Corte d'Appello Messina, sentenza 29/05/2024, n. 426
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Testo completo
C O R T E D I A P P E L L O D I M E S S I N A
S E Z I O N E L A V O R O
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte di Appello Sezione Lavoro, composta dai Signori Magistrati:
Dott.ssa B. Catarsini Presidente rel.
Dott.ssa C. Zappalà Consigliere
Dott. F. Conti Consigliere in scioglimento della riserva disposta allo scadere, alla data del 21 maggio 2024, del termine accordato alle parti per il deposito di note, ha pronunciato la seguente
SENTENZA nella controversia n.736/23 r.g. vertente tra:
VI LO nt. a ME in data 8 maggio 1954, c.f. [...], rappresentato e difeso dal domiciliatario avv.to G. Zanghì
………………………………………………………………………….…………………………....APPELLANTE
CONTRO
CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA E ASSISTENZA DEI DOTTORI
COMMERCIALISTI, c.f. 80021670585, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall'avv.to D. Dal Bo, con domicilio eletto presso lo studio dell'avv.to S. Alesci in Barcellona P.G. …………………...........................APPELLATA
OGGETTO: annullamento iscrizione alla Cassa. Appello avverso la sentenza del Giudice del Lavoro del Tribunale di ME n. 774/2012 del 17 febbraio 2012, a seguito di rinvio dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 29534/2022.
SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO E CONCLUSIONI DELLE PARTI
Con ricorso depositato in data 7 luglio 2006 RE AR, dottore commercialista, proponeva ricorso innanzi al Tribunale del lavoro di ME avversando il provvedimento di cancellazione adottato dalla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza a favore dei
Dottori Commercialisti, per gli anni 1987, 1988, 1989, 1991, 1992, 1993, 1994, 1996,
1997, 2000 e 2001, adottato in data 20 luglio 2005, in ragione del superamento dei limiti di reddito indicati dal Comitato dei Delegati. Censurava l'operato della Cassa, per quanto ancora qui di interesse, ritenendo che il potere della Cassa di sindacare il criterio della continuità dell'esercizio dell'attività professionale ai fini della cancellazione dovesse ritenersi ascritto esclusivamente al momento dell'iscrizione, in relazione al quale l'art. 6 dello Statuto prevedeva specifiche ipotesi di cancellazione fra le quali non era compresa quella riguardante la fattispecie in oggetto. Evidenziava come la L. n.
21/1986, nel regolamentare i requisiti (di iscrizione e contribuzione) per l'accesso alle prestazioni previdenziali non aveva previsto alcuna esclusione dei soggetti percettori di redditi più bassi, i quali peraltro continuano a pagare il contributo minimo annuale (c.d. contributo minimo obbligatorio) fissato dalla Cassa a prescindere dal reddito dichiarato
e peraltro non restituibile. Rilevava ancora come l'autonomia concessa alla Cassa
Commercialisti, come alle altre Casse, dovesse intendersi limitata alla fissazione dei criteri di determinazione della misura dei trattamenti pensionistici e non anche estesa
a fissare i requisiti per l'accesso ai medesimi o per la loro concreta fruizione.
Infine evidenziava come l'articolo 14 del regolamento di disciplina, nel prevedere la restituzione dei contributi a favore dell'iscritto che non avesse maturato i requisiti per la pensione, e senza alcunché prevedere nel caso di annullamento di annualità di anzianità
di iscrizione, lascerebbe intendere che quest'ultima ipotesi sarebbe legittimata esclusivamente nei casi di inattività e dunque di totale assenza di reddito, non potendosi riferire alla diversa fattispecie in cui l'esercizio della professione sia avvenuto seppure con produzione di reddito appena inferiore ai minimi. Con altra censura si doleva della contraddittorietà tra la previsione del versamento di un contributo minimo soggettivo pari al 10% del reddito ipotizzato di 18.000.000 delle vecchie lire e la previsione di annullamento dell'anzianità contributiva a seguito del mancato raggiungimento della soglia minima reddituale di 12.000.000 di lire, con irragionevole disparità di trattamento tra iscritti alla Cassa che, pur versando gli stessi contributi, si troverebbero gli uni a non aver diritto alla posizione previdenziale e gli altri invece ad averne diritto.
Infine eccepiva la prescrizione dell'azione volta all'accertamento dell'iscrizione compiuta dalla Cassa e chiedeva, previa disapplicazione del provvedimento di annullamento, il riconoscimento del proprio diritto all'iscrizione alla Cassa continuativamente sin dall'anno 1981.
Nella resistenza di CNPADC, che avversava il ricorso, il giudice di primo grado rigettava la domanda compensando tra le parti le spese di lite. Il giudice di primo grado riteneva pienamente legittimo l'operato della Cassa, dopo l'entrata in vigore della L. n. 21/1986, nel vagliare la sussistenza del requisito reddituale minimo fissato dal Comitato dei
Delegati non solo quale requisito per l'iscrizione ma anche per il mantenimento della stessa e riteneva inconducente l'eccezione di prescrizione sollevata dalla parte ricorrente trattandosi di accertamento non soggetto a termine prescrizionale o decadenziale.
