Corte d'Appello Roma, sentenza 03/01/2024, n. 4785
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Testo completo
R.G. 1687/2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE DI APPELLO DI ROMA
AREA LAVORO E PREVIDENZA
III SEZIONE
composta dai signori Magistrati:
1) dott. V F N Presidente rel.
2) dott.ssa M G M Consigliere
3) dott. E S D Consigliere
ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
nella causa iscritta sul ruolo generale lavoro sotto il numero d'ordine 1687 dell'anno 2022
TRA
Parte_1
assistito e difeso dall'Avvocatura dello Stato
- appellante -
E
Controparte_1
assistito e difeso dagli avv. P e L C
- appellato e appellante incidentale -
RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE
esponeva:
che <<è recluso ininterrottamente dal 17.09.2003 in vari istituti di pena tra i quali quello di Roma Rebibbia,
Asti e Saluzzo, nel quale ultimo, è attualmente ristretto con fine pena mai>>;
che <
penitenziaria, per quanto è riuscito a documentare in questa sede, dal mese di gennaio 2006 sino al mese di
maggio 2017>>;
che <, cat. B”;“Scopino, Per_1
cat. C”;“Porta vitto, cat. C”;“Addetto alle pulizie, cat. C”;“Assistente alla persona, cat. B”, quindi ha svolto
mansioni lavorative regolate dal CCNL, “Addetti ai servizi vari d'Istituto” - “CCNL Turismo Pubblici Esercizi”>>;
che <
le mercedi, rimanendo però scoperti i lavori pregressi>>;
che gli erano, pertanto dovute le seguenti differenze retributive:
Anno 2006, differenza percepita in meno €.1.937,92;
Anno 2007, differenza percepita in meno €.1.702,03;
Anno 2008, differenza percepita in meno €.990,58;
Anno 2015, differenza percepita in meno €.286,69;
Anno 2017, differenza percepita in meno €.734,44;
E così in totale €.5.651,66.
2. Tanto esposto, chiedeva la condanna del al pagamento della predetta somma, Controparte_2
oltre interessi.
Resisteva il a mezzo di proprio funzionario. Parte_1 3. Con sentenza del 20 dicembre 2021 il Tribunale accoglieva il ricorso.
Affermava il primo giudice (per quanto ancora qui interessa) che la eccezione di prescrizione quinquennale
sollevata dalla parte resistente era infondata, poiché:
il <Parte_1
avventura, in contrasto con quanto dedotto dagli originari ricorrenti, la detenzione era venuta meno nei
periodi dedotti in giudizio>>;
<
fornisce alcuna prova) – la Suprema Corte ha, da tempo, affermato il principio secondo cui la sospensione
del termine di prescrizione si verifica anche nell'ipotesi di successione tra le stesse parti di più contratti non
garantiti da stabilità reale>>.
4. Con ricorso del 29 giugno 2022 il interponeva appello. Parte_1
Resisteva il il quale, con memoria del 14 settembre 2023, spiegava appello incidentale. CP_1
5. Con un unico motivo, il si duole del mancato accoglimento, da parte del Tribunale, della Parte_1
eccezione di prescrizione quinquennale sollevata ex art. 2948 c.c.
Deduce la parte:
che l'eccezione era stata ritualmente formulata con la memoria di costituzione in giudizio (pag. da 5 a 10);
che <
diverse decorrenze del termine di prescrizione, il Tribunale non poteva che dichiarare prescritto il diritto del
lavoratore alle differenze retributive richieste fino al 2015>>;
che <
decorre dalla cessazione del rapporto di lavoro e non dello stato di detenzione>>,
che la stessa parte ricorrente aveva allegato di aver lavorato in alcuni mesi, <
rapporto di lavoro>>. 6. Il ha proposto appello incidentale condizionato per i seguenti motivi: CP_1
a) <
ius postulandi>>;
b) <
modificazioni, dalla L. 17 dicembre 2012>>.
c) <
privo di effetto se non risulta da atto scritto, una copia del quale deve essere consegnata dal datore di lavoro
al lavoratore entro cinque giorni lavorativi dall'inizio della prestazione>>.
