Corte d'Appello Milano, sentenza 24/07/2024, n. 540

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Sul provvedimento

Citazione :
Corte d'Appello Milano, sentenza 24/07/2024, n. 540
Giurisdizione : Corte d'Appello Milano
Numero : 540
Data del deposito : 24 luglio 2024

Testo completo

Sentenza n. 540/2024
N. R.G. 877/2023
REPUBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La CORTE D'APPELLO di MILANO
Sezione Lavoro nelle persone dei seguenti magistrati:
dott.ssa Silvia Marina Ravazzoni Presidente est. dott.ssa Maria Rosaria Cuomo Consigliera dott. Andrea Trentin Giudice Ausiliario
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Nella causa civile in grado di appello avverso la sentenza n. 578/2023 del Tribunale di Milano
-sezione lavoro- (est. dr DI LEO), pubblicata il 28.02.2023, promossa da:
CE LA RE
LA MA
CE DE CI - NI DE CI e TA DE CI in qualità di eredi di PP NÒ
Con l'avv. Arturo MEO, elettivamente domiciliati in Mercogliano via Vaccaro 2/C presso lo studio del predetto difensore
PARTE APPELLANTE contro
MINISTERO GIUSTIZIA, con l'avv. AVVOCATURA dello STATO di MILANO, elettivamente domiciliato in Milano via Freguglia 1 presso gli uffici dell'Avvocatura dello
Stato
PARTE APPELLATA
I procuratori delle parti, come sopra costituiti, così precisavano le
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CONCLUSIONI:
Per la parte APPELLANTE:
Voglia codesta Corte di Appello, accogliere il presente appello per i motivi esposti, e, per
l'effetto, nel merito, provvedere alla riforma della suddetta sentenza con conseguente accoglimento delle proprie domande di cui al ricorso di primo grado che qui si intendono ripetute e trascritte integralmente. Con vittoria delle spese di entrambi i gradi di giudizio”
Conclusioni del ricorso ex art 414 cpc :
“1)accertare e dichiarare, per tutti i motivi di fatto e di diritto dianzi esposti, l'abuso dell'utilizzo dei Rapporti di Lavoro come sopra iniziati e succedutisi nel tempo senza soluzione di continuità tra le ricorrenti ed il M.ro della Giustizia in p.del M.ro p.t. a partire dalla data di immissioni a tutt'oggi, come emerge dagli allegati CUD e da alcuni cedolini di pagamento a campione redatti dal M.ro dell'Economia e delle Finanze recanti la annotazione circa la Posizione Giuridico-Economica “A TEMPO INDETERMINATO” ma ove non risulta indicata l'annotazione dei Contributi Previdenziali/Assistenziali e l'accantonamento del
Trattamento di Fine Rapporto risultando solo applicata la ritenuta IRPEF, nella misura di 12 mensilità o in quella che l'On.le Giudicante intenda applicare;

2) accertare e dichiarare il M.ro della Giustizia, per i motivi dianzi indicati, a riconoscere alle ricorrenti il risarcimento del danno, causa l'omessa conversione del rapporto di servizio da tempo determinato a tempo indeterminato da quantificarsi in 36 mensilità sulla base dell'ultima retribuzione globale di fatto al momento della presentazione del ricorso o in quella che l'On.le Giudicante intenda applicare;

3) accertare e dichiarare il M.ro Della Giustizia, a riconoscere alle ricorrenti la corresponsione con riferimento alle mensilità innanzi in ricorso, in virtù dell'art. 24 bis della L. 341/2000;

4) NDR: domanda rinunciata come da dichiarazione a verbale di udienza del 19.05.23: “La difesa di parte ricorrente rinuncia alla domanda numero 4 delle proprie conclusioni e precisa come la causa non contiene alcune istanze di carattere contributivo e previdenziale.
La difesa del Ministero accetta la rinuncia .”
5)Il tutto con vittoria di spese, diritti ed onorari del presente procedimento.”
Per la PARTE APPELLATA
“In via di appello incidentale ed in parziale riforma della sentenza appellata, dichiarare preliminarmente la nullità del ricorso, per assoluta indeterminatezza della causa petendi e del petitum, ovvero l'inammissibilità delle domande per difetto di giurisdizione;

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in subordine e nel merito, respingere l'appello e confermare la sentenza appellata;
in ogni caso condannare gli appellanti alla rifusione delle spese di lite del grado.”