Proponeva appello RE AR in data 16 febbraio 2013. Con il primo motivo censurava la sentenza per omessa pronuncia in merito alla verifica della situazione sostanziale, corrispondente all'effettivo esercizio della professione nelle annualità contestate e cancellate, per le quali erano state prodotte in primo grado le fatture
delle relative competenze professionali. Evidenziava, in proposito, come dovesse ritenersi intuitivamente percepibile che anche una sola fatturazione annuale per attività di amministratore di condominio, membro di collegi sindacali, ovvero di rappresentanza in giudizio, postula attività complesse che si protraggono per l'intero periodo di imposta, attestando quindi, oltre ogni ragionevole dubbio, l'effettività e la continuità della prestazione professionale. Evidenziava la doverosità della superiore indagine anche in considerazione del principio secondo cui il regolare pagamento dei contributi minimi obbligatori costituisce presunzione semplice di esercizio dell'attività professionale. Censurava, con il secondo motivo, l'omessa pronuncia circa la dedotta illegittimità del regolamento approvato con delibera del 24 giugno 1994 dal Comitato dei Delegati per eccesso di delega e carenza di potere nonché la violazione di legge in relazione ai criteri generali interpretativi di cui alle disposizioni sulla legge in generale premesse al codice civile (c.d. preleggi).
La Corte d'Appello di ME, con sentenza n. 356/2016 del 23 marzo 2016, confermava la sentenza di primo grado condannando l'appellante alla rifusione delle spese giudiziali. I giudici dell'impugnazione hanno ritenuto che, nulla disponendo la legge circa le modalità temporali di verifica dell'esercizio continuativo della professione, sempre possibile prima dell'erogazione dei trattamenti previdenziali ed assistenziali, debba ammettersi la legittima possibilità di cancellazione dell'assicurato già iscritto in mancanza del requisito relativo all'esercizio continuativo della professione.
Confermavano, infine, la statuizione inerente la carenza di prescrizione o decadenza.
Avverso la superiore pronuncia RE AR proponeva ricorso in Cassazione affidato
a nove motivi.
La Corte di Cassazione affrontava congiuntamente i primi quattro motivi nonché il settimo, l'ottavo e il nono, ritenuti connessi, ritenendoli infondati. Si trattava dei motivi con cui RE AR denunciava:
1) falsa applicazione del D. Lgs.vo 509/1994 in relazione all'omessa pronuncia sulla denunciata nullità per eccesso di delega della deliberazione del Comitato dei
Delegati della Cassa del 24 giugno 1994, in punto di fissazione di limiti reddituali minimi al di sotto dei quali non si ritiene sussistere la continuità dell'esercizio professionale;
2) violazione e falsa applicazione dell'articolo 3 comma 12 della L. n. 335 del 1995 per violazione del principio del pro rata, sotto il profilo della intangibilità degli effetti derivanti dalla contribuzione versata;
3) violazione e falsa applicazione dell'art. 22 della L. n. 21/1986 e dell'art. 2 della stessa legge, dal momento che la prima disposizione prevedeva la fissazione di limiti reddituali solo per rendere obbligatoria l'iscrizione e non ai fini della effettività della contribuzione utile;
4) violazione del medesimo art. 22 in quanto non interpretato in modo costituzionalmente orientato secondo il canone di ragionevolezza, giacché non si era considerato che il ricorrente aveva comunque versato il contributo minimo obbligatorio;
7) violazione dei criteri interpretativi di cui all'art. 2 della L. n. 21/1986 che riconosceva il diritto a pensione a chi è comunque iscritto ed ha maturato il diritto a contribuzione;
8) violazione, ai sensi dell'art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., in relazione all'articolo 6 dello Statuto della Cassa che, tra le esplicite cause di cancellazione non prevede la cancellazione retroattiva per il mancato raggiungimento di un minimo reddituale;
9) violazione dell'art. 22 della L. n. 21/1986 che prevede la possibilità di iscrizione facoltativa alla Cassa di chi, pur non avendo continuità nell'esercizio della professione, aveva versato il contributo minimo soggettivo.
Accoglieva, invece, il quinto motivo di impugnazione (restandone assorbito il sesto), che verrà illustrato nella parte motivazionale e rimettendo a questa Corte la verifica del diritto al mantenimento dell'iscrizione mediante la comparazione ed il prudente apprezzamento di tutti i contrapposti elementi probatori acquisiti alla causa.
Riassumeva il giudizio RE AR in data 11 ottobre 2023 insistendo per
l'accoglimento delle domande inizialmente spiegate, spese vinte per l'intero giudizio.
Si costituiva la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza a favore dei Dottori
Commercialisti avversando motivi di riassunzione di cui chiedeva il rigetto, spese vinte.
Alla prima udienza il giudizio veniva rinviato per impossibilità di comporre il collegio.
La causa veniva, di seguito, trattata parimenti in modalità ”a trattazione scritta” ai sensi dell'art.127 ter c.p.c. e, in esito al deposito di note scritte, assolto da