Corte d'Appello Napoli, sentenza 11/03/2024, n. 744
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Testo completo
R.G. 3265/2022
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE DI APPELLO DI NAPOLI
Sezione controversie di lavoro e di previdenza ed assistenza composta dai magistrati:
1) dr. Raffaella Genovese Presidente
2) dr. Sebastiano Napolitano Consigliere rel.
3) dr. Arturo Avolio Consigliere
All'esito della camera di consiglio ha pronunciato, all'udienza del 15 febbraio 2024, la seguente SENTENZA
nella causa civile iscritta al n.3265/2022 del ruolo generale lavoro
T R A
, generalizzato in atti Parte_1
Rappresentato e difeso da avv. Francesco Castellano
APPELLANTE
E già ), in Controparte_1 Controparte_2 persona dell'amministratore Delegato, legale rapp.te p.t.
Rappresentato e difeso dagli avv.ti Franco Maurizio Vigilante e Carmen Taccone
APPELLATO
E
OGGETTO: Indennità di mancato preavviso. Mansioni superiori
CONCLUSIONI: come in atti
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1
Parte appellante, , ha proposto tempestivo Parte_1
gravame avverso la sentenza del Tribunale di Avellino, in funzione di Giudice del Lavoro, n.938/2022, pubblicata l'8 novembre 2022, che aveva confermato il decreto ingiuntivo n.28/2018, dallo stesso opposto, emesso dal GL a favore della per la somma di euro 3.050,17, a Controparte_2
titolo di indennità di mancato preavviso oltre le spese di procedura.
Nel giudizio monitorio, invero, la Società datrice aveva esposto che l'ingiunto,
, dipendente dal 01.11.2013 al 28.02.2017 con la Parte_1
mansione di medico assistente fascia A, aveva rassegnato le proprie dimissioni con decorrenza 01.03.2017, omettendo di osservare il termine di preavviso di tre mesi di cui al CCNL AIOP art. 29;
e che tale omissione aveva procurato un credito in favore della datrice dal quale, detratto quanto dovuto al lavoratore sulla base dei conteggi contenuti nell'ultima busta paga di chiusura del rapporto di lavoro, residuava la somma ingiunta di €. 3.050,17.
Adito il GL l'odierno appellante aveva, dunque, proposto formale opposizione avverso il detto decreto ingiuntivo spiegando domanda riconvenzionale.
In particolare, in replica alla dedotta inosservanza del termine di preavviso, controdeduceva, all'opposto, la ricorrenza di una giusta causa a motivo delle dimissioni rassegnate, che specificava nel reiterato e grave ritardo con cui la gli aveva corrispoto la retribuzione secondo una modalità CP_1
contraria alla normativa contrattuale di riferimento rispetto alla convenuta scadenza mensile di pagamento dello stipendio;
nonché nella grave omissione contributiva. Sotto quest'ultimo profilo evidenziava che all'esito di una verifica effettuata presso il Fondo (Fondo Pensione Org_1
complementare per i lavoratori aveva Organizzazione_2
constatato l'accantonamento di una somma inferiore (8.648,45 euro) a fronte di quella maggiore asseritamente maturata (euro 11.754,44);
con “conseguente credito vantato pari ad euro 3.105,99, già di per sé ampiamente idoneo - a
2
giudizio dell'opponente - ad estinguere, mediante compensazione, l'asserito credito” vantato dalla datrice opposta.” Contestava, inoltre, i conteggi operati nella busta paga di chiusura del rapporto per gli importi trattenuti a titolo di
“monte ferie” (spettanti 30 giorni, riconosciuti 28,33), di festività soppresse e
Santo RO (spettanti 20 nell'intero periodo, riconosciute 5), con un conseguente mancato riconoscimento di 20 giornate nel periodo lavorativo che quantificava in €. 1.898,73. Insisteva per la carenza dei requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità del credito vantato dall'opposta e, segnatamente, di quello a titolo di indennità di mancato preavviso di cui disconosceva la fonte normativa in forza della quale ne fosse stata quantificata l'entità. In via riconvenzionale, asserendo di avere svolto mansioni superiori come “aiuto”, ai sensi dell'art.7 CCNL per il personale
Medico dipendente da , presidi e centri di riabilitazione, Org_3 Org_4
rispetto a quelle di medico chirurgo – assistente fascia A con cui era stato assunto, chiedeva differenze retributive per un importo di €. 19.046,21 (di cui €.
