Corte d'Appello Cagliari, sentenza 15/07/2024, n. 283
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Testo completo
N. R.G. 543/2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI APPELLO DI CAGLIARI
SEZIONE CIVILE PRIMA
Composta dai magistrati
M T S Presidente
M A S Consigliere
B M Giudice Ausiliario Relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Nella causa promossa per rinvio dalla Corte di Cassazione iscritta al numero 543 del ruolo generale dell'anno 2017 di questa Corte, promossa da
residente in Monastir ed elettivamente domiciliato in Cagliari, in Viale Trento n. Parte_1
86, rappresentato e difeso dagli Avv.ti prof. C C e A A, giusta procura in atti, ammesso al patrocinio a spese dello Stato con delibera del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di
Cagliari del 22.05.2017,
- APPELLANTE
contro
elettivamente domiciliata in Cagliari, in Via Dante Alighieri n. 88 presso lo Controparte_1
studio dell'Avv. M L L che la rappresentano e difendono giusta procura in atti;
- APPELLATA/appellante incidentale
all'udienza collegiale del 5 Luglio 2024 la causa è stata posta in decisione sulle seguenti
CONCLUSIONI
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Nell'interesse dell'appellante principale:
“a) in via principale e nel merito, accertare e dichiarare che i terreni acquistati dal solo nel Pt_1
corso del 1983 restano esclusi dalla comunione tra i coniugi, ex art. 179 c.c., per espressa e solenne dichiarazione resa al Notaio rogante dall'appellata sig.ra ;Controparte_1
b) in via subordinata istruttoria, nel denegato caso in cui la Corte ritenga che gli immobili sopra citati siano ricaduti nella comunione de residuo ai sensi di quanto disposto dall'art. 178 c.c., disporre il rinnovo delle operazioni peritali al fine della congrua valutazione del reale diritto di credito vantato dal coniuge non imprenditore al netto delle passività aziendali ovvero, in ogni caso, delle passività gravanti sui medesimi beni;
c) sempre in via subordinata istruttoria, disporre le operazioni peritali ai fini del corretto calcolo dei frutti, o meglio ai fini dell'accertamento del congruo valore del diritto di credito avanzato dalla appellata sul compendio residuo, al netto di tutte le passività”.
Nell'interesse dell'appellata/appellante incidentale:
“..secondo quanto statuito in via definitiva dalle Sezioni Unite Civili della Suprema Corte di
Cassazione con sentenza Racc. Gen. n. 15889/2022 n. Sezio-nale 222/2022, pubblicata il 17.05.2022,
Voglia:
A. dichiarata la sussistenza del diritto di credito della signora , determinare il Controparte_1
valore attivo del patrimonio aziendale alla data in cui si è verificato lo scioglimento della comunione
(25.01.2001, data della proposizione della domanda di divisione), maggiorato dei frutti e degli utili percepiti e percipiendi dal compendio comune dalla data dello scioglimento della comunione fino al saldo, accertare e dichiarare la nullità e/o inutilizzabilità della CTU espletata dalla dott.ssa Per_1
, la cui relazione è stata depositata il 14.11.2020, per le ragioni illustrate ed opposte nella
[...]
comparsa di costituzione in sostituzione di difensore e nelle note di trattazione scritta depositate nell'interesse dell'appellata – appellante incidentale in data 05.07.2021 e 07.07.20221 e, per quanto occorra, nelle opposizioni proposte nel corso dello svolgimento delle operazioni anche dal CTP, con ogni conseguente pronuncia anche in relazione alla revoca dei provvedimenti di liquidazione dei compensi emessi, previa, ove occorra, dichiarazione di inammissibilità ed inutilizzabilità del “bilancio al 31.12.2000” e della documentazione tardivamente ed irritualmente prodotta dall'appellante all'udienza del 28.06.2012 davanti al Tribunale di Cagliari (della quale non faceva comunque parte il predetto bilancio);
pagina 2 di 20 B. disporre la rinnovazione delle operazioni peritali, con incarico ad altro CTU, sui quesiti già formulati nell'ordinanza collegiale del 25.06.2019, con la precisazione che nella determinazione del credito in favore della signora dovranno essere quantificati anche gli interessi maturati dalla CP_1
quota di sua spettanza dalla data di scioglimento della comunione fino al saldo;
C. determinato e quantificato il credito della signora , condannare al pagamento CP_1 Parte_1
e corresponsione in favore della stessa delle somme quantificate, oltre ulteriori interessi fino al saldo;
D. rigettare ogni avversa domanda, eccezione, istanza e conclusione, in quanto inammissibile e/o infondata;
E. in tutti i casi con vittoria di spese e competenze di tutti i gradi del giudizio o, in via subordinata, con compensazione integrale delle spese e competenze dei giudizi davanti all'intestata Corte e alla
Suprema Corte di Cassazione, considerata la complessità e la novità della materia trattata, la non univoca elaborazione giurisprudenziale che li ha preceduti e la reciproca soccombenza”.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione ritualmente notificato, la signora convenne in giudizio dinanzi Controparte_1
al Tribunale di Cagliari il signor con cui aveva contratto matrimonio concordatario il 28 Parte_1
giugno 1974 e con il quale aveva poi costituito una società denominata SAVEMAIN s.r.l., avente ad oggetto il commercio di macchine industriali, società della quale era amministratore il suddetto Pt_1
titolare di una quota pari al 55%, mentre la deteneva la restante parte. CP_1
Rappresentò l'attrice che, successivamente all'inizio dell'esercizio dell'attività societaria ed al conseguimento dei corrispondenti utili, i due coniugi acquistarono un'area fabbricabile sulla quale edificare una sede più adeguata ed i locali da destinare ad officine dell'impresa individuale che il
nell'anno 1983, aveva avviato in proprio, con lo scopo principale di provvedere alla Pt_1
manutenzione ed all'assistenza dei mezzi commercializzati dall'anzidetta società.
Espose che con successivi sei atti di compravendita, gli stessi coniugi avevano acquistato diversi fondi per la superficie complessiva di 18.000 mq e che, solo nell'ultimo di tali atti, concluso nel 1988, era stato dato atto che il relativo immobile era stato acquistato dai coniugi in regime di comunione legale, mentre negli altri atti, stipulati nel 1983, risultava quale unico acquirente ed intestatario Parte_1
avendo l'attrice, pur intervenuta alla stipula, dichiarato che gli immobili oggetto d'acquisto non rientravano nella comunione dei beni in quanto da considerarsi necessari per l'esercizio della professione del e ciò in conformità all'art. 179, lett. d), c.c.. Pt_1
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Su tutte le suddette aree, nel corso degli anni, era stato realizzato dal un complesso industriale, Pt_1
composto da un capannone, officine meccaniche, una palazzina su tre piani (uno dei quali destinato ad abitazione coniugale), strade ed annessi.
Pertanto, sul presupposto dell'assunta erroneità dell'espressa dichiarazione resa in sede dis tipula e dell'applicabilità al caso di specie dell'art. 178 c.c., in luogo del citato art. 179 lett. d), c.c., ed essendo successivamente intervenuta pronuncia di separazione giudiziale con sentenza del Tribunale di Cagliari del 2 maggio 2000 (passata in giudicato), l'attrice sostenne che, sciolta la comunione legale tra coniugi, gli immobili acquistati dal dopo il matrimonio erano da considerarsi caduti "ipso iure" in Pt_1
comunione, conseguendone il suo diritto di comproprietà sui predetti immobili, nonché su quanto sugli stessi edificato, in ragione del 50%.
La stessa , inoltre, sempre in base all'art. 178 c.c., dedusse di essere altresì comproprietaria, per CP_1
metà, anche di tutti i beni mobili dell'impresa artigiana del coniuge (ivi compresi gli utili, gli incrementi, le attrezzature nonché qualsiasi altra posta patrimoniale ancora esistente all'atto dello scioglimento della comunione), oltre che delle quote della SAVEMAIN s.r.l. delle quali il era Pt_1
nel frattempo divenuto unico intestatario a seguito di operazioni societarie.
Sulla base di tale premessa in fatto, concluse chiedendo la divisione di tutti i beni Controparte_1
aziendali intestati al convenuto, nonché la rappresentazione degli utili percepiti e percipiendi dallo stesso oltre che dell'equivalente pecuniario riconducibile agli eventuali beni aziendali che Pt_1
fossero stati alienati dal medesimo convenuto successivamente all'intervenuto scioglimento della comunione legale.
Si costituì in giudizio il quale resistette alla domanda, invocandone il rigetto, per Parte_1
l'erronea prospettazione in diritto offerta dall'attrice, stante l'espressa ed inequivoca dichiarazione resa negli atti di compravendita volta ad escludere gli immobili dalla comunione, ed eccependo, altresì,
l'avvenuto acquisto per usucapione di tutti gli immobili dedotti in controversia, compresi quelli aziendali, e delle costruzioni su di essi insistenti.
Il dedusse, inoltre, che ove fosse stata condivisa la prospettazione attorea, occorreva tener Pt_1
conto che l'azienda individuale da lui esercitata, fin dal momento dello scioglimento della comunione legale, presentava un'esposizione debitoria ammontante a circa 400 milioni di lire e che, anche sulla proprietà dei beni immobili acquistati, pendeva una posizione debitoria di 100 milioni di lire.
Il convenuto, pertanto, chiese che l'attrice venisse condannata al pagamento della metà di tutti gli oneri correlati alla realizzazione delle opere edificate sugli immobili di sua proprietà esclusiva, nonché al
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rimborso a proprio favore di tutti gli oneri che erano derivati dall'esecuzione di quelle opere da parte di soggetti terzi, ai sensi degli art. 934 e 935 c.c..
All'udienza di trattazione l'attrice propose, in via subordinata, rispetto alle domande già indicate nell'atto di citazione, domanda di annullamento o di revoca o di dichiarazione di nullità ovvero di inefficacia delle dichiarazioni di esclusione dei beni dalla comunione da essa rilasciate nei rogiti di compravendita per dolo, per errore di fatto e/o di diritto, assumendo che il le aveva prospettato Pt_1 la necessità, per ottenere finanziamenti dalla Cassa Depositi e Prestiti, dell'intestazione esclusiva a sé degli immobili.
Il convenuto eccepì, a sua volta, la prescrizione di queste ultime azioni ulteriormente avanzate dalla
, nonché la decadenza dalle stesse. CP_1
La causa, istruita documentalmente, venne tenuta a decisione per la necessità di definire la questione preliminare del diritto dell'attrice alla divisione ex art. 178 c.c..
Con sentenza non definitiva n. 51/2004 del 5 novembre 2003, il Tribunale di Cagliari ritenne che gli immobili oggetto dei contratti di compravendita suindicati non potessero essere considerati beni personali, ai sensi dell'art. 179 lett. d) c.c., non essendo gli stessi destinati all'esercizio di una professione, come affermato negli atti stessi, ma all'esercizio dell'attività di impresa da parte del convenuto, impresa costituita dopo il matrimonio;pertanto, l'attrice doveva ritenersi proprietaria del
50% dei beni immobili oggetto del contendere, dovendosi applicare nella fattispecie, il disposto dell'art.
178 c.c.;rigettò, inoltre, la domanda riconvenzionale di usucapione formulata dal convenuto, difettandone i relativi presupposti.
Con la medesima sentenza il Tribunale dispose la prosecuzione del giudizio per le conseguenti operazioni divisionali.
Nel corso giudizio furono emesse altre due sentenze non definitive, e precisamente, la n. 2414/2007 del
18.07.2007, con la quale il Tribunale rigettò la domanda riconvenzionale del ritenendo che gli Pt_1
edifici realizzati sui terreni dallo stesso acquistati fossero divenuti di sua proprietà individuale, in applicazione del principio dell'accessione ex art. 934 c.c., e la n. 2297/2014 del 29.07.2014, con cui il
Tribunale si limitò a rilevare la sussistenza del diritto in capo alla alla rappresentazione dei CP_1
frutti e degli utili percepiti e percipiendi dai beni comuni a far data dallo scioglimento della comunione, beni sui quali il aveva esercitato il possesso esclusivo, con decorrenza dalla data della domanda Pt_1
di divisione.
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Preso atto che l'attrice aveva rinunciato, in sede di comparsa conclusionale, alle azioni di assegnazione della metà dei beni mobili dell'azienda intestata al nonché della metà delle quote della società Pt_1
SAVEMAIN, oltre che alla liquidazione dei frutti e degli utili maturati, percepiti e percepibili dal per effetto del godimento esclusivo dell'azienda individuale e della citata società, lo stesso Pt_1
Tribunale, con sentenza definitiva n. 1186/2017 del 31.03.2017, ritenendo non necessaria l'osservanza delle formalità previste dall'art. 789 c.p.c.:
1) dichiarò lo scioglimento della comunione dei beni tra la signora e il signor Controparte_1 Pt_1
[...]
