Corte d'Appello Catania, sentenza 24/12/2024, n. 1229
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Testo completo
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D'APPELLO DI CATANIA
SEZIONE LAVORO
composta dai magistrati:
Dott.ssa Graziella Parisi Presidente
Dott.ssa Viviana Urso Consigliere
Dott.ssa Caterina Musumeci Consigliere rel. ha pronunciato la seguente
SENTENZA nella causa iscritta al n. 71/2023 R.G. promossa
DA
OT TO (C.F. [...]), rappresentato e difeso, giusta procura in atti, dall'avv. BENITO TRIOLO;
Ricorrente in riassunzione
CONTRO
AZIENDA OSPEDALIERA DI RILIEVO NAZIONALE E DI ALTA
SPECIALIZZAZIONE “GARIBALDI” DI CATANIA (C.F. 04721270876), in persona del Commissario Straordinario p.t., rappresentata e difesa, giusta procura in atti, dall'avv. SANTI PAPPALARDO;
ALLIANZ S.p.A. (P.IVA 05032630963), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avv. SANTO SPAGNOLO;
Resistenti in riassunzione
1 AVENTE AD OGGETTO: malattia professionale - risarcimento danni ex art.
2087 c.c.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n. 1088/2013 del 19.4.2013, il giudice del lavoro del Tribunale di
Catania rigettava il ricorso proposto da OT TO, ex dipendente dell'Azienda di Rilievo Nazionale e di Alta Specializzazione “Ospedale Garibaldi-San Luigi
Currò-Ascoli Tomaselli” di Catania, con il quale lo stesso chiedeva – previo accertamento della sussistenza dei danni patrimoniali e non patrimoniali, patiti in conseguenza della malattia (leucemia grave) contratta in occasione del lavoro quale tecnico di radiologia – di condannare l'Azienda evocata in giudizio al pagamento di
€ 2.436.814,32.
Espletata consulenza tecnica d'ufficio, il Tribunale, dopo aver precisato che “nel caso in esame, non era in discussione l'origine professionale della patologia da cui era affetto il ricorrente”, rilevava che gli esiti della consulenza avevano escluso la responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c., avendo questi rispettato le cautele necessarie ad eliminare i rischi per il lavoratore, in conformità alla normativa di settore vigente all'epoca di svolgimento dell'attività lavorativa.
Avverso la suddetta pronuncia proponeva appello il OT, con ricorso depositato il
5.6.2013, affidato a quattro motivi;
in particolare: 1) Lamentava l'errata valutazione circa l'insussistenza della responsabilità datoriale, assumendo che il mero rispetto delle prescrizioni legali vigenti sulla sicurezza non potesse ritenersi sufficiente ad escludere la colpa. Precisava, indi, che: con verbale n. 182/1997, l'ASL di Catania aveva prescritto all'Azienda sanitaria di migliorare gli esistenti cabinati anti X;
a fronte delle 36 visite mediche previste, il lavoratore era stato sottoposto ad appena 8 visite;
nonostante, in data 28.8.1996, fosse stata riscontrata la presenza di leucociti in quantità più elevata della norma, l'azienda datrice di lavoro non si era attivata per prevenire e scongiurare ulteriori conseguenze avverse;
non erano state effettuate le verifiche periodiche sui luoghi e sugli strumenti utilizzati dal personale del reparto e la documentazione (allegata ai verbali di causa) confermava la sussistenza di
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costanti dispersioni;
2) Denunciava il vizio di motivazione, per non aver il
Tribunale considerato che l'azienda avrebbe dovuto fornire non solo la prova di avere rispettato le norme “allora in vigore”, ma anche tutte le cautele imposte dalle conoscenze tecniche e scientifiche circa il rischio derivante dall'esposizione ad onde elettromagnetiche;
3) Si doleva della violazione dell'art. 174 del Trattato CE che aveva sancito il principio di prevenzione e precauzione;
4) Affermava che, a livello probabilistico, il nesso causale era stato dimostrato dalla pericolosità dell'ambiente lavorativo.
Si costituivano in giudizio sia l'azienda datrice di lavoro, che la compagnia assicuratrice, chiamata in causa dalla prima in garanzia.
Con la sentenza n. 677/2018 dell'1.8.2018, previo espletamento di nuova consulenza tecnica d'ufficio, la Corte d'Appello di Catania rigettava il gravame.
Incontestata l'origine professionale della patologia sofferta dal OT, la Corte
d'Appello osservava che dai dati dosimetrici risultava una esposizione costante e pluriennale alle radiazioni, ma non superiore nella media ai limiti legali. Indi, alla stregua della documentazione in atti, riteneva che il datore di lavoro avesse dimostrato di aver adottato tutte le cautele necessarie a prevenire i rischi connessi alla prestazione lavorativa e che, di contro, l'appellante non avesse provato la nocività dell'ambiente lavorativo.
