Corte d'Appello Napoli, sentenza 03/01/2024, n. 4334
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Segnala un errore nella sintesiIl giudice ha rigettato l'appello, affermando che il limite di dieci anni previsto dall'art. 5 del DPR 180/1950 si riferisce alla durata dei contratti di finanziamento e non preclude alla società finanziaria di recuperare le somme dovute oltre tale termine, a condizione che il datore di lavoro non abbia adempiuto ai pagamenti. La Corte ha chiarito che la responsabilità del datore di lavoro nel versamento delle rate non si estingue con la scadenza del contratto, e che la finanziaria può continuare a trattenere le somme dovute fino alla completa estinzione del debito. Inoltre, il giudice ha escluso la sussistenza di un comportamento processualmente abusivo da parte dell'appellante, ritenendo che si trattasse di un errore interpretativo della normativa. Le spese legali sono state poste a carico dell'appellante.
Sul provvedimento
Testo completo
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI APPELLO DI NAPOLI
Sezione Controversie di Lavoro e di Previdenza ed Assistenza composta dai seguenti magistrati: dott. M P Presidente dott. G G Consigliere dott. N G Consigliere relatore ha pronunciato in grado di appello in funzione di Giudice del Lavoro all'udienza del 29.11.2023 la seguente
S E N T E N Z A nella causa civile iscritta al n. 2505/2022 R.G. ruolo lavoro vertente
TRA
rappresentato e difeso dall' dell'avv. N R presso il cui studio, sito in Parte_1
M al corso Umberto I n. 381, è elettivamente domiciliato
Appellante
E in persona del legale rappresentante p.t. rappresentata e difesa dall'avv. D Controparte_1
R, con domicilio eletto presso la Cancelleria della Corte di Appello
Appellato
SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO E CONCLUSIONI
Con ricorso depositato il 15.3.2021 innanzi al Tribunale di Torre Napoli, in funzione di giudice del lavoro, rappresentava: Parte_1
- che era dipendente della con le mansioni di operatore ecologico, livello CP_1
4A del CCNL Fise del 6.12.2016
- che nel periodo in cui era alle dipendenze della aveva stipulato con la Org_1 CP_2
in data 10.01.2007 n. 2 contratti di mutuo di durata decennale: il primo rimborsabile con
[...] cessione “pro solvendo” di n. 120 rate del quinto di stipendio pari ad €. 381,00, il secondo mediante delegazione di pagamento pro solvendo di n. 120 rate del quinto di stipendio pari ad
€. 380,00;
- che i detti contratti di finanziamento avevano entrambi decorrenza dal mese di febbraio 2007, di conseguenza l'ultima rata ceduta, ovvero la n. 120, era stata quella del mese di gennaio
2017;
- che, pertanto, i contratti in questione avevano cessato i loro effetti nel mese di gennaio 2017,
di conseguenza tutte le trattenute operate dal datore di lavoro successivamente a tale data erano illegittime;
- che, invece, la dal mese febbraio 2020 aveva operato, in maniera illegittima, Controparte_1 sotto la voce “delegazione di pagamento”, la trattenuta della somma di €. 761,00 (381,00 +
380,00);
- che la somma illegittimamente trattenuta al momento del deposito del ricorso sugli stipendi che vanno da febbraio 2020 a febbraio 2021 ammontava ad €. 9.893,00 (761,00 x 13);
- che il DPR 180 del 5.01.1950, che regolava la disciplina dei contratti di finanziamento ed esplicitamente richiamato nei contratti in parola, all'art. 5, al fine di sottrarre da un vincolo capestro i lavoratori che contraevano mutui in cambio della cessione di quote di stipendio, poneva un preciso limite temporale alla cessione o delegazione irrevocabile del quinto dello stipendio, ovvero 10 anni;
- che, in virtù di tale norma, in caso di inadempimento del datore di lavoro o, comunque, di mancato introito di una delle rate oggetto di cessione, la società finanziaria non poteva pretendere di estendere, ad libitum, la durata della cessione del quinto dello stipendio fino al recupero di tutto il dovuto, tenendo in “ostaggio” il lavoratore cedente, anche perché sulla base dell'art. 1198 c.c., che richiamava l'art. 1267 comma 2 c.c., la società finanziaria per recupere le rate non pagate poteva esperire un'azione giudiziaria contro il lavoratore solo previa dimostrazione del tentativo di escussione del debitore ceduto (datore di lavoro).