2) dichiarò esecutivo il progetto di divisione approntato dal Ctu nella relazione depositata in data
19.10.2015 e, per l'effetto, stante la non comoda divisibilità dei beni e l'ammontare della quota e del credito complessivo dell'attrice (euro 811.500,00), assegnò ad essa il complesso artigianale e relative pertinenze sito nel Comune di Monastir, al km 18.300 della s.s. 131, distinto al N.C.E.U. al foglio 22, mappali 2097, sub 1, 2 , 3, 4, 5, comprendente il terreno distinto al foglio 18, mappali 74, 520, 529,
530, 539, 817, 818, 819, 820, 821 e 822, ed il terreno distinto al foglio 22, mappali 242, 243, 244 e
472, con l'obbligo per l'assegnataria di versare al un conguaglio di euro 38.500,00. Pt_1
Con la sentenza definitiva, il Tribunale regolò anche le complessive spese processuali, ponendole a carico del convenuto sempre soccombente e liquidandole in complessivi euro 68.482,79, di cui euro
62.621,00 e euro 5.535,00 per competenze professionali rispettivamente per il merito e per il procedimento cautelare in corso di causa, ed euro 326,79 per esborsi, oltre accessori;pose, inoltre, le spese di Ctu del procedimento r.g. n. 677-2/2001, già liquidate, a carico di e le spese di Parte_1
Ctu del giudizio di merito, già liquidate, a carico delle parti in solido tra loro.
Avverso tutte le sentenze, quelle non definitive e quella definitiva, del Tribunale di Cagliari, proponeva appello resistito dall'appellata , la quale a sua volta avanzava gravame Parte_1 Controparte_1
incidentale avverso la sola sentenza definitiva.
In estrema sintesi i motivi del gravame principale possono concretarsi in due sostanziali doglianze, ciascuna variamente articolata:
a) contestazione dell'applicabilità dell'art. 178 c.c, in virtù del valore negoziale della dichiarazione resa dalla negli atti pubblici di acquisto dei terreni;CP_1
b) in subordine, nell'ipotesi in cui, invece, avesse trovato conferma la valutazione data dal primo giudice alla dichiarazione della , erroneità della natura reale del diritto riconosciuto in capo al CP_1
coniuge non imprenditore, il quale, più correttamente, vanterebbe un diritto di credito verso il coniuge
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imprenditore, ragguagliato alla metà del valore dei beni aziendali, opportunamente considerate le passività che gravano su di essi.
Con l'appello incidentale, invece, ha censurato la statuizione della sentenza definitiva Controparte_1
relativa alla concreta liquidazione dei frutti, assumendo che alcun conguaglio spettasse al in Pt_1
ragione della protratta occupazione degli immobili comuni dopo il 2015, che avrebbe determinato un incremento dei frutti ad essa spettanti per il mancato godimento di detti immobili, con conseguente azzeramento di ogni conguaglio in favore del tenuto anche alla liberazione immediata degli Pt_1
immobili.
Nel corso del giudizio, con ordinanza del 25.10.2017, la Corte dichiarava inammissibile la domanda di sospensione dell'efficacia esecutiva delle sentenze non definitive (non contenenti statuizioni di condanna) e rigettava l'analoga istanza, rivolta verso la sentenza definitiva per mancata allegazione del periculum in mora,
Precisate le conclusioni la causa veniva tenuta a decisione e con sentenza n. 557/2019, la Corte di
Appello di Cagliari, non definitivamente pronunciando sull'appello principale e su quello incidentale, così statuiva: 1) accoglieva per quanto di ragione l'appello del e, in parziale riforma della Pt_1 sentenza di primo grado (che confermava con riferimento all'applicazione dell'art. 178 c.c. ed all'esistenza della comunione "de residuo"), dichiarava che, per effetto dello scioglimento dell'anzidetta comunione "de residuo", era titolare di un diritto di credito corrispondente al 50% del Controparte_1
valore dei beni costituenti l'impresa esercitata a titolo personale dal durante il matrimonio;2) Pt_1
disponeva, con separata ordinanza, la prosecuzione del giudizio di appello ai fini dell'accertamento in concreto dell'esistenza e dell'entità del credito, nonché dei relativi frutti;3) rimetteva alla sentenza definitiva la pronuncia sulle complessive spese giudiziali.
A fondamento dell'adottata decisione, la Corte respingeva il primo motivo formulato dal Pt_1
ritenendo che il Tribunale di Cagliari avesse correttamente considerato applicabile l'art. 178 c.c., in virtù del valore negoziale della dichiarazione resa dalla negli atti pubblici di acquisto dei CP_1
terreni;di talché, i beni da dividere si sarebbero dovuti considerare inseriti nella realtà produttiva dell'azienda, al cui esercizio erano destinati e l'incremento residuo, del quale la avrebbe dovuto CP_1
beneficiare "pro quota", avrebbe dovuto tener conto dell'attivo sui beni aziendali da accertarsi alla data in cui si era verificato lo scioglimento della comunione (e quindi al 25 gennaio 2001, corrispondente pacificamente alla data della proposizione della domanda di divisione).
Con la citata sentenza non definitiva, inoltre, la Corte d'Appello, dopo avere escluso che i beni per cui
è causa fossero stati acquisiti per l'esercizio dell'attività di agente di commercio del e che Pt_1 pagina 7 di 20
quindi potessero farsi rientrare nel novero dei beni personali dello stesso ex art. 179, lett. d, c.c., trattandosi al contrario di beni destinati all'esercizio dell'impresa individuale costituita dal e Pt_1
quindi divenuti oggetto della comunione de residuo, riteneva di dover condividere la tesi, dibattuta in dottrina e risolta non univocamente dalla giurisprudenza, secondo cui l'attrice potesse vantare non una situazione di contitolarità reale sui beni risultanti dalla comunione "de residuo" ma solo un diritto di credito sugli stessi, il cui oggetto era il valore monetario dei beni costituenti l'azienda, dedotte le passività, calcolato alla data in cui era intervenuto lo scioglimento della comunione legale.
Tuttavia la Corte, nel sostenere l'assunto della natura obbligatoria del diritto del coniuge non titolare dell'azienda, assumeva che nel prosieguo del giudizio si sarebbe potuto solo procedere all'accertamento del credito vantato dalla e non anche adottare una condanna del al CP_1 Pt_1
pagamento di somme in suo favore, non avendone l'attrice mai formulata alcuna relativa domanda negli atti di causa.
Quindi, la Corte, ai fini della determinazione dell'entità dei crediti da attribuire in favore dell'attrice e dei relativi frutti, rimetteva la causa sul ruolo per il suo ulteriore prosieguo istruttorio e la regolazione finale delle spese processuali.
Infatti, con ordinanza in data 25.6.2019, la Corte d'Appello disponeva CTU al fine di:
i) “accertare - sulla base degli atti e della documentazione prodotta in causa ed eventualmente di quella messa a disposizione del ctu nel rispetto del contradditorio e con l'accordo delle parti, avvalendosi inoltre - per l'accertamento del valore dei beni immobili - della relazione di stima già effettuata dal consulente tecnico nominato dal Tribunale, Ing. – il valore, alla Persona_2
data del 25 gennaio 2001 (data di scioglimento della comunione, come stabilita con sentenza
2297/2014 del Tribunale di Cagliari) dei beni che compongono l'attivo e delle passività afferenti all'attività economica esercitata come impresa individuale dal signor ;Parte_1
ii) “Nell'ipotesi in cui l'attivo della ditta individuale esercitata dal signor sia rappresentato Pt_1
esclusivamente da cespiti immobiliari, precisi il ctu quali tra le passività, esistenti alla data dello scioglimento della comunione, gravino sui tali beni immobili”.
Conferito l'incarico peritale, in data 14.11.2020 veniva depositata la relazione tecnica della designata
CTU dott.ssa . Persona_1
Intanto, nella pendenza del giudizio d'appello, avverso la suddetta sentenza non definitiva n. 557/2019 proponeva ricorso per Cassazione Barbarina Pirastu, affidandolo a tre motivi con cui: 1) richiamando la mancanza di un orientamento dottrinario e giurisprudenziale univoco, censurava la sentenza per non
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avere riconosciuto al coniuge non imprenditore un diritto reale sui beni costituenti la comunione de residuo;2) in via subordinata, sosteneva che, ove si fosse qualificato il diritto del coniuge dell'imprenditore come diritto di credito, si sarebbe dovuto ritenere che in caso di scioglimento della comunione "de residuo" ai sensi dell'art. 178 c.c., il coniuge dell'imprenditore avrebbe avuto: i) il diritto di prelevare, in relazione all'art. 192, comma 5, c.c., beni ricadenti nella predetta comunione sino
a concorrenza del proprio diritto di credito, dovendosi reputare tale norma applicabile anche all'ipotesi della cd. comunione de residuo;ii) ovvero una causa di prelazione ai sensi dell'art. 189 co. 2 c.c., rispetto ai creditori chirografari del coniuge imprenditore;3) ancora in via subordinata, si doleva dell'illegittimità della decisione gravata nella parte in cui aveva dichiarato che ogni statuizione successiva all'espletamento della CTU dovesse limitarsi al solo accertamento del credito ad essa ricorrente spettante, senza dar luogo ad alcuna condanna del al pagamento del relativo Parte_1
ammontare.
Avverso la su esposta impugnazione, resisteva con controricorso CP_2
Depositate le memorie ex art. 378 c.p.c., con ordinanza interlocutoria n. 28872 del 19 ottobre 2021 la
Seconda Sezione civile della Suprema Corte, ha rimesso il ricorso al Primo Presidente in vista della eventuale rimessione alle Sezioni Unite della questione di massima importanza concernente la natura del diritto vantato dal coniuge non titolare dell'azienda sui beni dell'azienda stessa ex art. 178 c.c.
La causa veniva, quindi, fissata dinanzi alle Sezioni Unite per l'udienza pubblica del 10.05.2022.
In esito al giudizio le Sezioni Unite con la sentenza n. 222/2022 del 10.05.2022 così pronunciavano:
“La Corte accoglie il terzo motivo nei limiti di cui in motivazione e, rigettati i primi due motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto con rinvio alla Corte d'Appello di Cagliari, cui rimette anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità”.
In particolare, il Supremo Collegio, nel respingere i primi due motivi del ricorso della , CP_1 affermava il seguente principio di diritto: “Nel caso di impresa riconducibile ad uno solo dei coniugi costituita dopo il matrimonio, e ricadente nella c.d. comunione de residuo, al momento dello scioglimento della comunione legale, all'altro coniuge spetta un diritto di credito pari al 50% del valore dell'azienda, quale complesso organizzato, determinato al momento della cessazione del regime patrimoniale legale, ed al netto delle eventuali passività esistenti alla medesima data”.
Ha, invece, giudicato meritevole di accoglimento il terzo motivo di ricorso ritenendo ritualmente formulata in giudizio dalla ricorrente la richiesta di condanna al pagamento del credito vantato nei
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confronti dell'ex coniuge e non solo l'accertamento dello stesso, confermando per il resto tutte le statuizioni della sentenza impugnata.
In particolare, le Sezioni Unite hanno ritenuto la soluzione condivisa dalla Corte d'Appello frutto di un approccio eccessivamente formalistico della valutazione della domanda attorea in quanto “Sebbene la ricorrente con la domanda introduttiva del giudizio avesse richiesto l'attribuzione della quota in natura asseritamente spettantele sui beni oggetto della comunione de residuo, partendo dal presupposto, rivelatosi erroneo, della natura reale della comunione in questione, ha comunque manifestato in maniera univoca l'intento di conseguire, seppur in natura e quale conseguenza della opzione interpretativa alla quale aveva aderito, il concreto soddisfacimento del proprio diritto, che ben si sarebbe potuto concretare - pur aderendo alla natura reale - anche in un diritto di credito, ove per ipotesi non fosse stato possibile addivenire alla divisione in natura, tramutandosi il diritto della condividente nel conguaglio dovuto dall'altro comunista ovvero nella quota parte del prezzo ricavato dalla vendita, in relazione alle due ipotesi contemplate dall'art. 720 c.c.”.
Intanto, nelle more della definizione del giudizio di legittimità, il presente giudizio d'appello, depositata la consulenza tecnica d'ufficio della dott.ssa subiva taluni rinvii d'ufficio anche per Per_1
l'attesa della pronuncia delle Sezioni Unite.
