Corte d'Appello Napoli, sentenza 04/03/2024, n. 360

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Sul provvedimento

Citazione :
Corte d'Appello Napoli, sentenza 04/03/2024, n. 360
Giurisdizione : Corte d'Appello Napoli
Numero : 360
Data del deposito : 4 marzo 2024

Testo completo


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI APPELLO DI NAPOLI sezione controversie di lavoro e di previdenza ed assistenza composta dai magistrati:


1. dr. R G Presidente


2. dr. V T Consigliere


3. dr. R D P Consigliere rel. riunita in camera di consiglio ha pronunciato in grado di appello all'udienza del 25/01/2024 la seguente
SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 3103/2022 r.g. sez. lav., vertente tra
Parte
, in persona del l.r.p.t. rappresentata e difesa dall'Avv. M S e con lo stesso elettivamente domiciliato in Napoli C.so Garibaldi 387
Appellante
e
rappresentata e difesa dagli Avv.ti BIONDI PASQUALE elettivamente CP_1
domiciliato in NAPOLI CORSO NOVARA 10
Appellato
FATTO E DIRITTO
Con ricorso depositato presso il Tribunale di Annunziata, in funzione di giudice del lavoro,
l'odierno appellato conveniva in giudizio l' Controparte_2 esponendo di essere dipendente dell'Ente resistente, inquadrato nel profilo professionale di operatore tecnico e, successivamente, di operatore certificatore, del Organizzazione_1 che durante i periodi di fruizione delle ferie annuali, non aveva percepito un'indennità equiparabile alla retribuzione corrisposta nei periodi di servizio, in quanto la datrice non aveva ricompreso nella indennità per i periodi di fruizione delle ferie annuali, l'indennità perequativa
e l'indennità compensativa di cui all'Accordo Regionale del 16/12/2011 nonché i ticket mensa;
che, anche alla luce della giurisprudenza eurocomunitaria, sussisteva il diritto, nei periodi di ferie, al pagamento di un'indennità pari non solo alla retribuzione base, ma anche a tutti gli
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emolumenti intrinsecamente connessi all'espletamento delle mansioni, comprensiva di tutti gli elementi retributivi collegati al suo status personale e professionale riconosciuti durante i normali periodi di lavoro;
che, quanto all'indennità perequativa e compensativa, non poteva ritenersi la stessa connessa alla presenza fisica, in quanto indennità introdotte dall'Accordo
Regionale per garantire condizioni economiche equivalenti a quelle godute in virtù degli accordi di secondo livello precedentemente in vigore;
che tali indennità, pur se inserite dall'Accordo nella retribuzione variabile, in realtà, secondo il C.C.N.L. di categoria rientravano nella retribuzione “normale” perché “competenze accessorie corrisposte a carattere fisso e continuativo, esclusi i premi, le indennità e tutti gli altri compensi corrisposti in modo saltuario
o variabile, per specifiche prestazioni di servizio”;
che, nell'indennità per ferie, doveva rientrare anche il ticket perché strettamente legato alle modalità di svolgimento delle mansioni.
Concludeva chiedendo di 1. accertare la nullità e/o la inopponibilità all'istante di qualsiasi disposizione negoziale e/o collettiva volta ad escludere dal trattamento retributivo dovuto per i giorni di ferie l'indennità perequativa a.r. 2011, l'indennità compensativa a.r. 2011, il ticket buono pasto per contrarietà a norme imperative anche di origine eurounitaria;

