Corte d'Appello Roma, sentenza 11/03/2024, n. 937
Sentenza
11 marzo 2024
Sentenza
11 marzo 2024
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Sul provvedimento
Testo completo
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE DI APPELLO DI ROMA
IV SEZIONE LAVORO
La Corte, composta dai signori magistrati:
- dott. Glauco Zaccardi Presidente rel.
- dott. Gabriella Piantadosi Consigliere
- dott. Isabella Parolari Consigliere all'udienza del 05/03/2024 ha pronunciato la presente
SENTENZA nella causa iscritta al n. 3434/2022 R.G. vertente
TRA
BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA S.P.A. parte rappresentata e difesa dall'Avv.
NEGRI ANTONELLA
APPELLANTE
E
EC AR, IN RI, parti rappresentate e difese dall'Avv.
BOLOGNESI RICCARDO
APPELLATI avente ad oggetto: appello avverso la sentenza 3934/2022 del Tribunale di OM, pubblicata il
30.6.2022
P.Q.M.
Rigetta l'appello. Condanna l'appellante al pagamento in favore degli appellati delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano in euro 8.000 oltre Cpa e Iva. Dà atto della sussistenza per l'appellante delle condizioni oggettive per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater del d.p.r. 115/2002. OM, lì 05/03/2024
Il Presidente Dr. Glauco Zaccardi
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con distinti ricorsi al Tribunale di OM, poi riuniti, ritualmente notificati a PE AR e
LO LE, la BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA S.P.A conveniva in giudizio i medesimi proponendo opposizione avverso i decreti ingiuntivi n° 4097/2020 e 4833/2020, con i quali era stato ingiunto alla medesima opponente attuale appellante il pagamento, rispettivamente, di euro
31361,69 e di euro 28.868,48 complessivi.
La Banca deduceva che: gli opposti odierni appellati avevano lavorato alle dipendenze di PS, sede di OM, fino al 31 dicembre 2013, quando i rispettivi rapporti di lavoro erano stati ceduti ai sensi dell'art. 2112 c.c., alla società DO S.r.l., nell'ambito del trasferimento del ramo d'azienda al quale essi erano addetti;
PS aveva parallelamente stipulato con DO un contratto di appalto per la fornitura di servizi di back office bancario, i medesimi già in precedenza svolti, all'interno della
Banca, dai lavoratori addetti al ramo ceduto;
dall' 1° gennaio 2014, quindi gli opposti, in qualità di dipendenti di DO erano stati adibiti da quest'ultima alla esecuzione dell'appalto a favore di PS;
impugnato giudizialmente il trasferimento di ramo d'azienda, parte opposta aveva ottenuto dalla
Corte d'Appello di OM (con sentenza n. 1567 del 24 marzo 2017) la declaratoria di inefficacia della cessione del suo rapporto di lavoro operata con il contratto di cessione di ramo d'azienda;
PS (così come DO) aveva proposto ricorso in Cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di
OM ed era in attesa della fissazione della pubblica udienza;
era, invece, stato respinto dal Tribunale di Siena il ricorso di numerosi lavoratori avverso il contratto di appalto;
solo nel 2020 gli opposti avevano proposto ricorso per decreto ingiuntivo in realtà quale “ doppia retribuzione “ richiesta alla
Banca nonostante che per il relativo periodo parte opposta fosse stata regolarmente retribuita da
DO.