- che pertanto, aveva diritto alla restituzione da parte della della somma Controparte_1 complessiva di €. 9.893,00;
Tanto premesso, rassegnava le seguenti conclusioni: Parte_1
1) accertare e dichiarare l'illegittimità delle trattenute operate dalla dal mese di CP_1
febbraio 2020 in poi, per i motivi esposti in ricorso;
2) accertare il diritto del ricorrente alla restituzione/corresponsione/pagamento della somma di €.
9.893,99 oltre interessi legali e rivalutazione monetaria per le trattenute operate con riferimento ai contratti di finanziamento di cui al punto 2) della premessa, dal mese di febbraio 2020 al mese di febbraio 2021 nonché di quelle operate successivamente;
3) condannare la in persona del legale rappresentante p.t., in favore del ricorrente, CP_1 alla restituzione/corresponsione/pagamento della somma di €. 9.893,99 oltre interessi legali e rivalutazione per le trattenute operate con riferimento ai contratti di finanziamento di cui al punto 2) della premessa, dal mese di febbraio 2020 al mese di febbraio 2021 nonché di quelle operate successivamente…;”
Con sentenza n. 3432/22 il Giudice di prime cure rigettava il ricorso.
Con ricorso depositato il 12.10.2022 proponeva appello , censurando Parte_1
l'interpretazione della disciplina applicabile al caso oggetto del giudizio offerta dal GL e chiedendo
l'integrale accoglimento delle domande formulate con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.
In particolare, eccepiva: Parte_1
che l'obbligazione su di lui gravante era limitata alla garanzia della solvibilità delle 120 rate di stipendio cedute e maturate dal febbraio 2007 al gennaio 2017 e null'altro;
che la finanziaria poteva azionare l'obbligazione di garanzia a carico del lavoratore solo previa dimostrazione della preventiva escussione del datore di lavoro ceduto;
che gli stipendi maturati successivamente al gennaio 2017 potevano essere aggraditi dalla Finanziaria solo con una procedura esecutiva all'esito della costituzione di un titolo esecutivo ottenuto azionando il diritto ex art. 1267 c.c.;
che il Giudice di prime cure, nella motivazione della sentenza, partiva dal presupposto errato che la finanziaria potesse procedere tout court, senza la preventiva escussione del debitore ceduto, al recupero delle “rate scadute e non onorate oltre il decimo anno dalla sottoscrizione del contratto” in palese violazione dell'art. 1267 c.c, II comma”;
che il G.L. ometteva di considerare che il credito scaduto non poteva essere recuperato attraverso il dilatamento arbitrario dell'oggetto della cessione, ma solo azionando la garanzia di solvibilità che il cedente si era assunto con riferimento alle rate cedute col contratto, previa dimostrazione dei presupposti di cui all'art. 1267 c.c.;che, infine, la dimostrazione di “avere subito, mese per mese, in busta paga, da parte della datrice di lavoro precedente le 120 trattenute nel periodo dal gennaio 2007 al gennaio 2017” non era necessaria al fine della decisione in quanto seppur, per assurdo, non fossero mai state trattenute le rate di stipendio dai precedenti datori di lavoro, la società finanziaria non aveva il diritto a richiedere le trattenute delle quote di stipendio maturate dopo il mese di gennaio 2017, perché estranee all'oggetto del contratto di finanziamento con cessione del quinto.
Si costituiva la chiedendo la conferma della sentenza impugnata, con vittoria di Controparte_1
spese.
All'esito della camera di consiglio la causa veniva decisa come da dispositivo.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L'appello è infondato. L'art. 5 del DPR 180 del 5.01.1950 stabilisce che: “Gli impiegati e salariati dipendenti dallo Stato e dagli altri enti, aziende ed imprese indicati nell'art.
1 possono contrarre prestiti da estinguersi con cessione di quote dello stipendio o del salario fino al quinto dell'ammontare di tali emolumenti valutato al netto di ritenute e per periodi non superiori a dieci anni.”
