Corte d'Appello Milano, sentenza 29/04/2024, n. 277
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Testo completo
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Corte D'Appello di Milano
Sezione Lavoro
N. R.G. 1241/2023
La Corte D'Appello di Milano, Sezione Lavoro, in persona dei magistrati:
Dott. G P Presidente
Dott. R V Consigliere
Dott.ssa G D Consigliere Relatore all'udienza del 6 marzo 2024 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente
SENTENZA nella causa in grado d'appello in materia di lavoro avverso la sentenza del Tribunale di Milano n. 1585/2023 (est. S), promossa da
alternativamente denominata Parte_1 Parte_2 rappresentata e difesa dagli avv.ti M M e D D F ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell'avv. L M Filla, in Milano, piazza Armando Diaz n. 6,
- APPELLANTE - contro
, , Controparte_1 Controparte_2 Controparte_3 Controparte_4 CP_5
[...] rappresentati e difesi dagli avv.ti A C e G S, presso il cui studio in Roma, via Galilei n. 45, sono elettivamente domiciliati,
- APPELLATI -
I procuratori delle parti, come sopra costituite, hanno precisato le seguenti CONCLUSIONI
Appellante: “Voglia codesta Ecc.ma Corte, previa fissazione dell'udienza di discussione, accogliere il presente appello e, per l'effetto, in totale riforma dell'impugnata sentenza, rigettare tutte le domande proposte dagli odierni appellati nel giudizio di primo grado. Con vittoria di spese, competenze ed onorari del doppio grado di giudizio”.
Appellati: “ , , e Controparte_1 Controparte_2 Controparte_3 Controparte_4
come sopra rappresentati e difesi, chiedono il rigetto del ricorso in CP_5 appello ex adverso proposto, con conferma della sentenza impugnata e con liquidazione delle spese del presente giudizio, da distrarsi in favore degli scriventi difensori che se ne dichiarano antistatari”.
MOTIVI DELLA DECISIONE
IN FATTO E IN DIRITTO
Con sentenza pubblicata il 5 giugno 2023, il Tribunale di Milano in funzione di giudice del lavoro, definitivamente pronunciando nella causa n. 362/2023 R.G. promossa da , , e Controparte_1 Controparte_2 Controparte_3 Controparte_4 contro ha così deciso: “1) accerta e dichiara CP_5 Parte_1
l'illegittimità degli assorbimenti operati dalla società resistente, a far data da febbraio 2018, nelle buste paga dei ricorrenti, alla voce “sovraminimo individuale”;2) per
l'effetto, condanna la società resistente alla ricostituzione della predetta voce retributiva nella misura in godimento sino a gennaio 2018;3) condanna la società resistente al pagamento di tutte le somme indebitamente assorbite a far data dal febbraio 2018, in misura di complessivi euro 3.000,00 lordi, quanto a e Controparte_1
;euro 3.141,00 lordi quanto a euro 4.137,00 quanto a Controparte_2 Controparte_4
e ;oltre a tutti gli importi ulteriormente assorbiti CP_5 Persona_1 nei cedolini paga successivi a quello di dicembre 2022, fino alla data dell'effettivo soddisfo, con interessi legali e rivalutazione monetaria dal dovuto al saldo effettivo”.
Nel ricorso introduttivo del giudizio gli odierni appellati, premesso:
- di essere dipendenti di Parte_1
- di essere titolari di individuale;Org_1
- che, sebbene i superminimi fossero stati concessi con espressa previsione della loro assorbibilità, la datrice di lavoro non aveva mai provveduto ad alcun assorbimento in occasione dei rinnovi contrattuali e dei conseguenti aumenti dei minimi contrattuali;
- che dal mese di febbraio 2018, diversamente da quanto accaduto in passato, la società aveva iniziato ad assorbire dal superminimo goduto dai ricorrenti una somma pari a quella dell'aumento contrattuale e ciò si era ripetuto anche nel mese di luglio 2018, allorché era stato convenuto un ulteriore aumento contrattuale, nonché l'introduzione di un'ulteriore voce retributiva denomina E.R.S., che era stata anch'essa assorbita;ciò premesso, hanno chiesto di accertare l'illegittimità della condotta aziendale di assorbimento del superminimo e di condannare alla Parte_1
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ricostituzione della predetta voce nella misura in godimento a gennaio 2018, nonché al pagamento di tutte le somme indebitamente assorbite.
Costituendosi ritualmente nel giudizio di primo grado, ha Parte_1 eccepito preliminarmente l'inammissibilità delle domande avversarie per mancato assolvimento dell'onere allegatorio e probatorio a carico dei ricorrenti;nel merito ne ha contestato la fondatezza, concludendo per il loro rigetto. Il Tribunale, disattesa l'eccezione di inammissibilità del ricorso per mancato assolvimento dell'onere di allegazione e prova da parte dei ricorrenti, ha ritenuto la documentazione attorea versata in causa idonea a provare non solo l'assegnazione del superminimo ai ricorrenti, ma anche il mancato assorbimento dello stesso in un ampio arco di tempo (in taluni casi, anche per 18 anni), a partire dalla prima assegnazione. Tale circostanza, a parere del primo giudice, dimostrava la volontà della società, sino all'accordo collettivo del 23 novembre 2017, di non voler procedere – nonostante i vari rinnovi contrattuali e i relativi incrementi retributivi - ad alcuna decurtazione di tale voce e di volere sottrarre il superminimo al principio dell'assorbimento, con un comportamento più che concludente. Con riguardo poi all'elemento retributivo denominato E.R.S. (elemento retributivo separato), introdotto dall'accordo collettivo del 23 novembre 2017, il giudice di prime cure ha evidenziato che esso non incide, a differenza del superminimo, sul trattamento di fine rapporto, il che renderebbe i due emolumenti non comparabili e non equivalenti.
Pertanto, conclude la pronuncia impugnata, “il superminimo, oltre che per le ragioni anzidette relative alla sua natura “non assorbibile” non può essere vanificato Part per effetto della corresponsione dell' proprio per la incomparabilità dei due emolumenti.
Invero, l'assorbimento del superminimo in misura esattamente pari alla somma corrisposta a titolo di E.R.S. finisce per causare una riduzione del complessivo trattamento economico percepito dai lavoratori, stante la diversa incidenza del superminimo rispetto all'E.R.S. che già include gli istituti diretti ed indiretti ed è escluso dalla base di calcolo del TFR, con la conseguenza che i lavoratori subiscono, in tal modo, un pregiudizio nel computo e nel riconoscimento degli istituti diretti ed indiretti nonché nella determinazione del TFR”. Il Tribunale ha, quindi, accolto le domande dei lavoratori, dichiarando non assorbibile il superminimo goduto dai ricorrenti e condannando la società al pagamento delle somme illegittimamente assorbite a decorrere da febbraio 2018.
Avverso la sentenza ha proposto appello affidandosi a tre Parte_1 motivi. Con il primo motivo denuncia violazione degli artt. 115 e 414 c.p.c. e dell'art.
2697 c.c..
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Ad avviso di parte appellante il giudice di prime cure ha errato laddove, in base ad un esame eccessivamente sommario e superficiale delle allegazioni formulate dagli odierni appellati e dei riscontri probatori acquisiti in corso di causa, ha rilevato
l'infondatezza dell'eccezione di inammissibilità della domanda per mancato assolvimento dell'onere allegatorio e probatorio, tempestivamente formulata dalla società nella propria memoria di costituzione. Nell'ottica del gravame i lavoratori non si sarebbero dovuti limitare ad affermare genericamente di percepire e di aver percepito il superminimo, ma avrebbero dovuto allegare e dimostrare, in modo puntuale e rigoroso, che, a fronte delle variazioni retributive scaturite dai precedenti rinnovi del contratto collettivo, il datore di lavoro aveva continuato ad erogare l'emolumento ad personam riconoscendo la natura “non assorbibile”, originaria o sopravvenuta, dello stesso.
Gli appellati, invece, non solo non avevano formulato alcuna allegazione, né fornito alcun riscontro probatorio in ordine alla pretesa natura non assorbibile del superminimo percepito, ma avevano anzi espressamente dato atto nel ricorso introduttivo che, in occasione del suo riconoscimento, la società aveva attestato la natura assorbibile dell'emolumento.
Con il secondo motivo lamenta violazione degli artt. 112 e Parte_1
115 c.c. e dei consolidati principi giurisprudenziali in materia di assorbimento del superminimo.
Parte appellante si duole che il Tribunale abbia proceduto ad un esame eccessivamente sommario e superficiale della vicenda dedotta in giudizio, con ciò trascurando rilevanti e determinanti elementi probatori che erano stati sottoposti alla sua attenzione, ignorando i puntuali rilievi e le specifiche eccezioni formulate dalla società e violando, al contempo, i principi reiteratamente affermati dalla giurisprudenza in materia di assorbimento dei superminimi.