Quindi, tenuta a decisione all'udienza del 30.09.2022 ma successivamente rimessa sul ruolo per la necessità sostituzione del Collegio, la causa era rinviata all'udienza del 5.07.2024 allorché veniva tenuta a decisione senza l'assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c., avendo le parti già provveduto in precedenza al deposito degli atti difensivi conclusionali.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Come risulta dall'esposizione dello svolgimento processuale, le Sezioni Unite con sentenza n.
222/2022 hanno confermato in via definitiva le statuizioni della sentenza n. 557/2019 con la quale questa Corte, decidendo non definitivamente l'appello di avverso le sentenze non Parte_1
definitive del Tribunale di Cagliari n. 51/2004, n. 2414/2007, n. 2297/2014 e avverso la sentenza definitiva n. 1086/2017, nonché l'appello incidentale proposto da avverso tale ultima Controparte_1
sentenza, ha:
1) confermato l'applicabilità al caso di specie dell'art. 178 c.c. e, quindi, la ricorrenza nella vicenda in esame della comunione de residuo sui beni, mobili ed immobili, facenti parte dell'azienda costituita dal coniuge imprenditore, dopo il matrimonio;Parte_1
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2) affermato la natura creditizia del diritto spettante al coniuge non imprenditore, , al Controparte_1
momento dello scioglimento della comunione legale, sui beni oggetto della comunione de residuo, pari al 50% del valore dei beni aziendali determinato al momento della cessazione del regime patrimoniale legale (e quindi il 25 gennaio 2001, data della domanda di divisione, come accertato, in modo non contestato, dalla sentenza non definitiva di primo grado n. 2297/2014), ed al netto delle eventuali passività esistenti alla medesima data.
Il Supremo Collegio, invece, ha ritenuto non condivisibile la sentenza gravata nella parte in cui ha affermato che la decisione finale sulla domanda attorea non avrebbe potuto che essere limitata all'accertamento dell'esistenza eventuale del diritto di credito della , non potendo invece “avere CP_1
ad oggetto la condanna del al relativo pagamento, non avendo la mai formulato detta Pt_1 CP_1 domanda”.
A tal proposito, infatti, accolto in terzo motivo di ricorso, le Sezioni Unite hanno ritenuto che l'erronea individuazione da parte dell'attrice della disciplina concernente la comunione de residuo non consentisse “però di escludere che la volontà della ricorrente, una volta ricondotto il diritto azionato ad una pretesa creditoria, anziché di carattere reale, fosse proprio quella di conseguire, all'esito del giudizio l'attribuzione di quanto le compete per effetto della previsione di cui all'art. 178 c.c.”.
Tornata, quindi, all'esame del Collegio, la causa si presenta per essere definita nel merito delle questioni oggetto del rinvio, nei limiti delle statuizioni oramai definitive e dei principii affermati in sede di legittimità, necessitando di verificare l'esistenza e l'ammontare del diritto di credito vantato da
nei confronti di commisurato alla metà del valore dell'azienda di Controparte_1 Parte_1 titolarità di quest'ultimo al momento dello scioglimento dell'azienda legale, al netto delle passività insistenti sulla stessa azienda.
Con l'ordinanza n. 1482/2019 questa Corte ha conferito l'incarico peritale di procedere all'accertamento del valore, alla data del 25 gennaio 2001 (data di scioglimento della comunione), dei beni che compongono l'attivo e delle passività afferenti all'attività economica esercitata come impresa individuale da a tal fine, con la predetta ordinanza si è indicato che la determinazione del Parte_1
suddetto valore sarebbe dovuta avvenire “sulla base degli atti e della documentazione prodotta in causa ed eventualmente di quella messa a disposizione del ctu nel rispetto del contraddittorio e con
l'accordo delle parti, avvalendosi inoltre- per l'accertamento del valore dei beni immobili – della relazione di stima già effettuata dal consulente tecnico nominato dal Tribunale, Ing. Persona_2
”.
[...]
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Depositata la relazione del consulente dell'ufficio in data 14.11.2020, si è acceso tra le parti contrasto, avendo parte appellata eccepito la nullità e/o inutilizzabilità della CTU in quanto elaborata utilizzando documentazione, tra cui il “bilancio al 31.12.2000 allegato al Modello Unico 2001”, inammissibile perché introdotta tardivamente ed irritualmente in giudizio. Conseguentemente, l'appellata ha insistito per il rinnovo delle operazioni peritali per la determinazione del suo credito con espunzione della suindicata documentazione, affinché vengano altresì quantificati gli interessi maturati dalla data di scioglimento della comunione fino al saldo.
In particolare, ha sostenuto l'appellata che nel corso delle riunioni peritali finalizzate alla verifica in contraddittorio dei documenti utilizzabili dal Ctu, era stata riscontrata la documentazione ritualmente prodotta dalle parti e quella depositata dal solo all'udienza del 28.06.2012, ben oltre quindi il Pt_1
maturarsi delle preclusioni istruttorie, tra cui comunque figurava il solo Modello Unico 2001, ma non anche il bilancio al 31.12.2000, viceversa trasmesso al Ctu solo in data 28.01.2020 dal Ctp dell'appellante quale documento asseritamente, ma non fondatamente, allegato alla relazione integrativa peritale di primo grado.
Dal canto suo, il ha sostenuto che, in seguito a ricerche effettuate in cancelleria, era poi emerso Pt_1
che il Modello Unico ed il bilancio al 31.12.2000, pinzato a quel modello, erano stati prodotti dal convenuto all'udienza del 28.06.2012, tuttavia l'assunto è contestato dall'appellata non trovandosi il documento de quo in alcun modo calendato tra i documenti prodotti in tale data, conseguentemente ha contestato la validità ed utilizzabilità della relazione peritale per avere posto tale documentazione a base dell'accertamento affidato al perito.
Orbene, in riferimento alle questioni in discussione, ritiene la Corte di poter superare ogni contrasto insorto tra le parti alla luce delle considerazioni che seguono che consentono di definire la causa utilizzando “in parte qua” l'elaborato peritale della dott.ssa evitando l'ulteriore allungamento Per_1
dei tempi del processo che il rinnovo dell'indagine peritale certamente comporterebbe.
In merito, occorre dire che il Ctu (che in seguito a personali ricerche riferisce di avere individuato tra i verbali d'udienza il predetto bilancio al 31.12.2000), ha proceduto all'accertamento affidato ipotizzando tre soluzioni estimative: a) la prima calcola il valore delle attività e passività aziendali tenendo conto della documentazione (bilancio al 31.12.2000 dell'impresa Cannas) pur contestata, nell'eventualità in cui il Collegio ritenesse di acquisirla in giudizio;b) la seconda ricostruisce il detto valore considerando tutta la documentazione certamente presente agli atti ed avente rilevanza economica, dunque anche quella depositata dal convenuto all'udienza del 28.06.2012 (ma non il bilancio al 31.12.2000 in quanto non calendato tra quelle produzioni);c) la terza, infine, determina il
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valore delle attività e passività aziendali prescindendo totalmente da tali produzioni per considerare i soli documenti tempestivamente e pacificamente allegati dalle parti.
Ritiene il Collegio di dover accogliere tale ultima modalità di stima, dal momento che anche laddove il contestato bilancio al 31.12.2000 risultasse effettivamente pinzato al documento "Modello Unico 2020" prodotto all'udienza del 28.06.2012, si tratterebbe comunque di produzione tardiva non esaminabile in sede peritale, non avendo le parti trovato posizioni convergenti sulla sua utilizzabilità, come invece disposto dall'ordinanza del 25.06.2019 di conferimento del mandato peritale.
Non valgono a sostenere le opposte tesi del convenuto i richiami di quest'ultimo agli arresti della più autorevole giurisprudenza sul potere del Ctu di “acquisire tutti i documenti necessari al fine di rispondere ai quesiti, anche prescindendo dall'attività di allegazione delle parti e dopo lo spirare dei termini” (richiama Cass. Sez. Un., 1.02.2022, n. 3086);invero, il potere di acquisizione integrativa rimesso al (solo) perito contabile può sì riguardare anche i fatti principali posti dalle parti a fondamento delle loro domande (o eccezioni), che normalmente soggiacciono all'onere di allegazione e prova su esse incombente, ma solo in presenza di situazioni di particolare complessità tecnica della materia oggetto di lite, laddove questa si risolva nell'impedire alla parte “una corretta valorizzazione dei temi decisionali ed, insieme, dei temi probatori postulati dal giudizio … così da permettere al consulente contabile anche l'esame di quei documenti che, ancorché afferenti alla prova di fatti principali, le parti non siano state in grado di individuare e di indicare tempestivamente” (Cass. Sez. Un. cit. pag. 21).
Orbene, nel caso di specie, prospettato il tema del contendere, non era difficoltoso per il convenuto scrutinare quali fatti dovessero essere provati per contrastare le avverse pretese o sostenere le proprie domande, risultando anzi facilmente intuibile che sarebbe stato necessario provare la situazione patrimoniale della propria ditta individuale alla data di scioglimento della comunione, desumibile, in primo luogo, dalle dichiarazioni reddituali e dai bilanci di esercizio dell'impresa a quella data.
Anche il Ctu nel fare riferimento alla documentazione in contestazione tra le parti (e specificamente al
Modello Unico 2001 ed al bilancio al 31.12.2000), non ha fatto cenno alcuno alla complessità delle questioni trattate o alla difficoltà della relativa produzione, ma l'ha esaminata in quanto ha ritenuto la stessa prodotta in atti dalle parti.
Sicché non ricorrono, nella fattispecie in esame quei presupposti che, secondo la sopra richiamata giurisprudenza, solo consentono di assecondare un'attenuazione dell'onere di allegazione che compete alle parti “di fatti principali che le parti non siano state in grado di individuare e di indicare tempestivamente”.
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Inoltre, l'indagine del consulente contabile non potrebbe travalicare i limiti del mandato peritale conferito dal giudice: nel caso di specie, infatti, il Collegio, con l'ordinanza del 25.06.2019 aveva espressamente affidato al perito il compito di accertare il valore aziendale “sulla base degli atti e della documentazione prodotta in causa ed eventualmente di quella messa a disposizione del ctu nel rispetto del contradditorio e con l'accordo delle parti” nella fattispecie assolutamente mancato;pertanto, resta ben tracciato il perimetro dell'attività di indagine affidata al perito che non potrebbe basarsi su documenti che non risultano certamente presenti agli atti o, comunque, sono contestati per la loro tardiva produzione.
Ciò detto e venendo alla valorizzazione del patrimonio aziendale riconducibile alla come CP_3
indicata nell'ipotesi estimativa condivisa dal Collegio, il Ctu, dopo avere premesso che il valore più significativo e praticamente assorbente dell'attivo aziendale è rappresentato dai terreni e dai fabbricati
e che nella determinazione del loro valore si è avvalso della relazione del 19.10.2015 del consulente tecnico di primo grado, Ing. , ha esposto di dover assumere come valore di riferimento la Per_2
valutazione estimativa risultante dalla suddetta perizia pari ad euro 850.000,00 riferita a tutti gli immobili ancora nel patrimonio del alla data di scioglimento della comunione. Pt_1
A tal riguardo, il Ctu precisa che mentre nella prima relazione del 31.03.2008, avente ad oggetto “il complesso artigianale e relative pertinenze, sito nel Comune di Monastir, Km. 18.300, S.S. 131”, il valore complessivo del compendio era stato determinato dal tecnico dell'ufficio nell'importo complessivo di euro 1.377.000,00, nella successiva relazione del 19.10.2015 il perito, come richiesto dal giudice, aveva “fornito un aggiornamento del valore dei beni immobili per avviare un progetto di divisione. Il valore di mercato assegnato al compendio dal Tecnico è pari a complessivi euro
1.008.000,00, che tenuto conto del maggior valore commerciale per l'accesso e ridotto degli oneri di conformizzazione edilizia e di quelli aggiuntivi è stato determinato in misura pari ad euro 850.000,00”;valore che il Ctu ritiene congruo e risultante dal computo dei seguenti valori: valore commerciale del compendio euro 1.008.000,00 + valore commerciale accesso euro 2.500,00 – costi conformizzazione edilizia euro 135.176,14 - oneri aggiuntivi euro 21.000,00.
La parte appellata, tramite le osservazioni del proprio perito (e poi nelle memorie conclusionali), ha contestato il valore recepito dal Ctu in quanto non attualizzato alla data di scioglimento della comunione, sostenendo essere più congruo il valore (euro 1.377.000) stimato dall'Ing. nella Per_2
prima relazione del 31.03.2008 più prossima a tale data. Ha sostenuto, quindi, che, volendo assumere come base del calcolo la perizia del 2015, il valore esatto da prendere in riferimento dovrebbe essere non euro 1.008.000,00 ma quello di euro 1.295.086,00, da attualizzare con il coefficiente medio di
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degrado verificatosi dal 2001 al 2015, secondo lo specifico conteggio esposto nella relazione del proprio consulente, ottenendo così il valore di mercato degli immobili all'anno 2001 pari ad euro
1.398.929,98, assai vicino al valore stimato dalla prima perizia del 2008 (euro 1.377.000).