L'appellante prospetta una tesi del tutto infondata e priva di qualsiasi sostegno normativo;invero, sostiene che scaduto il termine decennale indicato dall'art. 5 del DPR n.180/1950 il Parte_1
creditore non può più avanzare alcuna pretesa creditoria nei confronti del lavoratore a fronte dei finanziamenti erogati, e se in tale arco temporale il datore di lavoro, terzo debitore, non ha adempiuto all'obbligo di versamento di tutte le rate per la restituzione del prestito assunto dal dipendente, il creditore (società finanziaria) non può agire nei confronti del lavoratore, suo debitore principale, nonché garante, se non dopo aver provato di aver escusso, senza esito, il datore di lavoro.
Tale ricostruzione si fonda su un pacifico errore di lettura dell'art. 5 sopra richiamato. Come ben evidenziato nella sentenza impugnata, l'art. 5 del DPR 180 del 5.01.1950 “… non si occupa del momento funzionale del rapporto e per l'effetto delle conseguenze di eventuali patologie nel corso della sua esecuzione”, ma disciplina il momento genetico dei contratti di finanziamento da estinguersi con cessione di quote dello stipendio, prevedendo che gli stessi non possano avere durata superiore a
10 anni. La fissazione di una durata massima ha lo scopo di circoscrivere l'importo del prestito ottenibile in relazione allo stipendio percepito, e non a limitare il periodo entro il quale la finanziaria può rientrare del prestito concesso. Ne consegue che laddove il datore di lavoro, responsabile del pagamento delle rate di prestito scadute mediante prelievo sullo stipendio del lavoratore debitore, non abbia onorato tale pagamento e quindi la società finanziaria non sia riuscita a recuperare tutte le rate scadute nel termine prefissato, la stessa può proseguire con il recupero oltre il termine dei 10 anni e nei limiti della prescrizione del credito vantato.
legittimamente, in adempimento a quanto convenuto tra il lavoratore debitore e la Controparte_1
società finanziaria creditrice, a seguito della rinotifica da parte di dei contratti di Org_2
delegazione di pagamento e della cessione del quinto dello stipendio (concesso originariamente al ricorrente da ), ha proceduto alle trattenute sullo stipendio del ed al versamento CP_2 Parte_1
dei ratei ancora dovuti alla banca, la quale risultava creditrice ancora delle seguenti somme:
- in ordine al contratto 985271 – 5015271 della somma di € 19.997,89
- in ordine al contratto 98572 – 5015272 della somma di € 19.945,42.
Va ancora sottolineato che non eccepisce l'intervenuta estinzione del credito Parte_1 vantato dalla società finanziaria in virtù dell'integrale restituzione del prestito ricevuto oltre agli interessi, ma sostiene che la finanziaria non può più agire sulla base della concordata delegazione e cessione del quinto essendo decorso il termine dei 10 anni. Il limite dei 10 anni, si ribadisce ancora
una volta, riguarda il momento genetico, non il termine entro il quale il creditore deve riuscire a ottenere la restituzione del credito con le modalità pattuite.
Non avendo allegato l'integrale restituzione del prestito ottenuto, la circostanza che il Parte_1
pagamento delle 120 rate pattuite per ciascun finanziamento si è prolungato oltre i 10 anni pattuiti, non pregiudica il diritto della finanziaria (o del suo avente causa) di riscuotere le rate del credito ancora dovute, né fa venire meno l'obbligazione del datore di lavoro di provvedere al pagamento di tali rate mediante trattenuta sullo stipendio del lavoratore debitore.
L'appello va, pertanto, rigettato.
Quanto alla richiesta di condanna di ai sensi dell'art. 96 comma III c.p.c., formulata Parte_1
da osserva la Corte che non sussistono nel caso in esame i presupposti della norma Controparte_1
in questione, che richiede una condotta processualmente abusiva, consistente nell'avere agito o resistito pretestuosamente (Cass. Ord. 22208/21). Nella presente vicenda è ravvisabile un errore interpretativo della normativa di riferimento da parte del ricorrente, errore reiterato nell'atto di impugnazione, ma certamente non un'azione pretestuosa.
Le spese del presente grado seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.