Corte d'Appello Messina, sentenza 26/03/2024, n. 288
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Testo completo
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI APPELLO DI MESSINA
Sezione I Civile
riunita in camera di consiglio e composta dai magistrati:
1) dr. A S Presidente
2) dr.ssa M S Consigliere rel.
3) dr. ssa M G S Consigliere
ha emesso la seguente
S E N T E N Z A
nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 615/2023 R.G. posta in decisione all'udienza del 04.03.2024
vertente tra
, nata a Caserta (CE) il 30.09.1979, C.F. , elettivamente domiciliata in Parte_1 C.F._1
Milazzo via M. Regis n.49, Complesso Le Palme presso lo studio dell'avv. Santina Dante , che la rappresenta
e difende, giusta procura in atti;
Appellante / ammessa al beneficio del patrocinio gratuito
e
nato a Milazzo il 25.09.1975, C.F. , elettivamente domiciliato CP_1 C.F._2
Barcellona P.G. in via Vico II dei Vespri n.23, presso lo studio professionale dell'avv. T G, che lo rappresenta e difende, giusta procura in atti;
Appellato
Oggetto: appello avverso la sentenza n.178/2023, emessa dal Tribunale di Barcellona P.G. in composizione collegiale in data 22.02.2023 e pubblicata in data 24.02.2023.
Conclusioni dei procuratori delle parti: come da note scritte depositate ex artt. 127 ter c.p.c. e 35 d.lgs.
149/2022 in data 27.02.2024 per parte appellante ed in data 28.02.2024 per parte appellata.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso regolarmente notificato, premesso di aver contratto matrimonio con Parte_1 [...] in data 23.03.2011. dal quale erano nati i figli (cl. 1998) e (cl. 2008), CP_1 Persona_1 Persona_2 adiva il Tribunale di Barcellona P.G. , chiedendo che fosse dichiarata la separazione personale dei coniugi con addebito a carico del marito, ritenendo non più ripristinabile tra i due la comunione spirituale e materiale.
Si costituiva in giudizio contestando il ricorso avverso e richiedendo che fosse dichiarata la CP_1 separazione personale dei coniugi con addebito nei confronti della moglie.
Pronunciata con sentenza non definitiva n. 723/2016 , depositata in data 20.12.2016 e pubblicata in data
22.12.2016, la separazione personale dei coniugi, in esito all'istruttoria con sentenza n.178/2023, emessa in data 22.02.2023 e pubblicata in data 24.02.2023., il Tribunale rigettava le domande di addebito della separazione avanzate da entrambe le parti;revocava l'assegno dovuto da a titolo di CP_1 mantenimento della figlia e dell'ex coniuge e compensava le spese di Controparte_2 Parte_1 giudizio.
Avverso la predetta sentenza, con ricorso regolarmente notificato, la soccombente proponeva appello.
Si costituiva in giudizio istando per il rigetto di tutti i motivi di gravame ex adverso formulati CP_1
e, per effetto, per la conferma in ogni sua parte della sentenza appellata.
Con decreto del 5.09.2023 il Presidente di Sezione fissava la comparizione delle parti, disponendone la sostituzione con il deposito telematico di note di trattazione ex artt. 127 ter c.p.c. e 35 D.Lgs.149/2022.
Dopo un rinvio per carico di ruolo del relatore, con ordinanza emessa in data 4.03.2024 alla scadenza dei termini assegnati alle pari per il deposito delle note di trattazione di cui all'art. 127 ter c.p.c., come introdotto dal D.Lvo 149/2022, la Corte assumeva la causa in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE 1.-Giova, in via preliminare, precisare che, per insegnamento assolutamente pacifico e consolidato della giurisprudenza di legittimità, il giudizio di appello avverso le sentenze di separazione personale dei coniugi è un procedimento di natura contenziosa, che si svolge secondo il rito camerale e che, pur dovendo rispettare il principio del contraddittorio , si caratterizza per la particolare celerità e semplicità delle forme.
Deve, pertanto, escludersi l'applicazione delle norme che regolano il processo di cognizione ordinaria e segnatamente dei termini previsti ex art. 352 e 190 c.p.c. per lo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, potendo la causa essere assunta in decisione , dopo chele parti abbiano precisato le conclusioni, senza lì'assegnazione dei termini previsti per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica ( ex ultimis Cass. 29865/2022).
Va, pertanto, disattesa l'istanza di concessione termini per deposito di memoria conclusiva avanzata dall'appellante nelle note del 27.02.2024.
Sempre in via preliminare, deve essere rigettata l'eccezione di inammissibilità dell'appello ex artt. 342 e 437 bis 30 c.p.c.
L'art. 342 c.p.c. ( espressamente richiamato dall'art. 437 bis 30 c.p.c.), nella formulazione introdotta dal d.l.
n. 83 del 2012, convertito nella l. n. 134 del 2012 , non richiede che le deduzioni della parte appellante assumano una determinata forma o ricalchino la decisione appellata con diverso contenuto, ma impone al ricorrente in appello di individuare in modo chiaro ed esauriente il "quantum appellatum", circoscrivendo il giudizio di gravame con riferimento agli specifici capi della sentenza impugnata nonché ai passaggi argomentativi che la sorreggono e formulando, sotto il profilo qualitativo, le ragioni di dissenso rispetto al percorso adottato dal primo giudice, sì da esplicitare la idoneità di tali ragioni a determinare le modifiche della decisione censurata. (Cass. civ. sez. lav., 05/02/2015, n. 2143;Cass.civ.sez. VI 30.05.2018 n.13535).
Nella specie, risultano sufficientemente indicate tanto le parti della motivazione ritenute erronee quanto le ragioni poste a fondamento delle critiche e la loro rilevanza al fine di confutare la decisione impugnata, come, peraltro, dimostra la circostanza che la stessa parte appellata è stata in grado di predisporre una congrua difesa
2.-Con il primo motivo di gravame l'appellante censura la sentenza impugnata nella parte in cui il primo decidente ha rigettato la richiesta di riconoscimento dell'assegno di mantenimento.
