Corte d'Appello Torino, sentenza 28/06/2024, n. 238

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Sul provvedimento

Citazione :
Corte d'Appello Torino, sentenza 28/06/2024, n. 238
Giurisdizione : Corte d'Appello Torino
Numero : 238
Data del deposito : 28 giugno 2024

Testo completo

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D'APPELLO DI TORINO
SEZIONE LAVORO
Composta da:
Dott.ssa C F Presidente
Dott. M M Consigliere
Dott. F A Consigliere Rel. ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A nella causa di lavoro iscritta al n. 74/2024 R.G.L. promossa da:
in persona del legale rappresentante pro tempore, Parte_1
elettivamente domiciliata in Milano presso lo studio degli Avv.ti L. Failla e M. Buzzini che la rappresentano e difendono per procura in atti
PARTE APPELLANTE
CONTRO
, e Controparte_1 Controparte_2 CP_3
, elettivamente domiciliate in Torino presso lo studio dell'Avv. P. Nobile che le
[...] rappresenta e difende, unitamente all'Avv. S. Mercaldo, per procura in atti
PARTE APPELLATA
Oggetto: retribuzione.
CONCLUSIONI
Per parte appellante: come da ricorso depositato in data 26/02/2024.
Per parte appellata: come da memoria depositata in data 20/05/2024.
MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
1. Con ricorso in appello tempestivamente depositato e ritualmente notificato, la impugnava la sentenza n. 1458/23 in data 13/07- Parte_1
25/08/2023 del Tribunale di Torino, che l'aveva condannata al pagamento in favore di
, di e di Controparte_1 Controparte_2 CP_3
(tutte dipendenti della società convenuta con mansioni di o.s.s. presso la r.s.a.
[...]
1
“Senior Residence” di Torino) delle somme, rispettivamente, di € 1.150,00, di €
3.085,51 e di € 3.641,24 a titolo di retribuzione di 15 minuti per ogni giorno di lavoro in relazione al tempo necessario per indossare e togliere la divisa aziendale e per operare il cambio delle consegne – per la sola anche a titolo di CP_3
maggiorazione per orario supplementare.
Parte appellante, in particolare, lamentava che il primo Giudice aveva erroneamente:
- rigettato l'eccezione di prescrizione del preteso credito attoreo, nonostante essa decorresse non dalla cessazione del rapporto, bensì nel corso di esso a fronte della stabilità reale del vincolo lavorativo, rafforzata anche dai vari interventi sul d.lgs.
23/15 della Corte Costituzionale che hanno implementato l'area di applicabilità del rimedio reintegratorio in caso di licenziamento illegittimo;

- ritenuto dovuto il pagamento del c.d. “tempo vestizione/svestizione”, nonostante ciò fosse escluso nella delibera assembleare del 27/05/2019, non sussistesse riguardo
a tale operazione alcuna eterodirezione datoriale e i lavoratori fossero liberi di gestirle autonomamente, eventualmente recuperando nella pausa retribuita il brevissimo tempo a ciò necessario;

- quantificato in 15 minuti il “tempo vestizione/svestizione” e quello per il passaggio delle consegne nonostante tale stima fosse eccessiva e, comunque, non provata dalla celebrata istruttoria;

