Corte d'Appello Milano, sentenza 08/01/2025, n. 1147

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Sul provvedimento

Citazione :
Corte d'Appello Milano, sentenza 08/01/2025, n. 1147
Giurisdizione : Corte d'Appello Milano
Numero : 1147
Data del deposito : 8 gennaio 2025

Testo completo

Sentenza n. 1147/24 Registro generale Appello Lavoro n. 982/2024

REPUBBLICA ALNA IN NOME DEL POPOLO ALNO La Corte d' Appello di Milano, sezione lavoro, composta da: Dott. Roberto VIGNATI Presidente Dott. Giovanni CASELLA Consigliere rel. Dott.ssa Laura BERTOLI Consigliera ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile in grado d'appello avverso la sentenza n. 3809/2024 del Tribunale di Milano, est. Dott.ssa Colosimo, discussa all'udienza collegiale del 10 dicembre 2024 e promossa
DA
TO AL S.R.L., in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Emanuele Barberis, Valeria De Lucia, Chiara Napoli e Alessandro Pace ed elettivamente domiciliata presso il loro studio in Milano, Via Giuseppe Verdi n. 4
APPELLANTE
CONTRO
DI IL CO, rappresentato e difeso dall'Avv. Marianna Luciano, ed elettivamente domiciliato presso lo studio del proprio difensore sito in Gorgonzola (MI), Via Luigi Restelli n. 4
APPELLATO
I procuratori delle parti, come sopra costituiti, così precisavano le
CONCLUSIONI
PER L'APPELLANTE:
“A) nel merito, in accoglimento del presente atto di appello, riformare la sentenza in epigrafe indicata e rigettare tutte le domande e istanze proposte in primo grado dall'odierno Appellato, accogliendo le domande svolte nella memoria difensiva di primo grado e qui di seguito trascritte: Voglia l'Ill.mo Tribunale adito, contrariis reiectis e previa ogni opportuna declaratoria di inammissibilità e/o inaccoglibilità e/o improponibilità e/o decadenza con riferimento alle domande e conclusioni oggetto del ricorso avversario, per i motivi esposti - in relazione a ciascuna specifica domanda avversaria - nella narrativa che precede:


1. in via principale, respingere il ricorso ex art. 414 promosso dal Sig. CO Di LL nei confronti di LE Italia S.r.l., ivi inclusa ogni domanda, pretesa e/o istanza in esso contenuta, in quanto inammissibili, infondate in fatto e in diritto e/o, comunque, indimostrate;



2. in via subordinata, nella denegata e non creduta ipotesi in cui il Giudice dovesse accertare la fondatezza – anche solo parziale – delle avversarie pretese, accertare e dichiarare non dovute, in tutto o in parte, le somme richieste nel ricorso introduttivo del presente giudizio, per tutti i motivi esposti nella narrativa che precede e, in ogni caso, compensare quanto eventualmente dovuto al Ricorrente con l'aliunde perceptum nonché con l'aliunde percipiendum che verrà accertato;



3. con favore di diritti, onorari e spese del procedimento”.