Nel lamentare l'erronea applicazione dei principi di cui all'art. 156 c.c. e dei criteri di commisurazione dell'assegno di mantenimento, sostiene che, contrariamente a quanto ritenuto dal primo decidente, nella specie, non fossero sopravvenuti fatti nuovi e/o ulteriori rispetto al precedente assetto, posto a base dell'ordinanza presidenziale con cui era stato posto a carico del l'obbligo di corrispondere in favore di essa moglie un CP_1 assegno mensile di euro 200,00.
L'odierna appellante evidenzia un deterioramento delle proprie condizioni economiche, in conseguenza sia del peggioramento delle proprie condizioni di salute, sia dell' allontanamento dalla casa coniugale di proprietà
del suocero e precisa, in proposito, che ,in sede presidenziale, era stata prevista la rideterminazione del contributo di mantenimento ove fosse venuto meno il godimento della dimora coniugale.
Nell'evidenziare lo squilibro reddituale tra i due coniugi, afferma che l'importo di euro 300,00, che l'appellato versa a titolo di contributo di mantenimento in favore del minore, non sia sufficiente a coprire il canone di locazione dell'abitazione, né le varie spese ed i costi delle utenze ad essa relative .
Lamenta, inoltre, un atteggiamento punitivo in capo al Giudice di prime cure, nella parte in cui avrebbe valutato l'attività lavorativa espletata “in nero” come elemento penalizzante per la stessa ed aggiunge di non essere gravata dall'obbligo di elaborare le certificazioni reddituali, non percependo redditi di sorta.
Contesta, altresì,che lo Stato, con l'erogazione del reddito di cittadinanza, possa surrogarsi nel dovere di sostentamento gravante su CP_1
Quanto alle sue condizioni di salute, l'appellante afferma di essere affetta da gravi patologie alla schiena, al braccio ed alle vertebre, che le impediscono di espletare qualsivoglia attività ed incidono negativamente sulla sua capacità reddituale, sottolineando di aver più volte richiesto una CTU medico-legale.
Rileva di essersi occupata della famiglia per tutto l'arco della vita matrimoniale in forza di scelte concordate con il coniuge, così da consentire a quest'ultimo,servito ed accudito, di realizzarsi nel lavoro
Sulla base delle illustrate argomentazioni, l'appellante, anche richiamando vaie pronunce giurisprudenziali, insiste nella riforma della sentenza impugnata, lamentandone l'ingiustizia, l'erroneità e la carente motivazione in ordine ai fatti di causa.
2.-Con il secondo motivo di gravame l'appellante censura la sentenza impugnata nella parte in cui il primo decidente non ha riconosciuto l'assegno di mantenimento in favore della figlia maggiorenne.
Lamentando la mancata applicazione dell'art. 147 c.c., rileva l'inidonea valutazione di circostanze importanti per il riconoscimento e la corretta quantificazione del contributo in favore della figlia, ormai maggiorenne, ma soltanto parzialmente indipendente dal punto di vista economico.
Evidenzia, in proposito, che quest'ultima non solo non ha fatto effettivo ingresso nel mondo del lavoro, ma non ha neppure raggiunto l'indipendenza economica, non avendo il Maio fornito alcuna prova a sostegno di siffatte circostanze.
Adduce che la ragazza ha lavorato per un circoscritto intervallo di tempo e che, pertanto, non ha percepito un reddito sufficiente per essere economicamente indipendente.
L'appellante evidenzia il desiderio della giovane di proseguire gli studi, mettendo a frutto le sue capacità con
l'intenzione di costruire il futuro che desidera, rilevando , però, che tali aspirazioni sono frustrate dalle ristrettezze economiche , che spingono la figlia alla ricerca di un lavoro per contribuire ai bisogni della famiglia.
Chiede, pertanto, la riforma della sentenza nella parte concernente la determinazione dell'assegno di mantenimento in favore della figlia e, per l'effetto, il riconoscimento in favore della stessa di un assegno pari ad euro 300,00, o in quell'altra somma maggiore ritenuta giusta ed equa.
3.-L'appello è infondato per le ragioni di cui appresso.
Quanto all'assegno di mantenimento in favore della , va premesso, in punto di diritto, che “l'assegno di Pt_1 separazione presuppone la permanenza del vincolo coniugale, e, conseguentemente, la correlazione dell'adeguatezza dei redditi con il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, mentre tale parametro non rileva in sede di fissazione dell'assegno divorzile, che deve, invece, essere quantificato in considerazione della sua natura assistenziale, compensativa e perequativa, secondo i criteri indicati all'art.5, comma 6, l.989/1970, essendo volto non alla ricostruzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo dell'ex coniuge beneficiario alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi” (cfr. Cass. civ., Sez. I, Ordinanza, 29.02.2024, n.5242).
Alla stregua di tali risultanze, stante la non assimilabilità dei due assegni, non può che escludersi la funzione assistenziale, compensativa e perequativa dell'assegno di mantenimento, che si risolve in una mera proiezione degli obblighi di mantenimento reciproci derivanti dal matrimonio (art.143 c.c.), oltre che nell'estrinsecazione del generale dovere di assistenza materiale, che permane anche dopo la cessata convivenza.
Non colgono, pertanto, nel segno le argomentazioni dell'appellante in merito al sacrificio delle proprie aspettative lavorative subite in costanza di matrimonio in conseguenza di scelte concordate con il coniuge , trattandosi di questioni che assumono rilievo ai fini del riconoscimento dell'assegno divorzile in relazione alla sua funzione perequativa- compensativa.