Argomentava in via pregiudiziale in ordine alla incompetenza territoriale del Tribunale di OM sia in sede monitoria che di opposizione e, in subordine deduceva la sussistenza di una ragione di connessione ex art 40 c.p.c. tra il presente giudizio e l'opposizione precedentemente proposta della lavoratrice SI AR innanzi al Tribunale di Siena;
in ulteriore subordine chiedeva la sospensione del giudizio ex art 295 c.p.c. o in subordine ex art 337 c.p.c. fino al passaggio in giudicato della sentenza definitiva sulla questione della legittimità della cessione di azienda. In via preliminare sosteneva che il d.i. opposto doveva essere dichiarato nullo, revocato e/o annullato perché emesso in difetto dei presupposti di legge quali la prova scritta e la liquidità del credito, fondandosi su un'interpretazione adottata dalla Corte di Appello di sentenze rese dalla Cassazione in casi diversi ed inapplicabili alla fattispecie e su conteggi generici prodotti dalla controparte in sede monitoria;
in subordine chiedeva che il d.i. opposto fosse dichiarato nullo, annullato e /o revocato poiché essa opponente non era mai stata messa in mora come debitrice delle retribuzioni e come creditrice della
prestazione lavorativa. Argomentava poi diffusamente in ordine alle statuizioni della S.C. in tema di doppia retribuzione asserendone l'inapplicabilità alla fattispecie e contestando, sotto vari profili, la motivazione delle sentenze della S.C. n° 17784,17785 e 17786 del 3/7/2019 sul punto in cui la Corte aveva ritenuto di dare applicazione al principio della “doppia retribuzione“ in termini sanzionatori attesa l'inapplicabilità ai rapporti di lavoro privati del disposto dell'art 614 bis c.p.c. ossia della penale per l'inadempimento agli obblighi di fare. Invocava l'applicazione dell'art 29 comma 2 Dlgs
276/2003, con conseguente liberazione di essa PS committente dal pagamento delle retribuzioni dovute nel periodo di esecuzione dell'appalto atteso il pagamento da parte dell'appaltatore DO,;
in subordine sosteneva che l'effetto liberatorio doveva ritenersi in ogni caso raggiunto attraverso l'applicazione analogica – ratione temporis- dell'art. 27, comma 2, D. Lgs. 276/2003 (oggi trasfuso nell'art. 38, comma 3, D. Lgs. 81/2015) quale specificazione del principio generale, di cui all'art. 1180 c.c. Sollevava, infine, questione di legittimità costituzionale dell'art 38 comma 3, D. Lgs.
81/2015 in quanto la detta norma si sarebbe posta in contrasto con l'art. 3 Cost. nella parte in cui consentirebbe al committente di un appalto illecito (per effetto del richiamo dell'art. 27 contenuto nell'art. 29, D. Lgs. 276/2003) e all'utilizzatore di una somministrazione irregolare di beneficiare dell'effetto liberatorio dei pagamenti effettuati dall'appaltatore o dal somministratore, mentre non consentirebbe all'appaltante genuino di usufruire del medesimo effetto liberatorio, con ciò creando una disparità di trattamento non giustificata, né giustificabile.
Concludeva chiedendo la revoca dei decreti ingiuntivi opposti.
Si costituivano gli opposti odierni appellati contestando diffusamente la fondatezza delle eccezioni pregiudiziali e preliminari sollevate da controparte;
evidenziavano la sussistenza di tutti gli elementi per l'emissione del d.i. opposto, in particolare della messa in mora di PS e dell'elaborazione dei conteggi sulla base delle buste paga relative al periodo antecedente la cessione e delle tabelle retributive di cui al CCNL allegato al ricorso monitorio. Nel merito richiamavano le statuizioni della
S.C. in tema di mora credendi per fatto imputabile al datore di lavoro che rifiuti la prestazione lavorativa e della natura retributiva dell'obbligo del datore di lavoro moroso (sent. Corte
Costituzionale 29/2019) e ripercorrevano gli orientamenti di legittimità e merito sulla questione della doppia retribuzione.
Contestavano la conferenza del richiamo alla disciplina della solidarietà, somministrazione o appalto illecito, nonché in generale, di adempimento del terzo atteso che tali prospettazioni presupponevano la sussistenza di un unico e solo rapporto di lavoro, mentre nella fattispecie sussistevano due rapporti: uno di mero fatto con il cessionario e, in aggiunta, quello nei confronti del cedente che trovava origine
nel contratto originario, nella sentenza dichiarativa della cessione di azienda e nella formale costituzione in mora che generava l'obbligo del cedente di corrispondere la retribuzione.