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PER L'APPELLATO:
“NEL MERITO Respingere per i motivi tutti indicati nella narrativa che precede l'appello proposto dalla società LE Italia srl in quanto inammissibile e/o infondato e per l'effetto confermare integralmente la sentenza 3809/2024 emessa dal Tribunale di Milano
– Sezione Lavoro in persona del Giudice Dott.ssa Chiara Colosimo. … In ogni caso: con vittoria di spese competenze”.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con la sentenza n. 3809/2024, il Tribunale di Milano (dott.ssa Colosimo) accoglieva integralmente il ricorso proposto dal sig. Di LL, dichiarando illegittimo il licenziamento intimato al ricorrente dalla datrice di lavoro LE Italia s.r.l. e condannando quest'ultima al pagamento di un'indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a quindici mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, oltre interessi, rivalutazione dal dovuto al saldo effettivo e condanna al pagamento delle spese processuali. Il sig. Di LL ha dedotto di essere stato assunto da LE Italia s.r.l. – società che svolge attività di consulenza, diretta e indiretta, per la ricerca di risparmio e, in generale, operazioni di natura finanziaria e simili – con contratto di lavoro a tempo indeterminato e pieno, con decorrenza dal 14 dicembre 2020 e inquadramento, da ultimo, nel I livello C.C.N.L. Terziario Distribuzione e Servizi quale impiegato con mansioni di Sales Manager – LE for Start-up. Il 9 novembre 2023 il dipendente ha ricevuto una contestazione disciplinare con cui gli veniva addebitato di avere inoltrato a terzi, dal proprio indirizzo elettronico aziendale, documentazione contenente informazioni riservate e confidenziali riferite al cliente UI AY;
di avere inviato al proprio indirizzo elettronico personale alcuni LUL riferiti al cliente RA;
di avere inviato a terzi, dal proprio indirizzo elettronico aziendale, la Carbon Foot Print 2022/2023 dell'Azienda, l'informativa relativa ad un decreto ministeriale e una presentazione afferente ad un evento formativo interno;
di avere inviato ad un cliente documenti ad uso esclusivo interno. Con lettera del 14 novembre 2023 il dipendente ha presentato le proprie giustificazioni, contestando la tempestività e la specificità della contestazione disciplinare nonché sostenendo che le informazioni inoltrate a terzi non sarebbero state riservate e confidenziali. Nonostante ciò, l'Azienda, con lettera del 28 novembre 2023, lo ha licenziato per giusta causa. Successivamente il sig. Di LL adiva il Tribunale di Milano, lamentando la tardività delle contestazioni disciplinari, negando la sussistenza di una giusta causa di risoluzione del rapporto e, soprattutto, dolendosi della violazione dell'art. 4 Statuto dei Lavoratori in ragione dell'indagine massiva effettuata da LE Italia s.r.l. sulla sua posta elettronica aziendale. Ritualmente si costituiva in giudizio LE Italia srl, asserendo che il ricorrente avesse condiviso, con soggetti terzi e senza autorizzazione, informazioni e documenti confidenziali di proprietà di LE, circostanza che quest'ultima aveva appreso solo a esito di un controllo straordinario operato sulla posta elettronica
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del ricorrente, assumendo che detto controllo fosse stato svolto in conformità alle regole della policy aziendale sull'uso degli strumenti informatici e a seguito di un legittimo sospetto di condotte illecite da parte del lavoratore (aver fatto emettere fatture verso i clienti di LE pur senza la prestazione di alcun servizio in loro favore). La società resistente, inoltre, era venuta a conoscenza della costituzione della società Be Boost S.r.l. da parte del ricorrente, quale Amministratore Unico della stessa, unitamente al Sig. BI AG (Co-Founder delle stesse);
detta società si trova in potenziale concorrenza con LE nel settore Energy. Pertanto, al sig. Di LL veniva contestata complessivamente la violazione dei suoi doveri di riservatezza e confidenzialità nascenti dal contratto di lavoro;
dei suoi doveri di non concorrenza parimenti nascenti dal contratto di lavoro;
della Policy sull'uso degli Strumenti Informatici che vieta di usare l'e-mail aziendale per lo svolgimento di attività non inerenti alla prestazione lavorativa in favore di LE.
Il giudice di primo grado, con sentenza n. 3809/2024 (Dott.ssa Colosimo), accoglieva il ricorso deducendo, preliminarmente, che la controversia dovesse essere risolta sulla base del principio della ragione più liquida e, in particolare, della violazione da parte del datore di lavoro dell'art. 4 Statuto dei Lavoratori. Il Tribunale ha quindi ritenuto incontroverso che il datore di lavoro avesse operato una illegittima attività di monitoraggio sulla posta elettronica del dipendente, con ciò violando le pronunce della CEDU, le linee guida del GPDR, le raccomandazioni del Consiglio d'Europa sul trattamento di dati personali nel contesto occupazionale nonché gli univoci orientamenti giurisprudenziali in materia. In merito all'obbligo di trasparenza il giudice di primo grado statuiva che detto obbligo non potesse essere adempiuto mediante la sola affissione dell'informativa in un luogo accessibile a tutti i dipendenti, sia esso fisico o virtuale come l'intranet aziendale. Il Giudice rilevava, altresì, che LE non avesse dato prova nè che il lavoratore fosse tra i destinatari della e-mail del 26.01.2023 (con la quale veniva asseritamente comunicata la pubblicazione della policy sull'intranet aziendale) nè che detta e-mail, contenesse effettivamente una specifica indicazione in ordine alla pubblicazione e all'aggiornamento della policy in materia di controlli, né della sussistenza di un “legittimo sospetto” atto a giustificare controlli di tipo difensivo. In sostanza, quindi, il Giudice del primo grado ha rilevato che non sussistessero i presupposti per dare vita a controlli difensivi e che fossero in ogni caso stati violati gli obblighi informativi in merito a possibili controlli straordinari sulla strumentazione informatica. Per dette ragioni il Tribunale concludeva per l'inutilizzabilità di tutte le informazioni raccolte per il tramite dei menzionati controlli e per l'insussistenza del fatto contestato, condannando LE al pagamento di un'indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a quindici mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR, oltre interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo.
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Avverso tale sentenza, la società con ricorso, depositato il 12.09.2024, ha proposto appello tramite la formulazione di cinque motivi d'appello. Primo motivo di appello: violazione e falsa applicazione dell'art. 4, comma 2, della legge 20 maggio 1970, n. 300 in ordine alla inutilizzabilità dei dati acquisiti tramite controllo sulla posta elettronica aziendale per asserita inadeguatezza delle modalità con cui l'informativa è stata portata a conoscenza dell'appellato. L'appellante ha censurato la sentenza di primo grado laddove ha ritenuto insufficienti le modalità di pubblicazione dell'informativa, assumendo – contrariamente a quanto affermato dal primo Giudice - che vi fosse la prova della conoscenza e conoscibilità da parte del ricorrente dell'informativa in quanto lo stesso sig. LL risultava fra i destinatari della e-mail con cui la società informava i dipendenti della pubblicazione di siffatta informativa. In merito a tale aspetto la società appellante osserva che il legislatore non ha espressamente previsto, per quanto riguarda la messa a
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