Stante la non addebitabilità della separazione all'odierna appellante, il primo giudicante, sulla scorta dell'insegnamento del giudice di legittimità, ai fini della sua decisione ha tenuto conto, quali condizioni a cui
è subordinato il sorgere del diritto al mantenimento:
- della “ non titolarità di adeguati redditi propri, ossia di redditi che gli permettano di mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio;
-della “sussistenza di una disparità economica tra le parti, occorrendo avere riguardo, al fine della valutazione dell'adeguatezza dei redditi del coniuge che chiede l'assegno, al parametro di riferimento costituito dalle potenzialità economiche complessive dei coniugi durante il matrimonio, quale elemento condizionante la qualità delle esigenze e l'enetità delle aspettative del medesimo richiedente, non assumendo rilievo il più modesto tenore di vita subito o tollerato” (cfr. Cass. civ. sez. I, 22.10.2004, n.20638) ;
ed, in forza di tali parametri, ha correttamente rigettato la domanda della .. Pt_1
Ed invero, seppure la stessa aveva riferito di non avere un lavoro e di non possedere fonti di reddito, tuttavia, certo ed incontestabile è risultato lo svolgimento di attività lavorativa come collaboratrice domestica, oltre che come collaboratrice presso una rosticceria della di Barcellona Pozzo di Gotto. Org_1
Proprio le dichiarazioni rese dalla stessa in sede di interrogatorio formale, ulteriormente corroborate dalle emergenze istruttorie, che confermano quanto asserito dalla parte resistente, oggi appellato, e dalla mancanza di elementi di opposto segno, consentono di desumere la capacità lavorativa dellla ed il suo inserimento Pt_1 nel mondo del lavoro, sebbene non siano noti i redditi percepiti.
Il Tribunale ha, infatti, dato atto del mancato deposito di qualsivoglia documentazione reddituale, che non ha consentito alcuna valutazione in merito alle condizioni economiche delle parti ed alla loro comparazione.
Sul punto, però, appare utile richiamare l'insegnamento della Corte di Cassazione, che, con una recente pronuncia (Cass. Civ., Sez. I, Ordinanza,18/01/2024, n.1894) ha statuto che: “In materia di separazione dei coniugi, grava sul richiedente l'assegno di mantenimento, ove risulti accertata in fatto la sua capacità di lavorare, l'onere della dimostrazione di essersi inutilmente attivato e proposto sul mercato per reperire un'occupazione retribuita confacente alle proprie attitudini professionali, poiché il riconoscimento dell'assegno a causa della mancanza di adeguati redditi propri, previsto dall'art. 156 c.c., pur essendo espressione del dovere solidaristico di assistenza materiale, non può estendersi fino a comprendere ciò che, secondo il canone dell'ordinaria diligenza, l'istante sia in grado di procurarsi da solo. Ne consegue che il giudice, chiamato a verificare la debenza e la misura dell'assegno, deve valutare tutte le circostanze allegate dalle parti e rilevanti a tal fine, quale è la sussistenza di una malattia oncologica in capo al richiedente, idonea
a comprometterne la capacità lavorativa”.
Nella specie, attesa l'accertata capacità lavorativa del coniuge richiedente l'assegno e non potendosi ritenere provata la mancanza in capo alla stessa di redditi, atti a consentirle di sostenersi autonomamente, è incensurabile la contestata statuizione del primo decidente.
Né fattore ostativo al disconoscimento dell'assegno di mantenimento è costituito dal dedotto peggioramento delle condizioni di salute dell'odierna appellante, la quale, lamentando non meglio specificate patologie alle vertebre della schiena ed alle braccia, ha richiesto lo svolgimento di c.t.u. medico-legale.
Tuttavia, nessuna documentazione è stata prodotta in atti, non consentendo di fatto al giudice di poter accogliere la richiesta della . Pt_1
Invero, giusta quanto previsto dagli art. 112 c.p.c e 2697 c.c., grava sulle parti l'onere di allegazione e di prova dei fatti posti a fondamento della propria domanda.
La consulenza tecnica non può , conseguentemente, rappresentante uno strumento per il tramite del quale fanno ingresso nuovi fatti in giudizio, ove essi non siano stati ritualmente allegati dalle parti, e non può supplire a carenze probatorie inerenti ai fatti oggetto di allegazione.
Deve, pertanto, condividersi il convincimento espresso dal Tribunale in punto di capacità lavorativa di
[...]
Parte_1
Privo di prova appare, inoltre, l'asserito peggioramento delle condizioni economiche come conseguenza dell'allontanamento dalla casa coniugale.
L'odierna appellante, già prima della revoca intervenuta con la sentenza appellata, si era volontariamente allontanata dalla casa coniugale, stipulando un contratto di locazione avente ad oggetto un'immobile sito nei pressi nel centro del Comune di Milazzo, dando concretezza al suo desiderio di non permanenza presso la dimora di proprietà dei coniugi.
Anche sotto tale profilo, la valutazione del primo decidente in punto di revoca dell'assegno di mantenimento
a carico dell'odierno appellato non può che essere confermata, attesa la capacità lavorativa e la disponibilità reddituale della stessa.
Quanto al secondo motivo di appello, giova premettere non solo che (cl. 1998) ha Controparte_2 conseguito la maggiore età durante la pendenza del giudizio di primo grado, ma anche che ha espletato, in forza della stipulazione di contratti a tempo determinato, attività lavorativa presso le sale cinematografiche del centro commerciale di Milazzo. Org_2
Ebbene, secondo il principio reiteratamente affermato dalla Corte di Cassazione, “In tema di contributo al mantenimento del figlio maggiorenne da parte del genitore separato non convivente, lo svolgimento di un'attività retribuita, ancorché prestata in esecuzione di contratto di lavoro a tempo determinato, può costituire un elemento rappresentativo della capacità del figlio di procurarsi un'adeguata fonte di reddito, e quindi della raggiunta autosufficienza economica, che esclude la reviviscenza dell'obbligo di mantenimento da parte del genitore a seguito della cessazione del rapporto di lavoro, fermo restando che non ogni attività lavorativa a tempo determinato è idonea a dimostrare il raggiungimento della menzionata autosufficienza economica, che può essere esclusa dalla breve durata del rapporto o dalla ridotta misura della retribuzione”
(cfr.Cass. civ., Sez. I, Ordinanza, 15/12/2021, n. 40282).
Lo stesso giudice di legittimità, premesso che “l'onere della prova delle condizioni che fondano il diritto al mantenimento è a carico del richiedente”, chiarisce che “ai fini dell'accoglimento della domanda, pertanto, è onere del richiedente provare non solo la mancanza di indipendenza economica - che è la precondizione del diritto preteso - ma di avere curato, con ogni possibile, impegno, la propria preparazione professionale o tecnica e di avere, con pari impegno, operato nella ricerca di un lavoro. Non è dunque il convenuto - soggetto passivo del rapporto - onerato della prova della raggiunta effettiva e stabile indipendenza economica del figlio, o della circostanza che questi abbia conseguito un lavoro adeguato alle aspirazioni soggettive”.
