Corte d'Appello Salerno, sentenza 18/12/2024, n. 1101
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Testo completo
CORTE DI APPELLO DI SALERNO
SECONDA SEZIONE CIVILE
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte d'Appello di Salerno, riunita in Camera di Consiglio nelle persone dei Sigg.
Magistrati:
dr. TO COLUCCI Presidente
dr.ssa Maria Assunta NICCOLI Consigliere relatore
dr.ssa Giulia CARLEO Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio civile di 2° grado iscritto al n. 865 del ruolo generale dell'anno 2023
TRA
UR NT
rappresentato e difeso dall'avv. Andrea Forcella in virtù di procura su foglio separato
allegato all'atto di appello
APPELLANTE
E
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI in persona del Presidente del
Consiglio legale rappr. p.t.
1
rappresentata e difesa ex lege dall'Avvocatura dello Stato
APPELLATA
avente ad oggetto: Appello avverso la sentenza del Tribunale di Salerno n. 1014/2023
pubblicata il 07/03/2023 (Responsabilità civile magistrati – Legge n. 117/1988)
sulle conclusioni rassegnate dalle parti in conformità dei rispettivi atti di costituzione
nelle note scritte depositate nei termini concessi dal CI ai sensi dell'art. 352 cpc.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 27/09/2018 UR TO conveniva in giudizio
dinanzi al Tribunale di Salerno la Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Premesso in fatto che “Le vicende portate all'attenzione dell'On.Le Tribunale di
Salerno hanno origine dalle denunce dell'attore effettuate presso la Procura della
Repubblica di NI, ad istanza del sig. UR, per una lunga serie di plateali
violazioni di legge ed omissioni commesse da due giudici del Tribunale Amministrativo
Regionale di NI e da tre professori universitari designati da quei giudici, quali
ausiliari nel processo amministrativo (incaricati di verificazione). I due procedimenti
penali venivano archiviati da due G.I.P. in accoglimento delle richieste formulate della
Procura di NI, ma in reiterata e pervicace omissione di qualsiasi valutazione (ed
ipotetica confutazione) di tutte le prove documentali, logiche e giurisprudenziali
addotte dal denunciante prima e dall'opponente poi, ed adoperando in sintesi solo i
seguenti assunti: I. discrezionalità dei magistrati del TAR e dei tre professori nominati
ausiliari non consente sindacato di merito su loro errori /omissioni;
II. mera e sola
affermazione che non sussistono violazioni di legge per tutti;
III. mera e sola
affermazione che non vi sono prove del dolo per tutti;
IV. pervicace ed immotivato
diniego di C.T.U. medico legale per verificare il grado di negligenza e/o di dolo dei tre
professori, nonostante che per la specifica materia medico-legale i giudici fossero
certamente consapevoli di non essere tecnicamente competenti. Peccato che diversi
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anni dopo i succitati esposti di NI la denunciata sentenza n.490/2009 del TAR,
sfavorevole al UR a causa delle condotte dei succitati magistrati e C.T.U., veniva
annullata dalla decisione irrevocabile n.369/2017 del C.G.A. Sicilia, mentre il nesso di
causalità arbitrariamente ed illegittimamente denegato dai tre professori universitari
era al contrario accertato con sentenza parimenti irrevocabile n.1818/2013 della Corte
dei Conti Sicilia. La totale assenza nei provvedimenti dei due P.M. ed i due G.I.P.
Catanesi di qualsiasi minimo intellegibile esame (ed eventuale giuridica confutazione)
rispetto alle dettagliatissime accuse già rese, certificava che vi era stato un vero e
proprio accanimento nei confronti del UR, dato che i predetti magistrati non
intendevano a tutti i costi applicare la giurisprudenza che imponeva loro di effettuare
un effettivo sindacato di merito e che aveva chiarito che la discrezionalità del
magistrato è del tutto inconferente rispetto alla vigenza di tali doveri, necessari sia per
verificare la commissione delle condotte delittuose, sia per accertare l'elemento
soggettivo del dolo o della colpa grave. Inoltre, in due udienze camerali del
procedimento penale a carico dei tre periti, il G.I.P. si rendeva protagonista di una
serie di grossolane violazioni di legge ai danni del UR, che inducevano l'attore a
presentare un esposto disciplinare al Presidente della Corte di Appello, il quale non
valutava nel merito alcuna delle numerose accuse ed archiviava l'esposto con il solito
uso di una sola frase scollegata con il merito delle 14 accuse. Tali fatti venivano
dettagliati in cinquantacinque capi di accusa a carico dei due PM, dei due G.I.P. e del
predetto Presidente, tutti denunciati al Procuratore di SS con atto depositato il
20.5.2015. Il Procuratore però rifiutava reiteratamente e dolosamente il compimento di
atti doverosi, nonostante fosse stato destinatario: A) delle richieste conclusive della
denuncia, in cui l'attore ripeteva esplicitamente anche a lui l'univoca giurisprudenza
sul dovere di sindacato di merito nel processo penale a carico di magistrati e sugli
”indici sintomatici del dolo”, ovvero l'esternazione di eccezionali ragioni per le quali
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ritenesse di non applicarla, e l'espletamento di sette indagini;