2. Condannare la convenuta, in persona del legale rappresentante p.t. al pagamento degli importi di cui al ricorso, ovvero nella maggiore o minore misura che sarà ritenuta di giustizia, anche in via equitativa, ai sensi dell'art. 1226 c.c. ed in applicazione dell'art. 36 Cost.
Regolarmente costituito l' ccepiva la prescrizione Controparte_2
e, nel merito, l'infondatezza del ricorso di cui chiedeva il rigetto.
Con la sentenza n. 1006/2022, pubblicata il 30/06/2022, il GL adito accoglieva il ricorso, dichiarando il diritto del lavoratore al computo dell'indennità perequativa a.r. 2011, dell'indennità compensativa a.r. 2011, nella base di calcolo della retribuzione dei giorni di ferie Parte e per l'effetto condannando l' al pagamento della corrispondente somma, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalla data di maturazione delle singole poste attive del credito al saldo;
rigettando per il resto il ricorso.
Avverso la suddetta pronuncia ha proposto tempestivo appello l' censurando CP_3
l'interpretazione effettuata dal Giudice di prime cure che aveva attribuito alle indennità reclamate dal ricorrente la natura di retribuzione ordinaria collegata all'esecuzione delle mansioni e allo status professionale del lavoratore;
lamentando altresì il rigetto dell'eccezione di prescrizione e la sua condanna al pagamento delle spese di giudizio di primo grado, considerato che l'esistenza di difformi orientamenti giurisprudenziali avrebbe dovuto comportare la compensazione delle spese.
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Radicatosi nuovamente il contraddittorio si è costituito l'appellato che ha resistito punto per punto all'avverso dedotto chiedendo il rigetto dell'appello e la conferma della sentenza impugnata, vinte le spese.
All'odierna udienza il collegio, all'esita della camera di consiglio, ha deciso come da dispositivo.
***


1. Il thema decidendum concerne il trattamento retributivo riservato al dipendente di CP_3
durante le ferie usufruite.
[...]


1.1 Occorre premettere che la nozione di retribuzione da applicare durante il periodo di godimento delle ferie è fortemente influenzata dalla interpretazione data dalla Corte di
Giustizia dell'Unione Europea la quale, sin dalla sentenza del 2006, ha Persona_1
precisato che con l'espressione "ferie annuali retribuite" contenuta nell'art. 7, n. 1, della direttiva
n. 88 del 2003 si vuole fare riferimento al fatto che, per la durata delle ferie annuali, "deve essere mantenuta" la retribuzione con ciò intendendosi che il lavoratore deve percepire in tale periodo di riposo la retribuzione ordinaria (nello stesso senso CGUE 20 gennaio 2009 in C-
350/06 e C- 520/06, e altri). CP_4
La giurisprudenza della Cassazione – ex multis: Cass. civ. sez. lav 17/05/2019 n.13425;
Cass. civ. sez. lav. 30/11/2021 n.30/11/2021;
Cass. civ. sez. lav. 23/06/2022 n.20216;
da ultimo Cass. civ. sez.lav. 11/07/2023 n.19663 - nell'esaminare la questione della retribuzione dovuta nel periodo di godimento delle ferie annuali ha ritenuto che, ai sensi dell'art. 7 della Direttiva
2003/88/CE per come interpretato dalla Corte di Giustizia, sussiste una nozione Europea di
"retribuzione" che comprende qualsiasi importo pecuniario che si ponga in rapporto di collegamento all'esecuzione delle mansioni e che sia correlato allo "status" personale e professionale del lavoratore".


2.2 Dunque, nel caso, come quello in esame, di retribuzione composta da una parte fissa e da una variabile, anche le voci variabili devono essere incluse nella base di calcolo della retribuzione spettante durante le ferie, ove si tratti di indennità che compensino "qualsiasi modo intrinsecamente collegato all'esecuzione delle mansioni che il lavoratore è tenuto ad espletare in forza del suo contratto di lavoro", oppure di indennità correlate "allo status professionale" del lavoratore.
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Diversamente gli elementi della retribuzione diretti esclusivamente a coprire spese occasionali
o accessorie che sopravvengano in occasione dell'espletamento delle mansioni, non devono essere presi in considerazione nel calcolo dell'importo da versare durante le ferie annuali.
Detta interpretazione intende salvaguardare il diritto all'effettivo godimento delle ferie da parte dei lavoratori e, dunque, evitare che una retribuzione "non paragonabile" a quella "ordinaria" abbia un effetto dissuasivo sull'esercizio effettivo del diritto alle stesse e non introduce certamente un principio di onnicomprensività della retribuzione feriale che la giurisprudenza ha costantemente escluso, poiché non ogni retribuzione variabile corrisposta in modo continuativo costituisce base di calcolo della retribuzione feriale, ma soltanto quella che rappresenti remunerazione intrinsecamente collegata all'esecuzione delle mansioni in cui il lavoratore è assegnato per contratto ovvero sia correlata allo status professionale del lavoratore.
Una retribuzione feriale inferiore a quella ordinaria, tuttavia, ben potrebbe essere in linea con la giurisprudenza Europea a condizione che le diminuzioni non siano tali da dissuadere il lavoratore dall'esercitare il suo diritto alle ferie.
Invero, ove il giudice comunitario avesse inteso ritenere che la retribuzione dovesse essere identica/uguale con quella erogata durante il servizio non avrebbe utilizzato aggettivi come
"paragonabile" o "in linea di principio" o, ancora, non avrebbe fatto riferimento alla diminuzione di retribuzione che fosse idonea a dissuadere i lavoratori dal godimento delle ferie.
Ciò che si è inteso assicurare è una situazione che, a livello retributivo, sia sostanzialmente equiparabile a quella ordinaria del lavoratore in atto nei periodi di lavoro sul rilievo che una diminuzione della retribuzione potrebbe essere idonea a dissuadere il lavoratore dall'esercitare il diritto alle ferie, il che sarebbe in contrasto con le prescrizioni del diritto dell'Unione (cfr.
C.G.U.E. e altri, C-155/10 del 13 dicembre 2018 ed anche la causa To.He. del Per_2
13/12/2018, C-385/17).