Evidenzia, in particolare, che per escludere il meccanismo dell'assorbimento del superminimo a fronte dei miglioramenti contemplati dalla disciplina collettiva è necessario un vero e proprio accordo novativo tra datore di lavoro e lavoratore, volto a derogare al principio generale dell'assorbimento, e che, nel caso di specie, difetterebbe qualsivoglia specifica allegazione e qualsivoglia riscontro probatorio sull'esistenza di uno specifico accordo tra le parti, volto a conferire natura non assorbibile al superminimo individuale di cui si controverte.
Con il terzo motivo censura la pronuncia per violazione e falsa applicazione della disciplina collettiva sull' (accordo collettivo del 23 novembre 2017), dell'art. Pt_3
2120 c.c. e dell'art. 2697 c.c., laddove afferma l'illegittimità dell'assorbimento dei superminimi operato dall'odierna appellante con riferimento all' (elemento Pt_3 retributivo separato).
Nella prospettiva del gravame il giudice di prime cure avrebbe posto a base della decisione un'errata interpretazione della natura dell' avendo ritenuto che Pt_3
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tale voce abbia un “peso” diverso dal superminimo, in quanto ricomprende già al suo interno gli istituti diretti ed indiretti ed è escluso dalla base di calcolo del trattamento di fine rapporto.
In realtà – deduce parte appellante – l'assorbimento del superminimo può avvenire mediante qualsiasi altra voce retributiva dell'aumento previsto dal contratto collettivo, in assenza di alcun divieto in materia. La domanda relativa all'assorbimento del superminimo con l' sarebbe, Pt_3 dunque, da ritenere inammissibile e comunque infondata, per non avere gli odierni appellati impugnato l'accordo collettivo istitutivo dell'anzidetta voce economica, che aveva, peraltro, rideterminato ai sensi dell'art. 2120 c.c. gli emolumenti incidenti sul calcolo del TFR. Parte appellante sottolinea, inoltre, che i lavoratori non hanno subito alcuna riduzione del trattamento economico complessivo erogato, ma esclusivamente una diversa quantificazione delle voci che compongono la loro retribuzione, la cui sommatoria, complessivamente, restituisce il medesimo valore percepito prima dell'assorbimento del superminimo. Sulla base delle argomentazioni esposte l'appellante ha Parte_1 chiesto l'integrale riforma della sentenza impugnata e l'accoglimento delle conclusioni in epigrafe trascritte.
Costituendosi ritualmente in giudizio, i lavoratori appellati hanno chiesto il rigetto del gravame avversario e l'accoglimento delle conclusioni sopra richiamate.
All'udienza del 6 marzo 2024, all'esito della discussione orale, il Collegio ha deciso la causa come da dispositivo trascritto in calce alla presente sentenza.
L'appello è infondato e dev'essere respinto, con conferma della sentenza impugnata.
Sulle questioni oggetto di controversia questa Corte si è già espressa con plurime pronunce rese in fattispecie sovrapponibili alla presente, le cui motivazioni sono condivise dal Collegio e devono intendersi qui integralmente richiamate ai sensi e per gli effetti dell'art. 118 disp. att. c.p.c. (cfr. in particolare sentenza n. 263/2023, est.
M, pres. Pciau;sentenza n. 724/2023, est. B, pres. Pciau;sentenza n.
781/2023, est. , pres. sentenza n. 31/2024, pres. est. Pciau). Per_2 Per_3
Tanto premesso, con riguardo al primo motivo di gravame il Collegio reputa infondate le censure avverso il capo di sentenza che ha respinto l'eccezione di inammissibilità delle domande attoree per mancato assolvimento dell'onere allegatorio e probatorio.
I lavoratori odierni appellati hanno allegato al ricorso introduttivo: le lettere di attribuzione dei superminimi assorbibili, ad eccezione che per assunta CP_5 alle dipendenze di il 10 luglio 2000 ed il cui rapporto di lavoro è stato Parte_4 trasferito a con effetto dal 24 dicembre 2002 ex art. 2112 c.c. a seguito di Parte_2 fusione per incorporazione dell'originaria datrice di lavoro (cfr. docc. 1, 3, 5, 8 e 10
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fascicolo appellati di primo grado);l'accordo collettivo del 23 novembre 2017 (cfr. doc.
13 fascicolo appellati di primo grado);i cedolini paga che dimostrano per tutti i lavoratori, inclusa l'attribuzione del superminimo individuale e CP_5
l'avvenuto assorbimento dello stesso a decorrere da febbraio 2018 (cfr. docc. 2, 4, 7, 9
e 11 fascicolo appellati di primo grado).
I lavoratori hanno inoltre allegato, sin dal primo grado di giudizio, che mai, prima del febbraio 2018, la società aveva proceduto all'assorbimento del superminimo in occasione dei precedenti rinnovi ed aumenti contrattuali susseguitisi negli anni
2001, 2002, 2003, 2004, 2006, 2007, 2008, 2010, 2011, 2013, 2014.
L'allegazione non è stata in alcun modo contestata da la Parte_1 quale, anche in sede di gravame, si è limitata a replicare che il mancato assorbimento del superminimo individuale in occasione dei precedenti rinnovi degli accordi collettivi sarebbe inidoneo ad attestare la volontà “cristallizzata” del datore di lavoro di qualificare e considerare il superminimo non assorbibile, senza, tuttavia, mai contestare il fatto storico del mancato assorbimento del superminimo in occasione dei rinnovi contrattuali intervenuti prima dell'accordo collettivo del 23 novembre 2017. Alla luce del quadro assertivo contenuto nel ricorso introduttivo e della documentazione ad esso allegata, nonché dell'omessa contestazione, da parte della società, dell'allegazione dei ricorrenti in punto di reiterato e generalizzato mancato assorbimento dei superminimi individuali per un periodo pluriennale, deve ritenersi che i lavoratori abbiano assolto gli oneri di allegazione e prova su di essi gravanti.
Infatti, come si dirà più ampiamente nel prosieguo esaminando il secondo motivo di gravame, gli elementi sopra richiamati appaiono sufficienti ad integrare gli estremi di un uso aziendale avente ad oggetto la non assorbibilità dei superminimi di cui si controverte.
Da tutto ciò deriva l'infondatezza del primo motivo di appello, con cui si censura la sentenza per avere respinto l'eccezione preliminare di inammissibilità del ricorso ex art. 414 c.p.c. per asserito mancato assolvimento degli oneri probatori ed allegatori.
Infondato si ritiene anche il secondo motivo, con cui l'appellante lamenta la violazione dei principi giurisprudenziali in materia di assorbimento del superminimo.
Il cosiddetto superminimo, ossia l'eccedenza della retribuzione rispetto ai minimi tabellari, individualmente pattuito tra datore di lavoro e lavoratore, è normalmente soggetto al principio generale dell'assorbimento nei miglioramenti contemplati dalla disciplina collettiva.
Tale principio generale, tuttavia, non opera ove così sia previsto dalla stessa disciplina collettiva o dagli accordi individuali intercorsi tra le parti, restando a carico del lavoratore l'onere di provare la sussistenza del titolo che autorizza il mantenimento del superminimo, escludendone l'assorbimento (cfr. in tal senso ex multis Cass., 17 ottobre 2018 n. 26017; Cass., 29 agosto 2012 n. 14689;Cass., 17 luglio 2008 n.19750).
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Nel caso di specie ritiene il Collegio che detto onere sia stato assolto dai lavoratori, in quanto le circostanze di fatto allegate nel ricorso introduttivo, unitamente ai riscontri documentali e al contegno processuale di non contestazione della società datrice di lavoro, hanno delineato l'esistenza di un uso aziendale in forza del quale la regola dell'assorbibilità del superminimo è stata derogata.
