Corte d'Appello Roma, sentenza 03/01/2025, n. 28
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Testo completo
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D'APPELLO DI ROMA
SEZIONE PRIMA CIVILE così composta:
Dott. Nicola Saracino Presidente relatore
Dott. Gianluca Mauro Pellegrini Consigliere
Dott. Giovanna Gianì Consigliere riunita in camera di consiglio, ha pronunciato la seguente
SENTENZA nella causa civile in grado d'appello iscritta al numero 4306 del ruolo generale degli affari contenziosi dell'anno 2021, trattenuta in decisione a seguito dell'udienza del giorno 12/09/2024, tenutasi nelle forme di cui all'art. 127 ter c.p.c., e vertente
TRA
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([...]) e OF MI ([...]) in qualità di eredi del Dott. OF IU ([...]), RN LU
([...]), OR EL ([...]),
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r.g. n. 1
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CHELINI, 5 00197 ROMA, presso lo studio dell'Avv. TORTORELLA MA
([...]), che li rappresenta e difende
APPELLANTI
E
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI (80188230587) ed il
MINISTERO DELLA SALUTE (80242250589), domiciliati in VIA DEI
PORTOGHESI 12 00100 ROMA, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO (ADS80224030587), che li rappresenta e difende
APPELLATI
OGGETTO: appello contro la sentenza n. 12/2021 emessa dal Tribunale di Roma
e pubblicata in data 04/01/2021 - risarcimento del danno da ritardato adeguamento dello
Stato italiano alle direttive europee
Conclusioni: come in atti.
Motivi della decisione
Gli impugnanti - dirigenti medici - hanno proposto appello avverso la sentenza in epigrafe, che ha respinto le domande di risarcimento del danno derivante dalla non corretta attuazione delle disposizioni contenute nella direttiva 2003/88/CE del
Parlamento europeo e del Consiglio del 4 novembre 2003 in materia di riposo giornaliero, riposo settimanale e durata massima settimanale del lavoro, con riguardo all'attività lavorativa del personale medico degli enti e delle aziende sanitarie del servizio sanitario nazionale.
r.g. n. 2
Gli appellanti hanno dedotto al riguardo che:
1) contrariamente a quanto ritenuto dal tribunale, non può essere messo in dubbio il fatto che lo Stato italiano, nel dare attuazione alla direttiva 2003/88/CE abbia violato le disposizioni contenute negli articoli 3 (in materia di riposo giornaliero), 5 (in materia di riposo settimanale) e 6 (in materia di durata massima settimanale del lavoro) della direttiva;
2) sia l'art. 3, comma 85, della legge n. 244 del 2007 (che ha introdotto l'art. 17, comma 6-bis, del d.lgs. n. 66 del 2003, escludendo il personale del ruolo sanitario del
Servizio sanitario nazionale [SSN] dal campo di applicazione della disciplina in materia di riposo giornaliero dei lavoratori contenuta nell'art. 7 del d.lgs. n. 66 del 2003), sia
l'art. 41, comma 13, del decreto-legge n. 112 del 2008 (che ha escluso il personale dirigenziale degli enti e delle aziende del SSN dal campo di applicazione della disciplina contenuta negli articoli 4 [durata massima dell'orario settimanale] e 7
[obbligo di riposo giornaliero] del d.lgs. n. 66 del 2003) hanno privato i medici del diritto ad un limite massimo dell'orario lavorativo settimanale e ad un periodo minimo di riposo giornaliero riconosciuti dalla direttiva 2003/88/CE;
3) la Commissione europea ha avviato nei confronti dell'TA una procedura
d'infrazione (procedura di infrazione n. 2011/4185), chiedendo alla Corte di giustizia dell'Unione europea di accertare che l'TA non ha applicato correttamente la direttiva sull'organizzazione dell'orario di lavoro nei confronti dei medici del SSN;
4) tale procedura d'infrazione è stata chiusa solo a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 14 della legge n. 161 del 2014 (che ha abrogato l'art. 17, comma 6-bis, del
d.lgs. n. 66 del 2003 e l'art. 41, comma 13, del decreto-legge n. 112 del 2008);
5) la violazione delle disposizioni comunitarie in materia di orario di lavoro è fonte di responsabilità dello Stato indipendentemente dal fatto che le ore lavorate in eccedenza siano state retribuite come ore di lavoro straordinario;
6) la deroga prevista dal legislatore italiano per il personale medico non può ritenersi giustificata dall'attribuzione della qualifica dirigenziale ai medici, in quanto la facoltà di deroga all'uopo prevista dall'art. 17 della direttiva 2003/88/CE presuppone che la durata dell'orario di lavoro possa essere determinata dallo stesso lavoratore (ciò che non accade con riguardo al personale medico del SSN);
7) il legislatore italiano non si è avvalso della deroga alla durata massima settimanale del lavoro prevista dall'art. 22 della direttiva per l'ipotesi in cui il lavoratore presti il proprio consenso.