- riconosciuto implicitamente a (avendone accolto la domanda sul CP_3
quantum, ancorché senza specifica motivazione) la maggiorazione sul lavoro supplementare, nonostante la carenza di prova sull'effettivo svolgimento di tale attività aggiuntiva e la regolare applicazione datoriale delle norme collettive in materia.
Si sono costituite le appellate evidenziando l'infondatezza dell'impugnazione avversaria
e chiedendone il rigetto.
All'udienza del 12/06/2024, all'esito della discussione, la causa è stata decisa come da dispositivo trascritto in calce.
2. Il primo motivo di gravame è infondato.
Il Collegio non ha ragioni per discostarsi dall'insegnamento di legittimità per cui «Il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, come modulato per effetto della l. n. 92 del
2012 e del d.lgs n. 23 del 2015, mancando dei presupposti di predeterminazione certa
2 delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata, non è assistito da un regime di stabilità, sicché, per tutti quei diritti che non siano prescritti al momento di entrata in vigore della l. n. 92 del 2012, il termine di prescrizione decorre, a norma del combinato disposto degli artt. 2948, n. 4, e 2935 c.c., dalla cessazione del rapporto di lavoro» (Cass. n. 26246/22).
In effetti, per quanto sia vero che, a seguito di varie pronunce della Corte
Costituzionale, l'area della stabilità ex lege n. 23/15 (applicabile alla fattispecie ratione temporis) è stata rafforzata con l'ampliamento delle ipotesi di reintegrazione, ciò, in ogni caso, non ha risolutivamente inciso sul fatto che continuino a mancare ex ante i
«presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione»;
pertanto, le argomentazioni spese dall'appellante, pur suggestive, non sono percorribili e finirebbero per determinare, in concreto, disparità e (inutili) complicazioni sul trattamento prescrizionale a seconda del tipo di tutela pronosticabile per lo specifico rapporto di lavoro interessato – sicché appare senz'altro opportuno che in quest'ambito sussista un'unica e ragionevole regola valevole per tutte le fattispecie.
3. Sono parimenti infondati il secondo e il terzo motivo d'appello.
3.1. Si osserva come in nessuna parte del ccnl e dei singoli contratti individuali si legga che il tempo impiegato dai lavoratori e dalle lavoratrici per indossare la divisa e per ricevere le consegne debba ritenersi compreso nell'orario di lavoro, che, invece, non può essere ritardato, anche per impedire – giustamente – un'inutile attesa da parte del collega smontante dal turno, che ne subirebbe perciò un'indebita dilatazione temporale.
Né è stato provato che gli operatori disponessero della facoltà di iniziare il turno di lavoro senza avere previamente indossato la divisa e di terminarlo essendosela già tolta.
Pertanto, non sussiste dubbio alcuno che l'obbligo di indossare la divisa fosse regolato da disposizioni dettate ed eterodeterminate dalla , in modo da assicurare Parte_2 che, all'inizio del servizio, la vestizione e, alla fine del servizio stesso, la svestizione fossero debitamente eseguite;
atteso l'obbligo indefettibile di indossare la divisa, questa operazione deve intendersi strettamente connessa alla disciplina d'impresa e autonomamente esigibile dal datore di lavoro, il quale, evidentemente, ben potrebbe rifiutare la prestazione finale in difetto di quella preparatoria.
3
Risulta perciò corretta la decisione impugnata là dove ha riconosciuto alle attuali appellate il diritto alla retribuzione per il tempo occorrente alla vestizione/svestizione, specificamente imposte dal datore di lavoro, dovendosi peraltro escludere che esse costituiscano mero atto di diligenza preparatoria e prodromica – assai improbabilmente affidato all'assoluta discrezionalità del lavoratore (anche in ordine all'altrettanto improbabile gestione ad libitum e incontrollata delle pause retribuite) – allo svolgimento dell'attività lavorativa.
Particolari argomenti dirimenti non possono neppure trarsi dalla delibera societaria del
27/05/2019 – là dove ha stabilito che il “tempo tuta” non debba essere retribuito – di cui va affermato il contrasto in parte qua con l'art. 6 l. n. 142/01 nella parte in cui rimette
l'eventuale modifica unilaterale in peius dell'orario di lavoro alla deliberazione assembleare di un piano di crisi aziendale, nella specie inesistente.
3.2. Anche per quanto riguarda il cambio di consegne nel passaggio del turno, deve ribadirsi come lo stesso costituisca espletamento di mansione lavorativa, essendo chiaramente connesso alle peculiarità del servizio espletato dall'odierna appellata, per cui valgono le medesime considerazioni.
3.3. Riguardo alla quantificazione del “tempo vestizione/svestizione” e di quello di passaggio di consegne, l'indicazione operata dal primo Giudice circa la durata di 15 minuti del tempo aggiuntivo (e comprensivo di entrambe le operazioni) appare assolutamente congrua – anche per evitare problemi sperequativi tra lavoratori della interessati da cause analoghe;
in ogni caso – e al di là Parte_1
dei singoli riscontri probatori che, oltretutto, non sono così univoci nel senso prospettato dall'appellante – si osserva che, non essendo il tempo occorrente per tali operazioni precisamente stimabile in termini tecnici e obiettivi (poiché rimesso anche alla diversa sensibilità soggettiva del singolo lavoratore, che può essere in tal senso più o meno veloce o più o meno lento), il periodo (ovviamente medio) di 7,5 minuti per tale operazione e per quella inversa (che, ovviamente, non possono che comprendere, come implicitamente richiesto dalle lavoratrici, anche il tempo strumentale e necessario
a recarsi nello spogliatoio dopo l'ingresso e per recarsi nel proprio reparto di assegnazione, e viceversa), risulta tutt'altro che eccessivo e, al contrario, assolutamente congruo anche dal punto di vista strettamente equitativo.
4. Non può essere accolto neppure il quarto motivo di gravame.
4 4.1. Se è vero che il primo Giudice non ha motivato sulla maggiorazione sull'orario supplementare chiesta da (pur avendone integralmente accolto la CP_3
domanda), è anche vero che tale pretesa è comunque fondata: infatti, non è applicabile il meccanismo del “vuoto per pieno” invocato dall'azienda, che ha espressamente ammesso (cfr. pag. 13 della comparsa di primo grado;
ma la circostanza emerge comunque dalle buste paga versate in atti) come alla predetta dipendente fosse stato fatto eseguire e le fosse stato retribuito un numero di ore inferiore a quelle previste dal ccnl applicato (38 ore settimanali per complessive 165 ore mensili);
l'indicazione di parte appellante circa la ricorrenza di limitati periodi in cui gli stessi avrebbero lavorato più ore (a titolo di straordinario o ad altro titolo), rispetto a quelle contrattualmente pattuite, non vale (quand'anche provata) a escludere la scelta unilaterale di contrazione dell'orario e della retribuzione praticata dalla in periodi diversi. Parte_2
D'altronde, il meccanismo del “vuoto per pieno” non è previsto nel ccnl Cooperative
Sociali, né è stato oggetto di specifica pattuizione inter partes.
4.2. Si osserva, inoltre, come in contestazione sia non lo svolgimento in sé di ore di lavoro supplementare (emergenti dalle buste paga prodotte), ma la corretta applicazione della disciplina di cui all'art. 26, lett. C), ccnl e, pertanto, la mancata corresponsione a della prevista maggiorazione oraria del 27% CP_3
(sicché non sussiste alcuna indeterminatezza della pretesa attorea). Dall'esame delle buste paga prodotte risulta che la società datrice di lavoro, che ha ammesso la circostanza, abbia pagato per le ore di lavoro supplementare solo l'indennità del 2%, che va riferita alla norma ex art. 26, lett. D) ed E), ccnl. Deve ritenersi, invece, che queste due indennità siano fra loro diverse:
- l'art. 26, lett. D), ccnl prevede che «ai sensi e nel rispetto dell'art. 3 commi da 7 a 10
(clausole flessibili) del D.lgs. N. 61/2000 e successive modificazioni, il datore di lavoro, a fronte del consenso espresso dal lavoratore e formalizzato con apposito patto scritto […], ha il potere di variare la collocazione temporale della prestazione lavorativa a tempo parziale, sia in caso di tipo di contratto orizzontale, verticale o misto […]. Qualora vi sia prestazione lavorativa con variazione nel mese della collocazione temporale riguardante un orario complessivo superiore al 30% dell'orario mensile derivante dal contratto individuale, si applicherà una maggiorazione del 2% sulla retribuzione mensile derivante dal contratto individuale
5 di cui sopra. Laddove tale percentuale sia inferiore o uguale al 30% si procederà ad una maggiorazione del 2% per le sole giornate nelle quali si sia effettuata la prestazione lavorativa con variazione di collocazione temporale. Ai fini del computo del 30% vanno considerate tutte le ore previste dal contratto individuale per ogni giornata interessata»;