2.2.1 Occorre, quindi, anche verificare se la retribuzione corrisposta possa costituire una dissuasione dal godimento delle ferie;
in tale prospettiva un'indennità determinata ad un livello appena sufficiente ad evitare un serio rischio che il lavoratore usufruisca delle ferie, non soddisfa le prescrizioni del diritto dell'Unione, essendo idonea a dissuadere il lavoratore dal beneficiare del diritto irrinunciabile alle ferie.
Qualsiasi incentivo o sollecitazione che risulti volto ad indurre i dipendenti a rinunciare alle ferie è infatti incompatibile con gli obiettivi del legislatore Europeo che si propone di
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assicurare ai lavoratori il beneficio di un riposo effettivo, anche per un'efficace tutela della loro salute e sicurezza (cfr. in questo senso anche la recente C.G.U.E. del 13/01/2022 nella causa C-
514/20).
2.3 È appena il caso di ricordare - come già ritenuto nella sentenza Cass. 20216/2022 citata -
"che le sentenze della Corte di Giustizia dell'UE hanno, infatti, efficacia vincolante, diretta e prevalente sull'ordinamento nazionale" sicché non può prescindersi dall'interpretazione data dalla Corte Europea che, quale interprete qualificata del diritto dell'unione, indica il significato ed i limiti di applicazione delle norme. Le sue sentenze, pregiudiziali o emesse in sede di verifica della validità di una disposizione UE, hanno perciò "valore di ulteriore fonte del diritto comunitario, non nel senso che esse creino ex novo norme comunitarie, bensì in quanto ne indicano il significato ed i limiti di applicazione, con efficacia erga omnes nell'ambito della
Comunità" (cfr. Cass. n. 13425 del 2019 ed ivi la richiamata Cass. n. 22577 del 2012).
Nell'applicare il diritto interno il giudice nazionale è tenuto ad una interpretazione per quanto possibile conforme alle finalità perseguite dal diritto dell'Unione nell'intento di conseguire il risultato prefissato dalla disciplina Eurounitaria conformandosi all'art. 288, comma 3, TFUE.
L'esigenza di un'interpretazione conforme del diritto nazionale attiene infatti al sistema del
Trattato FUE, in quanto permette ai giudici, nazionali di assicurare, nell'ambito delle rispettive competenze, la piena efficacia del diritto dell'Unione quando risolvono le controversie ad essi sottoposte (cfr. CGUE 13/11/1990 causa C-106/89 p.8, CGUE 14/07/1994 causa Org_2
C-91/92 p.26, CGUE 10/04/1984 causa C-14/83 von Colson p. 26, CGUE CP_5
28/06/2012 causa C-7/11 p. 51 tutte citate da Cass. n. 22577 del 2012 alla cui più CP_6
estesa motivazione si rinvia), obbligo che viene meno solo quando la norma interna appaia assolutamente incompatibile con quella Eurounitaria, ma non è questo il caso.
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