Tale conclusione appare coerente con il principio generale di prossimità o vicinanza della prova, essendo la maggiore età un fattore sulla scorta del quale si presume l'idoneità al reddito.
Tuttavia, si tratta di una presunzione iuris tantum, che quindi ammette prova contraria, avente ad oggetto le fattispecie integrative del diritto al mantenimento ulteriore.
Trattandosi di un soggetto venticinquenne, “la prova del diritto all'assegno di mantenimento sarà più gravosa, man mano che l'età del figlio aumenti, sino a configurare il "figlio adulto", in ragione del principio dell'autoresponsabilità, con riguardo alle scelte di vita fino a quel momento operate ed all'impegno profuso, nella ricerca, prima, di una sufficiente qualificazione professionale e, poi, di una collocazione lavorativa”
(cfr. Cass. civ., Sez. I, Ordinanza, 14/08/2020, n. 17183).
Ritiene la Corte che non vi è prova della dedotta intenzione di di intraprendere un serio Controparte_2 percorso di studi universitario, non chiarendo l'atto di appello neanche se il percorso di studi sia stato già intrapreso o meno, lamentandone la una possibile interruzione in caso di mancata corresponsione Pt_1 dell'assegno di mantenimento.
In ogni caso, non può ritenersi che, su questo fronte , sia stato sufficientemente adempiuto il relativo onere probatorio, e di conseguenza, “dato certo ed incontestabile è che “deve escludersi che l'assegno di mantenimento persegua una funzione assistenziale incondizionata dei figli maggiorenni disoccupati, di contenuto e durata illimitata, dovendo il relativo obbligo di corresponsione venire meno nel caso in cui il mancato raggiungimento dell'indipendenza economica si possa ricondurre alla mancanza di un impegno effettivo verso un progetto formativo rivolto all'acquisizione di competenze professionali o dipenda esclusivamente da fattori oggettivi contingenti o strutturali legati all'andamento dell'occupazione e del mercato del lavoro. A tal fine, la valutazione delle circostanze che giustificano la cessazione di tale obbligo va effettuata dal giudice del merito caso per caso e deve fondarsi su un accertamento di fatto che abbia riguardo all'età, all'effettivo conseguimento di un livello di competenza professionale e tecnica, all'impegno rivolto verso la ricerca di un'occupazione lavorativa nonché, in particolare, alla complessiva condotta personale tenuta, dal raggiungimento della maggiore età, da parte dell'avente diritto” (cfr.Cass. civ., Sez. I,
Ordinanza, 24/05/2022, n. 16771).
Appare, pertanto, corretta, sulla scorta anche delle emergenze istruttorie che confermano l'ingresso nel mercato del lavoro della primogenita, oltre che la sua autosufficienza economica, la mancata corresponsione dell'assegno di mantenimento nei suoi confronti.
L'appello va, pertanto, rigettato.
Segue la condanna della al pagamento delle spese di lite, che vanno liquidate come da dispositivo in Pt_1 applicazione, secondo lo scaglione del valore determinato ex art. 13 c.p.c., dei parametri di cui al D.M.
55/2014, come parzialmente modificato da ultimo con D.M. n.147/2022 (in vigore dal 23 ottobre 2022), qui applicabile ratione temporis (secondo l'art.6 del citato D.M. 147/22 invero “le disposizioni di cui al presente regolamento si applicano alle prestazioni professionali esaurite successivamente alla sua entrata in vigore”).
Va, in proposito, precisato che, dovendo determinarsi il valore della causa nel giudizio di appello con riferimento alla somma che ha formato oggetto di impugnazione (Cass.35195/20222), occorre , nella specie, fare riferimento esclusivamente alle domande di riconoscimento dell'assegno di mantenimento e, quindi, applicare il criterio di cui all'art. 13 c.p.c.
Ritiene, altresì, la Corte di dover applicare parametri inferiori ai medi e prossimi ai minimi, attesa la non particolare complessità delle questioni trattate.
Occorre, infine, aggiungere che l'ammissione dell'appellante al gratuito patrocinio non comporta che siano a carico dello Stato le spese che l'assistito dal beneficio sia condannato a pagare all'altra parte risultata vittoriosa, perché gli onorari e le spese di cui all'art. 131 d.P.R. cit. sono solo quelli dovuti al difensore della parte ammessa al beneficio, che lo Stato, sostituendosi alla stessa parte - in considerazione delle sue precarie condizioni economiche e della non manifesta infondatezza delle relative pretese - si impegna ad anticipare
((Cass. 10053/2012;7504/2011 n. 10053;25653/2020).
Atteso il rigetto dell'appello , va dato atto della ricorrenza dei presupposti per porre a carico dell'appellante il pagamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello rispettivamente dovuto per l' appello, giusta quanto disposto dall'art. 1 commi 17 e 18 L.228/2012.
Giova , infatti, precisare che il giudice dell'impugnazione che emetta una delle pronunce di cui all'art. 13 comma 1 quater del d.p..r. 115/2002 è tenuto a dare atto della sussistenza dei presupposti in questione anche quando questo non sia stato inizialmente versato per una causa suscettibile di venir meno (come nel caso di ammissione della parte al patrocinio aspese dello Stato) (Cass. SSUU 4315/2020).
L'attestazione del giudice ha, infatti, funzione ricognitiva della sussistenza di uno soltanto dei presupposti previsti dalla legge, quello di carattere processuale attinente al tipo di pronuncia adottato.
Rimane affidato all'Amministrazione il compito di accertare in concreto la sussistenza degli altri presupposti dai quali dipende in concreto la debenza del doppio contributo.