Per ragioni di ordine sistematico, va esaminato dapprima l'appello incidentale.
7. Il primo motivo è infondato.
Ai sensi dell'art. 417 bis c.p.c., nelle controversie relative ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche
amministrazioni di cui al quinto comma dell'articolo 413, limitatamente al giudizio di primo grado le
amministrazioni stesse possono stare in giudizio avvalendosi direttamente di propri dipendenti.
Il quinto comma dell'art. 413 c.p.c. fa riferimento alle le controversie relative ai rapporti di lavoro alle
dipendenze delle pubbliche amministrazioni.
Dunque, ai fini della ritualità della costituzione a mezzo propri funzionari, occorre che trattasi di controversia
di lavoro e che il datore di lavoro sia una pubblica amministrazione.
Che il rapporto abbia natura privatistica o pubblica non rileva, poiché una simile distinzione non si rinviene
nelle norme sopra citate, sicché, come insegna il brocardo latino, ubi lex non distinguit nec nos distinguere
debemus.
D'altra parte la ratio della disposizione è palesemente quella di far risparmiare spese di difesa alle pubbliche
amministrazioni, riservando all'Avvocatura dello Stato solo le questioni particolarmente rilevanti, tant'è che
lo stesso art. 417bis prevede che l'Avvocatura dello Stato può decidere di assumere direttamente la causa
qualora debbano essere affrontate questioni di massima o questioni di particolare rilievo economico.
E non si comprende perché mai il legislatore avrebbe deciso di affidare tutte le controversie di lavoro ai
funzionari delle Amministrazioni Pubbliche ma non quelle che attengono alle mercedi dei detenuti,
nient'affatto di particolare rilievo né sul piano giuridico né sul piano economico.
Per cui paradossalmente, il funzionario del Ministero della Giustizia potrebbe difendere l'Amministrazione di
appartenenza in giudizi di particolare complessità e rilevanza economica (si pensi, per esempio, a
impugnative di licenziamento), ma non sarebbe abilitato a costituirsi in controversie come quelle in esame,
indubbiamente meno complesse e rilevanti.
8. Si consideri, inoltre, sotto un diverso profilo, che non si ravvisa quell'indefettibile nesso tra lavoro pubblico
privatizzato e art. 417-bis c.p.c. colto da Cass. n. 18309/2009 e ribadito da Cass. n. 12055/2019. Invero, fermo
il processo di privatizzazione del pubblico impiego, l'art. 2 della legge n. 421/1992, poi sfociata nel d.lgs n.
29/1993, nel delegare il Governo a emanare uno o più decreti legislativi in materia di pubblico impiego,
prevedeva esclusivamente che esso fosse “autorizzato a: a) prevedere (…) che i rapporti di lavoro e di impiego
dei dipendenti delle amministrazioni dello Stato e degli altri enti di cui agli articoli 1, primo comma, e 26,
primo comma, della legge 29 marzo 1983, n. 93, siano ricondotti sotto la disciplina del diritto civile e siano
regolati mediante contratti individuali e collettivi”.
A sua volta, l'art. 11, comma 4, lett. g) della legge n. 59/1997, nel delegare il Governo ad emanare uno o più
decreti legislativi per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa,
prevedeva quanto segue: “Anche al fine di conformare le disposizioni del decreto legislativo 3 febbraio 1993,
n. 29 , e successive modificazioni, alle disposizioni della presente legge recanti princìpi e criteri direttivi per i
decreti legislativi da emanarsi ai sensi del presente capo, ulteriori disposizioni integrative e correttive al
decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni, possono essere emanate entro il 31
ottobre 1998. A tal fine il Governo, in sede di adozione dei decreti legislativi, si attiene ai princìpi contenuti
negli articoli 97 e 98 della Costituzione, ai criteri direttivi di cui all'articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n.