1.614,44 a titolo di TFR sulle differenze di retribuzione, €. 1.660,00 per differenza quota fissa azienda e dipendente TFR, €. 181,05 per TFR su differenze ferie, permessi e Santo patrono).
Per tali ragioni, proponeva opposizione al decreto ingiuntivo n. 28/2018 e formulava domanda riconvenzionale al fine di accertare tutti i crediti ancora ad esso spettanti e porli in compensazione con eventuali somme dovute in favore della società opposta.
Si costituiva la che impugnava in fatto ed in Controparte_2
diritto la domanda riconvenzionale ed affermava che, nel corso del rapporto, il non aveva mai lamentato dei ritardi nell'erogazione degli Pt_1
emolumenti, né ciò aveva affermato al momento delle dimissioni;
precisava che unico legittimato ad agire in giudizio per il mancato versamento dei contributi al Fondo Caimop fosse lo stesso Fondo e che, in ogni caso, come attestato in data 16.1.2019, tutti i contributi erano stati regolarmente versati;
3
affermava infine l'infondatezza della domanda volta all'accertamento della qualifica superiore e delle conseguenti differenze retributive. Concludeva per il rigetto della domanda riconvenzionale e per la conferma del decreto ingiuntivo n. 28/2018.
L'Appellante censura in questa sede la sentenza impugnata per un duplice ordine di motivi: “Errata valutazione dell'insussistenza della giusta causa di dimissioni
– omessa, contraddittoria e/o comunque insufficiente motivazione su punti decisivi della controversia. - Difetto certezza, liquidità ed esigibilità del credito - difetto di prova scritta”.
Si è costituita l'appellata Società che eccepita preliminarmente
l'inammissibilità dell'appello, ha, nel merito, recisamente avversato quanto ex adverso dedotto ed eccepito concludendo per la conferma della sentenza impugnata.
All'odierna udienza, sostituita ex artt.127 c.3, 127 ter cpc, preso atto del contenuto delle note di trattazione scritta depositate, il collegio, sentito in camera di consiglio il relatore ed esaminati gli atti, ha deciso come da dispositivo e contestuale motivazione di sentenza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L'appello non può essere accolto, dovendosi condividere le conclusioni cui è giunto il primo Giudice.
1. Va preliminarmente disattesa l'eccezione di inammissibilità dell'appello.
Come ha correttamente statuito la S.C. (cfr. Cass., VI, 1.7.2020 n. 13293) gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal d.l. n. 83/13, conv. con modificazioni in l. n. 134/12, vanno interpretati nel senso che l'impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra
l'utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto
4
alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata. In tale contesto, può ritenersi l'inammissibilità del gravame solo quando le doglianze proposte dall'appellante “non dialoghino” con la pronuncia di primo grado, cioè se le deduzioni siano del tutto inconferenti rispetto al decisum e non siano pertinenti rispetto alle soluzioni accolte dal primo Giudice (così Cass., II,
29.8.2019 n. 21824). Nella fattispecie al vaglio il gravame contiene articolati e specifici motivi di impugnazione avverso la sentenza di primo grado, del tutto idonei a consentire al Collegio giudicante un riesame della questione ed un pieno esercizio del diritto di difesa della controparte, che infatti ha ampiamente controdedotto alle asserzioni di parte appellante. Ciò posto,
l'appello è infondato e va, pertanto, disatteso.
2. Tanto premesso infondato si appalesa il primo motivo di appello, circa
l'errata valutazione dell'insussistenza della giusta causa di dimissioni.