Il Ctu ha ritenuto tale valore non congruo, in quanto basato su conclusioni erronee, avendo preso in considerazione non il “valore finale” rassegnato dal perito di primo grado, dopo le diverse dissertazioni metodologiche, bensì “un valore intermedio di stima, pari al costo di riproduzione stimato dal Tecnico nell'importo di euro 1.295.086,00, che ha consentito all'Ing. di determinare il valore Per_2 commerciale lordo del compendio nell'importo di euro 1.008.000,00”, incrementato poi dell'importo di euro 2.500,00 per il valore commerciale dell'accesso e ridotto ad euro 850.000 in ragione dell'incidenza dei costi per gli interventi di regolarizzazione urbanistica e degli oneri aggiuntivi (euro
156.174,14).
Il Ctu ha altresì argomentato che il valore indicato dal Ctp dell'appellata sarebbe di gran lunga distante dal valore effettivo degli immobili alla data di scioglimento della comunione, non risultando neanche comparabile “con i valori emergenti dagli unici documenti contabili in atti e cioè con quelli esposti nel bilancio del alla data del 31 dicembre 2000 e quelli riportati nel Modello Unico 2001”, CP_3
più prossimi
Orbene, ritiene il Collegio che la risposta del perito dell'ufficio non sia del tutto esaustiva e, comunque, la conclusione ultima non condivisibile in quanto basata sull'inammissibile confronto del valore degli immobili stimato dalla Ctu nel 2015 con documenti inutilizzabili in giudizio e, dunque, sottratti agli apprezzamenti del consulente dell'ufficio.
In difetto di un puntuale riscontro del Ctu alle osservazioni della parte e tenuto conto che effettivamente il valore dei fabbricati preso in riferimento dal perito dell'ufficio risulta essere stato attualizzato dall'Ing. all'anno 2015, ritiene il Collegio di dovere, dapprima, ricondurre tale Per_2
valore, calcolato ad ottobre 2015, alla data di scioglimento della comunione (gennaio 2001), pervenendo all'importo di euro 1.002.388,555, quindi, ricorrendo alle stesse formule utilizzate nella relazione del 2015 ma calcolando il deprezzamento degli immobili al 2001 rispetto all'anno di costruzione (1991), applicare un indice di degrado che tenga conto dell'intervallo di 10 anni anziché di
24 anni come calcolato dal suddetto perito. Così operando, si perviene ad un valore dei fabbricati per
l'anno 2001 di euro 862.054,15 (1.002.388,55 x 0,82 c.d.g.) che sommato al valore dei terreni stimato in euro 192.000,00 dà un valore commerciale del complesso immobiliare alla data di scioglimento della comunione pari ad euro 1.054.054,15.
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Da tale valore devono, tuttavia, essere detratti i costi per la regolarizzazione urbanistica degli immobili
e per gli oneri aggiuntivi, che il Ctu ha confermato nell'importo di euro 156.174,14, già stimato dall'Ing. nel 2015;a tal proposito non sono condivisibili le richieste dell'appellata di Per_2 deflazionamento di tali costi o della loro riduzione “di una percentuale pari all'incremento che i costi in materia edilizia (costi dei materiali e della manodopera) hanno registrato tra il 2001 e il 2015”, non avendo le Ctu espletate nel corso del giudizio reso alcuna evidenza dell'effettivo accrescimento di tali voci di costo nel periodo di tempo in riferimento.
Pertanto, dall'importo di euro 1.054.054,15 deve essere detratto l'importo dei suddetti costi pari ad euro 156.174,14 ottenendo così l'importo di euro 897.880,01 che individua il valore del compendio immobiliare aziendale alla data di scioglimento della comunione.
*
Passando all'accertamento delle passività aziendali, il Ctu ha riscontrato, dai documenti ritualmente acquisiti al processo, debiti della verso le banche ammontanti, alla fine dell'anno 2000, a CP_3
complessive lire 88.291.479 pari ad euro 41.403,00: si tratta, in particolare, del debito residuo (lire
44.247.643 pari ad euro 22.852,00) del finanziamento di consolidamento L.R. n. 51/1993, stipulato da con il Banco di Sardegna S.p.A. (doc. 118 fasc. convenuto) e del debito scaduto (lire Parte_1
26.238.915 pari ad euro 13.551,26) del mutuo a tasso agevolato ex legge n. 183/1975 stipulato tra lo stesso e la Banca CIS S.p.A. (doc. 119 fasc. convenuto). Pt_1
Il perito ha precisato, rispondendo al secondo dei quesiti affidati dal Collegio, che le suindicate passività sono interamente riferibili a debiti gravanti sui beni immobili costituenti l'attivo della CP_3
e, dunque, interamente computabili ai fini che qui occorrono.
[...]
Il Ctu ha, inoltre, indicato un saldo debitore del conto corrente n. 11065/2 pari a lire 25.806.530 (euro
13.327,96), come risultante dalla comunicazione dell'8 maggio 1998 del Banco di Sardegna S.p.a., tuttavia, ha rilevato che “Mentre per i mutui/finanziamenti è stato possibile ricostruire l'importo del debito, non risultano prodotti dalle parti documenti utili per accertare, ad una data prossima allo scioglimento della comunione, l'entità del saldo debitore del conto corrente della Ditta” (v. Ctu pag.
31);pertanto, stante anche la distanza temporale della comunicazione in argomento (risalente a due anni prima dello scioglimento della comunione), deve essere escluso dalle passività aziendali il saldo debitore del suddetto conto corrente.
Altresì, devono essere esclusi dal calcolo del passivo i debiti verso i fornitori (euro 12.906,85), quelli tributari (euro 22.922,94) ed i debiti verso gli enti previdenziali (euro 916,14), che il Ctu ha desunto dal
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bilancio della al 31.12.2000 non suscettibile di apprezzamento per quanto già detto;tanto CP_3
è vero che lo stesso perito dell'ufficio non esita a riconoscere che per tali voci del passivo “Non risultano agli atti della causa documenti che comprovino l'entità di queste passività”. Lo stesso dicasi per gli “altri debiti” (euro 138.834,87) esposti nello stesso bilancio senza, peraltro, “indicazioni di dettaglio o precisazioni sulla loro natura”, come puntualizzato dallo stesso Ctu.
Non può, inoltre, intervenire a comporre il passivo aziendale alla data di scioglimento della comunione il “fondo rischi” di euro 263.101,82 che il Ctp dell'appellante ha ritenuto derivante dalla probabile escussione delle garanzie prestate dal nei confronti della Savemain s.r.l. e che l'appellante ha Pt_1
precisato essere state di fatto escusse.
In merito alla mancata considerazione nel computo delle passività della del predetto CP_3
fondo rischi, il perito dell'ufficio ha precisato che, non solo lo stesso bilancio della al CP_3
31.12.2000 non esponeva alcun fondo rischi, così manifestando l'intendimento dello stesso imprenditore di non ritenere necessario o opportuno appostare tale voce tra i dati contabili aziendali, ma anche che detto fondo, secondo le indicazioni dell'OIC Organismo Italiano di Contabilità, rappresenta delle passività potenziali, cioè “caratterizzate da uno stato d'incertezza il cui esito dipende dal verificarsi o meno di uno o più eventi in futuro”, in ogni caso passività non accertabili al momento dello scioglimento della comunione, perché non concretamente esistenti a quella data.
Parimenti non può considerarsi passività gravante sugli immobili strumentali all'azienda l'ipoteca volontaria iscritta a garanzia del debito della Savemain s.r.l. per euro 100.485,82 alla data del 31 dicembre 2000, trattandosi, come esposto dal Ctu, di garanzia prestata dal volontariamente a Pt_1
copertura dell'esposizione debitoria di un terzo.
In conclusione, il valore delle attività e delle passività della alla data Controparte_4
di scioglimento della comunione ammonta, quanto alle prime, ad euro 897.880,01 e, quanto alle seconde, ad euro 41.403,00, derivandone un residuo attivo del patrimonio aziendale di euro 856.477,01 che determina un credito ex art. 178 c.c. di nei confronti di pari ad euro Controparte_1 Parte_1
428.238,05 su cui devono applicarsi gli interessi legali da computarsi dalla data della domanda (25 gennaio 2001) sino al soddisfo.
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Il disconoscimento della natura reale del diritto del coniuge non imprenditore sui beni oggetto della comunione de residuo e l'affermazione della natura creditizia di tale diritto, pari alla metà del valore dell'azienda al momento dello scioglimento della comunione, comporta che all'attrice non possa
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riconoscersi alcun diritto ai frutti maturatisi sui beni aziendali a decorrere da quel momento in poi, fondandosi tale diritto sul mancato godimento di beni che si suppongono, erroneamente, nella comunanza dei coniugi.
Infatti, come riconosciuto anche dalle Sezioni Unite nella pronuncia intervenuta nel corso del giudizio, il riconoscimento della natura creditizia del diritto del coniuge non imprenditore “garantisce la permanenza della disponibilità dei frutti e dei proventi e dell'autonomia gestionale, quanto all'impresa, in capo all'altro coniuge, nelle ipotesi previste dall'art. 178 c.c., evitando un pregiudizio altresì per le ragioni dei creditori, consentendo in tal modo la sopravvivenza dell'impresa” (Cass. SU
n. 222/2022, pag. 34), tenuto conto che “proseguendo la gestione dell'impresa da parte del coniuge che già lo faceva prima, non è giustificabile alcuna aspettativa del coniuge non imprenditore, essendo venute meno, con la cessazione del regime della comunione legale, quelle esigenze solidaristiche che erano a fondamento della pretesa di compartecipazione alle fortune del coniuge imprenditore” (Cass. ult. cit. pagg. 39 -40).
E' stato, infatti, affermato che “E' una caratteristica tipica della comunione de residuo che …. la compartecipazione al valore degli incrementi patrimoniali conseguiti post nuptias dall'altro coniuge è, appunto, differita al momento della separazione, non ad epoca successiva”. (Cass. sez. I civile n.
6876/2013).
Da ciò consegue che debba essere respinto l'appello incidentale di per il mancato Controparte_1
riconoscimento in proprio favore degli utili aziendali maturati sino alla definitiva liberazione degli immobili da parte di essendo tali frutti rimasti nella disponibilità esclusiva di Parte_1 quest'ultimo in ragione della continuità dell'impresa da lui gestita e della titolarità esclusiva degli stessi beni.
Per le medesime ragioni, non può trovare accoglimento l'ulteriore domanda dell'appellata volta a conseguire, tramite la formulazione dell'impugnazione incidentale, la liberazione degli immobili rimasti nella disponibilità dell'appellato dopo lo scioglimento della comunione, trattandosi di beni sottratti alla contitolarità dei coniugi.
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In conclusione, all'esito del presente giudizio, mentre l'appello principale di ha trovato Parte_1
parziale accoglimento (quanto alla natura creditizia del diritto vantato dall'attrice ed al calcolo del valore del patrimonio aziendale al netto delle passività sullo stesso gravanti) nei limiti della sentenza non definitiva di questa Corte confermati dalla pronuncia delle Sezioni Unite, l'appello incidentale di
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è rimasto disatteso per effetto della stessa pronuncia, sia avuto riguardo alla domanda Controparte_1
volta a conseguire i frutti ulteriormente maturati sugli immobili rimasti nel godimento del sia Pt_1
avuto riguardo alla domanda diretta a conseguire la liberazione di tali immobili;ha, tuttavia, trovato accoglimento in sede di legittimità la censura dalla stessa formulata avverso il mancato riconoscimento del suo diritto ad ottenere la condanna dell'appellante al pagamento delle somme spettanti in base alla previsione dell'art. 178 c.c..