B) delle diffide 28.9,
5.10 e 16.10.2015 nelle quali, preso atto del protrarsi dell'inerzia, l'attore gli ripeteva i
concetti ora espressi, evidenziandogli le sue responsabilità penali ed anche civili. Il
Sostituto Procuratore Generale di SS travisava l'istanza ex art.6 D.Lgs. 106/2006
dell'attore, ed anch'esso come il Procuratore di SS, a fronte di diffide persisteva
con certa consapevolezza e volontà nel non applicare la giurisprudenza sul sindacato di
merito nel processo ex art.11 C.p.p. Ne seguivano denunce a carico di questi ultimi
dirette al Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria il quale, a fronte di ben
cinque diffide, ripeteva esattamente la stessa condotta di pervicace volontà di omettere
il compimento dell'atto dovuto del sindacato di merito sulle violazioni ed omissioni
commesse dai due magistrati messinesi (e, prima ancora, dai cinque magistrati
catanesi) ovvero di comunicare quali sarebbero state le plausibili ragioni giuridiche
per cui egli ritenesse di persistere in tali omissioni. Ne conseguiva ulteriore denuncia al
Procuratore di Catanzaro in cui l'attore prima elencava (pag.15/79) oltre 150 sentenze
penali, civili e disciplinari che evidenziavano l'assunto del dovere di sindacato di
merito in sede di processo ex art.11 C.p.p, e poi esponeva le accuse (pagg.80/88) contro
i magistrati reggini. Per l'ennesima volta si ripeteva esattamente la stessa sequela di
atti/diffide/pervicaci omissioni;
tre richieste di informazioni non venivano riscontrate in
consapevole violazione anche della Direttiva U.E. 29/2012;
la richiesta di
archiviazione adoperava frasi sia (per l'ennesima volta della odierna storia) sconnesse
con il contenuto reale delle accuse (pag.80/88), sia grossolanamente elusive della
giurisprudenza riportata nella prima parte della denuncia (pag.15/79). L'opposizione
recante sia tutta la storia processuale partita da NI sia le più forti ed analitiche
critiche alla richiesta di archiviazione veniva inescusabilmente omessa da tutte le
Autorità Giudiziarie di Catanzaro destinatarie:
1. dal Procuratore della Repubblica,
che non ottemperava ai suoi doveri di controllo nel merito ex artt.1 comma 1^ e 2^ e 2
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comma 1^ del D.Lgs.106/2006 e neppure rispondeva alle diffide ex art.328 c.2^ C.P.;
2. dal Procuratore Generale, che non ottemperava ai suoi doveri di controllo nel merito
ex art.6 D.Lgs. 106/2006 e neppure rispondeva alle diffide ex art.328 c.2^ C.P.;
3. dal
G.I.P. che asseriva essere l'opposizione arrivata in ritardo (14.11.2017) dopo che il
13.11.2017 avrebbe emesso pedissequo decreto di archiviazione, assunto questo
palesemente contraddetto da prove documentali - l'opposizione era certamente
pervenuta ad entrambe le due Procure Generale e Distrettuale di Catanzaro in forma
telematica il 7.11.2017, ed alla Procura Distrettuale anche nell'ulteriore forma
cartacea alle ore 13.00 del 9.11.2017. Anche per questo motivo l'attore chiedeva per
ben due volte con diffida al Presidente dell'Ufficio G.I.P. di Catanzaro di revocare il
decreto di archiviazione, e con diffida al Procuratore di Catanzaro che <
opposizione >>. Per l'ennesima volta, nessuno dei due magistrati diffidati rispondeva,
con diniego di giustizia ed in disprezzo dei loro doveri”,
e dedotto in diritto che
“Vi era stata reiterazione da parte dei magistrati successivi degli stessi errori,
motivazioni apparenti (cioè palesemente sconnesse con gli argomenti di accusa e,
quindi, visibilmente pretestuose) e radicali omissioni commessi dai magistrati
precedenti con la circostanza di fatto ASSOLUTAMENTE CERTA, REITERATA ED
INSPIEGABILE (e quindi, francamente inquietante) che quegli errori e quelle radicali
omissioni sono stati sempre prima sviscerati e sbugiardati a quei magistrati successivi
che li hanno CONSAPEVOLMENTE REITERATI “(…);
che “Le doglianze riguardanti tutti i fatti oggetto dell'odierno giudizio quasi mai
consistono nell'errore interpretativo del fatto o del diritto (…) ma investono il radicale
rifiuto di esercizio della giurisdizione penale, perché il magistrato, che sa con certezza:
A) quale sia il diritto vivente consolidato applicabile a quel fatto denunciatogli;
B)
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l'onere motivazionale del discostamento dalla giurisprudenza;
C) e non applica tale
diritto senza neppure esporre le ragioni della non applicazione non incorre in un mero
errore interpretativo, ma conclama grossolanamente la propria condotta in un vero e
proprio diniego di giustizia penale, deliberatamente concepito ed attuato in
consapevole danno dell'attore”;
che “ i fatti di causa sono, inoltre, eccepiti quali fattispecie ipoteticamente rilevanti
anche dal punto di vista penale, con la conseguenza che i titoli di responsabilità dedotti
sono: A) sia quello previsto dagli articoli 2 e 3 (articoli 3 e 3 che l'incipit del comma 2^
dell' art.2 sottraggono all'esimente interpretativa), B) sia quello previsto dall'articolo
13 della Legge 117/1988 il quale, rinviando alle regole ordinarie, prevede
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