Va, infine, riservata a separato decreto la liquidazione dei compensi in favore del procuratore dell'appellante, all'esito all'esito della presentazione di apposita notula e della documentazione dell'iscrizione del difensore all'Elenco degli Avvocati per il Patrocinio a spese dello Stato
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IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI APPELLO DI MESSINA
Sezione I Civile
riunita in camera di consiglio e composta dai magistrati:
1) dr. A S Presidente
2) dr.ssa M S Consigliere rel.
3) dr. ssa M G S Consigliere
ha emesso la seguente
S E N T E N Z A
nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 615/2023 R.G. posta in decisione all'udienza del 04.03.2024
vertente tra
, nata a Caserta (CE) il 30.09.1979, C.F. , elettivamente domiciliata in Parte_1 C.F._1
Milazzo via M. Regis n.49, Complesso Le Palme presso lo studio dell'avv. Santina Dante , che la rappresenta
e difende, giusta procura in atti;
Appellante / ammessa al beneficio del patrocinio gratuito
e
nato a Milazzo il 25.09.1975, C.F. , elettivamente domiciliato CP_1 C.F._2
Barcellona P.G. in via Vico II dei Vespri n.23, presso lo studio professionale dell'avv. T G, che lo rappresenta e difende, giusta procura in atti;
Appellato
Oggetto: appello avverso la sentenza n.178/2023, emessa dal Tribunale di Barcellona P.G. in composizione collegiale in data 22.02.2023 e pubblicata in data 24.02.2023.
Conclusioni dei procuratori delle parti: come da note scritte depositate ex artt. 127 ter c.p.c. e 35 d.lgs.
149/2022 in data 27.02.2024 per parte appellante ed in data 28.02.2024 per parte appellata.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso regolarmente notificato, premesso di aver contratto matrimonio con Parte_1 [...] in data 23.03.2011. dal quale erano nati i figli (cl. 1998) e (cl. 2008), CP_1 Persona_1 Persona_2 adiva il Tribunale di Barcellona P.G. , chiedendo che fosse dichiarata la separazione personale dei coniugi con addebito a carico del marito, ritenendo non più ripristinabile tra i due la comunione spirituale e materiale.
Si costituiva in giudizio contestando il ricorso avverso e richiedendo che fosse dichiarata la CP_1 separazione personale dei coniugi con addebito nei confronti della moglie.
Pronunciata con sentenza non definitiva n. 723/2016 , depositata in data 20.12.2016 e pubblicata in data
22.12.2016, la separazione personale dei coniugi, in esito all'istruttoria con sentenza n.178/2023, emessa in data 22.02.2023 e pubblicata in data 24.02.2023., il Tribunale rigettava le domande di addebito della separazione avanzate da entrambe le parti;revocava l'assegno dovuto da a titolo di CP_1 mantenimento della figlia e dell'ex coniuge e compensava le spese di Controparte_2 Parte_1 giudizio.
Avverso la predetta sentenza, con ricorso regolarmente notificato, la soccombente proponeva appello.
Si costituiva in giudizio istando per il rigetto di tutti i motivi di gravame ex adverso formulati CP_1
e, per effetto, per la conferma in ogni sua parte della sentenza appellata.
Con decreto del 5.09.2023 il Presidente di Sezione fissava la comparizione delle parti, disponendone la sostituzione con il deposito telematico di note di trattazione ex artt. 127 ter c.p.c. e 35 D.Lgs.149/2022.
Dopo un rinvio per carico di ruolo del relatore, con ordinanza emessa in data 4.03.2024 alla scadenza dei termini assegnati alle pari per il deposito delle note di trattazione di cui all'art. 127 ter c.p.c., come introdotto dal D.Lvo 149/2022, la Corte assumeva la causa in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE 1.-Giova, in via preliminare, precisare che, per insegnamento assolutamente pacifico e consolidato della giurisprudenza di legittimità, il giudizio di appello avverso le sentenze di separazione personale dei coniugi è un procedimento di natura contenziosa, che si svolge secondo il rito camerale e che, pur dovendo rispettare il principio del contraddittorio , si caratterizza per la particolare celerità e semplicità delle forme.
Deve, pertanto, escludersi l'applicazione delle norme che regolano il processo di cognizione ordinaria e segnatamente dei termini previsti ex art. 352 e 190 c.p.c. per lo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, potendo la causa essere assunta in decisione , dopo chele parti abbiano precisato le conclusioni, senza lì'assegnazione dei termini previsti per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica ( ex ultimis Cass. 29865/2022).
Va, pertanto, disattesa l'istanza di concessione termini per deposito di memoria conclusiva avanzata dall'appellante nelle note del 27.02.2024.
Sempre in via preliminare, deve essere rigettata l'eccezione di inammissibilità dell'appello ex artt. 342 e 437 bis 30 c.p.c.
L'art. 342 c.p.c. ( espressamente richiamato dall'art. 437 bis 30 c.p.c.), nella formulazione introdotta dal d.l.
n. 83 del 2012, convertito nella l. n. 134 del 2012 , non richiede che le deduzioni della parte appellante assumano una determinata forma o ricalchino la decisione appellata con diverso contenuto, ma impone al ricorrente in appello di individuare in modo chiaro ed esauriente il "quantum appellatum", circoscrivendo il giudizio di gravame con riferimento agli specifici capi della sentenza impugnata nonché ai passaggi argomentativi che la sorreggono e formulando, sotto il profilo qualitativo, le ragioni di dissenso rispetto al percorso adottato dal primo giudice, sì da esplicitare la idoneità di tali ragioni a determinare le modifiche della decisione censurata. (Cass. civ. sez. lav., 05/02/2015, n. 2143;Cass.civ.sez. VI 30.05.2018 n.13535).
Nella specie, risultano sufficientemente indicate tanto le parti della motivazione ritenute erronee quanto le ragioni poste a fondamento delle critiche e la loro rilevanza al fine di confutare la decisione impugnata, come, peraltro, dimostra la circostanza che la stessa parte appellata è stata in grado di predisporre una congrua difesa
2.-Con il primo motivo di gravame l'appellante censura la sentenza impugnata nella parte in cui il primo decidente ha rigettato la richiesta di riconoscimento dell'assegno di mantenimento.