Quindi, venendo alle spese processuali, il Collegio ritiene che, in base all'esito complessivo del giudizio (da stabilire al termine della complessa vicenda processuale), le spese debbano essere compensate per la metà tra le parti in ragione della parziale reciproca soccombenza in relazione a molte delle questioni dibattute nei diversi gradi di giudizio e della novità della questione controversa che ha determinato l'intervento delle Sezioni Unite, ponendo a carico del convenuto in ragione Parte_1
della sua residuale maggiore soccombenza, la restante parte liquidata come in dispositivo per il primo grado, il giudizio di legittimità ed il presente grado al valore medio dello scaglione di riferimento indicato dalle parti (indeterminabile media complessità), ivi comprese quelle del giudizio cautelare. Le spese di Ctu, già liquidate, sono poste a carico delle parti in solido tra loro.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI APPELLO DI CAGLIARI
SEZIONE CIVILE PRIMA
Composta dai magistrati
M T S Presidente
M A S Consigliere
B M Giudice Ausiliario Relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Nella causa promossa per rinvio dalla Corte di Cassazione iscritta al numero 543 del ruolo generale dell'anno 2017 di questa Corte, promossa da
residente in Monastir ed elettivamente domiciliato in Cagliari, in Viale Trento n. Parte_1
86, rappresentato e difeso dagli Avv.ti prof. C C e A A, giusta procura in atti, ammesso al patrocinio a spese dello Stato con delibera del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di
Cagliari del 22.05.2017,
- APPELLANTE
contro
elettivamente domiciliata in Cagliari, in Via Dante Alighieri n. 88 presso lo Controparte_1
studio dell'Avv. M L L che la rappresentano e difendono giusta procura in atti;
- APPELLATA/appellante incidentale
all'udienza collegiale del 5 Luglio 2024 la causa è stata posta in decisione sulle seguenti
CONCLUSIONI
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Nell'interesse dell'appellante principale:
“a) in via principale e nel merito, accertare e dichiarare che i terreni acquistati dal solo nel Pt_1
corso del 1983 restano esclusi dalla comunione tra i coniugi, ex art. 179 c.c., per espressa e solenne dichiarazione resa al Notaio rogante dall'appellata sig.ra ;Controparte_1
b) in via subordinata istruttoria, nel denegato caso in cui la Corte ritenga che gli immobili sopra citati siano ricaduti nella comunione de residuo ai sensi di quanto disposto dall'art. 178 c.c., disporre il rinnovo delle operazioni peritali al fine della congrua valutazione del reale diritto di credito vantato dal coniuge non imprenditore al netto delle passività aziendali ovvero, in ogni caso, delle passività gravanti sui medesimi beni;
c) sempre in via subordinata istruttoria, disporre le operazioni peritali ai fini del corretto calcolo dei frutti, o meglio ai fini dell'accertamento del congruo valore del diritto di credito avanzato dalla appellata sul compendio residuo, al netto di tutte le passività”.
Nell'interesse dell'appellata/appellante incidentale:
“..secondo quanto statuito in via definitiva dalle Sezioni Unite Civili della Suprema Corte di
Cassazione con sentenza Racc. Gen. n. 15889/2022 n. Sezio-nale 222/2022, pubblicata il 17.05.2022,
Voglia:
A. dichiarata la sussistenza del diritto di credito della signora , determinare il Controparte_1
valore attivo del patrimonio aziendale alla data in cui si è verificato lo scioglimento della comunione
(25.01.2001, data della proposizione della domanda di divisione), maggiorato dei frutti e degli utili percepiti e percipiendi dal compendio comune dalla data dello scioglimento della comunione fino al saldo, accertare e dichiarare la nullità e/o inutilizzabilità della CTU espletata dalla dott.ssa Per_1
, la cui relazione è stata depositata il 14.11.2020, per le ragioni illustrate ed opposte nella
[...]
comparsa di costituzione in sostituzione di difensore e nelle note di trattazione scritta depositate nell'interesse dell'appellata – appellante incidentale in data 05.07.2021 e 07.07.20221 e, per quanto occorra, nelle opposizioni proposte nel corso dello svolgimento delle operazioni anche dal CTP, con ogni conseguente pronuncia anche in relazione alla revoca dei provvedimenti di liquidazione dei compensi emessi, previa, ove occorra, dichiarazione di inammissibilità ed inutilizzabilità del “bilancio al 31.12.2000” e della documentazione tardivamente ed irritualmente prodotta dall'appellante all'udienza del 28.06.2012 davanti al Tribunale di Cagliari (della quale non faceva comunque parte il predetto bilancio);
pagina 2 di 20 B. disporre la rinnovazione delle operazioni peritali, con incarico ad altro CTU, sui quesiti già formulati nell'ordinanza collegiale del 25.06.2019, con la precisazione che nella determinazione del credito in favore della signora dovranno essere quantificati anche gli interessi maturati dalla CP_1
quota di sua spettanza dalla data di scioglimento della comunione fino al saldo;
C. determinato e quantificato il credito della signora , condannare al pagamento CP_1 Parte_1
e corresponsione in favore della stessa delle somme quantificate, oltre ulteriori interessi fino al saldo;
D. rigettare ogni avversa domanda, eccezione, istanza e conclusione, in quanto inammissibile e/o infondata;
E. in tutti i casi con vittoria di spese e competenze di tutti i gradi del giudizio o, in via subordinata, con compensazione integrale delle spese e competenze dei giudizi davanti all'intestata Corte e alla
Suprema Corte di Cassazione, considerata la complessità e la novità della materia trattata, la non univoca elaborazione giurisprudenziale che li ha preceduti e la reciproca soccombenza”.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione ritualmente notificato, la signora convenne in giudizio dinanzi Controparte_1
al Tribunale di Cagliari il signor con cui aveva contratto matrimonio concordatario il 28 Parte_1
giugno 1974 e con il quale aveva poi costituito una società denominata SAVEMAIN s.r.l., avente ad oggetto il commercio di macchine industriali, società della quale era amministratore il suddetto Pt_1
titolare di una quota pari al 55%, mentre la deteneva la restante parte. CP_1
Rappresentò l'attrice che, successivamente all'inizio dell'esercizio dell'attività societaria ed al conseguimento dei corrispondenti utili, i due coniugi acquistarono un'area fabbricabile sulla quale edificare una sede più adeguata ed i locali da destinare ad officine dell'impresa individuale che il
nell'anno 1983, aveva avviato in proprio, con lo scopo principale di provvedere alla Pt_1
manutenzione ed all'assistenza dei mezzi commercializzati dall'anzidetta società.
Espose che con successivi sei atti di compravendita, gli stessi coniugi avevano acquistato diversi fondi per la superficie complessiva di 18.000 mq e che, solo nell'ultimo di tali atti, concluso nel 1988, era stato dato atto che il relativo immobile era stato acquistato dai coniugi in regime di comunione legale, mentre negli altri atti, stipulati nel 1983, risultava quale unico acquirente ed intestatario Parte_1
avendo l'attrice, pur intervenuta alla stipula, dichiarato che gli immobili oggetto d'acquisto non rientravano nella comunione dei beni in quanto da considerarsi necessari per l'esercizio della professione del e ciò in conformità all'art. 179, lett. d), c.c.. Pt_1
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Su tutte le suddette aree, nel corso degli anni, era stato realizzato dal un complesso industriale, Pt_1
composto da un capannone, officine meccaniche, una palazzina su tre piani (uno dei quali destinato ad abitazione coniugale), strade ed annessi.
Pertanto, sul presupposto dell'assunta erroneità dell'espressa dichiarazione resa in sede dis tipula e dell'applicabilità al caso di specie dell'art. 178 c.c., in luogo del citato art. 179 lett. d), c.c., ed essendo successivamente intervenuta pronuncia di separazione giudiziale con sentenza del Tribunale di Cagliari del 2 maggio 2000 (passata in giudicato), l'attrice sostenne che, sciolta la comunione legale tra coniugi, gli immobili acquistati dal dopo il matrimonio erano da considerarsi caduti "ipso iure" in Pt_1
comunione, conseguendone il suo diritto di comproprietà sui predetti immobili, nonché su quanto sugli stessi edificato, in ragione del 50%.
La stessa , inoltre, sempre in base all'art. 178 c.c., dedusse di essere altresì comproprietaria, per CP_1
metà, anche di tutti i beni mobili dell'impresa artigiana del coniuge (ivi compresi gli utili, gli incrementi, le attrezzature nonché qualsiasi altra posta patrimoniale ancora esistente all'atto dello scioglimento della comunione), oltre che delle quote della SAVEMAIN s.r.l. delle quali il era Pt_1
nel frattempo divenuto unico intestatario a seguito di operazioni societarie.
Sulla base di tale premessa in fatto, concluse chiedendo la divisione di tutti i beni Controparte_1
aziendali intestati al convenuto, nonché la rappresentazione degli utili percepiti e percipiendi dallo stesso oltre che dell'equivalente pecuniario riconducibile agli eventuali beni aziendali che Pt_1
fossero stati alienati dal medesimo convenuto successivamente all'intervenuto scioglimento della comunione legale.
Si costituì in giudizio il quale resistette alla domanda, invocandone il rigetto, per Parte_1
l'erronea prospettazione in diritto offerta dall'attrice, stante l'espressa ed inequivoca dichiarazione resa negli atti di compravendita volta ad escludere gli immobili dalla comunione, ed eccependo, altresì,
l'avvenuto acquisto per usucapione di tutti gli immobili dedotti in controversia, compresi quelli aziendali, e delle costruzioni su di essi insistenti.
Il dedusse, inoltre, che ove fosse stata condivisa la prospettazione attorea, occorreva tener Pt_1
conto che l'azienda individuale da lui esercitata, fin dal momento dello scioglimento della comunione legale, presentava un'esposizione debitoria ammontante a circa 400 milioni di lire e che, anche sulla proprietà dei beni immobili acquistati, pendeva una posizione debitoria di 100 milioni di lire.
Il convenuto, pertanto, chiese che l'attrice venisse condannata al pagamento della metà di tutti gli oneri correlati alla realizzazione delle opere edificate sugli immobili di sua proprietà esclusiva, nonché al
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rimborso a proprio favore di tutti gli oneri che erano derivati dall'esecuzione di quelle opere da parte di soggetti terzi, ai sensi degli art. 934 e 935 c.c..
All'udienza di trattazione l'attrice propose, in via subordinata, rispetto alle domande già indicate nell'atto di citazione, domanda di annullamento o di revoca o di dichiarazione di nullità ovvero di inefficacia delle dichiarazioni di esclusione dei beni dalla comunione da essa rilasciate nei rogiti di compravendita per dolo, per errore di fatto e/o di diritto, assumendo che il le aveva prospettato Pt_1 la necessità, per ottenere finanziamenti dalla Cassa Depositi e Prestiti, dell'intestazione esclusiva a sé degli immobili.
Il convenuto eccepì, a sua volta, la prescrizione di queste ultime azioni ulteriormente avanzate dalla
, nonché la decadenza dalle stesse. CP_1
La causa, istruita documentalmente, venne tenuta a decisione per la necessità di definire la questione preliminare del diritto dell'attrice alla divisione ex art. 178 c.c..
Con sentenza non definitiva n. 51/2004 del 5 novembre 2003, il Tribunale di Cagliari ritenne che gli immobili oggetto dei contratti di compravendita suindicati non potessero essere considerati beni personali, ai sensi dell'art. 179 lett. d) c.c., non essendo gli stessi destinati all'esercizio di una professione, come affermato negli atti stessi, ma all'esercizio dell'attività di impresa da parte del convenuto, impresa costituita dopo il matrimonio;pertanto, l'attrice doveva ritenersi proprietaria del
50% dei beni immobili oggetto del contendere, dovendosi applicare nella fattispecie, il disposto dell'art.
178 c.c.;rigettò, inoltre, la domanda riconvenzionale di usucapione formulata dal convenuto, difettandone i relativi presupposti.
Con la medesima sentenza il Tribunale dispose la prosecuzione del giudizio per le conseguenti operazioni divisionali.
Nel corso giudizio furono emesse altre due sentenze non definitive, e precisamente, la n. 2414/2007 del
18.07.2007, con la quale il Tribunale rigettò la domanda riconvenzionale del ritenendo che gli Pt_1
edifici realizzati sui terreni dallo stesso acquistati fossero divenuti di sua proprietà individuale, in applicazione del principio dell'accessione ex art. 934 c.c., e la n. 2297/2014 del 29.07.2014, con cui il
Tribunale si limitò a rilevare la sussistenza del diritto in capo alla alla rappresentazione dei CP_1
frutti e degli utili percepiti e percipiendi dai beni comuni a far data dallo scioglimento della comunione, beni sui quali il aveva esercitato il possesso esclusivo, con decorrenza dalla data della domanda Pt_1
di divisione.
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Preso atto che l'attrice aveva rinunciato, in sede di comparsa conclusionale, alle azioni di assegnazione della metà dei beni mobili dell'azienda intestata al nonché della metà delle quote della società Pt_1
SAVEMAIN, oltre che alla liquidazione dei frutti e degli utili maturati, percepiti e percepibili dal per effetto del godimento esclusivo dell'azienda individuale e della citata società, lo stesso Pt_1
Tribunale, con sentenza definitiva n. 1186/2017 del 31.03.2017, ritenendo non necessaria l'osservanza delle formalità previste dall'art. 789 c.p.c.:
1) dichiarò lo scioglimento della comunione dei beni tra la signora e il signor Controparte_1 Pt_1
[...]