È, innanzitutto, pacifica la sussistenza di un recesso unilaterale dal
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE DI APPELLO DI NAPOLI
Sezione controversie di lavoro e di previdenza ed assistenza composta dai magistrati:
1) dr. Raffaella Genovese Presidente
2) dr. Sebastiano Napolitano Consigliere rel.
3) dr. Arturo Avolio Consigliere
All'esito della camera di consiglio ha pronunciato, all'udienza del 15 febbraio 2024, la seguente SENTENZA
nella causa civile iscritta al n.3265/2022 del ruolo generale lavoro
T R A
, generalizzato in atti Parte_1
Rappresentato e difeso da avv. Francesco Castellano
APPELLANTE
E già ), in Controparte_1 Controparte_2 persona dell'amministratore Delegato, legale rapp.te p.t.
Rappresentato e difeso dagli avv.ti Franco Maurizio Vigilante e Carmen Taccone
APPELLATO
E
OGGETTO: Indennità di mancato preavviso. Mansioni superiori
CONCLUSIONI: come in atti
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1
Parte appellante, , ha proposto tempestivo Parte_1
gravame avverso la sentenza del Tribunale di Avellino, in funzione di Giudice del Lavoro, n.938/2022, pubblicata l'8 novembre 2022, che aveva confermato il decreto ingiuntivo n.28/2018, dallo stesso opposto, emesso dal GL a favore della per la somma di euro 3.050,17, a Controparte_2
titolo di indennità di mancato preavviso oltre le spese di procedura.
Nel giudizio monitorio, invero, la Società datrice aveva esposto che l'ingiunto,
, dipendente dal 01.11.2013 al 28.02.2017 con la Parte_1
mansione di medico assistente fascia A, aveva rassegnato le proprie dimissioni con decorrenza 01.03.2017, omettendo di osservare il termine di preavviso di tre mesi di cui al CCNL AIOP art. 29;
e che tale omissione aveva procurato un credito in favore della datrice dal quale, detratto quanto dovuto al lavoratore sulla base dei conteggi contenuti nell'ultima busta paga di chiusura del rapporto di lavoro, residuava la somma ingiunta di €. 3.050,17.
Adito il GL l'odierno appellante aveva, dunque, proposto formale opposizione avverso il detto decreto ingiuntivo spiegando domanda riconvenzionale.
In particolare, in replica alla dedotta inosservanza del termine di preavviso, controdeduceva, all'opposto, la ricorrenza di una giusta causa a motivo delle dimissioni rassegnate, che specificava nel reiterato e grave ritardo con cui la gli aveva corrispoto la retribuzione secondo una modalità CP_1
contraria alla normativa contrattuale di riferimento rispetto alla convenuta scadenza mensile di pagamento dello stipendio;
nonché nella grave omissione contributiva. Sotto quest'ultimo profilo evidenziava che all'esito di una verifica effettuata presso il Fondo (Fondo Pensione Org_1
complementare per i lavoratori aveva Organizzazione_2
constatato l'accantonamento di una somma inferiore (8.648,45 euro) a fronte di quella maggiore asseritamente maturata (euro 11.754,44);
con “conseguente credito vantato pari ad euro 3.105,99, già di per sé ampiamente idoneo - a
2
giudizio dell'opponente - ad estinguere, mediante compensazione, l'asserito credito” vantato dalla datrice opposta.” Contestava, inoltre, i conteggi operati nella busta paga di chiusura del rapporto per gli importi trattenuti a titolo di
“monte ferie” (spettanti 30 giorni, riconosciuti 28,33), di festività soppresse e
Santo RO (spettanti 20 nell'intero periodo, riconosciute 5), con un conseguente mancato riconoscimento di 20 giornate nel periodo lavorativo che quantificava in €. 1.898,73. Insisteva per la carenza dei requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità del credito vantato dall'opposta e, segnatamente, di quello a titolo di indennità di mancato preavviso di cui disconosceva la fonte normativa in forza della quale ne fosse stata quantificata l'entità. In via riconvenzionale, asserendo di avere svolto mansioni superiori come “aiuto”, ai sensi dell'art.7 CCNL per il personale
Medico dipendente da , presidi e centri di riabilitazione, Org_3 Org_4
rispetto a quelle di medico chirurgo – assistente fascia A con cui era stato assunto, chiedeva differenze retributive per un importo di €. 19.046,21 (di cui €.