421 (…), nonché, ad integrazione, sostituzione o modifica degli stessi ai seguenti princìpi e criteri direttivi: (…)
g) devolvere, entro il 30 giugno 1998, al giudice ordinario, tenuto conto di quanto previsto dalla lettera a)
(vale a dire: “completare l'integrazione della disciplina del lavoro pubblico con quella del lavoro privato e la
conseguente estensione al lavoro pubblico delle disposizioni del codice civile e delle leggi sui rapporti di
lavoro privato nell'impresa;estendere il regime di diritto privato del rapporto di lavoro anche ai dirigenti
generali ed equiparati delle amministrazioni pubbliche, mantenendo ferme le altre esclusioni di cui
all'articolo 2, commi 4 e 5, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29”), tutte le controversie relative ai
rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, ancorché concernenti in via incidentale
atti amministrativi presupposti, ai fini della disapplicazione”, ciò che ha portato all'adozione, per quanto di
rilievo, del d.lgs n. 80/1998, che ha, tra l'altro, aggiunto i commi quinto e sesto all'art. 413 c.p.c. e inserito il
nuovo art. 417-bis c.p.c.
Pertanto, se non è in discussione che il legislatore si è mosso nell'ambito della assimilazione dell'impiego alle
dipendenze delle pubbliche amministrazioni con quello privato, non è meno vero che non si ricava alcuna
norma espressa che limitasse l'operatività delle disposizioni introdotte ai rapporti privatizzati. Né si rinviene
alcuna norma che possa escludere da una dizione tanto generica come quella di “controversie relative ai
rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni” utilizzata dal legislatore nell'art. 413,
comma 5, c.p.c. e come quella di “controversie relative ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche
amministrazioni di cui al quinto comma dell'articolo 413” contenuta nell'art. 417-bis, comma 1, c.p.c. il
rapporto “alle dipendenze della stessa Amministrazione penitenziaria” (così Cass. n. 12055/2019) che
intercorre con il detenuto, pur volendone affermare la particolarità rispetto al più generale rapporto di lavoro
pubblico “privatizzato”.
Né appare incompatibile con il lavoro carcerario il concetto di “ufficio” richiamato dall'art. 413, quinto
comma, c.p.c. se solo lo si intende nel mero senso di inserimento in una struttura comunque organizzata
dell'amministrazione, senza che esso debba essere necessariamente interpretato quale luogo di esercizio di
finalità istituzionali, in disparte il rilievo che il lavoro carcerario appare comunque espressivo della finalità,
certamente istituzionale, volta alla rieducazione del detenuto che è demandata al Dipartimento
dell'amministrazione penitenziaria, con ciò potendosi mantenere, ove lo si ritenga, la competenza per
territorio in ragione della sede dell'articolazione centrale del costituita dallo stesso Controparte_2
, come ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità più volte Controparte_3
ricordata.
Ne consegue che nessun vizio si è verificato a seguito della costituzione in giudizio del a mezzo di Parte_1
funzionario e che la doglianza sollevata a tale proposito dell'odierno appellante è priva di fondamento.
9. Il secondo motivo è infondato.
Dispone il comma 1 dell'art. 16 D.L. n. 179 del 2012-bis (nella formulazione applicabile ratione temporis):
Salvo quanto previsto dal comma 5, a decorrere dal 30 giugno 2014 nei procedimenti civili, contenziosi o di
volontaria giurisdizione, innanzi al tribunale, il deposito degli atti processuali e dei documenti da parte dei
difensori delle parti precedentemente costituite ha luogo esclusivamente con modalità telematiche, nel
rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione
dei documenti informatici. Allo stesso modo si procede per il deposito degli atti e dei documenti da parte dei
soggetti nominati o delegati dall'autorità giudiziaria. Le parti provvedono, con le modalità di cui al presente
comma. a depositare gli atti e i documenti provenienti dai soggetti da esse nominati. Per difensori non si
intendono i dipendenti di cui si avvalgono le pubbliche amministrazioni per stare in giudizio personalmente.
In ogni caso, i medesimi dipendenti possono depositare, con le modalità previste dal presente comma, gli atti
e i documenti di cui al medesimo comma.
Per i funzionari che difendono la P.A. ex art. 417-bis c.p.c. esiste(va) quindi non un obbligo ma una facoltà di
deposito telematico degli atti endoprocessuali.