2) dichiarò esecutivo il progetto di divisione approntato dal Ctu nella relazione depositata in data
19.10.2015 e, per l'effetto, stante la non comoda divisibilità dei beni e l'ammontare della quota e del credito complessivo dell'attrice (euro 811.500,00), assegnò ad essa il complesso artigianale e relative pertinenze sito nel Comune di Monastir, al km 18.300 della s.s. 131, distinto al N.C.E.U. al foglio 22, mappali 2097, sub 1, 2 , 3, 4, 5, comprendente il terreno distinto al foglio 18, mappali 74, 520, 529,
530, 539, 817, 818, 819, 820, 821 e 822, ed il terreno distinto al foglio 22, mappali 242, 243, 244 e
472, con l'obbligo per l'assegnataria di versare al un conguaglio di euro 38.500,00. Pt_1
Con la sentenza definitiva, il Tribunale regolò anche le complessive spese processuali, ponendole a carico del convenuto sempre soccombente e liquidandole in complessivi euro 68.482,79, di cui euro
62.621,00 e euro 5.535,00 per competenze professionali rispettivamente per il merito e per il procedimento cautelare in corso di causa, ed euro 326,79 per esborsi, oltre accessori;pose, inoltre, le spese di Ctu del procedimento r.g. n. 677-2/2001, già liquidate, a carico di e le spese di Parte_1
Ctu del giudizio di merito, già liquidate, a carico delle parti in solido tra loro.
Avverso tutte le sentenze, quelle non definitive e quella definitiva, del Tribunale di Cagliari, proponeva appello resistito dall'appellata , la quale a sua volta avanzava gravame Parte_1 Controparte_1
incidentale avverso la sola sentenza definitiva.
In estrema sintesi i motivi del gravame principale possono concretarsi in due sostanziali doglianze, ciascuna variamente articolata:
a) contestazione dell'applicabilità dell'art. 178 c.c, in virtù del valore negoziale della dichiarazione resa dalla negli atti pubblici di acquisto dei terreni;CP_1
b) in subordine, nell'ipotesi in cui, invece, avesse trovato conferma la valutazione data dal primo giudice alla dichiarazione della , erroneità della natura reale del diritto riconosciuto in capo al CP_1
coniuge non imprenditore, il quale, più correttamente, vanterebbe un diritto di credito verso il coniuge
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imprenditore, ragguagliato alla metà del valore dei beni aziendali, opportunamente considerate le passività che gravano su di essi.
Con l'appello incidentale, invece, ha censurato la statuizione della sentenza definitiva Controparte_1
relativa alla concreta liquidazione dei frutti, assumendo che alcun conguaglio spettasse al in Pt_1
ragione della protratta occupazione degli immobili comuni dopo il 2015, che avrebbe determinato un incremento dei frutti ad essa spettanti per il mancato godimento di detti immobili, con conseguente azzeramento di ogni conguaglio in favore del tenuto anche alla liberazione immediata degli Pt_1
immobili.
Nel corso del giudizio, con ordinanza del 25.10.2017, la Corte dichiarava inammissibile la domanda di sospensione dell'efficacia esecutiva delle sentenze non definitive (non contenenti statuizioni di condanna) e rigettava l'analoga istanza, rivolta verso la sentenza definitiva per mancata allegazione del periculum in mora,
Precisate le conclusioni la causa veniva tenuta a decisione e con sentenza n. 557/2019, la Corte di
Appello di Cagliari, non definitivamente pronunciando sull'appello principale e su quello incidentale, così statuiva: 1) accoglieva per quanto di ragione l'appello del e, in parziale riforma della Pt_1 sentenza di primo grado (che confermava con riferimento all'applicazione dell'art. 178 c.c. ed all'esistenza della comunione "de residuo"), dichiarava che, per effetto dello scioglimento dell'anzidetta comunione "de residuo", era titolare di un diritto di credito corrispondente al 50% del Controparte_1
valore dei beni costituenti l'impresa esercitata a titolo personale dal durante il matrimonio;2) Pt_1
disponeva, con separata ordinanza, la prosecuzione del giudizio di appello ai fini dell'accertamento in concreto dell'esistenza e dell'entità del credito, nonché dei relativi frutti;3) rimetteva alla sentenza definitiva la pronuncia sulle complessive spese giudiziali.
A fondamento dell'adottata decisione, la Corte respingeva il primo motivo formulato dal Pt_1
ritenendo che il Tribunale di Cagliari avesse correttamente considerato applicabile l'art. 178 c.c., in virtù del valore negoziale della dichiarazione resa dalla negli atti pubblici di acquisto dei CP_1
terreni;di talché, i beni da dividere si sarebbero dovuti considerare inseriti nella realtà produttiva dell'azienda, al cui esercizio erano destinati e l'incremento residuo, del quale la avrebbe dovuto CP_1
beneficiare "pro quota", avrebbe dovuto tener conto dell'attivo sui beni aziendali da accertarsi alla data in cui si era verificato lo scioglimento della comunione (e quindi al 25 gennaio 2001, corrispondente pacificamente alla data della proposizione della domanda di divisione).
Con la citata sentenza non definitiva, inoltre, la Corte d'Appello, dopo avere escluso che i beni per cui
è causa fossero stati acquisiti per l'esercizio dell'attività di agente di commercio del e che Pt_1 pagina 7 di 20
quindi potessero farsi rientrare nel novero dei beni personali dello stesso ex art. 179, lett. d, c.c., trattandosi al contrario di beni destinati all'esercizio dell'impresa individuale costituita dal e Pt_1
quindi divenuti oggetto della comunione de residuo, riteneva di dover condividere la tesi, dibattuta in dottrina e risolta non univocamente dalla giurisprudenza, secondo cui l'attrice potesse vantare non una situazione di contitolarità reale sui beni risultanti dalla comunione "de residuo" ma solo un diritto di credito sugli stessi, il cui oggetto era il valore monetario dei beni costituenti l'azienda, dedotte le passività, calcolato alla data in cui era intervenuto lo scioglimento della comunione legale.
Tuttavia la Corte, nel sostenere l'assunto della natura obbligatoria del diritto del coniuge non titolare dell'azienda, assumeva che nel prosieguo del giudizio si sarebbe potuto solo procedere all'accertamento del credito vantato dalla e non anche adottare una condanna del al CP_1 Pt_1
pagamento di somme in suo favore, non avendone l'attrice mai formulata alcuna relativa domanda negli atti di causa.
Quindi, la Corte, ai fini della determinazione dell'entità dei crediti da attribuire in favore dell'attrice e dei relativi frutti, rimetteva la causa sul ruolo per il suo ulteriore prosieguo istruttorio e la regolazione finale delle spese processuali.
Infatti, con ordinanza in data 25.6.2019, la Corte d'Appello disponeva CTU al fine di:
i) “accertare - sulla base degli atti e della documentazione prodotta in causa ed eventualmente di quella messa a disposizione del ctu nel rispetto del contradditorio e con l'accordo delle parti, avvalendosi inoltre - per l'accertamento del valore dei beni immobili - della relazione di stima già effettuata dal consulente tecnico nominato dal Tribunale, Ing. – il valore, alla Persona_2
data del 25 gennaio 2001 (data di scioglimento della comunione, come stabilita con sentenza
2297/2014 del Tribunale di Cagliari) dei beni che compongono l'attivo e delle passività afferenti all'attività economica esercitata come impresa individuale dal signor ;Parte_1
ii) “Nell'ipotesi in cui l'attivo della ditta individuale esercitata dal signor sia rappresentato Pt_1
esclusivamente da cespiti immobiliari, precisi il ctu quali tra le passività, esistenti alla data dello scioglimento della comunione, gravino sui tali beni immobili”.
Conferito l'incarico peritale, in data 14.11.2020 veniva depositata la relazione tecnica della designata
CTU dott.ssa . Persona_1
Intanto, nella pendenza del giudizio d'appello, avverso la suddetta sentenza non definitiva n. 557/2019 proponeva ricorso per Cassazione Barbarina Pirastu, affidandolo a tre motivi con cui: 1) richiamando la mancanza di un orientamento dottrinario e giurisprudenziale univoco, censurava la sentenza per non
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avere riconosciuto al coniuge non imprenditore un diritto reale sui beni costituenti la comunione de residuo;2) in via subordinata, sosteneva che, ove si fosse qualificato il diritto del coniuge dell'imprenditore come diritto di credito, si sarebbe dovuto ritenere che in caso di scioglimento della comunione "de residuo" ai sensi dell'art. 178 c.c., il coniuge dell'imprenditore avrebbe avuto: i) il diritto di prelevare, in relazione all'art. 192, comma 5, c.c., beni ricadenti nella predetta comunione sino
a concorrenza del proprio diritto di credito, dovendosi reputare tale norma applicabile anche all'ipotesi della cd. comunione de residuo;ii) ovvero una causa di prelazione ai sensi dell'art. 189 co. 2 c.c., rispetto ai creditori chirografari del coniuge imprenditore;3) ancora in via subordinata, si doleva dell'illegittimità della decisione gravata nella parte in cui aveva dichiarato che ogni statuizione successiva all'espletamento della CTU dovesse limitarsi al solo accertamento del credito ad essa ricorrente spettante, senza dar luogo ad alcuna condanna del al pagamento del relativo Parte_1
ammontare.
Avverso la su esposta impugnazione, resisteva con controricorso CP_2
Depositate le memorie ex art. 378 c.p.c., con ordinanza interlocutoria n. 28872 del 19 ottobre 2021 la
Seconda Sezione civile della Suprema Corte, ha rimesso il ricorso al Primo Presidente in vista della eventuale rimessione alle Sezioni Unite della questione di massima importanza concernente la natura del diritto vantato dal coniuge non titolare dell'azienda sui beni dell'azienda stessa ex art. 178 c.c.
La causa veniva, quindi, fissata dinanzi alle Sezioni Unite per l'udienza pubblica del 10.05.2022.
In esito al giudizio le Sezioni Unite con la sentenza n. 222/2022 del 10.05.2022 così pronunciavano:
“La Corte accoglie il terzo motivo nei limiti di cui in motivazione e, rigettati i primi due motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto con rinvio alla Corte d'Appello di Cagliari, cui rimette anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità”.
In particolare, il Supremo Collegio, nel respingere i primi due motivi del ricorso della , CP_1 affermava il seguente principio di diritto: “Nel caso di impresa riconducibile ad uno solo dei coniugi costituita dopo il matrimonio, e ricadente nella c.d. comunione de residuo, al momento dello scioglimento della comunione legale, all'altro coniuge spetta un diritto di credito pari al 50% del valore dell'azienda, quale complesso organizzato, determinato al momento della cessazione del regime patrimoniale legale, ed al netto delle eventuali passività esistenti alla medesima data”.
Ha, invece, giudicato meritevole di accoglimento il terzo motivo di ricorso ritenendo ritualmente formulata in giudizio dalla ricorrente la richiesta di condanna al pagamento del credito vantato nei
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confronti dell'ex coniuge e non solo l'accertamento dello stesso, confermando per il resto tutte le statuizioni della sentenza impugnata.
In particolare, le Sezioni Unite hanno ritenuto la soluzione condivisa dalla Corte d'Appello frutto di un approccio eccessivamente formalistico della valutazione della domanda attorea in quanto “Sebbene la ricorrente con la domanda introduttiva del giudizio avesse richiesto l'attribuzione della quota in natura asseritamente spettantele sui beni oggetto della comunione de residuo, partendo dal presupposto, rivelatosi erroneo, della natura reale della comunione in questione, ha comunque manifestato in maniera univoca l'intento di conseguire, seppur in natura e quale conseguenza della opzione interpretativa alla quale aveva aderito, il concreto soddisfacimento del proprio diritto, che ben si sarebbe potuto concretare - pur aderendo alla natura reale - anche in un diritto di credito, ove per ipotesi non fosse stato possibile addivenire alla divisione in natura, tramutandosi il diritto della condividente nel conguaglio dovuto dall'altro comunista ovvero nella quota parte del prezzo ricavato dalla vendita, in relazione alle due ipotesi contemplate dall'art. 720 c.c.”.
Intanto, nelle more della definizione del giudizio di legittimità, il presente giudizio d'appello, depositata la consulenza tecnica d'ufficio della dott.ssa subiva taluni rinvii d'ufficio anche per Per_1
l'attesa della pronuncia delle Sezioni Unite.
