP l'identica e unica prestazione che ha reso a UE, non esiste una valida messa in mora posto che la prestazione, da un lato è stata offerta da chi non poteva validamente adempiere e dall'altro lato, sebbene formalmente offerta, è stata materialmente resa ad altro soggetto. Pertanto, non si può applicare l'art. 1207 c.c.
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Nella specie, non esiste a suo dire una vera offerta di prestazione nei confronti di MP dal momento che la medesima, unica e identica prestazione offerta alla Banca, è stata in realtà offerta, utilizzata e retribuita a/da UE e ciò in quanto “l'applicazione dell'art. 1207 cod. civ. deve essere calata nell'ambito dei rapporti di durata: le prestazioni offerte ma non ricevute si estinguono dando luogo unicamente al risarcimento del danno…” (in altri termini, “la prestazione di lavoro non resa diventa impossibile e, quindi, ai sensi degli artt. 1256 e 1463 cod. civ. si estingue, dando diritto all'eventuale risarcimento del danno. Conseguentemente, non potendo più il debitore eseguire la prestazione per cui era contrattualmente tenuto, si estingue anche l'obbligo per il datore di lavoro di pagare la retribuzione per una prestazione che non ha ricevuto, né può più ricevere”.
Con il quarto motivo si deduce l'erroneità della sentenza nella parte in cui ha affermato l'irrilevanza dell'appalto tra MP e UE s.r.l., dal momento che avendo la banca beneficiato delle prestazioni rese, i pagamenti effettuati da UE devono intendersi liberatori ex artt. 29 e 27
D.lgs. n. 276/2003
ovvero ex art. 1180 c.c.
Con tale mezzo l'appellante argomenta che in ogni caso si avrebbe l'effetto liberatorio dei pagamenti di cui all'art. 27 D.lgs. n. 276/2003 (oggi art. 38, comma 3, D.lgs. n. 81/2015), norma che la giurisprudenza aveva già qualificato come una declinazione particolare dei principi di diritto comune rinvenibili nelle disposizioni di cui agli artt. 1180 e 2036 c.c..
Con il quinto motivo si deduce l'ulteriore vizio di motivazione incentrato in un'ottica sostanzialmente sanzionatoria nei confronti del datore di lavoro inadempiente. Ciò comporterebbe una violazione dell'art. 614-bis c.p.c., inapplicabile al rapporto di lavoro, perché, di fatto, mira a sanzionare il datore di lavoro che non ottemperi all'ordine di riammissione in servizio ossia a un obbligo di facere infungibile.
Infine, con il sesto motivo di gravame l'appellante censura il mancato accoglimento delle eccezioni sollevate in merito ai conteggi. In particolare, la Banca aveva specificamente dedotto che le voci, quali l'EDR e le giornate di sospensione avrebbero dovuto essere espunte dai conteggi: quanto all'EDR, aveva espressamente dedotto che il riconoscimento di questo elemento retributivo spettava solamente fino al 31 dicembre 2014 producendo il relativo documento. Quanto alle giornate di sospensione, anche in questo caso, aveva espressamente eccepito che dalla somma
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