Si richiama in proposito ex art. 118 disp. att. c.p.c. quanto condivisibilmente statuito dalla citata sentenza di questa Corte n. 724/2023: “Come più volte affermato dalla Suprema Corte di Cassazione, “la reiterazione costante e generalizzata di un comportamento favorevole del datore di lavoro nei confronti dei propri dipendenti integra, di per sé, gli estremi dell'uso aziendale, il quale, in ragione della sua appartenenza al novero delle cosiddette fonti sociali - tra le quali vanno considerati sia i contratti collettivi, sia il regolamento d'azienda e che sono definite tali perché, pur non costituendo espressione di funzione pubblica, neppure realizzano meri interessi individuali, in quanto dirette a conseguire un'uniforme disciplina dei rapporti con riferimento alla collettività impersonale dei lavoratori di un'azienda - agisce sul piano dei singoli rapporti individuali alla stesso modo e con la stessa efficacia di un contratto collettivo aziendale” (cfr. Cass. 28 luglio 2009 n. 17481;Cass. 25 marzo 2013 n. 7395 nonché Cass. ss.uu. 13 dicembre 2007 n. 26107;cfr. anche la più recente Cass.,
2/11/2021, n. 31204: “Nell'ambito dei rapporti di lavoro, la reiterazione costante e generalizzata di un comportamento favorevole ai dipendenti integra gli estremi dell'uso aziendale che, essendo diretto, quale fonte sociale, a conseguire un'uniforme disciplina dei rapporti con la collettività impersonale dei lavoratori di un'azienda, agisce sul piano dei singoli rapporti individuali allo stesso modo e con la stessa efficacia di un contratto collettivo aziendale”). La giurisprudenza (cfr. ad esempio Cass. 8.4.2010, n. 8342) ha anche rimarcato che – una volta accertata la reiterazione costante e generalizzata di un comportamento favorevole del datore di lavoro nei confronti dei propri dipendenti che si traduca, come è nel caso di specie, in un trattamento economico o normativo di maggior favore rispetto a quello previsto dai contratti (individuali e collettivi) - la conseguente individuazione di un uso aziendale comporta che alla modifica in melius del trattamento dovuto ai lavoratori non si applichino: • né l'art. 1340 cod. civ. (norma che presuppone un uso già esistente per una determinata tipologia di contratti, la tacita volontà di inserimento delle parti ed il potere delle stesse di escluderlo);• né, in generale, la disciplina civilistica sui contratti (con esclusione, quindi, di un'indagine sulla volontà del datore di lavoro e dei sindacati, collocandosi l'uso aziendale sul piano della regolamentazione collettiva esterna ai contratti individuali e traendo origine dal mero fatto del comportamento spontaneo del datore di lavoro);• né l'art. 2077, comma secondo, cod. civ. (attesa la dimensione collettiva e non individuale della regolamentazione originata da un uso aziendale, ferma peraltro la conseguente legittimazione delle fonti collettive, nazionali e aziendali, di disporre una modifica "in pejus" del trattamento in tal modo attribuito). Il protrarsi nel tempo di comportamenti
pag. 7/13 aventi carattere generale in quanto applicati nei confronti di tutti i dipendenti dell'azienda con lo stesso contenuto, comporta ex se la configurabilità di un vero e proprio “uso aziendale”, rendendo irrilevante l'indagine su quale fosse la volontà del datore di lavoro e ciò in quanto l'origine dell'uso aziendale deriva dal mero fatto del comportamento spontaneo del datore di lavoro, di natura non contrattuale (così Cass.
SU 30.3.1994 n. 3134)”. Nel caso di specie, come già evidenziato nella disamina del primo motivo di gravame, non ha puntualmente contestato, nella memoria di Parte_1 costituzione avanti il Tribunale e neppure in sede di gravame, l'allegazione dei lavoratori circa il fatto che mai prima del 2018, in occasione dei precedenti rinnovi ed aumenti contrattuali, la società aveva proceduto all'assorbimento del superminimo nei confronti dei dipendenti che avevano in godimento un simile trattamento ad personam.
Sono pertanto rinvenibili nella fattispecie gli elementi costitutivi dell'uso aziendale, come tratteggiati dalla giurisprudenza di legittimità sopra richiamata, ed in particolare la reiterazione costante e generalizzata, da parte del datore di lavoro, di un comportamento favorevole nei confronti di una vasta platea di dipendenti (il mancato assorbimento del superminimo), protratto per un periodo pluriennale e posto in essere spontaneamente e non già in esecuzione di un obbligo.
L'esistenza di un uso aziendale favorevole ai lavoratori esclude il diritto dell'azienda di procedere all'assorbimento del superminimo effettuato a far tempo da febbraio 2018. Quanto al rilievo di parte appellante, secondo cui l'eventuale uso aziendale può comunque essere superato, anche in senso peggiorativo per il dipendente, dalla successiva contrattazione collettiva, giova ancora una volta richiamare ex art. 118
c.p.c. le argomentazioni della sentenza di questa Corte n. 724/2023, integralmente condivise dal Collegio: “Vero è che, come argomentato dall'appellante, l'uso aziendale non si incorpora nei contratti individuali di lavoro e opera con efficacia assimilabile a quella dei contratti collettivi, sicché, come è per il contratto collettivo che non abbia un predeterminato termine di efficacia, esso non può vincolare per sempre tutte le parti contraenti, ben potendo l'uso essere superato da un successivo contratto collettivo di segno contrario o anche dalla disdetta unilaterale della parte. Vero è anche, tuttavia, che da tali corretti presupposti non discendono le conseguenze volute dall'appellante.
Ed infatti, l'accordo del 23.11.2017, nel prevedere gli aumenti retributivi (tra Part cui il già menzionato , non contiene alcuna previsione dalla quale possa desumersi
– esplicitamente o implicitamente - il superamento dell'uso esistente o comunque la facoltà, per l'azienda, di provvedere – diversamente da quanto consentito dall'uso aziendale- all'assorbimento del superminimo in misura corrispondente ai nuovi aumenti.
pag. 8/13 Non è pertanto pertinente il richiamo dell'appellante al principio espresso da
Cass. 24/07/2006, n.16862 (pronuncia secondo cui “Poiché ogni norma del contratto collettivo è una nuova norma, nei confronti della - pur simile - norma contenuta nel precedente contratto (e, nell'ipotesi di attribuzione al datore di disporre l'assorbimento di preesistenti assegni nei disposti aumenti contrattuali, il contratto conferisce un nuovo potere, indipendente da quello precedentemente riconosciutogli), il comportamento del datore di lavoro in relazione all'esercizio del potere di disporre (o non disporre) l'assorbimento di preesistenti assegni personali nei miglioramenti recati dal singolo contratto, essendo indipendente dal comportamento del datore in relazione al riconoscimento di analogo potere in un successivo contratto, non costituisce una idonea base per formare, nei confronti di tale contratto, una vincolante prassi aziendale”), in quanto trattasi di pronuncia resa in una fattispecie in cui il contratto collettivo che prevedeva l'aumento retributivo espressamente affermava l'assorbibilità dell'incremento. Nel caso di specie, invece, per un verso la scelta compiuta da Pt_1
di non procedere all'assorbimento sino al 2018 è stata una scelta libera, non
[...] imposta da alcuna norma di legge o di contratto, e poi protrattasi per decenni;per altro verso, l'accordo del 23.11.2017 nulla disponeva circa la possibilità di assorbimento dei preesistenti assegni personali negli aumenti introdotti a far data dal
1°.2.2018.
Né è ravvisabile, nella condotta aziendale, un comportamento qualificabile come disdetta unilaterale.
Ed infatti, ad avviso del Collegio, la decisione di provvedere all'assorbimento del superminimo in occasione dell'accordo del 23.11.2017 integra al più un inadempimento dell'uso aziendale, mentre non costituisce condotta idonea a manifestare - in modo univoco ed intellegibile per l'interlocutore- l'intenzione del datore di lavoro di disdettare l'uso e di sottrarsi quindi anche per il futuro ai vincoli da esso nascenti. La convinzione del Collegio in ordine alla ritenuta infondatezza del primo motivo di appello trova del resto conforto nella decisione assunta da questa Corte nella sentenza n. 263/2023 (est. M) in fattispecie analoga a quella odierna;decisione la cui condivisa motivazione di seguito si richiama, ex art. 118 disp. att. c.p.c.: “Non risulta contestato che gli appellati, nell'ambito dei propri accordi individuali con il datore di lavoro, beneficino di superminimi, qualificati negli stessi come “assorbibili”.