Con ricorso per cassazione, OT TO impugnava la sentenza resa dalla Corte
d'Appello di Catania;
con il primo motivo deduceva la violazione dell'art. 2087 c.c. affermando che, accertata la tecnopatia, gravava sull'azienda l'onere della prova liberatoria della responsabilità;
lamentava che la Corte territoriale aveva, invero, omesso di considerare che per anni il datore di lavoro non aveva provveduto alle rilevazioni sulle dosi dell'esposizione, alle visite mediche, né aveva apportato le migliorie prescritte dall'ASL ai cabinati anti raggi X;
con il secondo motivo lamentava la violazione degli artt. 2087 e 1218 c.c., ritenendo che la Corte
d'Appello avesse trascurato il giudicato formatosi riguardo alla nocività del luogo di lavoro;
con il terzo motivo, infine, censurava la sentenza impugnata eccependo
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l'omesso esame del verbale dell'ASL di Catania, con cui l'azienda datrice di lavoro era stata sollecitata al miglioramento degli esistenti cabinati anti raggi X, al fine di ridurre il livello di esposizione.
Resistevano al ricorso l'Azienda ospedaliera e la compagnia assicuratrice.
La Corte di cassazione, con ordinanza n. 679/2023, accoglieva il primo motivo di ricorso, ritenendo assorbiti gli atri due. In particolare, osservava che, come già precisato con proprio precedente (ord. n. 14836/2018) – sebbene con riferimento all'indennità di rischio da radiazioni, di cui all'art. 1 legge n. 460/1988 ed alle connesse provvidenze del congedo biologico, della sorveglianza dosimetrica e delle visite periodiche di controllo – “per il personale medico e tecnico di radiologia sussiste una presunzione assoluta di esposizione a rischio, inerente alle mansioni naturalmente connesse alla qualifica rivestita”. Rilevava, quindi, che in fattispecie analoga a quella in esame, con sentenza n.14468/2013, era già stato affermato “che
l'art. 2087 cod.civ. impone all'imprenditore di adottare non soltanto le misure tassativamente prescritte dalla legge in relazione al tipo di attività esercitata, che rappresentano lo standard minimale fissato dal legislatore per la tutela della sicurezza del lavoratore, ma anche le altre misure richieste in concreto dalla specificità dei rischi connessi tanto all'impiego di attrezzi e macchinari, quanto all'ambiente di lavoro, dovendosi verificare, in caso di malattia derivante dall'attività lavorativa, le misure in concreto adottate dal datore di lavoro per evitare l'insorgenza della malattia”. Evidenziava che, nel caso di specie, la fattispecie esaminata dalla Corte territoriale aveva evidenziato che, proprio nel reparto ove lavorava il OT, si erano verificati altri casi di tecnopatie connesse all'esposizione, sicché poteva “ben dirsi che in concreto gli obblighi di protezione datoriale assumevano una consistenza concreta che richiedeva il corretto monitoraggio dell'esposizione innanzitutto e la sorveglianza sanitaria continua del personale esposto, e per altro verso, l'effettuazione degli interventi correttivi segnalati dalla ASL in funzione di prevenzione e protezione (cabinati più sicuri, strumenti dotati di schermatura, ecc.)”.
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La Corte di cassazione concludeva ritenendo che “Nel delineato contesto giurisprudenziale, peraltro del tutto in linea con diverse pronunce costituzionali in materia (v. Corte cost. sentenza n.343 del 7/7/1992 e sentenza n. 100 del
25/02/1991), la distinzione tra effetti deterministici e stocastici indicata in sentenza, al pari del richiamo ad una mera responsabilità di mezzi, risulta errata in diritto, oltre che incongrua rispetto al caso di specie”. Indi, cassava la sentenza impugnata con rinvio alla medesima Corte d'Appello in diversa composizione per un nuovo esame ed anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Con ricorso in riassunzione depositato il 24.1.2023, OT TO riassumeva la causa dinnanzi alla Corte d'Appello di Catania al fine di far dichiarare “la sussistenza in capo al ricorrente di un danno morale – biologico e patrimoniale, in conseguenza della contratta malattia della leucemia mieloide acuta, contratta in occasione del proprio lavoro di tecnico di radiologia espletato presso l'Azienda
Ospedaliera convenuta” e “ritenuta la responsabilità della stessa azienda ex art.
2087 c.c., per come sancita dalla Corte di Cassazione, condannare la convenuta al risarcimento di tutti i danni patiti dal ricorrente quale il danno biologico, morale e patrimoniale, oltre quegli altri danni successivi e prevedibili, nella misura complessiva di € 2.436.814,32, o di quell'altra maggiore o minore somma stabilenda anche con equo apprezzamento. Il tutto oltre interessi e rivalutazione monetaria dal momento del verificarsi dell'evento e fino al soddisfo, come per legge”;
chiedeva, infine, di condannare i resistenti alla rifusione delle spese delle ctu espletate nei precedenti giudizi, oltre al pagamento delle spese di lite di tutti i gradi di giudizio, ivi compreso il pagamento dell'ulteriore importo per contributo unificato di cui alla condanna in appello. Si costituivano l'Azienda Ospedaliera di
Rilievo Nazionale e di Alta Specializzazione “Garibaldi” di Catania e l'Allianz
S.p.A., chiedendo il rigetto del ricorso.
La causa veniva decisa all'esito dell'udienza del 28.11.2024, fissata ai sensi dell'art.
127 ter c.p.c., compiuti i termini assegnati alle parti per depositare note telematiche.
MOTIVI DELLA DECISIONE
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1. Come sopra precisato, la Corte di cassazione con la ordinanza di rinvio a questa
Corte non ha solo enunciato il principio di diritto al quale questa Corte dovrà
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