Nel lamentare l'erronea applicazione dei principi di cui all'art. 156 c.c. e dei criteri di commisurazione dell'assegno di mantenimento, sostiene che, contrariamente a quanto ritenuto dal primo decidente, nella specie, non fossero sopravvenuti fatti nuovi e/o ulteriori rispetto al precedente assetto, posto a base dell'ordinanza presidenziale con cui era stato posto a carico del l'obbligo di corrispondere in favore di essa moglie un CP_1 assegno mensile di euro 200,00.
L'odierna appellante evidenzia un deterioramento delle proprie condizioni economiche, in conseguenza sia del peggioramento delle proprie condizioni di salute, sia dell' allontanamento dalla casa coniugale di proprietà
del suocero e precisa, in proposito, che ,in sede presidenziale, era stata prevista la rideterminazione del contributo di mantenimento ove fosse venuto meno il godimento della dimora coniugale.
Nell'evidenziare lo squilibro reddituale tra i due coniugi, afferma che l'importo di euro 300,00, che l'appellato versa a titolo di contributo di mantenimento in favore del minore, non sia sufficiente a coprire il canone di locazione dell'abitazione, né le varie spese ed i costi delle utenze ad essa relative .
Lamenta, inoltre, un atteggiamento punitivo in capo al Giudice di prime cure, nella parte in cui avrebbe valutato l'attività lavorativa espletata “in nero” come elemento penalizzante per la stessa ed aggiunge di non essere gravata dall'obbligo di elaborare le certificazioni reddituali, non percependo redditi di sorta.
Contesta, altresì,che lo Stato, con l'erogazione del reddito di cittadinanza, possa surrogarsi nel dovere di sostentamento gravante su CP_1
Quanto alle sue condizioni di salute, l'appellante afferma di essere affetta da gravi patologie alla schiena, al braccio ed alle vertebre, che le impediscono di espletare qualsivoglia attività ed incidono negativamente sulla sua capacità reddituale, sottolineando di aver più volte richiesto una CTU medico-legale.
Rileva di essersi occupata della famiglia per tutto l'arco della vita matrimoniale in forza di scelte concordate con il coniuge, così da consentire a quest'ultimo,servito ed accudito, di realizzarsi nel lavoro
Sulla base delle illustrate argomentazioni, l'appellante, anche richiamando vaie pronunce giurisprudenziali, insiste nella riforma della sentenza impugnata, lamentandone l'ingiustizia, l'erroneità e la carente motivazione in ordine ai fatti di causa.
2.-Con il secondo motivo di gravame l'appellante censura la sentenza impugnata nella parte in cui il primo decidente non ha riconosciuto l'assegno di mantenimento in favore della figlia maggiorenne.
Lamentando la mancata applicazione dell'art. 147 c.c., rileva l'inidonea valutazione di circostanze importanti per il riconoscimento e la corretta quantificazione del contributo in favore della figlia, ormai maggiorenne, ma soltanto parzialmente indipendente dal punto di vista economico.
Evidenzia, in proposito, che quest'ultima non solo non ha fatto effettivo ingresso nel mondo del lavoro, ma non ha neppure raggiunto l'indipendenza economica, non avendo il Maio fornito alcuna prova a sostegno di siffatte circostanze.
Adduce che la ragazza ha lavorato per un circoscritto intervallo di tempo e che, pertanto, non ha percepito un reddito sufficiente per essere economicamente indipendente.
L'appellante evidenzia il desiderio della giovane di proseguire gli studi, mettendo a frutto le sue capacità con
l'intenzione di costruire il futuro che desidera, rilevando , però, che tali aspirazioni sono frustrate dalle ristrettezze economiche , che spingono la figlia alla ricerca di un lavoro per contribuire ai bisogni della famiglia.
Chiede, pertanto, la riforma della sentenza nella parte concernente la determinazione dell'assegno di mantenimento in favore della figlia e, per l'effetto, il riconoscimento in favore della stessa di un assegno pari ad euro 300,00, o in quell'altra somma maggiore ritenuta giusta ed equa.
3.-L'appello è infondato per le ragioni di cui appresso.
Quanto all'assegno di mantenimento in favore della , va premesso, in punto di diritto, che “l'assegno di Pt_1 separazione presuppone la permanenza del vincolo coniugale, e, conseguentemente, la correlazione dell'adeguatezza dei redditi con il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, mentre tale parametro non rileva in sede di fissazione dell'assegno divorzile, che deve, invece, essere quantificato in considerazione della sua natura assistenziale, compensativa e perequativa, secondo i criteri indicati all'art.5, comma 6, l.989/1970, essendo volto non alla ricostruzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo dell'ex coniuge beneficiario alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi” (cfr. Cass. civ., Sez. I, Ordinanza, 29.02.2024, n.5242).
Alla stregua di tali risultanze, stante la non assimilabilità dei due assegni, non può che escludersi la funzione assistenziale, compensativa e perequativa dell'assegno di mantenimento, che si risolve in una mera proiezione degli obblighi di mantenimento reciproci derivanti dal matrimonio (art.143 c.c.), oltre che nell'estrinsecazione del generale dovere di assistenza materiale, che permane anche dopo la cessata convivenza.
Non colgono, pertanto, nel segno le argomentazioni dell'appellante in merito al sacrificio delle proprie aspettative lavorative subite in costanza di matrimonio in conseguenza di scelte concordate con il coniuge , trattandosi di questioni che assumono rilievo ai fini del riconoscimento dell'assegno divorzile in relazione alla sua funzione perequativa- compensativa.