Proprio per questo, in ragione di tale natura di compenso assorbibile derivante dall'accordo individuale, la ha argomentato di avere legittimamente Pt_1 provveduto al loro assorbimento in rapporto agli aumenti contrattuali di cui all'accordo del 23 novembre del 2017. Sennonché, si deve ritenere che la tesi difensiva della
non sia accoglibile, dovendosi accertare un uso aziendale a favore dei Pt_1 lavoratori per il non assorbimento dei superminimi. In proposito, occorre rammentare che la Suprema Corte ha chiarito che“ la reiterazione costante e generalizzata di un
pag. 9/13 comportamento favorevole del datore di lavoro nei confronti dei propri dipendenti che si traduca in trattamento economico o normativo di maggior favore rispetto a quello previsto dai contratti (individuali e collettivi) integra, di per sé, gli estremi dell'uso aziendale, il quale, in ragione della sua appartenenza al novero delle cosiddette fonti sociali - tra le quali vanno considerati sia i contratti collettivi, sia il regolamento
d'azienda e che sono definite tali perché, pur non costituendo espressione di funzione pubblica, neppure realizzano meri interessi individuali, in quanto dirette a conseguire un'uniforme disciplina dei rapporti con riferimento alla collettività impersonale dei lavoratori di un'azienda - agisce sul piano dei singoli rapporti individuali allo stesso modo e con la stessa efficacia di un contratto collettivo aziendale. Ne consegue che ove la modifica "in melius" del trattamento dovuto ai lavoratori trovi origine nell'uso aziendale, ad essa non si applica né l'art. 1340 cod. civ. - che postula la volontà, tacita, delle parti di inserire l'uso o di escluderlo - né, in generale, la disciplina civilistica sui contratti - con esclusione, quindi, di un'indagine sulla volontà del datore di lavoro e dei sindacati - né, comunque, l'art. 2077, comma secondo, cod. civ., con la conseguente legittimazione delle fonti collettive (nazionali e aziendali) di disporre una modifica "in peius" del trattamento in tal modo attribuito” (cfr. Cass. Sentenza n. 8342 del
08/04/2010 Sentenza n. 17481 del 28/07/2009 U, Sentenza n. 26107 del 13/12/2007
Sentenza n. 10591 del 03/06/2004). Così come “Nell'ambito dei rapporti di lavoro, la reiterazione costante e generalizzata di un comportamento favorevole ai dipendenti integra gli estremi dell'uso aziendale che, essendo diretto, quale fonte sociale, a conseguire un'uniforme disciplina dei rapporti con la collettività impersonale dei lavoratori di un'azienda, agisce sul piano dei singoli rapporti individuali allo stesso modo e con la stessa efficacia di un contratto collettivo aziendale (Cass., n. 31204 del
02/11/2021). E' pacifico che la per gli anni dedotti in causa e fino al 2017, Pt_1 quindi per un significativo arco temporale, non abbia disposto l'assorbimento del superminimo con gli aumenti della retribuzione previsti dalla contrattazione collettiva. Detta condotta assume un chiaro significato giuridico, giacché diversamente la stessa definizione di uso aziendale non avrebbe senso e significato, non essendo certamente necessario una ulteriore condotta chiarificatrice del datore di lavoro che non sia la costante e reiterata decisione di non assorbire il superminimo in occasione dei numerosi rinnovi contrattuali intercorsi nel tempo. Ed allora, una volta qualificato quale uso aziendale la condotta della società, non è certamente sufficiente che la stessa decida di diversamente determinarsi per vanificarne gli effetti ma, al contrario, risulta necessario un elemento di discontinuità che non può che derivare da una fonte analoga e collettiva. Ciò in quanto “l'uso aziendale costituisce fonte di un obbligo unilaterale, di carattere collettivo, che agisce sul piano dei rapporti individuali con la stessa efficacia di un contratto collettivo, sicché, salvaguardati i diritti quesiti, esso può essere modificato da un successivo accordo anche in senso peggiorativo per i lavoratori
(cfr. Cass. Sentenza n. 3296 del 19/02/2016. Inoltre nel corso del tempo si sono i sono
pag. 10/13 succedute, senza soluzione di continuità, procedure di mobilità volontaria e contratti di solidarietà eppure non sono mai stati assorbiti i superminimi. Non risulta, infatti, controverso che il 26 giugno 2008 è stata avviata una procedura di mobilità per 5.000 lavoratori;- il 26 maggio 2009 è stata adottata una procedura di mobilità per 470 lavoratori, tramutata poi in contratto di solidarietà per 1054 dipendenti;- il 04 agosto
2010 è stata attuata una procedura di mobilità per 3.900 lavoratori, tramutata poi in contratto di solidarietà siglato il 21 ottobre 2010 per 1.100 lavoratori, con durata sino al 07 novembre 2012;- il 27 marzo 2013 e stata avviata una procedura di mobilità per
500 lavoratori, tramutata in un contratto di solidarietà per 2.500 lavoratori con durata sino al 14 aprile 2015;- il 27 aprile 2015 viene avviata una procedura di mobilità per
330 lavoratori, tramutata in un contratto di solidarietà per 2.600 lavoratori con durata sino al 03 gennaio 2018 . Dunque, il decorso del lungo tempo suddetto e, in aggiunta, il comportamento del datore di lavoro di non scegliere di assorbire i superminimi, nonostante le difficoltà economiche anche presenti, senza comunicare riserve per gli anni successivi, confermano la sussistenza di una condotta aziendale univoca e generalizzata e che si è tradotta in trattamento economico o normativo di maggior favore rispetto alla regola dei contratti individuali della assorbibilità del superminimo e che integra, di per sé, gli estremi dell'uso aziendale. E' bene precisare che tale prassi aziendale, in ragione della sua appartenenza al novero delle cosiddette “fonti sociali” - tra le quali vanno considerati anche i contratti collettivi e che sono definite tali perché, pur non costituendo espressione di funzione pubblica, neppure realizzano meri interessi individuali, in quanto dirette a conseguire un'uniforme disciplina dei rapporti con riferimento alla collettività impersonale dei lavoratori di un'azienda - agisce sul piano dei singoli rapporti individuali allo stesso modo e con la stessa efficacia di un contratto collettivo aziendale. Ne consegue che ove la modifica "in melius" del trattamento dovuto ai lavoratori trovi origine nell'uso aziendale, non rientrandosi in un'ipotesi ex articolo 1340 cc, non viene modificata la pattuizione dell'accordo individuale, che resta intatta nelle sue previsioni, potendo tornare ad operare, laddove venga meno l'efficacia della fonte sociale menzionata. L'uso aziendale, infatti, viene ad operare come fonte intermedia e autonoma, tra il contratto individuale che prevede l'assorbimento del superminimo e l'accordo collettivo che attribuisce gli aumenti sui minimi contrattuali, assicurando nel caso il diritto dei lavoratori al non assorbimento. Le disposizioni collettive possono ovviamente modificare la regola del mancato assorbimento, operando l'uso aziendale sullo stesso piano delle disposizioni collettive di prossimità
(Cass. Sez. L, Sentenza n. 8342 del 08/04/2010;Sez. L, Sentenza n. 3296 del
19/02/2016) ma, ovviamente, è necessario perché ciò avvenga che risulti, sul piano collettivo, tale modifica. Nella fattispecie in esame, ad avviso del Collegio, sul piano collettivo tuttavia non risulta alcuna modifica tramite accordo collettivo del sussistente, per quanto si è detto, uso aziendale inerente la non assorbibilità del superminimo. Ed invero, negli accordi intervenuti nel novembre 2017, non risulta una volontà in tal
pag. 11/13 senso, ma solo che “ i trattamenti economici del personale dipendente….vengono adeguati come da tabelle allegate”, dove le tabelle allegate prevedono solo aumenti retributivi e il riconoscimento dell'Elemento Retributivo Separato. Non può dunque ritenersi modifica operata dalla contrattazione collettiva, la condotta unilaterale del datore di lavoro che faccia luogo all'assorbimento”.
Per tutte le ragioni esposte l'esaminato motivo di gravame deve essere respinto.
Va respinto anche il terzo ed ultimo motivo.
Le argomentazioni che precedono assorbono le censure, svolte in detto motivo, nei confronti della sentenza di primo grado, laddove ha escluso l'assorbibilità del superminimo nella voce retributiva anche in ragione della ritenuta Pt_3
“incomparabilità dei due emolumenti”.
Infondato è poi l'argomento secondo cui i lavoratori avrebbero dovuto impugnare l'accordo collettivo del 23 novembre 2017, che ha introdotto la voce E.R.S.:
i lavoratori, infatti, non contestano l'accordo in sé, bensì l'applicazione non corretta che di esso la società ha inteso dare, attraverso l'assorbimento del superminimo ad personam con la voce retributiva (E.R.S.) ivi prevista.
Infine, è irrilevante che i lavoratori non abbiano subito, per effetto dell'assorbimento, alcuna riduzione del trattamento economico complessivo erogato: gli odierni appellati, infatti, non lamentano una riduzione del trattamento retributivo in godimento, ma rivendicano il diritto a che il superminimo attribuito ad personam non venga assorbito negli aumenti retributivi disposti dalla contrattazione collettiva (segnatamente dall'accordo collettivo del 23 novembre 2017) e, dunque, si cumuli ad essi. Rispetto a tale pretesa, il fatto che gli appellati non abbiano subito riduzioni del trattamento economico percepito rappresenta una circostanza del tutto ininfluente.
Alla luce delle argomentazioni tutte che precedono, dirimenti ed assorbenti di ogni altra questione, il gravame proposto da deve essere respinto, Parte_1 con integrale conferma della sentenza n. 1585/2023 del Tribunale di Milano.
Il regolamento delle spese di lite del grado segue il criterio della soccombenza
e, tenuto conto del valore della causa, della serialità della controversia, del numero delle parti e dell'assenza di attività istruttoria, le stesse si liquidano come da dispositivo, in applicazione del d.m. 10 marzo 2014 n. 55, come modificato dal d.m. 13 agosto 2022 n. 147, con distrazione in favore dei difensori degli appellati ex art. 93
c.p.c..
Atteso l'integrale rigetto dell'appello, si dà atto che sussistono i presupposti per il pagamento, da parte dell'appellante, di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, giusta il disposto dell'art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2012 n. 115, introdotto dall'art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012 n. 228.