Quindi, tenuta a decisione all'udienza del 30.09.2022 ma successivamente rimessa sul ruolo per la necessità sostituzione del Collegio, la causa era rinviata all'udienza del 5.07.2024 allorché veniva tenuta a decisione senza l'assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c., avendo le parti già provveduto in precedenza al deposito degli atti difensivi conclusionali.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Come risulta dall'esposizione dello svolgimento processuale, le Sezioni Unite con sentenza n.
222/2022 hanno confermato in via definitiva le statuizioni della sentenza n. 557/2019 con la quale questa Corte, decidendo non definitivamente l'appello di avverso le sentenze non Parte_1
definitive del Tribunale di Cagliari n. 51/2004, n. 2414/2007, n. 2297/2014 e avverso la sentenza definitiva n. 1086/2017, nonché l'appello incidentale proposto da avverso tale ultima Controparte_1
sentenza, ha:
1) confermato l'applicabilità al caso di specie dell'art. 178 c.c. e, quindi, la ricorrenza nella vicenda in esame della comunione de residuo sui beni, mobili ed immobili, facenti parte dell'azienda costituita dal coniuge imprenditore, dopo il matrimonio;Parte_1
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2) affermato la natura creditizia del diritto spettante al coniuge non imprenditore, , al Controparte_1
momento dello scioglimento della comunione legale, sui beni oggetto della comunione de residuo, pari al 50% del valore dei beni aziendali determinato al momento della cessazione del regime patrimoniale legale (e quindi il 25 gennaio 2001, data della domanda di divisione, come accertato, in modo non contestato, dalla sentenza non definitiva di primo grado n. 2297/2014), ed al netto delle eventuali passività esistenti alla medesima data.
Il Supremo Collegio, invece, ha ritenuto non condivisibile la sentenza gravata nella parte in cui ha affermato che la decisione finale sulla domanda attorea non avrebbe potuto che essere limitata all'accertamento dell'esistenza eventuale del diritto di credito della , non potendo invece “avere CP_1
ad oggetto la condanna del al relativo pagamento, non avendo la mai formulato detta Pt_1 CP_1 domanda”.
A tal proposito, infatti, accolto in terzo motivo di ricorso, le Sezioni Unite hanno ritenuto che l'erronea individuazione da parte dell'attrice della disciplina concernente la comunione de residuo non consentisse “però di escludere che la volontà della ricorrente, una volta ricondotto il diritto azionato ad una pretesa creditoria, anziché di carattere reale, fosse proprio quella di conseguire, all'esito del giudizio l'attribuzione di quanto le compete per effetto della previsione di cui all'art. 178 c.c.”.
Tornata, quindi, all'esame del Collegio, la causa si presenta per essere definita nel merito delle questioni oggetto del rinvio, nei limiti delle statuizioni oramai definitive e dei principii affermati in sede di legittimità, necessitando di verificare l'esistenza e l'ammontare del diritto di credito vantato da
nei confronti di commisurato alla metà del valore dell'azienda di Controparte_1 Parte_1 titolarità di quest'ultimo al momento dello scioglimento dell'azienda legale, al netto delle passività insistenti sulla stessa azienda.
Con l'ordinanza n. 1482/2019 questa Corte ha conferito l'incarico peritale di procedere all'accertamento del valore, alla data del 25 gennaio 2001 (data di scioglimento della comunione), dei beni che compongono l'attivo e delle passività afferenti all'attività economica esercitata come impresa individuale da a tal fine, con la predetta ordinanza si è indicato che la determinazione del Parte_1
suddetto valore sarebbe dovuta avvenire “sulla base degli atti e della documentazione prodotta in causa ed eventualmente di quella messa a disposizione del ctu nel rispetto del contraddittorio e con
l'accordo delle parti, avvalendosi inoltre- per l'accertamento del valore dei beni immobili – della relazione di stima già effettuata dal consulente tecnico nominato dal Tribunale, Ing. Persona_2
”.
[...]
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Depositata la relazione del consulente dell'ufficio in data 14.11.2020, si è acceso tra le parti contrasto, avendo parte appellata eccepito la nullità e/o inutilizzabilità della CTU in quanto elaborata utilizzando documentazione, tra cui il “bilancio al 31.12.2000 allegato al Modello Unico 2001”, inammissibile perché introdotta tardivamente ed irritualmente in giudizio. Conseguentemente, l'appellata ha insistito per il rinnovo delle operazioni peritali per la determinazione del suo credito con espunzione della suindicata documentazione, affinché vengano altresì quantificati gli interessi maturati dalla data di scioglimento della comunione fino al saldo.
In particolare, ha sostenuto l'appellata che nel corso delle riunioni peritali finalizzate alla verifica in contraddittorio dei documenti utilizzabili dal Ctu, era stata riscontrata la documentazione ritualmente prodotta dalle parti e quella depositata dal solo all'udienza del 28.06.2012, ben oltre quindi il Pt_1
maturarsi delle preclusioni istruttorie, tra cui comunque figurava il solo Modello Unico 2001, ma non anche il bilancio al 31.12.2000, viceversa trasmesso al Ctu solo in data 28.01.2020 dal Ctp dell'appellante quale documento asseritamente, ma non fondatamente, allegato alla relazione integrativa peritale di primo grado.
Dal canto suo, il ha sostenuto che, in seguito a ricerche effettuate in cancelleria, era poi emerso Pt_1
che il Modello Unico ed il bilancio al 31.12.2000, pinzato a quel modello, erano stati prodotti dal convenuto all'udienza del 28.06.2012, tuttavia l'assunto è contestato dall'appellata non trovandosi il documento de quo in alcun modo calendato tra i documenti prodotti in tale data, conseguentemente ha contestato la validità ed utilizzabilità della relazione peritale per avere posto tale documentazione a base dell'accertamento affidato al perito.
Orbene, in riferimento alle questioni in discussione, ritiene la Corte di poter superare ogni contrasto insorto tra le parti alla luce delle considerazioni che seguono che consentono di definire la causa utilizzando “in parte qua” l'elaborato peritale della dott.ssa evitando l'ulteriore allungamento Per_1
dei tempi del processo che il rinnovo dell'indagine peritale certamente comporterebbe.
In merito, occorre dire che il Ctu (che in seguito a personali ricerche riferisce di avere individuato tra i verbali d'udienza il predetto bilancio al 31.12.2000), ha proceduto all'accertamento affidato ipotizzando tre soluzioni estimative: a) la prima calcola il valore delle attività e passività aziendali tenendo conto della documentazione (bilancio al 31.12.2000 dell'impresa Cannas) pur contestata, nell'eventualità in cui il Collegio ritenesse di acquisirla in giudizio;b) la seconda ricostruisce il detto valore considerando tutta la documentazione certamente presente agli atti ed avente rilevanza economica, dunque anche quella depositata dal convenuto all'udienza del 28.06.2012 (ma non il bilancio al 31.12.2000 in quanto non calendato tra quelle produzioni);c) la terza, infine, determina il
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valore delle attività e passività aziendali prescindendo totalmente da tali produzioni per considerare i soli documenti tempestivamente e pacificamente allegati dalle parti.
Ritiene il Collegio di dover accogliere tale ultima modalità di stima, dal momento che anche laddove il contestato bilancio al 31.12.2000 risultasse effettivamente pinzato al documento "Modello Unico 2020" prodotto all'udienza del 28.06.2012, si tratterebbe comunque di produzione tardiva non esaminabile in sede peritale, non avendo le parti trovato posizioni convergenti sulla sua utilizzabilità, come invece disposto dall'ordinanza del 25.06.2019 di conferimento del mandato peritale.
Non valgono a sostenere le opposte tesi del convenuto i richiami di quest'ultimo agli arresti della più autorevole giurisprudenza sul potere del Ctu di “acquisire tutti i documenti necessari al fine di rispondere ai quesiti, anche prescindendo dall'attività di allegazione delle parti e dopo lo spirare dei termini” (richiama Cass. Sez. Un., 1.02.2022, n. 3086);invero, il potere di acquisizione integrativa rimesso al (solo) perito contabile può sì riguardare anche i fatti principali posti dalle parti a fondamento delle loro domande (o eccezioni), che normalmente soggiacciono all'onere di allegazione e prova su esse incombente, ma solo in presenza di situazioni di particolare complessità tecnica della materia oggetto di lite, laddove questa si risolva nell'impedire alla parte “una corretta valorizzazione dei temi decisionali ed, insieme, dei temi probatori postulati dal giudizio … così da permettere al consulente contabile anche l'esame di quei documenti che, ancorché afferenti alla prova di fatti principali, le parti non siano state in grado di individuare e di indicare tempestivamente” (Cass. Sez. Un. cit. pag. 21).
Orbene, nel caso di specie, prospettato il tema del contendere, non era difficoltoso per il convenuto scrutinare quali fatti dovessero essere provati per contrastare le avverse pretese o sostenere le proprie domande, risultando anzi facilmente intuibile che sarebbe stato necessario provare la situazione patrimoniale della propria ditta individuale alla data di scioglimento della comunione, desumibile, in primo luogo, dalle dichiarazioni reddituali e dai bilanci di esercizio dell'impresa a quella data.
Anche il Ctu nel fare riferimento alla documentazione in contestazione tra le parti (e specificamente al
Modello Unico 2001 ed al bilancio al 31.12.2000), non ha fatto cenno alcuno alla complessità delle questioni trattate o alla difficoltà della relativa produzione, ma l'ha esaminata in quanto ha ritenuto la stessa prodotta in atti dalle parti.
Sicché non ricorrono, nella fattispecie in esame quei presupposti che, secondo la sopra richiamata giurisprudenza, solo consentono di assecondare un'attenuazione dell'onere di allegazione che compete alle parti “di fatti principali che le parti non siano state in grado di individuare e di indicare tempestivamente”.
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Inoltre, l'indagine del consulente contabile non potrebbe travalicare i limiti del mandato peritale conferito dal giudice: nel caso di specie, infatti, il Collegio, con l'ordinanza del 25.06.2019 aveva espressamente affidato al perito il compito di accertare il valore aziendale “sulla base degli atti e della documentazione prodotta in causa ed eventualmente di quella messa a disposizione del ctu nel rispetto del contradditorio e con l'accordo delle parti” nella fattispecie assolutamente mancato;pertanto, resta ben tracciato il perimetro dell'attività di indagine affidata al perito che non potrebbe basarsi su documenti che non risultano certamente presenti agli atti o, comunque, sono contestati per la loro tardiva produzione.
Ciò detto e venendo alla valorizzazione del patrimonio aziendale riconducibile alla come CP_3
indicata nell'ipotesi estimativa condivisa dal Collegio, il Ctu, dopo avere premesso che il valore più significativo e praticamente assorbente dell'attivo aziendale è rappresentato dai terreni e dai fabbricati
e che nella determinazione del loro valore si è avvalso della relazione del 19.10.2015 del consulente tecnico di primo grado, Ing. , ha esposto di dover assumere come valore di riferimento la Per_2
valutazione estimativa risultante dalla suddetta perizia pari ad euro 850.000,00 riferita a tutti gli immobili ancora nel patrimonio del alla data di scioglimento della comunione. Pt_1
A tal riguardo, il Ctu precisa che mentre nella prima relazione del 31.03.2008, avente ad oggetto “il complesso artigianale e relative pertinenze, sito nel Comune di Monastir, Km. 18.300, S.S. 131”, il valore complessivo del compendio era stato determinato dal tecnico dell'ufficio nell'importo complessivo di euro 1.377.000,00, nella successiva relazione del 19.10.2015 il perito, come richiesto dal giudice, aveva “fornito un aggiornamento del valore dei beni immobili per avviare un progetto di divisione. Il valore di mercato assegnato al compendio dal Tecnico è pari a complessivi euro
1.008.000,00, che tenuto conto del maggior valore commerciale per l'accesso e ridotto degli oneri di conformizzazione edilizia e di quelli aggiuntivi è stato determinato in misura pari ad euro 850.000,00”;valore che il Ctu ritiene congruo e risultante dal computo dei seguenti valori: valore commerciale del compendio euro 1.008.000,00 + valore commerciale accesso euro 2.500,00 – costi conformizzazione edilizia euro 135.176,14 - oneri aggiuntivi euro 21.000,00.
La parte appellata, tramite le osservazioni del proprio perito (e poi nelle memorie conclusionali), ha contestato il valore recepito dal Ctu in quanto non attualizzato alla data di scioglimento della comunione, sostenendo essere più congruo il valore (euro 1.377.000) stimato dall'Ing. nella Per_2
prima relazione del 31.03.2008 più prossima a tale data. Ha sostenuto, quindi, che, volendo assumere come base del calcolo la perizia del 2015, il valore esatto da prendere in riferimento dovrebbe essere non euro 1.008.000,00 ma quello di euro 1.295.086,00, da attualizzare con il coefficiente medio di
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degrado verificatosi dal 2001 al 2015, secondo lo specifico conteggio esposto nella relazione del proprio consulente, ottenendo così il valore di mercato degli immobili all'anno 2001 pari ad euro
1.398.929,98, assai vicino al valore stimato dalla prima perizia del 2008 (euro 1.377.000).