Contestavano la questione di costituzionalità prospettata da controparte in quanto irrilevante rispetto alla fattispecie, essendo inapplicabili la disciplina in tema di solidarietà / appalto levito e quella di cui all'art 38 dlgs 81/2015 in tema di somministrazione / appalto illecito.
Concludevano chiedendo, previa concessione della provvisoria esecutorietà dei decreti ingiuntivi, per non essere l'opposizione fondata su prova scritta, il rigetto dei ricorsi riuniti, con vittoria di spese di lite.
Il Tribunale di OM, con la sentenza in epigrafe, aderendo alle prospettazioni degli opposti odierni appellati, ha rigettato le opposizioni riunite e condannato la Banca Monte dei Paschi s.p.a. al pagamento delle spese del grado, liquidate in euro 4.500 oltre accessori.
Ha proposto appello la Banca, affidandosi alle seguenti censure.
1) LA SENTENZA PARTE DA UN EQUIVOCO: STABILIRE CHE IL RISARCIMENTO
DEL DANNO PREVISTO DALL'ART. 1207 C.C. ABBIA NATURA RETRIBUTIVA,
NON SIGNIFICA CREARE L'OBBLIGO DI PAGARE DUE RETRIBUZIONI. LA CORTE
COSTITUZIONALE NON HA AVALLATO COME “DIRITTO VIVENTE” TALE
PRINCIPIO.
2) LA SENTENZA È ERRATA NELLA PARTE IN CUI NON RICONOSCE CHE ANCHE
NEL TRASFERIMENTO DI RAMO D'AZIENDA POI DICHIARATO ILLEGITTIMO IL
RAPPORTO DI LAVORO E COMUNQUE LA PRESTAZIONE SONO UNICI, CON IL
CHE L'ADEMPIMENTO DEL CESSIONARIO LIBERA IL CEDENTE DAL
PAGAMENTO DELLA DOPPIA RETRIBUZIONE.
3) LA SENTENZA È ERRATA NELLA PARTE IN CUI HA APPLICATO, DA UN LATO,
L'ART. 1207 C.C. RITENENDO CHE VI SIA STATA UNA VALIDA OFFERTA DELLA
PRESTAZIONE E, DALL'ALTRO LATO, NON HA APPLICATO GLI ARTT. 1207, 1460,
1463 E 1464 C.C., NON RITENENDO CHE LE PRESTAZIONI NON RESE SI
ESTINGUANO, CON CONSEGUENTE DIRITTO DEL LAVORATORE AL SOLO
RISARCIMENTO DELL'INTERESSE POSITIVO E NON A PERCEPIRE DUE VOLTE
LA RETRIBUZIONE.
4) LA SENTENZA È ERRATA NELLA PARTE IN CUI HA AFFERMATO
L'IRRILEVANZA DELL'APPALTO TRA PS E ND, DAL MOMENTO CHE
AVENDO LA BANCA BENEFICIATO DELLE PRESTAZIONI RESE, I PAGAMENTI
EFFETTUATI DA ND DEVONO INTENDERSI LIBERATORI EX ARTT. 29 E 27
D. LGS. 276/2003 OVVERO EX ART. 1180 C.C..
5) LA SENTENZA SI PONE ANCHE IN CONTRASTO CON I PRINCIPI
COSTITUZIONALI NELLA PARTE IN CUI AFFERMA CHE L'ATTIVITÀ
LAVORATIVA SUBORDINATA RESA IN FAVORE DEL NON PIÙ CESSIONARIO
EQUIVALE A QUELLA CHE IL LAVORATORE, BISOGNOSO DI OCCUPAZIONE,
RENDA IN FAVORE DI QUALSIASI ALTRO SOGGETTO TERZO [ART. 434, COMMA
1, NN. 1) E 2) C.P.C.]
6) LA SENTENZA È ERRATA NELLA PARTE IN CUI HA RITENUTO
CORRETTAMENTE CALCOLATE LE SOMME RICHIESTE E NON HA ACCOLTO LE
ECCEZIONI