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IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Corte D'Appello di Milano
Sezione Lavoro
N. R.G. 1241/2023
La Corte D'Appello di Milano, Sezione Lavoro, in persona dei magistrati:
Dott. G P Presidente
Dott. R V Consigliere
Dott.ssa G D Consigliere Relatore all'udienza del 6 marzo 2024 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente
SENTENZA nella causa in grado d'appello in materia di lavoro avverso la sentenza del Tribunale di Milano n. 1585/2023 (est. S), promossa da
alternativamente denominata Parte_1 Parte_2 rappresentata e difesa dagli avv.ti M M e D D F ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell'avv. L M Filla, in Milano, piazza Armando Diaz n. 6,
- APPELLANTE - contro
, , Controparte_1 Controparte_2 Controparte_3 Controparte_4 CP_5
[...] rappresentati e difesi dagli avv.ti A C e G S, presso il cui studio in Roma, via Galilei n. 45, sono elettivamente domiciliati,
- APPELLATI -
I procuratori delle parti, come sopra costituite, hanno precisato le seguenti CONCLUSIONI
Appellante: “Voglia codesta Ecc.ma Corte, previa fissazione dell'udienza di discussione, accogliere il presente appello e, per l'effetto, in totale riforma dell'impugnata sentenza, rigettare tutte le domande proposte dagli odierni appellati nel giudizio di primo grado. Con vittoria di spese, competenze ed onorari del doppio grado di giudizio”.
Appellati: “ , , e Controparte_1 Controparte_2 Controparte_3 Controparte_4
come sopra rappresentati e difesi, chiedono il rigetto del ricorso in CP_5 appello ex adverso proposto, con conferma della sentenza impugnata e con liquidazione delle spese del presente giudizio, da distrarsi in favore degli scriventi difensori che se ne dichiarano antistatari”.
MOTIVI DELLA DECISIONE
IN FATTO E IN DIRITTO
Con sentenza pubblicata il 5 giugno 2023, il Tribunale di Milano in funzione di giudice del lavoro, definitivamente pronunciando nella causa n. 362/2023 R.G. promossa da , , e Controparte_1 Controparte_2 Controparte_3 Controparte_4 contro ha così deciso: “1) accerta e dichiara CP_5 Parte_1
l'illegittimità degli assorbimenti operati dalla società resistente, a far data da febbraio 2018, nelle buste paga dei ricorrenti, alla voce “sovraminimo individuale”;2) per
l'effetto, condanna la società resistente alla ricostituzione della predetta voce retributiva nella misura in godimento sino a gennaio 2018;3) condanna la società resistente al pagamento di tutte le somme indebitamente assorbite a far data dal febbraio 2018, in misura di complessivi euro 3.000,00 lordi, quanto a e Controparte_1
;euro 3.141,00 lordi quanto a euro 4.137,00 quanto a Controparte_2 Controparte_4
e ;oltre a tutti gli importi ulteriormente assorbiti CP_5 Persona_1 nei cedolini paga successivi a quello di dicembre 2022, fino alla data dell'effettivo soddisfo, con interessi legali e rivalutazione monetaria dal dovuto al saldo effettivo”.
Nel ricorso introduttivo del giudizio gli odierni appellati, premesso:
- di essere dipendenti di Parte_1
- di essere titolari di individuale;Org_1
- che, sebbene i superminimi fossero stati concessi con espressa previsione della loro assorbibilità, la datrice di lavoro non aveva mai provveduto ad alcun assorbimento in occasione dei rinnovi contrattuali e dei conseguenti aumenti dei minimi contrattuali;
- che dal mese di febbraio 2018, diversamente da quanto accaduto in passato, la società aveva iniziato ad assorbire dal superminimo goduto dai ricorrenti una somma pari a quella dell'aumento contrattuale e ciò si era ripetuto anche nel mese di luglio 2018, allorché era stato convenuto un ulteriore aumento contrattuale, nonché l'introduzione di un'ulteriore voce retributiva denomina E.R.S., che era stata anch'essa assorbita;ciò premesso, hanno chiesto di accertare l'illegittimità della condotta aziendale di assorbimento del superminimo e di condannare alla Parte_1
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ricostituzione della predetta voce nella misura in godimento a gennaio 2018, nonché al pagamento di tutte le somme indebitamente assorbite.
Costituendosi ritualmente nel giudizio di primo grado, ha Parte_1 eccepito preliminarmente l'inammissibilità delle domande avversarie per mancato assolvimento dell'onere allegatorio e probatorio a carico dei ricorrenti;nel merito ne ha contestato la fondatezza, concludendo per il loro rigetto. Il Tribunale, disattesa l'eccezione di inammissibilità del ricorso per mancato assolvimento dell'onere di allegazione e prova da parte dei ricorrenti, ha ritenuto la documentazione attorea versata in causa idonea a provare non solo l'assegnazione del superminimo ai ricorrenti, ma anche il mancato assorbimento dello stesso in un ampio arco di tempo (in taluni casi, anche per 18 anni), a partire dalla prima assegnazione. Tale circostanza, a parere del primo giudice, dimostrava la volontà della società, sino all'accordo collettivo del 23 novembre 2017, di non voler procedere – nonostante i vari rinnovi contrattuali e i relativi incrementi retributivi - ad alcuna decurtazione di tale voce e di volere sottrarre il superminimo al principio dell'assorbimento, con un comportamento più che concludente. Con riguardo poi all'elemento retributivo denominato E.R.S. (elemento retributivo separato), introdotto dall'accordo collettivo del 23 novembre 2017, il giudice di prime cure ha evidenziato che esso non incide, a differenza del superminimo, sul trattamento di fine rapporto, il che renderebbe i due emolumenti non comparabili e non equivalenti.
Pertanto, conclude la pronuncia impugnata, “il superminimo, oltre che per le ragioni anzidette relative alla sua natura “non assorbibile” non può essere vanificato Part per effetto della corresponsione dell' proprio per la incomparabilità dei due emolumenti.
Invero, l'assorbimento del superminimo in misura esattamente pari alla somma corrisposta a titolo di E.R.S. finisce per causare una riduzione del complessivo trattamento economico percepito dai lavoratori, stante la diversa incidenza del superminimo rispetto all'E.R.S. che già include gli istituti diretti ed indiretti ed è escluso dalla base di calcolo del TFR, con la conseguenza che i lavoratori subiscono, in tal modo, un pregiudizio nel computo e nel riconoscimento degli istituti diretti ed indiretti nonché nella determinazione del TFR”. Il Tribunale ha, quindi, accolto le domande dei lavoratori, dichiarando non assorbibile il superminimo goduto dai ricorrenti e condannando la società al pagamento delle somme illegittimamente assorbite a decorrere da febbraio 2018.
Avverso la sentenza ha proposto appello affidandosi a tre Parte_1 motivi. Con il primo motivo denuncia violazione degli artt. 115 e 414 c.p.c. e dell'art.
2697 c.c..
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Ad avviso di parte appellante il giudice di prime cure ha errato laddove, in base ad un esame eccessivamente sommario e superficiale delle allegazioni formulate dagli odierni appellati e dei riscontri probatori acquisiti in corso di causa, ha rilevato
l'infondatezza dell'eccezione di inammissibilità della domanda per mancato assolvimento dell'onere allegatorio e probatorio, tempestivamente formulata dalla società nella propria memoria di costituzione. Nell'ottica del gravame i lavoratori non si sarebbero dovuti limitare ad affermare genericamente di percepire e di aver percepito il superminimo, ma avrebbero dovuto allegare e dimostrare, in modo puntuale e rigoroso, che, a fronte delle variazioni retributive scaturite dai precedenti rinnovi del contratto collettivo, il datore di lavoro aveva continuato ad erogare l'emolumento ad personam riconoscendo la natura “non assorbibile”, originaria o sopravvenuta, dello stesso.
Gli appellati, invece, non solo non avevano formulato alcuna allegazione, né fornito alcun riscontro probatorio in ordine alla pretesa natura non assorbibile del superminimo percepito, ma avevano anzi espressamente dato atto nel ricorso introduttivo che, in occasione del suo riconoscimento, la società aveva attestato la natura assorbibile dell'emolumento.
Con il secondo motivo lamenta violazione degli artt. 112 e Parte_1
115 c.c. e dei consolidati principi giurisprudenziali in materia di assorbimento del superminimo.
Parte appellante si duole che il Tribunale abbia proceduto ad un esame eccessivamente sommario e superficiale della vicenda dedotta in giudizio, con ciò trascurando rilevanti e determinanti elementi probatori che erano stati sottoposti alla sua attenzione, ignorando i puntuali rilievi e le specifiche eccezioni formulate dalla società e violando, al contempo, i principi reiteratamente affermati dalla giurisprudenza in materia di assorbimento dei superminimi.
