Corte d'Appello Catanzaro, sentenza 02/12/2024, n. 1286

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Corte d'Appello Catanzaro, sentenza 02/12/2024, n. 1286
Giurisdizione : Corte d'Appello Catanzaro
Numero : 1286
Data del deposito : 2 dicembre 2024

Testo completo

REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
CORTE DI APPELLO DI CATANZARO
Sezione Lavoro
La Corte, riunita in camera di consiglio, così composta: dott.ssa Barbara Fatale Presidente dott. Rosario Murgida Consigliere relatore dott.ssa Giuseppina Bonofiglio Consigliere ha pronunciato la seguente
SENTENZA nella causa in grado di appello iscritta al numero 877 del ruolo generale affari contenziosi dell'anno 2022, vertente
TRA
(avv. Maria Carmela Vadalà) Parte_1
appellante
E
(avv. ti Marina Cizza e Silvana Tassone) Controparte_1
appellata

Oggetto: rivendicazioni salariali e risarcitorie da rapporto di lavoro alle dipendenze di società in house.
Conclusioni: come dai rispettivi atti di causa.
FATTO
1. che alle dipendenze della Gestione Servizi s.p.a., Parte_1
società in house della , ha lavorato dal 31.12.2003 al 30.4.2018, Controparte_1
quando si è dimesso perché sin dal giugno 2016 non percepiva retribuzione, ha adito il tribunale di Crotone con ricorso del 13.5.2021 e ha chiesto che l'importo residuo delle
Pag. 1 di 12