- l'art. 26, lett. E), ccnl, statuisce che «Nei rapporti di lavoro a tempo parziale di tipo verticale o misto possono essere stabilite, con apposito patto similmente a quanto previsto nella precedente lettera D, anche clausole elastiche per la variazione in aumento della durata della prestazione lavorativa (prolungamento della prestazione in giornate o in periodi nei quali non era prevista). Qualora vi sia prestazione lavorativa con variazione nel mese riguardante un orario complessivo superiore al
30% dell'orario mensile derivante dal contratto individuale, si applicherà una maggiorazione del 2% sulla retribuzione mensile derivante dal contratto individuale di cui sopra. Laddove tale percentuale sia inferiore o uguale al 30% si procederà ad una maggiorazione del 2% per le sole giornate nelle quali si sia effettuata la prestazione lavorativa con variazione. Ai fini del computo del 30% vanno considerate tutte le ore previste dal contratto individuale per ogni giornata interessata».
Ora, risulta chiaro come l'indennità del 2% praticata dall'azienda sia prevista per il semplice spostamento della collocazione temporale della prestazione, mentre l'altra indennità, nel caso di svolgimento, per i contratti di part time verticale o misto (quale non è il caso della predetta lavoratrice, assunta con contratto a tempo parziale orizzontale), di un numero di ore maggiore di quelle contrattualmente pattuite, sia prevista per il semplice fatto dello svolgimento di queste ore ulteriori, e la relativa erogazione avvenga sempre con riferimento al mese e alle giornate in cui viene svolta la prestazione – con la conseguenza che tale indennità non può evidentemente identificarsi con la maggiorazione oraria prevista dall'art. 3, co. 4, d.lgs. n. 61/00, come richiamato dall'art, 26, lett. C), ccnl.
5. Alla luce di tutte le superiori osservazioni, che assorbono ogni altra doglianza ed escludono la necessità di ulteriori approfondimenti istruttori, l'appello dev'essere rigettato, e alla soccombenza della segue l'obbligo di Parte_1 quest'ultima al pagamento delle spese del grado (liquidate tenendo conto della pluralità
6
di parti), oltre al versamento dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato ex art.
13, co. 1-quater, d.P.R. n. 115/02.
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