Evidenzia, in particolare, che per escludere il meccanismo dell'assorbimento del superminimo a fronte dei miglioramenti contemplati dalla disciplina collettiva è necessario un vero e proprio accordo novativo tra datore di lavoro e lavoratore, volto a derogare al principio generale dell'assorbimento, e che, nel caso di specie, difetterebbe qualsivoglia specifica allegazione e qualsivoglia riscontro probatorio sull'esistenza di uno specifico accordo tra le parti, volto a conferire natura non assorbibile al superminimo individuale di cui si controverte.
Con il terzo motivo censura la pronuncia per violazione e falsa applicazione della disciplina collettiva sull' (accordo collettivo del 23 novembre 2017), dell'art. Pt_3
2120 c.c. e dell'art. 2697 c.c., laddove afferma l'illegittimità dell'assorbimento dei superminimi operato dall'odierna appellante con riferimento all' (elemento Pt_3 retributivo separato).
Nella prospettiva del gravame il giudice di prime cure avrebbe posto a base della decisione un'errata interpretazione della natura dell' avendo ritenuto che Pt_3
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tale voce abbia un “peso” diverso dal superminimo, in quanto ricomprende già al suo interno gli istituti diretti ed indiretti ed è escluso dalla base di calcolo del trattamento di fine rapporto.
In realtà – deduce parte appellante – l'assorbimento del superminimo può avvenire mediante qualsiasi altra voce retributiva dell'aumento previsto dal contratto collettivo, in assenza di alcun divieto in materia. La domanda relativa all'assorbimento del superminimo con l' sarebbe, Pt_3 dunque, da ritenere inammissibile e comunque infondata, per non avere gli odierni appellati impugnato l'accordo collettivo istitutivo dell'anzidetta voce economica, che aveva, peraltro, rideterminato ai sensi dell'art. 2120 c.c. gli emolumenti incidenti sul calcolo del TFR. Parte appellante sottolinea, inoltre, che i lavoratori non hanno subito alcuna riduzione del trattamento economico complessivo erogato, ma esclusivamente una diversa quantificazione delle voci che compongono la loro retribuzione, la cui sommatoria, complessivamente, restituisce il medesimo valore percepito prima dell'assorbimento del superminimo. Sulla base delle argomentazioni esposte l'appellante ha Parte_1 chiesto l'integrale riforma della sentenza impugnata e l'accoglimento delle conclusioni in epigrafe trascritte.
Costituendosi ritualmente in giudizio, i lavoratori appellati hanno chiesto il rigetto del gravame avversario e l'accoglimento delle conclusioni sopra richiamate.
All'udienza del 6 marzo 2024, all'esito della discussione orale, il Collegio ha deciso la causa come da dispositivo trascritto in calce alla presente sentenza.
L'appello è infondato e dev'essere respinto, con conferma della sentenza impugnata.
Sulle questioni oggetto di controversia questa Corte si è già espressa con plurime pronunce rese in fattispecie sovrapponibili alla presente, le cui motivazioni sono condivise dal Collegio e devono intendersi qui integralmente richiamate ai sensi e per gli effetti dell'art. 118 disp. att. c.p.c. (cfr. in particolare sentenza n. 263/2023, est.
M, pres. Pciau;sentenza n. 724/2023, est. B, pres. Pciau;sentenza n.
781/2023, est. , pres. sentenza n. 31/2024, pres. est. Pciau). Per_2 Per_3
Tanto premesso, con riguardo al primo motivo di gravame il Collegio reputa infondate le censure avverso il capo di sentenza che ha respinto l'eccezione di inammissibilità delle domande attoree per mancato assolvimento dell'onere allegatorio e probatorio.
I lavoratori odierni appellati hanno allegato al ricorso introduttivo: le lettere di attribuzione dei superminimi assorbibili, ad eccezione che per assunta CP_5 alle dipendenze di il 10 luglio 2000 ed il cui rapporto di lavoro è stato Parte_4 trasferito a con effetto dal 24 dicembre 2002 ex art. 2112 c.c. a seguito di Parte_2 fusione per incorporazione dell'originaria datrice di lavoro (cfr. docc. 1, 3, 5, 8 e 10
pag. 5/13
fascicolo appellati di primo grado);l'accordo collettivo del 23 novembre 2017 (cfr. doc.
13 fascicolo appellati di primo grado);i cedolini paga che dimostrano per tutti i lavoratori, inclusa l'attribuzione del superminimo individuale e CP_5
l'avvenuto assorbimento dello stesso a decorrere da febbraio 2018 (cfr. docc. 2, 4, 7, 9
e 11 fascicolo appellati di primo grado).
I lavoratori hanno inoltre allegato, sin dal primo grado di giudizio, che mai, prima del febbraio 2018, la società aveva proceduto all'assorbimento del superminimo in occasione dei precedenti rinnovi ed aumenti contrattuali susseguitisi negli anni
2001, 2002, 2003, 2004, 2006, 2007, 2008, 2010, 2011, 2013, 2014.
L'allegazione non è stata in alcun modo contestata da la Parte_1 quale, anche in sede di gravame, si è limitata a replicare che il mancato assorbimento del superminimo individuale in occasione dei precedenti rinnovi degli accordi collettivi sarebbe inidoneo ad attestare la volontà “cristallizzata” del datore di lavoro di qualificare e considerare il superminimo non assorbibile, senza, tuttavia, mai contestare il fatto storico del mancato assorbimento del superminimo in occasione dei rinnovi contrattuali intervenuti prima dell'accordo collettivo del 23 novembre 2017. Alla luce del quadro assertivo contenuto nel ricorso introduttivo e della documentazione ad esso allegata, nonché dell'omessa contestazione, da parte della società, dell'allegazione dei ricorrenti in punto di reiterato e generalizzato mancato assorbimento dei superminimi individuali per un periodo pluriennale, deve ritenersi che i lavoratori abbiano assolto gli oneri di allegazione e prova su di essi gravanti.
Infatti, come si dirà più ampiamente nel prosieguo esaminando il secondo motivo di gravame, gli elementi sopra richiamati appaiono sufficienti ad integrare gli estremi di un uso aziendale avente ad oggetto la non assorbibilità dei superminimi di cui si controverte.
Da tutto ciò deriva l'infondatezza del primo motivo di appello, con cui si censura la sentenza per avere respinto l'eccezione preliminare di inammissibilità del ricorso ex art. 414 c.p.c. per asserito mancato assolvimento degli oneri probatori ed allegatori.
Infondato si ritiene anche il secondo motivo, con cui l'appellante lamenta la violazione dei principi giurisprudenziali in materia di assorbimento del superminimo.
Il cosiddetto superminimo, ossia l'eccedenza della retribuzione rispetto ai minimi tabellari, individualmente pattuito tra datore di lavoro e lavoratore, è normalmente soggetto al principio generale dell'assorbimento nei miglioramenti contemplati dalla disciplina collettiva.
Tale principio generale, tuttavia, non opera ove così sia previsto dalla stessa disciplina collettiva o dagli accordi individuali intercorsi tra le parti, restando a carico del lavoratore l'onere di provare la sussistenza del titolo che autorizza il mantenimento del superminimo, escludendone l'assorbimento (cfr. in tal senso ex multis Cass., 17 ottobre 2018 n. 26017; Cass., 29 agosto 2012 n. 14689;Cass., 17 luglio 2008 n.19750).
pag. 6/13
Nel caso di specie ritiene il Collegio che detto onere sia stato assolto dai lavoratori, in quanto le circostanze di fatto allegate nel ricorso introduttivo, unitamente ai riscontri documentali e al contegno processuale di non contestazione della società datrice di lavoro, hanno delineato l'esistenza di un uso aziendale in forza del quale la regola dell'assorbibilità del superminimo è stata derogata.