10. Il terzo motivo è infondato.
Premesso che la questione non è stata affrontata dal primo giudice (sicché vanamente l'appellato evoca una
sorta di giudicato formatosi sul punto circa la necessità della forma scritta), la doglianza non ha giuridico
pregio.
La disciplina del lavoro carcerario trova la sua fonte in una normativa speciale (L. 354/1975, artt. 20-25), si
costituisce non per contratto, ma mediante provvedimenti di “assegnazione al lavoro”, sicché sono
inapplicabili le disposizioni di cui al D.L.vo 81 del 15 giugno 2015.
11. L'appello principale è fondato.
Va premesso che, come insegna Cass. 27340/2019:
a) il termine di prescrizione dei diritti del lavoratore non decorre durante lo svolgimento del rapporto di
lavoro, in sé privo di stabilità, poiché, nei confronti del prestatore, è configurabile una situazione di "metus";
b) la sospensione della prescrizione permane solo fino alla cessazione del rapporto di lavoro in quanto in
assenza di specifiche disposizioni, non può estendersi all'intero periodo di detenzione;
c) occorre aver riguardo, quindi, al rapporto di lavoro a nulla rilevando la condizione di detenuto.
Ora, con la memoria di costituzione nel giudizio di primo grado, il ministero aveva espressamente sollevato
l'eccezione di prescrizione quinquennale (In via preliminare e pregiudiziale appare doveroso eccepire
l'intervenuta prescrizione quinquennale ex art. 2948 c.c.., quam minime parziale, della pretesa attivata. Le
pretese della parte ricorrente sono infatti parzialmente prescritte per il periodo anteriore al quinquennio
antecedente alla notificazione del ricorso. avvenuta in data 5. 06.2021 ai sensi e per gli effetti di cui all'art.
2948 c.c. operante nel caso di specie) opponendo, tra l'altro, che ogni singolo periodo lavorativo deve
considerarsi come un autonomo e differente "rapporto" di lavoro, anche in virtù del fatto che, come
accennato, ad ogni (differente) periodo lavorativo è corrisposta una diversa mansione a cui il ricorrente è
stato assegnato. La naturale conseguenza logico/giuridica è quindi che il termine prescrizionale
(quinquennale ex art. 2948) è sospeso solo ed esclusivamente in pendenza di ogni singolo rapporto di lavoro
- e non per tutto il periodo detentivo - cominciando a decorrere dal giorno in cui questo viene a cessare.
Poiché il ricorrente ha allegato di essere recluso dal 2003 e di aver prestato attività lavorativa negli anni 2006,
2007, 2008, 2015 e 2017 (senza specificamente dedurre e, tanto meno dimostrare, di aver lavorato anche in
altri periodi), è palese la circostanza che – visto lo iatus temporale tra le prime tre annualità e le successive –
non possa considerarsi sussistente un unico rapporto lavorativo.
La prescrizione per gli anni sino al 2008 è, dunque, indiscutibile.
Ma deve affermarsi che la prescrizione è stata validamente sollevata dal anche per l'anno 2015. Parte_1
Dal certificato di detenzione esibito dallo stesso ricorrente emerge che egli è entrato nello stabilimento
penitenziario di Saluzzo il 23 dicembre 2016.
Ciò comprova che nel 2015 il ha lavorato presso altra struttura penitenziaria. come attestato, CP_1
peraltro, dalle esibite buste paga, ove si menziona il dipartimento CR Asti.
Non è, pertanto, in radice, ravvisabile una continuità di lavoro in riferimento a prestazioni rese in stabilimenti
diversi e in esecuzione di disposizioni date da Autorità differenti.
Conseguenza ne è che anche per l'anno 2015 si è consumata la prescrizione, atteso che il ricorso introduttivo
è stato incontestatamente notificato in data 5 giugno 2021.
12. In conclusione, va accolto il solo appello principale e, in riforma dell'impugnata sentenza, il va Parte_1
condannato al pagamento, in favore del , in luogo dell'importo liquidato dal Tribunale, della sola CP_1
somma di €.734,44 (non contestata dal nel suo ammontare), a titolo di differenze maturate Parte_1
nell'anno 2017.
Considerato l'esito complessivo del giudizio, le spese del doppio grado possono essere interamente
compensate.
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