Stante la non addebitabilità della separazione all'odierna appellante, il primo giudicante, sulla scorta dell'insegnamento del giudice di legittimità, ai fini della sua decisione ha tenuto conto, quali condizioni a cui
è subordinato il sorgere del diritto al mantenimento:
- della “ non titolarità di adeguati redditi propri, ossia di redditi che gli permettano di mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio;
-della “sussistenza di una disparità economica tra le parti, occorrendo avere riguardo, al fine della valutazione dell'adeguatezza dei redditi del coniuge che chiede l'assegno, al parametro di riferimento costituito dalle potenzialità economiche complessive dei coniugi durante il matrimonio, quale elemento condizionante la qualità delle esigenze e l'enetità delle aspettative del medesimo richiedente, non assumendo rilievo il più modesto tenore di vita subito o tollerato” (cfr. Cass. civ. sez. I, 22.10.2004, n.20638) ;
ed, in forza di tali parametri, ha correttamente rigettato la domanda della .. Pt_1
Ed invero, seppure la stessa aveva riferito di non avere un lavoro e di non possedere fonti di reddito, tuttavia, certo ed incontestabile è risultato lo svolgimento di attività lavorativa come collaboratrice domestica, oltre che come collaboratrice presso una rosticceria della di Barcellona Pozzo di Gotto. Org_1
Proprio le dichiarazioni rese dalla stessa in sede di interrogatorio formale, ulteriormente corroborate dalle emergenze istruttorie, che confermano quanto asserito dalla parte resistente, oggi appellato, e dalla mancanza di elementi di opposto segno, consentono di desumere la capacità lavorativa dellla ed il suo inserimento Pt_1 nel mondo del lavoro, sebbene non siano noti i redditi percepiti.
Il Tribunale ha, infatti, dato atto del mancato deposito di qualsivoglia documentazione reddituale, che non ha consentito alcuna valutazione in merito alle condizioni economiche delle parti ed alla loro comparazione.
Sul punto, però, appare utile richiamare l'insegnamento della Corte di Cassazione, che, con una recente pronuncia (Cass. Civ., Sez. I, Ordinanza,18/01/2024, n.1894) ha statuto che: “In materia di separazione dei coniugi, grava sul richiedente l'assegno di mantenimento, ove risulti accertata in fatto la sua capacità di lavorare, l'onere della dimostrazione di essersi inutilmente attivato e proposto sul mercato per reperire un'occupazione retribuita confacente alle proprie attitudini professionali, poiché il riconoscimento dell'assegno a causa della mancanza di adeguati redditi propri, previsto dall'art. 156 c.c., pur essendo espressione del dovere solidaristico di assistenza materiale, non può estendersi fino a comprendere ciò che, secondo il canone dell'ordinaria diligenza, l'istante sia in grado di procurarsi da solo. Ne consegue che il giudice, chiamato a verificare la debenza e la misura dell'assegno, deve valutare tutte le circostanze allegate dalle parti e rilevanti a tal fine, quale è la sussistenza di una malattia oncologica in capo al richiedente, idonea
a comprometterne la capacità lavorativa”.
Nella specie, attesa l'accertata capacità lavorativa del coniuge richiedente l'assegno e non potendosi ritenere provata la mancanza in capo alla stessa di redditi, atti a consentirle di sostenersi autonomamente, è incensurabile la contestata statuizione del primo decidente.
Né fattore ostativo al disconoscimento dell'assegno di mantenimento è costituito dal dedotto peggioramento delle condizioni di salute dell'odierna appellante, la quale, lamentando non meglio specificate patologie alle vertebre della schiena ed alle braccia, ha richiesto lo svolgimento di c.t.u. medico-legale.
Tuttavia, nessuna documentazione è stata prodotta in atti, non consentendo di fatto al giudice di poter accogliere la richiesta della . Pt_1
Invero, giusta quanto previsto dagli art. 112 c.p.c e 2697 c.c., grava sulle parti l'onere di allegazione e di prova dei fatti posti a fondamento della propria domanda.
La consulenza tecnica non può , conseguentemente, rappresentante uno strumento per il tramite del quale fanno ingresso nuovi fatti in giudizio, ove essi non siano stati ritualmente allegati dalle parti, e non può supplire a carenze probatorie inerenti ai fatti oggetto di allegazione.
Deve, pertanto, condividersi il convincimento espresso dal Tribunale in punto di capacità lavorativa di
[...]
Parte_1
Privo di prova appare, inoltre, l'asserito peggioramento delle condizioni economiche come conseguenza dell'allontanamento dalla casa coniugale.
L'odierna appellante, già prima della revoca intervenuta con la sentenza appellata, si era volontariamente allontanata dalla casa coniugale, stipulando un contratto di locazione avente ad oggetto un'immobile sito nei pressi nel centro del Comune di Milazzo, dando concretezza al suo desiderio di non permanenza presso la dimora di proprietà dei coniugi.
Anche sotto tale profilo, la valutazione del primo decidente in punto di revoca dell'assegno di mantenimento
a carico dell'odierno appellato non può che essere confermata, attesa la capacità lavorativa e la disponibilità reddituale della stessa.
Quanto al secondo motivo di appello, giova premettere non solo che (cl. 1998) ha Controparte_2 conseguito la maggiore età durante la pendenza del giudizio di primo grado, ma anche che ha espletato, in forza della stipulazione di contratti a tempo determinato, attività lavorativa presso le sale cinematografiche del centro commerciale di Milazzo. Org_2
Ebbene, secondo il principio reiteratamente affermato dalla Corte di Cassazione, “In tema di contributo al mantenimento del figlio maggiorenne da parte del genitore separato non convivente, lo svolgimento di un'attività retribuita, ancorché prestata in esecuzione di contratto di lavoro a tempo determinato, può costituire un elemento rappresentativo della capacità del figlio di procurarsi un'adeguata fonte di reddito, e quindi della raggiunta autosufficienza economica, che esclude la reviviscenza dell'obbligo di mantenimento da parte del genitore a seguito della cessazione del rapporto di lavoro, fermo restando che non ogni attività lavorativa a tempo determinato è idonea a dimostrare il raggiungimento della menzionata autosufficienza economica, che può essere esclusa dalla breve durata del rapporto o dalla ridotta misura della retribuzione”
(cfr.Cass. civ., Sez. I, Ordinanza, 15/12/2021, n. 40282).
Lo stesso giudice di legittimità, premesso che “l'onere della prova delle condizioni che fondano il diritto al mantenimento è a carico del richiedente”, chiarisce che “ai fini dell'accoglimento della domanda, pertanto, è onere del richiedente provare non solo la mancanza di indipendenza economica - che è la precondizione del diritto preteso - ma di avere curato, con ogni possibile, impegno, la propria preparazione professionale o tecnica e di avere, con pari impegno, operato nella ricerca di un lavoro. Non è dunque il convenuto - soggetto passivo del rapporto - onerato della prova della raggiunta effettiva e stabile indipendenza economica del figlio, o della circostanza che questi abbia conseguito un lavoro adeguato alle aspirazioni soggettive”.