Si richiama in proposito ex art. 118 disp. att. c.p.c. quanto condivisibilmente statuito dalla citata sentenza di questa Corte n. 724/2023: “Come più volte affermato dalla Suprema Corte di Cassazione, “la reiterazione costante e generalizzata di un comportamento favorevole del datore di lavoro nei confronti dei propri dipendenti integra, di per sé, gli estremi dell'uso aziendale, il quale, in ragione della sua appartenenza al novero delle cosiddette fonti sociali - tra le quali vanno considerati sia i contratti collettivi, sia il regolamento d'azienda e che sono definite tali perché, pur non costituendo espressione di funzione pubblica, neppure realizzano meri interessi individuali, in quanto dirette a conseguire un'uniforme disciplina dei rapporti con riferimento alla collettività impersonale dei lavoratori di un'azienda - agisce sul piano dei singoli rapporti individuali alla stesso modo e con la stessa efficacia di un contratto collettivo aziendale” (cfr. Cass. 28 luglio 2009 n. 17481;Cass. 25 marzo 2013 n. 7395 nonché Cass. ss.uu. 13 dicembre 2007 n. 26107;cfr. anche la più recente Cass.,
2/11/2021, n. 31204: “Nell'ambito dei rapporti di lavoro, la reiterazione costante e generalizzata di un comportamento favorevole ai dipendenti integra gli estremi dell'uso aziendale che, essendo diretto, quale fonte sociale, a conseguire un'uniforme disciplina dei rapporti con la collettività impersonale dei lavoratori di un'azienda, agisce sul piano dei singoli rapporti individuali allo stesso modo e con la stessa efficacia di un contratto collettivo aziendale”). La giurisprudenza (cfr. ad esempio Cass. 8.4.2010, n. 8342) ha anche rimarcato che – una volta accertata la reiterazione costante e generalizzata di un comportamento favorevole del datore di lavoro nei confronti dei propri dipendenti che si traduca, come è nel caso di specie, in un trattamento economico o normativo di maggior favore rispetto a quello previsto dai contratti (individuali e collettivi) - la conseguente individuazione di un uso aziendale comporta che alla modifica in melius del trattamento dovuto ai lavoratori non si applichino: • né l'art. 1340 cod. civ. (norma che presuppone un uso già esistente per una determinata tipologia di contratti, la tacita volontà di inserimento delle parti ed il potere delle stesse di escluderlo);• né, in generale, la disciplina civilistica sui contratti (con esclusione, quindi, di un'indagine sulla volontà del datore di lavoro e dei sindacati, collocandosi l'uso aziendale sul piano della regolamentazione collettiva esterna ai contratti individuali e traendo origine dal mero fatto del comportamento spontaneo del datore di lavoro);• né l'art. 2077, comma secondo, cod. civ. (attesa la dimensione collettiva e non individuale della regolamentazione originata da un uso aziendale, ferma peraltro la conseguente legittimazione delle fonti collettive, nazionali e aziendali, di disporre una modifica "in pejus" del trattamento in tal modo attribuito). Il protrarsi nel tempo di comportamenti
pag. 7/13 aventi carattere generale in quanto applicati nei confronti di tutti i dipendenti dell'azienda con lo stesso contenuto, comporta ex se la configurabilità di un vero e proprio “uso aziendale”, rendendo irrilevante l'indagine su quale fosse la volontà del datore di lavoro e ciò in quanto l'origine dell'uso aziendale deriva dal mero fatto del comportamento spontaneo del datore di lavoro, di natura non contrattuale (così Cass.
SU 30.3.1994 n. 3134)”. Nel caso di specie, come già evidenziato nella disamina del primo motivo di gravame, non ha puntualmente contestato, nella memoria di Parte_1 costituzione avanti il Tribunale e neppure in sede di gravame, l'allegazione dei lavoratori circa il fatto che mai prima del 2018, in occasione dei precedenti rinnovi ed aumenti contrattuali, la società aveva proceduto all'assorbimento del superminimo nei confronti dei dipendenti che avevano in godimento un simile trattamento ad personam.
Sono pertanto rinvenibili nella fattispecie gli elementi costitutivi dell'uso aziendale, come tratteggiati dalla giurisprudenza di legittimità sopra richiamata, ed in particolare la reiterazione costante e generalizzata, da parte del datore di lavoro, di un comportamento favorevole nei confronti di una vasta platea di dipendenti (il mancato assorbimento del superminimo), protratto per un periodo pluriennale e posto in essere spontaneamente e non già in esecuzione di un obbligo.
L'esistenza di un uso aziendale favorevole ai lavoratori esclude il diritto dell'azienda di procedere all'assorbimento del superminimo effettuato a far tempo da febbraio 2018. Quanto al rilievo di parte appellante, secondo cui l'eventuale uso aziendale può comunque essere superato, anche in senso peggiorativo per il dipendente, dalla successiva contrattazione collettiva, giova ancora una volta richiamare ex art. 118
c.p.c. le argomentazioni della sentenza di questa Corte n. 724/2023, integralmente condivise dal Collegio: “Vero è che, come argomentato dall'appellante, l'uso aziendale non si incorpora nei contratti individuali di lavoro e opera con efficacia assimilabile a quella dei contratti collettivi, sicché, come è per il contratto collettivo che non abbia un predeterminato termine di efficacia, esso non può vincolare per sempre tutte le parti contraenti, ben potendo l'uso essere superato da un successivo contratto collettivo di segno contrario o anche dalla disdetta unilaterale della parte. Vero è anche, tuttavia, che da tali corretti presupposti non discendono le conseguenze volute dall'appellante.
Ed infatti, l'accordo del 23.11.2017, nel prevedere gli aumenti retributivi (tra Part cui il già menzionato , non contiene alcuna previsione dalla quale possa desumersi
– esplicitamente o implicitamente - il superamento dell'uso esistente o comunque la facoltà, per l'azienda, di provvedere – diversamente da quanto consentito dall'uso aziendale- all'assorbimento del superminimo in misura corrispondente ai nuovi aumenti.
pag. 8/13 Non è pertanto pertinente il richiamo dell'appellante al principio espresso da
Cass. 24/07/2006, n.16862 (pronuncia secondo cui “Poiché ogni norma del contratto collettivo è una nuova norma, nei confronti della - pur simile - norma contenuta nel precedente contratto (e, nell'ipotesi di attribuzione al datore di disporre l'assorbimento di preesistenti assegni nei disposti aumenti contrattuali, il contratto conferisce un nuovo potere, indipendente da quello precedentemente riconosciutogli), il comportamento del datore di lavoro in relazione all'esercizio del potere di disporre (o non disporre) l'assorbimento di preesistenti assegni personali nei miglioramenti recati dal singolo contratto, essendo indipendente dal comportamento del datore in relazione al riconoscimento di analogo potere in un successivo contratto, non costituisce una idonea base per formare, nei confronti di tale contratto, una vincolante prassi aziendale”), in quanto trattasi di pronuncia resa in una fattispecie in cui il contratto collettivo che prevedeva l'aumento retributivo espressamente affermava l'assorbibilità dell'incremento. Nel caso di specie, invece, per un verso la scelta compiuta da Pt_1
di non procedere all'assorbimento sino al 2018 è stata una scelta libera, non
[...] imposta da alcuna norma di legge o di contratto, e poi protrattasi per decenni;per altro verso, l'accordo del 23.11.2017 nulla disponeva circa la possibilità di assorbimento dei preesistenti assegni personali negli aumenti introdotti a far data dal
1°.2.2018.
Né è ravvisabile, nella condotta aziendale, un comportamento qualificabile come disdetta unilaterale.
Ed infatti, ad avviso del Collegio, la decisione di provvedere all'assorbimento del superminimo in occasione dell'accordo del 23.11.2017 integra al più un inadempimento dell'uso aziendale, mentre non costituisce condotta idonea a manifestare - in modo univoco ed intellegibile per l'interlocutore- l'intenzione del datore di lavoro di disdettare l'uso e di sottrarsi quindi anche per il futuro ai vincoli da esso nascenti. La convinzione del Collegio in ordine alla ritenuta infondatezza del primo motivo di appello trova del resto conforto nella decisione assunta da questa Corte nella sentenza n. 263/2023 (est. M) in fattispecie analoga a quella odierna;decisione la cui condivisa motivazione di seguito si richiama, ex art. 118 disp. att. c.p.c.: “Non risulta contestato che gli appellati, nell'ambito dei propri accordi individuali con il datore di lavoro, beneficino di superminimi, qualificati negli stessi come “assorbibili”.