r.g. n. 3
Gli appellanti hanno concluso domandando – previo accertamento della violazione degli articoli 3, 5 e 6, lett. b) della direttiva 2003/88/CE – la condanna della
Presidenza del Consiglio dei Ministri al risarcimento del danno derivante dalla violazione delle norme comunitarie, nella misura indicata nel prospetto allegato all'atto di appello, ovvero nella maggiore o minore somma ritenuta di giustizia.
Gli appellanti hanno altresì formulato istanza di correzione materiale della sentenza di primo grado rilevando che il giudice di primo grado nell'epigrafe, tra gli attori, non ha riportato i nominativi degli eredi del de cuius Dott. Cioffi IU, ossia
BA PA, Cioffi LU e Cioffi CH, come correttamente indicato nell'atto di citazione di primo grado.
Si sono costituiti in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero della salute chiedendo il rigetto dell'appello.
L'appello è infondato e va pertanto rigettato per i motivi che seguono.
La direttiva 2003/88/CE
Gli appellanti hanno agito in giudizio per far valere la responsabilità dello Stato italiano per avere introdotto, con riguardo al personale dirigenziale medico degli enti e delle aziende del Servizio sanitario nazionale, alcune deroghe alla disciplina in materia di organizzazione dell'orario di lavoro contenuta nella direttiva 2003/88/CE del
Parlamento europeo e del Consiglio del 4 novembre 2003, con particolare riguardo alle norme in materia di riposo giornaliero (art. 3), in materia di riposo settimanale (art. 5) e in materia di durata massima settimanale del lavoro (art. 6).
L'art. 3 della direttiva (Riposo giornaliero) prevede al riguardo che “Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici, nel corso di ogni periodo di 24 ore, di un periodo minimo di riposo di 11 ore consecutive”.
L'art. 5 della direttiva (Riposo settimanale) prevede a sua volta che “Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici, per ogni periodo di 7 giorni, di un periodo minimo di riposo ininterrotto di 24 ore a cui si sommano le 11 ore di riposo giornaliero previste all'articolo 3. Se condizioni oggettive, tecniche o di organizzazione del lavoro lo giustificano, potrà essere fissato un periodo minimo di riposo di 24 ore”.
L'art. 6 della direttiva (Durata massima settimanale del lavoro) prevede infine che
r.g. n. 4
“Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché, in funzione degli imperativi di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori:
a) la durata settimanale del lavoro sia limitata mediante disposizioni legislative, regolamentari o amministrative oppure contratti collettivi o accordi conclusi fra le parti sociali;
b) la durata media dell'orario di lavoro per ogni periodo di 7 giorni non superi
48 ore, comprese le ore di lavoro straordinario”.
Le norme nazionali di recepimento della direttiva 2003/88/CE
La direttiva 2003/88/CE ha ricodificato la direttiva 93/104/CE (come modificata dalla direttiva 2000/34/CE), a cui il legislatore italiano aveva dato attuazione con il
d.lgs. 8 aprile 2003, n. 66.
L'art. 4 del decreto legislativo (Durata massima dell'orario di lavoro) stabilisce che:
“
1. I contratti collettivi di lavoro stabiliscono la durata massima settimanale dell'orario di lavoro.
2. La durata media dell'orario di lavoro non può in ogni caso superare, per ogni periodo di sette giorni, le quarantotto ore, comprese le ore di lavoro straordinario.
3. Ai fini della disposizione di cui al comma 2, la durata media dell'orario di lavoro deve essere calcolata con
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