Il Ctu ha ritenuto tale valore non congruo, in quanto basato su conclusioni erronee, avendo preso in considerazione non il “valore finale” rassegnato dal perito di primo grado, dopo le diverse dissertazioni metodologiche, bensì “un valore intermedio di stima, pari al costo di riproduzione stimato dal Tecnico nell'importo di euro 1.295.086,00, che ha consentito all'Ing. di determinare il valore Per_2 commerciale lordo del compendio nell'importo di euro 1.008.000,00”, incrementato poi dell'importo di euro 2.500,00 per il valore commerciale dell'accesso e ridotto ad euro 850.000 in ragione dell'incidenza dei costi per gli interventi di regolarizzazione urbanistica e degli oneri aggiuntivi (euro
156.174,14).
Il Ctu ha altresì argomentato che il valore indicato dal Ctp dell'appellata sarebbe di gran lunga distante dal valore effettivo degli immobili alla data di scioglimento della comunione, non risultando neanche comparabile “con i valori emergenti dagli unici documenti contabili in atti e cioè con quelli esposti nel bilancio del alla data del 31 dicembre 2000 e quelli riportati nel Modello Unico 2001”, CP_3
più prossimi
Orbene, ritiene il Collegio che la risposta del perito dell'ufficio non sia del tutto esaustiva e, comunque, la conclusione ultima non condivisibile in quanto basata sull'inammissibile confronto del valore degli immobili stimato dalla Ctu nel 2015 con documenti inutilizzabili in giudizio e, dunque, sottratti agli apprezzamenti del consulente dell'ufficio.
In difetto di un puntuale riscontro del Ctu alle osservazioni della parte e tenuto conto che effettivamente il valore dei fabbricati preso in riferimento dal perito dell'ufficio risulta essere stato attualizzato dall'Ing. all'anno 2015, ritiene il Collegio di dovere, dapprima, ricondurre tale Per_2
valore, calcolato ad ottobre 2015, alla data di scioglimento della comunione (gennaio 2001), pervenendo all'importo di euro 1.002.388,555, quindi, ricorrendo alle stesse formule utilizzate nella relazione del 2015 ma calcolando il deprezzamento degli immobili al 2001 rispetto all'anno di costruzione (1991), applicare un indice di degrado che tenga conto dell'intervallo di 10 anni anziché di
24 anni come calcolato dal suddetto perito. Così operando, si perviene ad un valore dei fabbricati per
l'anno 2001 di euro 862.054,15 (1.002.388,55 x 0,82 c.d.g.) che sommato al valore dei terreni stimato in euro 192.000,00 dà un valore commerciale del complesso immobiliare alla data di scioglimento della comunione pari ad euro 1.054.054,15.
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Da tale valore devono, tuttavia, essere detratti i costi per la regolarizzazione urbanistica degli immobili
e per gli oneri aggiuntivi, che il Ctu ha confermato nell'importo di euro 156.174,14, già stimato dall'Ing. nel 2015;a tal proposito non sono condivisibili le richieste dell'appellata di Per_2 deflazionamento di tali costi o della loro riduzione “di una percentuale pari all'incremento che i costi in materia edilizia (costi dei materiali e della manodopera) hanno registrato tra il 2001 e il 2015”, non avendo le Ctu espletate nel corso del giudizio reso alcuna evidenza dell'effettivo accrescimento di tali voci di costo nel periodo di tempo in riferimento.
Pertanto, dall'importo di euro 1.054.054,15 deve essere detratto l'importo dei suddetti costi pari ad euro 156.174,14 ottenendo così l'importo di euro 897.880,01 che individua il valore del compendio immobiliare aziendale alla data di scioglimento della comunione.
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Passando all'accertamento delle passività aziendali, il Ctu ha riscontrato, dai documenti ritualmente acquisiti al processo, debiti della verso le banche ammontanti, alla fine dell'anno 2000, a CP_3
complessive lire 88.291.479 pari ad euro 41.403,00: si tratta, in particolare, del debito residuo (lire
44.247.643 pari ad euro 22.852,00) del finanziamento di consolidamento L.R. n. 51/1993, stipulato da con il Banco di Sardegna S.p.A. (doc. 118 fasc. convenuto) e del debito scaduto (lire Parte_1
26.238.915 pari ad euro 13.551,26) del mutuo a tasso agevolato ex legge n. 183/1975 stipulato tra lo stesso e la Banca CIS S.p.A. (doc. 119 fasc. convenuto). Pt_1
Il perito ha precisato, rispondendo al secondo dei quesiti affidati dal Collegio, che le suindicate passività sono interamente riferibili a debiti gravanti sui beni immobili costituenti l'attivo della CP_3
e, dunque, interamente computabili ai fini che qui occorrono.
[...]
Il Ctu ha, inoltre, indicato un saldo debitore del conto corrente n. 11065/2 pari a lire 25.806.530 (euro
13.327,96), come risultante dalla comunicazione dell'8 maggio 1998 del Banco di Sardegna S.p.a., tuttavia, ha rilevato che “Mentre per i mutui/finanziamenti è stato possibile ricostruire l'importo del debito, non risultano prodotti dalle parti documenti utili per accertare, ad una data prossima allo scioglimento della comunione, l'entità del saldo debitore del conto corrente della Ditta” (v. Ctu pag.
31);pertanto, stante anche la distanza temporale della comunicazione in argomento (risalente a due anni prima dello scioglimento della comunione), deve essere escluso dalle passività aziendali il saldo debitore del suddetto conto corrente.
Altresì, devono essere esclusi dal calcolo del passivo i debiti verso i fornitori (euro 12.906,85), quelli tributari (euro 22.922,94) ed i debiti verso gli enti previdenziali (euro 916,14), che il Ctu ha desunto dal
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bilancio della al 31.12.2000 non suscettibile di apprezzamento per quanto già detto;tanto CP_3
è vero che lo stesso perito dell'ufficio non esita a riconoscere che per tali voci del passivo “Non risultano agli atti della causa documenti che comprovino l'entità di queste passività”. Lo stesso dicasi per gli “altri debiti” (euro 138.834,87) esposti nello stesso bilancio senza, peraltro, “indicazioni di dettaglio o precisazioni sulla loro natura”, come puntualizzato dallo stesso Ctu.
Non può, inoltre, intervenire a comporre il passivo aziendale alla data di scioglimento della comunione il “fondo rischi” di euro 263.101,82 che il Ctp dell'appellante ha ritenuto derivante dalla probabile escussione delle garanzie prestate dal nei confronti della Savemain s.r.l. e che l'appellante ha Pt_1
precisato essere state di fatto escusse.
In merito alla mancata considerazione nel computo delle passività della del predetto CP_3
fondo rischi, il perito dell'ufficio ha precisato che, non solo lo stesso bilancio della al CP_3
31.12.2000 non esponeva alcun fondo rischi, così manifestando l'intendimento dello stesso imprenditore di non ritenere necessario o opportuno appostare tale voce tra i dati contabili aziendali, ma anche che detto fondo, secondo le indicazioni dell'OIC Organismo Italiano di Contabilità, rappresenta delle passività potenziali, cioè “caratterizzate da uno stato d'incertezza il cui esito dipende dal verificarsi o meno di uno o più eventi in futuro”, in ogni caso passività non accertabili al momento dello scioglimento della comunione, perché non concretamente esistenti a quella data.
Parimenti non può considerarsi passività gravante sugli immobili strumentali all'azienda l'ipoteca volontaria iscritta a garanzia del debito della Savemain s.r.l. per euro 100.485,82 alla data del 31 dicembre 2000, trattandosi, come esposto dal Ctu, di garanzia prestata dal volontariamente a Pt_1
copertura dell'esposizione debitoria di un terzo.
In conclusione, il valore delle attività e delle passività della alla data Controparte_4
di scioglimento della comunione ammonta, quanto alle prime, ad euro 897.880,01 e, quanto alle seconde, ad euro 41.403,00, derivandone un residuo attivo del patrimonio aziendale di euro 856.477,01 che determina un credito ex art. 178 c.c. di nei confronti di pari ad euro Controparte_1 Parte_1
428.238,05 su cui devono applicarsi gli interessi legali da computarsi dalla data della domanda (25 gennaio 2001) sino al soddisfo.
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Il disconoscimento della natura reale del diritto del coniuge non imprenditore sui beni oggetto della comunione de residuo e l'affermazione della natura creditizia di tale diritto, pari alla metà del valore dell'azienda al momento dello scioglimento della comunione, comporta che all'attrice non possa
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riconoscersi alcun diritto ai frutti maturatisi sui beni aziendali a decorrere da quel momento in poi, fondandosi tale diritto sul mancato godimento di beni che si suppongono, erroneamente, nella comunanza dei coniugi.
Infatti, come riconosciuto anche dalle Sezioni Unite nella pronuncia intervenuta nel corso del giudizio, il riconoscimento della natura creditizia del diritto del coniuge non imprenditore “garantisce la permanenza della disponibilità dei frutti e dei proventi e dell'autonomia gestionale, quanto all'impresa, in capo all'altro coniuge, nelle ipotesi previste dall'art. 178 c.c., evitando un pregiudizio altresì per le ragioni dei creditori, consentendo in tal modo la sopravvivenza dell'impresa” (Cass. SU
n. 222/2022, pag. 34), tenuto conto che “proseguendo la gestione dell'impresa da parte del coniuge che già lo faceva prima, non è giustificabile alcuna aspettativa del coniuge non imprenditore, essendo venute meno, con la cessazione del regime della comunione legale, quelle esigenze solidaristiche che erano a fondamento della pretesa di compartecipazione alle fortune del coniuge imprenditore” (Cass. ult. cit. pagg. 39 -40).
E' stato, infatti, affermato che “E' una caratteristica tipica della comunione de residuo che …. la compartecipazione al valore degli incrementi patrimoniali conseguiti post nuptias dall'altro coniuge è, appunto, differita al momento della separazione, non ad epoca successiva”. (Cass. sez. I civile n.
6876/2013).
Da ciò consegue che debba essere respinto l'appello incidentale di per il mancato Controparte_1
riconoscimento in proprio favore degli utili aziendali maturati sino alla definitiva liberazione degli immobili da parte di essendo tali frutti rimasti nella disponibilità esclusiva di Parte_1 quest'ultimo in ragione della continuità dell'impresa da lui gestita e della titolarità esclusiva degli stessi beni.
Per le medesime ragioni, non può trovare accoglimento l'ulteriore domanda dell'appellata volta a conseguire, tramite la formulazione dell'impugnazione incidentale, la liberazione degli immobili rimasti nella disponibilità dell'appellato dopo lo scioglimento della comunione, trattandosi di beni sottratti alla contitolarità dei coniugi.
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In conclusione, all'esito del presente giudizio, mentre l'appello principale di ha trovato Parte_1
parziale accoglimento (quanto alla natura creditizia del diritto vantato dall'attrice ed al calcolo del valore del patrimonio aziendale al netto delle passività sullo stesso gravanti) nei limiti della sentenza non definitiva di questa Corte confermati dalla pronuncia delle Sezioni Unite, l'appello incidentale di
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è rimasto disatteso per effetto della stessa pronuncia, sia avuto riguardo alla domanda Controparte_1
volta a conseguire i frutti ulteriormente maturati sugli immobili rimasti nel godimento del sia Pt_1
avuto riguardo alla domanda diretta a conseguire la liberazione di tali immobili;ha, tuttavia, trovato accoglimento in sede di legittimità la censura dalla stessa formulata avverso il mancato riconoscimento del suo diritto ad ottenere la condanna dell'appellante al pagamento delle somme spettanti in base alla previsione dell'art. 178 c.c..
Quindi, venendo alle spese processuali, il Collegio ritiene che, in base all'esito complessivo del giudizio (da stabilire al termine della complessa vicenda processuale), le spese debbano essere compensate per la metà tra le parti in ragione della parziale reciproca soccombenza in relazione a molte delle questioni dibattute nei diversi gradi di giudizio e della novità della questione controversa che ha determinato l'intervento delle Sezioni Unite, ponendo a carico del convenuto in ragione Parte_1
della sua residuale maggiore soccombenza, la restante parte liquidata come in dispositivo per il primo grado, il giudizio di legittimità ed il presente grado al valore medio dello scaglione di riferimento indicato dalle parti (indeterminabile media complessità), ivi comprese quelle del giudizio cautelare. Le spese di Ctu, già liquidate, sono poste a carico delle parti in solido tra loro.
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