Proprio per questo, in ragione di tale natura di compenso assorbibile derivante dall'accordo individuale, la ha argomentato di avere legittimamente Pt_1 provveduto al loro assorbimento in rapporto agli aumenti contrattuali di cui all'accordo del 23 novembre del 2017. Sennonché, si deve ritenere che la tesi difensiva della
non sia accoglibile, dovendosi accertare un uso aziendale a favore dei Pt_1 lavoratori per il non assorbimento dei superminimi. In proposito, occorre rammentare che la Suprema Corte ha chiarito che“ la reiterazione costante e generalizzata di un
pag. 9/13 comportamento favorevole del datore di lavoro nei confronti dei propri dipendenti che si traduca in trattamento economico o normativo di maggior favore rispetto a quello previsto dai contratti (individuali e collettivi) integra, di per sé, gli estremi dell'uso aziendale, il quale, in ragione della sua appartenenza al novero delle cosiddette fonti sociali - tra le quali vanno considerati sia i contratti collettivi, sia il regolamento
d'azienda e che sono definite tali perché, pur non costituendo espressione di funzione pubblica, neppure realizzano meri interessi individuali, in quanto dirette a conseguire un'uniforme disciplina dei rapporti con riferimento alla collettività impersonale dei lavoratori di un'azienda - agisce sul piano dei singoli rapporti individuali allo stesso modo e con la stessa efficacia di un contratto collettivo aziendale. Ne consegue che ove la modifica "in melius" del trattamento dovuto ai lavoratori trovi origine nell'uso aziendale, ad essa non si applica né l'art. 1340 cod. civ. - che postula la volontà, tacita, delle parti di inserire l'uso o di escluderlo - né, in generale, la disciplina civilistica sui contratti - con esclusione, quindi, di un'indagine sulla volontà del datore di lavoro e dei sindacati - né, comunque, l'art. 2077, comma secondo, cod. civ., con la conseguente legittimazione delle fonti collettive (nazionali e aziendali) di disporre una modifica "in peius" del trattamento in tal modo attribuito” (cfr. Cass. Sentenza n. 8342 del
08/04/2010 Sentenza n. 17481 del 28/07/2009 U, Sentenza n. 26107 del 13/12/2007
Sentenza n. 10591 del 03/06/2004). Così come “Nell'ambito dei rapporti di lavoro, la reiterazione costante e generalizzata di un comportamento favorevole ai dipendenti integra gli estremi dell'uso aziendale che, essendo diretto, quale fonte sociale, a conseguire un'uniforme disciplina dei rapporti con la collettività impersonale dei lavoratori di un'azienda, agisce sul piano dei singoli rapporti individuali allo stesso modo e con la stessa efficacia di un contratto collettivo aziendale (Cass., n. 31204 del
02/11/2021). E' pacifico che la per gli anni dedotti in causa e fino al 2017, Pt_1 quindi per un significativo arco temporale, non abbia disposto l'assorbimento del superminimo con gli aumenti della retribuzione previsti dalla contrattazione collettiva. Detta condotta assume un chiaro significato giuridico, giacché diversamente la stessa definizione di uso aziendale non avrebbe senso e significato, non essendo certamente necessario una ulteriore condotta chiarificatrice del datore di lavoro che non sia la costante e reiterata decisione di non assorbire il superminimo in occasione dei numerosi rinnovi contrattuali intercorsi nel tempo. Ed allora, una volta qualificato quale uso aziendale la condotta della società, non è certamente sufficiente che la stessa decida di diversamente determinarsi per vanificarne gli effetti ma, al contrario, risulta necessario un elemento di discontinuità che non può che derivare da una fonte analoga e collettiva. Ciò in quanto “l'uso aziendale costituisce fonte di un obbligo unilaterale, di carattere collettivo, che agisce sul piano dei rapporti individuali con la stessa efficacia di un contratto collettivo, sicché, salvaguardati i diritti quesiti, esso può essere modificato da un successivo accordo anche in senso peggiorativo per i lavoratori
(cfr. Cass. Sentenza n. 3296 del 19/02/2016. Inoltre nel corso del tempo si sono i sono
pag. 10/13 succedute, senza soluzione di continuità, procedure di mobilità volontaria e contratti di solidarietà eppure non sono mai stati assorbiti i superminimi. Non risulta, infatti, controverso che il 26 giugno 2008 è stata avviata una procedura di mobilità per 5.000 lavoratori;- il 26 maggio 2009 è stata adottata una procedura di mobilità per 470 lavoratori, tramutata poi in contratto di solidarietà per 1054 dipendenti;- il 04 agosto
2010 è stata attuata una procedura di mobilità per 3.900 lavoratori, tramutata poi in contratto di solidarietà siglato il 21 ottobre 2010 per 1.100 lavoratori, con durata sino al 07 novembre 2012;- il 27 marzo 2013 e stata avviata una procedura di mobilità per
500 lavoratori, tramutata in un contratto di solidarietà per 2.500 lavoratori con durata sino al 14 aprile 2015;- il 27 aprile 2015 viene avviata una procedura di mobilità per
330 lavoratori, tramutata in un contratto di solidarietà per 2.600 lavoratori con durata sino al 03 gennaio 2018 . Dunque, il decorso del lungo tempo suddetto e, in aggiunta, il comportamento del datore di lavoro di non scegliere di assorbire i superminimi, nonostante le difficoltà economiche anche presenti, senza comunicare riserve per gli anni successivi, confermano la sussistenza di una condotta aziendale univoca e generalizzata e che si è tradotta in trattamento economico o normativo di maggior favore rispetto alla regola dei contratti individuali della assorbibilità del superminimo e che integra, di per sé, gli estremi dell'uso aziendale. E' bene precisare che tale prassi aziendale, in ragione della sua appartenenza al novero delle cosiddette “fonti sociali” - tra le quali vanno considerati anche i contratti collettivi e che sono definite tali perché, pur non costituendo espressione di funzione pubblica, neppure realizzano meri interessi individuali, in quanto dirette a conseguire un'uniforme disciplina dei rapporti con riferimento alla collettività impersonale dei lavoratori di un'azienda - agisce sul piano dei singoli rapporti individuali allo stesso modo e con la stessa efficacia di un contratto collettivo aziendale. Ne consegue che ove la modifica "in melius" del trattamento dovuto ai lavoratori trovi origine nell'uso aziendale, non rientrandosi in un'ipotesi ex articolo 1340 cc, non viene modificata la pattuizione dell'accordo individuale, che resta intatta nelle sue previsioni, potendo tornare ad operare, laddove venga meno l'efficacia della fonte sociale menzionata. L'uso aziendale, infatti, viene ad operare come fonte intermedia e autonoma, tra il contratto individuale che prevede l'assorbimento del superminimo e l'accordo collettivo che attribuisce gli aumenti sui minimi contrattuali, assicurando nel caso il diritto dei lavoratori al non assorbimento. Le disposizioni collettive possono ovviamente modificare la regola del mancato assorbimento, operando l'uso aziendale sullo stesso piano delle disposizioni collettive di prossimità
(Cass. Sez. L, Sentenza n. 8342 del 08/04/2010;Sez. L, Sentenza n. 3296 del
19/02/2016) ma, ovviamente, è necessario perché ciò avvenga che risulti, sul piano collettivo, tale modifica. Nella fattispecie in esame, ad avviso del Collegio, sul piano collettivo tuttavia non risulta alcuna modifica tramite accordo collettivo del sussistente, per quanto si è detto, uso aziendale inerente la non assorbibilità del superminimo. Ed invero, negli accordi intervenuti nel novembre 2017, non risulta una volontà in tal
pag. 11/13 senso, ma solo che “ i trattamenti economici del personale dipendente….vengono adeguati come da tabelle allegate”, dove le tabelle allegate prevedono solo aumenti retributivi e il riconoscimento dell'Elemento Retributivo Separato. Non può dunque ritenersi modifica operata dalla contrattazione collettiva, la condotta unilaterale del datore di lavoro che faccia luogo all'assorbimento”.
Per tutte le ragioni esposte l'esaminato motivo di gravame deve essere respinto.
Va respinto anche il terzo ed ultimo motivo.
Le argomentazioni che precedono assorbono le censure, svolte in detto motivo, nei confronti della sentenza di primo grado, laddove ha escluso l'assorbibilità del superminimo nella voce retributiva anche in ragione della ritenuta Pt_3
“incomparabilità dei due emolumenti”.
Infondato è poi l'argomento secondo cui i lavoratori avrebbero dovuto impugnare l'accordo collettivo del 23 novembre 2017, che ha introdotto la voce E.R.S.:
i lavoratori, infatti, non contestano l'accordo in sé, bensì l'applicazione non corretta che di esso la società ha inteso dare, attraverso l'assorbimento del superminimo ad personam con la voce retributiva (E.R.S.) ivi prevista.
Infine, è irrilevante che i lavoratori non abbiano subito, per effetto dell'assorbimento, alcuna riduzione del trattamento economico complessivo erogato: gli odierni appellati, infatti, non lamentano una riduzione del trattamento retributivo in godimento, ma rivendicano il diritto a che il superminimo attribuito ad personam non venga assorbito negli aumenti retributivi disposti dalla contrattazione collettiva (segnatamente dall'accordo collettivo del 23 novembre 2017) e, dunque, si cumuli ad essi. Rispetto a tale pretesa, il fatto che gli appellati non abbiano subito riduzioni del trattamento economico percepito rappresenta una circostanza del tutto ininfluente.
Alla luce delle argomentazioni tutte che precedono, dirimenti ed assorbenti di ogni altra questione, il gravame proposto da deve essere respinto, Parte_1 con integrale conferma della sentenza n. 1585/2023 del Tribunale di Milano.
Il regolamento delle spese di lite del grado segue il criterio della soccombenza
e, tenuto conto del valore della causa, della serialità della controversia, del numero delle parti e dell'assenza di attività istruttoria, le stesse si liquidano come da dispositivo, in applicazione del d.m. 10 marzo 2014 n. 55, come modificato dal d.m. 13 agosto 2022 n. 147, con distrazione in favore dei difensori degli appellati ex art. 93
c.p.c..
Atteso l'integrale rigetto dell'appello, si dà atto che sussistono i presupposti per il pagamento, da parte dell'appellante, di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, giusta il disposto dell'art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2012 n. 115, introdotto dall'art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012 n. 228.
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