MOTIVI DELLA DECISIONE
In fatto e in diritto

Con sentenza n. 578/23, pubblicata il 28/02/23, il Tribunale Ordinario di Milano, Sezione
Lavoro, nella causa promossa da TT La EC, AR RE, AN e RI e
VI De Conciliis, in qualità di eredi della dott.ssa RI Spanò deceduta il
13/12/2022, contro il Ministero della Giustizia ha così deciso: “Preso atto della rinuncia ex articolo 306 cpc alle domande attoree n. 3 e 4 e dell'assenza in causa di domande contributive
e previdenziali, respinge nel resto il ricorso. Compensa le spese di lite”.
Con ricorso depositato in data 28/02/21 le dott.sse La EC, RE e i Sigg.ri De
Conciliis AN, RI e VI, quali eredi della Dott.ssa RI Spanò adivano in giudizio il Ministero della Giustizia esponendo di essere - essere stati per la dott.ssa
NO- giudici di pace presso l'Ufficio di Milano in forza di continue proroghe senza soluzione di continuità, cosicché, dalla prima immissione nel ruolo, avevano prestato ininterrotto servizio: per 18 anni TT La EC, per 16 anni AR RE e per
19 anni RI NO.
Lamentando l'abuso dell'utilizzo dei rapporti di lavoro a tempo determinato succedutisi nel tempo tra esse ricorrenti ed il Ministero Della Giustizia e la violazione della direttiva
70/99/CE e della direttiva 88/03/CE, chiedevano la condanna di parte convenuta al risarcimento del danno nella misura di 36 mensilità sulla base dell'ultima retribuzione globale di fatto in godimento al momento della presentazione del ricorso.
Si dolevano, altresì, del mancato godimento di ferie retribuite (domanda rinunciata in corso di causa) e della omessa corresponsione dell'indennità prevista dall'art. 24 bis, co. 3 della legge
n. 341/2000 nei periodi di sospensione lavorativa.
Si costituiva ritualmente il Ministero della Giustizia eccependo preliminarmente il difetto di giurisdizione del giudice ordinario e, nel merito, chiedendo il rigetto del ricorso in quanto infondato in fatto e diritto, rilevando che la legge n. 374/91, istitutiva del Giudice di Pace, li aveva inquadrati tra i funzionari onorari, in attuazione della previsione dell'art. 106 Cost.,
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delineandone la disciplina secondo profili che la giurisprudenza della Suprema Corte aveva, più volte, evidenziato come distinti rispetto a quelli di pubblico dipendente.
Il giudice di prime cure, disattendeva preliminarmente la sollevata eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario, rilevando che le parti ricorrenti non avevano domandato
l'accertamento di un rapporto di impiego con la pubblica amministrazione (cfr. Cass. SU -
Ordinanza n. 21986 del 30/07/2021;
SU - , Sentenza n. 27198 del 16/11/2017), ma - sulla base della descrizione del rapporto di lavoro esistente- avevano sostenuto la violazione della direttiva 70/99/CE e della direttiva 88/03/CE, con diritto al risarcimento del danno.
Nel merito respingeva il ricorso, escludendo di potere riconoscere “un rapporto subordinato di pubblico impiego” nella figura dei Giudici di Pace per come disciplinata nel nostro ordinamento ai sensi della legge n. 374/91 e del decreto legislativo n. 116/17, nonché la
“possibilità di sua assimilazione” a quella del magistrato togato dipendente.
Il giudice di prime cure, richiamava la sentenza C-658/18 UX del 16 luglio 2020 a mezzo della quale la Corte di Giustizia aveva confermato la competenza del giudice interno nel verificare la sussistenza dei presupposti per la “sussunzione” della figura giuridica dei Giudici di Pace (che svolge le sue funzioni in via principale e che percepisce indennità connesse alle prestazioni effettuate, nonché indennità per ogni mese di servizio effettivo) nell'ambito della nozione europea di “lavoratore” ai sensi di tali disposizioni della direttiva 2003/88 (in particolare articolo 7, paragrafo 1, della direttiva).
Infatti, secondo la sentenza UX della Corte di giustizia, al fine di poter ritenere inquadrabile la fattispecie nell'ambito del concetto di “lavoratore” era necessaria:“(I) l'individuazione di un rapporto di lavoro subordinato (cioè, la tipologia di vincolo a cui si riferiscono tali atti europei), ovverosia di una relazione che (cfr. par. 103) “presuppone l'esistenza di un vincolo di subordinazione tra il lavoratore e il suo datore di lavoro…;
(II) la possibilità di assimilare i
Giudici di Pace a chi svolga funzioni giudiziarie come lavoratore dipendente nell'ambito dello
Stato membro”.
Richiamava inoltre la giurisprudenza interna successiva a tale pronuncia della Corte di
Giustizia, riferibile sia alla Corte costituzionale, sia alla Corte di Cassazione, che aveva escluso la sussistenza per i Giudici di Pace di un rapporto di lavoro subordinato, nonché la possibilità di assimilarli ai magistrati togati dipendenti, rilevando l'insussistenza dei presupposti per l'applicazione del concetto di “lavoratore”.
In particolare il Tribunale di prime cure richiamava la sentenza n. 267/20 della Corte
Costituzionale che aveva statuito: “la posizione giuridico-economica dei magistrati
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professionali non si presta a un'estensione automatica nei confronti dei magistrati onorari tramite evocazione del principio di eguaglianza, in quanto gli uni esercitano le funzioni giurisdizionali in via esclusiva e gli altri solo in via concorrente” e che “la differente modalità di nomina, radicata nella previsione dell'art. 106, secondo comma, Cost., il carattere non esclusivo dell'attività giurisdizionale svolta e il livello di complessità degli affari trattati rendono conto dell'eterogeneità dello status del giudice di pace, dando fondamento alla qualifica "onoraria" del suo rapporto di servizio, affermata dal legislatore fin dall'istituzione della figura e ribadita in occasione della riforma del 2017”.
Ad ulteriore conferma di tale statuizione il primo giudice ricordava inoltre l'ordinanza della
Corte di Cassazione n. 13973 del 03/05/2022, nella quale, pur richiamando la sentenza UX della Corte di Giustizia, la Suprema Corte aveva proseguito nel proprio tradizionale orientamento escludendo “ogni tipo di relazione di lavoro” per i Giudici di Pace, riconoscendo unicamente la sussistenza per gli stessi di un rapporto onorario di servizio.
Da ultimo il Tribunale escludeva il diritto delle ricorrenti al risarcimento dei danni per abuso di contratti in virtù di quanto stabilito della legge n. 234 del 2021 (Riforma Cartabia)
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