retribuzioni maturate e non percepite” (per ottenere le quali si era già insinuata al passivo del fallimento della società) gli sia corrisposto dall'anzidetta , CP_1 nell'importo pari a 37.540,80 euro oltre al risarcimento dei danni che essa, con la sua condotta colpevole, gli ha provocato.
2. A fondamento delle sue rivendicazioni, ha invocato, gradatamente,
l'applicazione: a) dell'art. 2126 c.c., assumendo che il suo reale datore di lavoro sia stata la (per cui ha lavorato come autista) e non già la società in house che CP_1 formalmente l'ha assunto, la quale dal 29.5.2015 è stata messa in liquidazione ed è successivamente fallita;
b) dell'art. 30 del d.lgs. 50/2016;
c) dell'art. 1676 c.c.;
d) dell'art. 2043 c.c.;
e) dell'art. 2041 c.c.
3. Ha chiesto anche il risarcimento degli ulteriori danni che la gli ha CP_1 cagionato, dapprima, non esercitando con diligenza il “controllo analogo” sulla società in house e, dipoi, decidendo di non rinegoziare dopo il 2014 i “disciplinari” dei servizi affidati alla società in house, di non ricapitalizzarla e di non risanarla, così
determinandone l'ineluttabile fallimento”. A fondamento della richiesta di risarcimento danni (commisurati alle retribuzioni che “avrebbe dovuto percepire”, se la società in housefosse stata riportata in bonis e posta dalla in condizione di CP_1 perseguire gli scopi societari”) il ricorrente ha denunciato la “violazione dei principi generali di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c.” e ha invocato
l'applicazione dell'art. 36 del d.lgs. 165/2001.
4. Il tribunale ha rigettato il ricorso, compensando le spese, perché ha ritenuto:
a) che, stante l'autonomia della ridetta società in house rispetto alla Provincia convenuta, quest'ultima non può identificarsi come datrice di lavoro neppure nel periodo successivo alla scadenza del disciplinare del servizio a cui il ricorrente è stato addetto;
b) che la scelta del ricorrente di agire nei soli confronti della è CP_1
coerente con la prospettata estraneità della società in house al suo rapporto di lavoro e determina la mancata denuncia di un fenomeno di “interposizione illecita di manodepera” che non può dunque essere posto a fondamento – pena “il vizio di ultra petizione” – della pronuncia che invoca ai sensi dell'art. 2126 c.c.;
c) che “del resto” le allegazioni attoree concernenti l'assoggettamento al potere direttivo dell'ente convenuto
e il suo stabile inserimento nella sua organizzazione sono generiche e non provate;
d) che è infondata l'azione di responsabilità della per “mancato rinnovo dei CP_1
Pag. 2 di 12 contratti di servizio per il triennio successivo al 2014”, poiché manca “un obbligo contrattuale di rinnovo”;
e) che, “comunque”, manca la prova che l'inadempimento retributivo sofferto dal ricorrente sia dipeso dal mancato rinnovo del contratto avente ad oggetto il servizio a cui egli era addetto;
f) che le plurime condotte omissive che il ricorrente imputa alla , qualora provate, avrebbero causato un danno “al CP_1 patrimonio della società e non anche, direttamente, a quello dei creditori della società”, tra cui il ricorrente, con conseguente mancanza del nesso di causalità tra quelle condotte
e il danno di cui egli chiede il risarcimento;
g) che, “del resto”, non è stato dimostrato che la società in house sia fallita a causa del comportamento colposo della , il CP_1 quale, del resto, legittimerebbe esclusivamente l'eventuale azione risarcitoria del curatore fallimentare della società, ai sensi dell'art. 2497 c.c.; h) che non è applicabile alle società in house la disciplina dettata dall'art. 30 del d.lgs. 50/2016;
i) che, parimenti, nella specie non è applicabile l'art. 1676 c.c., perché il contratto di servizio intercorrente tra l'ente pubblico e la società in house non può essere assimilato al contratto di appalto;
j) che non ricorrono gli estremi applicativi dell'art. 2041 c.c., in mancanza, da un canto, di “un unico atto causativo dell'impoverimento e dell'arricchimento”, neppure allegato, e d'altro canto della mancata indicazione di quali siano, in concreto, l'arricchimento indebitamente conseguito dalla Provincia e la correlativa diminuzione patrimoniale del ricorrente.
5. Questi appella la sentenza e ne chiede l'integrale riforma. In via principale, sostiene che: a) nella specie, si deve escludere che la società in house della CP_1
abbia costituito un autonomo centro di imputazione di rapporti e posizioni
[...]
giuridiche e deve riconoscersi dedotta e provata, contrariamente a quanto ritenuto dal tribunale, “un'ipotesi di interposizione fittizia nel rapporto di lavoro”;
b) i “disciplinari di servizio”, che la società in house aveva stipulato con la , erano scaduti CP_1 allorché quest'ultima aveva decretato la liquidazione della società e, pertanto, non possono costituire il titolo in base al quale i dipendenti della società hanno continuato a prestare servizio in favore della . In subordine, censura la decisione del CP_1
tribunale di ritenere inapplicabili tanto l'art. 30 del d.lgs. n. 50/2016 (così abdicando ad una lettura costituzionalmente orientata della normativa e senza sollevare, dinanzi alla
Corte di giustizia dell'Unione europea, la questione pregiudiziale che tempestivamente egli aveva sollevato), tanto l'art. 1676 c.c. Infine, addebita al tribunale di aver
Pag. 3 di 12
erroneamente rigettato l'azione di responsabilità extracontrattuale che ha ritenuto preclusa ai singoli lavoratori ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 2497 c.c.
6. Nella resistenza della , che ha eccepito l'inammissibilità Controparte_1
e l'infondatezza dell'appello, la Corte ha disposto l'escussione di testimoni per accertare quale attività lavorativa abbia prestato il ricorrente nel periodo a cui afferiscono le sue rivendicazioni. All'esito, ha trattato la causa nelle forme cartolari previste dall'art. 127 ter c.p.c. e, acquisite le note di discussione di entrambe le parti, la decide con la presente sentenza.
DIRITTO
7. L'appello – pur ammissibile perché è formulato alla stregua di specifici rilievi alle statuizioni dianzi riassunte che, in conformità al paradigma di cui all'art. 434
c.p.c.
, sottopone ad argomentata critica1 – è infondato.
8. Con il primo motivo di gravame2, l'appellante denuncia – sotto un primo profilo – l'erroneità e la contraddittorietà delle argomentazioni teoriche in forza delle quali il tribunale ha ritenuto che la società in house datrice di lavoro costituisca un autonomo centro di imputazione di rapporti e di posizioni giuridiche. Nel caso concreto, poi, sostiene che la si debba considerare un'articolazione organizzativa interna dell'ente pubblico, “priva di effettiva autonomia”, in quanto sottoposta al suo controllo, destinata allo svolgimento di servizi inerenti alle sue finalità istituzionali, allocata in una sede che era stata presa in locazione dal medesimo ente pubblico, il quale beneficiava delle prestazioni lavorative dei dipendenti della società e le rimetteva solo gli importi necessari per pagare le loro retribuzioni. 1 Cass. 13535/2018: “Gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l'impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata
e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l'utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, ovvero la trascrizione totale o parziale della sentenza appellata, tenuto conto della
Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi