Corte d'Appello Palermo, sentenza 21/05/2024, n. 405
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Testo completo
Repubblica Italiana IN NOME DEL POPOLO ITALIANO La Corte di Appello di Palermo, sezione controversie di lavoro, previdenza ed assistenza, composta dai signori magistrati:
1) dott. Caterina Greco Presidente rel.
2) dott. Maria Letizia Barone Consigliere
3) dott. Carmelo Ioppolo Consigliere riunita in camera di consiglio, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 764 R.G.A. 2023, promossa in grado di appello D A DI GI AT, rappresentata e difesa dall'Avvocato SPALLITTA NADIA
- Appellante - C O N T R O MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, rappresentato e difeso dall'AVVOCATURA DELLO STATO DI PALERMO
- Appellato - All'udienza del 16/05/2024, i procuratori delle parti costituite concludevano come dai rispettivi atti difensivi. FATTO Con la sentenza n. 1722/2014 del 10.07.2014 il Tribunale di Palermo rigettava la domanda proposta da Di OV RE con ricorso depositato il 6.05.2010, con cui, premettendo di aver prestato servizio sin dal mese di dicembre del 1991, nella qualità di esperto psicologo ex art. 80 L. n. 354/1975, presso le Case Circondariali “Ucciardone” e “Pagliarelli” di Palermo, in virtù di reiterati contratti di lavoro, nominalmente qualificati come di collaborazione professionale, aveva chiesto accertarsi la natura subordinata delle prestazioni rese e, previo riconoscimento dell'instaurazione tra le parti di un unico rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, condannarsi il Ministero della Giustizia all'inserimento della stessa nel ruolo organico fin dal 1998, collocandola nell'area C del CCNL Comparto Ministeri, posizione economica C3, nonché al pagamento delle differenze retributive a ciò correlate, all'accantonamento del TFR ed al versamento dei contributi previdenziali;
in subordine, nel caso fosse stata accertata
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la sussistenza di un rapporto di collaborazione professionale, chiedeva condannarsi il Ministero al pagamento delle differenze retributive tra gli onorari previsti dal tariffario professionale e quelli concretamente percepiti, oltre accessori. In particolare, il Tribunale osservava che l'opera professionale della ricorrente era stata prestata in virtù di una tipologia contrattuale espressamente prevista da una speciale disciplina legislativa (art. 80 L. n. 354/1975) che delineava le caratteristiche del rapporto così istituito come proprie della
“parasubordinazione”;
aggiungeva che la ricorrente non aveva fornito alcuna prova che le concrete modalità di esecuzione della prestazione, divergendo dal modello legale, fossero tali da rivelare la sussistenza di un vincolo di subordinazione;
con riguardo alla domanda subordinata, evidenziava poi che nessun obbligo di adeguamento al tariffario professionale gravava sul Ministero, né poteva valutarsi l'adeguatezza dei compensi secondo i criteri di cui all'art. 36 Cost., esulandosi dall'ambito del lavoro subordinato. Con sentenza n. 1050/2016 de 13.01.2017 questa Corte, in diversa composizione, confermava la sentenza di primo grado, appellata dalla Di OV: premesso il passaggio in giudicato (in quanto non impugnate) delle statuizioni che avevano escluso l'applicazione dell'art. 36 Cost. e l'obbligo di adeguare i compensi agli onorari previsti dal tariffario professionale, nel condividere gli argomenti già posti dalla sentenza gravata a fondamento dell'esclusione del vincolo della subordinazione - sia in considerazione della speciale disciplina di siffatti incarichi, sia per difetto di prova di concrete modalità di esecuzione del rapporto che lo potessero ricondurre all'ambito di cui all'art. 2094 c.c. - aggiungeva, con riferimento all'esame dei c.d. indici sintomatici della subordinazione, che:
• in forza delle convenzioni stipulate con il Ministero (prodotte in atti) la ricorrente era obbligata ad attenersi alle disposizioni di carattere organizzativo che regolano il buon funzionamento del servizio, a collaborare, secondo le indicazioni della Direzione, nelle attività a lei richieste di osservazione scientifica della personalità e di trattamento del servizio “nuovi giunti” e del presidio sanitario, in prospettiva di integrazione interdisciplinare con gli operatori penitenziari e a fornire per iscritto le sue valutazioni tecniche sulla suddetta attività;
• era, inoltre, impegnata a rispettare un certo numero di ore mensili;
poteva concordare con l'Amministrazione la partecipazione a corsi di formazione retribuiti;
era tenuta a comunicare in anticipo suoi eventuali impedimenti allo svolgimento dell'attività;
doveva presentare mensilmente la richiesta di liquidazione delle competenze con indicazione dell'attività svolta, della data e delle ore delle singole prestazioni;
poteva fruire di un periodo di riposo di 45 giorni, da
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concordare con la Direzione e poteva interrompere il servizio (per ragioni di studio, familiari, salute o gravidanza) per un periodo massimo stabilito. Ciò posto, la Corte escludeva che tali caratteristiche della prestazione svolta dalla ricorrente rivelassero gli elementi tipici della subordinazione: a prescindere dal carattere sussidiario di tali elementi ai fini della qualificazione del rapporto in termini di subordinazione, infatti, osservava, in dettaglio, che lo scopo del regime orario (predeterminato nel solo monte orario e autonomamente gestibile dalla lavoratrice), dei riposi, delle assenze e delle disposizioni di servizio (rivolte alla generalità delle unità operative) era quello di coordinare le prestazioni dello psicologo esperto con le esigenze del servizio di strutture complesse come gli istituti penitenziari, ed in particolare di garantire l'organizzazione, il buon funzionamento e la sicurezza delle medesime strutture;
escludeva, inoltre, che la durata del rapporto valesse a conferirgli carattere di definitività, essendo correlata alle finalità per le quali era stato conferito l'incarico professionale ai sensi della normativa speciale, in forza della quale non poteva farsi riferimento all'art. 69 d.lgs. n. 276/2003, né alle disposizioni contenute nel d.lgs. n. 368/2001 e a quelle sulla stabilizzazione. Con ordinanza n. 12850/2023 dell'11.05.2023 la Corte di Cassazione ha cassato la predetta sentenza, rinviando a questa Corte, in diversa composizione, per una nuova valutazione degli elementi di fatto accertati e sintomatici della subordinazione, di cui la Corte aveva fornito soltanto una valutazione parziale, analitica ed atomistica. Con ricorso depositato il 24.07.2023 Di OV RE ha tempestivamente riassunto il giudizio reiterando le domande proposte con il ricorso di primo grado. Ha resistito al gravame il Ministero della Giustizia. All'udienza del 16/05/2024, sulle conclusioni delle parti di cui ai rispettivi atti difensivi, la causa è stata decisa come da dispositivo. MOTIVI In via del tutto preliminare appare utile ricordare che, per costante giurisprudenza di legittimità (Cass. n.10046/2002;
Cass. n.327/2010;
Cass. n.26200/2014;
Cass. 29320/2008), nel giudizio di rinvio, che è un procedimento "chiuso", tendente ad una nuova pronuncia in sostituzione di quella cassata, non solo è inibito alle parti di ampliare il "thema decidendum", formulando nuove domande e nuove eccezioni, ma operano le preclusioni che derivano dal giudicato implicito formatosi con la sentenza di cassazione;
con la conseguenza che neppure le questioni esaminabili di ufficio, non rilevate dalla Suprema Corte, possono in sede di rinvio essere dedotte o comunque esaminate, giacché la loro analisi tende a
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porre nel nulla o a modificare gli effetti della stessa sentenza di cassazione, in contrasto con il principio della sua intangibilità e degli effetti del giudicato interno. A tale stregua va preliminarmente ribadito il passaggio in giudicato della statuizione che ha escluso l'applicazione dell'art. 36 Cost. e l'obbligo di adeguare agli onorari previsti dal tariffario professionale, in quanto non impugnate né nel precedente grado innanzi la Corte di Appello né innanzi la Corte di Cassazione;
sicché le domande in tal senso qui riproposte vanno dichiarate inammissibili. Inoltre, va ancora puntualizzato, i poteri del giudice di rinvio sono diversi a seconda che la sentenza sia stata annullata per violazione o falsa applicazione di norme di diritto ovvero per omessa o contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia, atteso che solo in quest'ultimo caso l'annullamento travolge la valutazione dei fatti compiuta in sede di appello, onde il giudice è libero di riesaminare ex novo tutte le risultanze processuali e di risolvere le questioni devolutegli senza limitazioni di sorta (Cass. 22.04.2009 n.9617;
Cass. 10.08.2002 12148;
Cass. sez. un. 13.09.1997 n.9095). In relazione alle motivazioni poste a fondamento dell'annullamento della precedente sentenza di merito non v'è dubbio che qui si verta nella seconda delle ipotesi sopra delineate. L'ordinanza di rinvio ha infatti affermato: “Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, se è la soggezione del lavoratore al potere di direzione ed organizzazione del datore di lavoro (con conseguente limitazione della sua autonomia ed inserimento nell'organizzazione aziendale) ad assumere la funzione di parametro normativo essenziale di individuazione della natura subordinata del rapporto, anche ulteriori elementi, quali l'assenza di rischio, la continuità della prestazione, l'osservanza di un orario e la forma della retribuzione ed eventualmente altri, pur avendo natura sussidiaria e non decisiva, possono costituire, sulla base di una valutazione complessiva e non meramente atomistica delle risultanze processuali, adeguati indici rivelatori della reale sistemazione degli interessi perseguiti dalle parti, sì da prevalere sulla formale contraria volontà manifestata dalle medesime (Cass. S.U. n.370/1999;
Cass. n.4171/2006;
Cass. n.5645/2009;
Cass. n. 11207/2009, tutte richiamate da Cass. n. 2212/2017).” Ha ancora ricordato che “il procedimento di isolamento “atomistico” di ogni elemento della fattispecie idoneo a costituire indice qualificatorio di un rapporto connotato
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