Tale conclusione appare coerente con il principio generale di prossimità o vicinanza della prova, essendo la maggiore età un fattore sulla scorta del quale si presume l'idoneità al reddito.
Tuttavia, si tratta di una presunzione iuris tantum, che quindi ammette prova contraria, avente ad oggetto le fattispecie integrative del diritto al mantenimento ulteriore.
Trattandosi di un soggetto venticinquenne, “la prova del diritto all'assegno di mantenimento sarà più gravosa, man mano che l'età del figlio aumenti, sino a configurare il "figlio adulto", in ragione del principio dell'autoresponsabilità, con riguardo alle scelte di vita fino a quel momento operate ed all'impegno profuso, nella ricerca, prima, di una sufficiente qualificazione professionale e, poi, di una collocazione lavorativa”
(cfr. Cass. civ., Sez. I, Ordinanza, 14/08/2020, n. 17183).
Ritiene la Corte che non vi è prova della dedotta intenzione di di intraprendere un serio Controparte_2 percorso di studi universitario, non chiarendo l'atto di appello neanche se il percorso di studi sia stato già intrapreso o meno, lamentandone la una possibile interruzione in caso di mancata corresponsione Pt_1 dell'assegno di mantenimento.
In ogni caso, non può ritenersi che, su questo fronte , sia stato sufficientemente adempiuto il relativo onere probatorio, e di conseguenza, “dato certo ed incontestabile è che “deve escludersi che l'assegno di mantenimento persegua una funzione assistenziale incondizionata dei figli maggiorenni disoccupati, di contenuto e durata illimitata, dovendo il relativo obbligo di corresponsione venire meno nel caso in cui il mancato raggiungimento dell'indipendenza economica si possa ricondurre alla mancanza di un impegno effettivo verso un progetto formativo rivolto all'acquisizione di competenze professionali o dipenda esclusivamente da fattori oggettivi contingenti o strutturali legati all'andamento dell'occupazione e del mercato del lavoro. A tal fine, la valutazione delle circostanze che giustificano la cessazione di tale obbligo va effettuata dal giudice del merito caso per caso e deve fondarsi su un accertamento di fatto che abbia riguardo all'età, all'effettivo conseguimento di un livello di competenza professionale e tecnica, all'impegno rivolto verso la ricerca di un'occupazione lavorativa nonché, in particolare, alla complessiva condotta personale tenuta, dal raggiungimento della maggiore età, da parte dell'avente diritto” (cfr.Cass. civ., Sez. I,
Ordinanza, 24/05/2022, n. 16771).
Appare, pertanto, corretta, sulla scorta anche delle emergenze istruttorie che confermano l'ingresso nel mercato del lavoro della primogenita, oltre che la sua autosufficienza economica, la mancata corresponsione dell'assegno di mantenimento nei suoi confronti.
L'appello va, pertanto, rigettato.
Segue la condanna della al pagamento delle spese di lite, che vanno liquidate come da dispositivo in Pt_1 applicazione, secondo lo scaglione del valore determinato ex art. 13 c.p.c., dei parametri di cui al D.M.
55/2014, come parzialmente modificato da ultimo con D.M. n.147/2022 (in vigore dal 23 ottobre 2022), qui applicabile ratione temporis (secondo l'art.6 del citato D.M. 147/22 invero “le disposizioni di cui al presente regolamento si applicano alle prestazioni professionali esaurite successivamente alla sua entrata in vigore”).
Va, in proposito, precisato che, dovendo determinarsi il valore della causa nel giudizio di appello con riferimento alla somma che ha formato oggetto di impugnazione (Cass.35195/20222), occorre , nella specie, fare riferimento esclusivamente alle domande di riconoscimento dell'assegno di mantenimento e, quindi, applicare il criterio di cui all'art. 13 c.p.c.
Ritiene, altresì, la Corte di dover applicare parametri inferiori ai medi e prossimi ai minimi, attesa la non particolare complessità delle questioni trattate.
Occorre, infine, aggiungere che l'ammissione dell'appellante al gratuito patrocinio non comporta che siano a carico dello Stato le spese che l'assistito dal beneficio sia condannato a pagare all'altra parte risultata vittoriosa, perché gli onorari e le spese di cui all'art. 131 d.P.R. cit. sono solo quelli dovuti al difensore della parte ammessa al beneficio, che lo Stato, sostituendosi alla stessa parte - in considerazione delle sue precarie condizioni economiche e della non manifesta infondatezza delle relative pretese - si impegna ad anticipare
((Cass. 10053/2012;7504/2011 n. 10053;25653/2020).
Atteso il rigetto dell'appello , va dato atto della ricorrenza dei presupposti per porre a carico dell'appellante il pagamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello rispettivamente dovuto per l' appello, giusta quanto disposto dall'art. 1 commi 17 e 18 L.228/2012.
Giova , infatti, precisare che il giudice dell'impugnazione che emetta una delle pronunce di cui all'art. 13 comma 1 quater del d.p..r. 115/2002 è tenuto a dare atto della sussistenza dei presupposti in questione anche quando questo non sia stato inizialmente versato per una causa suscettibile di venir meno (come nel caso di ammissione della parte al patrocinio aspese dello Stato) (Cass. SSUU 4315/2020).
L'attestazione del giudice ha, infatti, funzione ricognitiva della sussistenza di uno soltanto dei presupposti previsti dalla legge, quello di carattere processuale attinente al tipo di pronuncia adottato.
Rimane affidato all'Amministrazione il compito di accertare in concreto la sussistenza degli altri presupposti dai quali dipende in concreto la debenza del doppio contributo.
Va, infine, riservata a separato decreto la liquidazione dei compensi in favore del procuratore dell'appellante, all'esito all'esito della presentazione di apposita notula e della documentazione dell'iscrizione del difensore all'Elenco degli Avvocati per il Patrocinio a spese dello Stato
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