1.614,44 a titolo di TFR sulle differenze di retribuzione, €. 1.660,00 per differenza quota fissa azienda e dipendente TFR, €. 181,05 per TFR su differenze ferie, permessi e Santo patrono).
Per tali ragioni, proponeva opposizione al decreto ingiuntivo n. 28/2018 e formulava domanda riconvenzionale al fine di accertare tutti i crediti ancora ad esso spettanti e porli in compensazione con eventuali somme dovute in favore della società opposta.
Si costituiva la che impugnava in fatto ed in Controparte_2
diritto la domanda riconvenzionale ed affermava che, nel corso del rapporto, il non aveva mai lamentato dei ritardi nell'erogazione degli Pt_1
emolumenti, né ciò aveva affermato al momento delle dimissioni;
precisava che unico legittimato ad agire in giudizio per il mancato versamento dei contributi al Fondo Caimop fosse lo stesso Fondo e che, in ogni caso, come attestato in data 16.1.2019, tutti i contributi erano stati regolarmente versati;
3
affermava infine l'infondatezza della domanda volta all'accertamento della qualifica superiore e delle conseguenti differenze retributive. Concludeva per il rigetto della domanda riconvenzionale e per la conferma del decreto ingiuntivo n. 28/2018.
L'Appellante censura in questa sede la sentenza impugnata per un duplice ordine di motivi: “Errata valutazione dell'insussistenza della giusta causa di dimissioni
– omessa, contraddittoria e/o comunque insufficiente motivazione su punti decisivi della controversia. - Difetto certezza, liquidità ed esigibilità del credito - difetto di prova scritta”.
Si è costituita l'appellata Società che eccepita preliminarmente
l'inammissibilità dell'appello, ha, nel merito, recisamente avversato quanto ex adverso dedotto ed eccepito concludendo per la conferma della sentenza impugnata.
All'odierna udienza, sostituita ex artt.127 c.3, 127 ter cpc, preso atto del contenuto delle note di trattazione scritta depositate, il collegio, sentito in camera di consiglio il relatore ed esaminati gli atti, ha deciso come da dispositivo e contestuale motivazione di sentenza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L'appello non può essere accolto, dovendosi condividere le conclusioni cui è giunto il primo Giudice.
1. Va preliminarmente disattesa l'eccezione di inammissibilità dell'appello.
Come ha correttamente statuito la S.C. (cfr. Cass., VI, 1.7.2020 n. 13293) gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal d.l. n. 83/13, conv. con modificazioni in l. n. 134/12, vanno interpretati nel senso che l'impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra
l'utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto
4
alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata. In tale contesto, può ritenersi l'inammissibilità del gravame solo quando le doglianze proposte dall'appellante “non dialoghino” con la pronuncia di primo grado, cioè se le deduzioni siano del tutto inconferenti rispetto al decisum e non siano pertinenti rispetto alle soluzioni accolte dal primo Giudice (così Cass., II,
29.8.2019 n. 21824). Nella fattispecie al vaglio il gravame contiene articolati e specifici motivi di impugnazione avverso la sentenza di primo grado, del tutto idonei a consentire al Collegio giudicante un riesame della questione ed un pieno esercizio del diritto di difesa della controparte, che infatti ha ampiamente controdedotto alle asserzioni di parte appellante. Ciò posto,
l'appello è infondato e va, pertanto, disatteso.
2. Tanto premesso infondato si appalesa il primo motivo di appello, circa
l'errata valutazione dell'insussistenza della giusta causa di dimissioni.
È, innanzitutto, pacifica la sussistenza di un recesso unilaterale dal
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