Corte d'Appello Roma, sentenza 08/10/2024, n. 3299
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Testo completo
14
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE DI APPELLO DI ROMA
IV SEZIONE LAVORO
La Corte, composta dai signori magistrati:
- dott. Alessandro Nunziata Presidente
- dott.ssa Gabriella Piantadosi Consigliere rel.
- dott.ssa Alessandra Lucarino Consigliere
all'udienza dell'8.10.2024 ha pronunciato la presente
SENTENZA
nella causa iscritta al n. 805/2023 R.G. vertente
TRA
ON OL e ON AN, nella qualità di unici eredi di CH
PA, rappresentati e difesi dall'Avv. Marco Maccarrone, presso il cui studio domiciliano in Roma alla Via Ugo Ojetti n. 350 APPELLANTE
E
INPS, in persona del Presidente pro-tempore
APPELLATO CONTUMACE
avente ad oggetto: appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma, in funzione di giudice del lavoro n. 8398/2022 pubblicata il 14/10/2022
Conclusioni: come in atti.
IN FATTO E IN DIRITTO
1. Con ricorso depositato innanzi al Tribunale di Roma, in funzione di giudice del lavoro,
CH PA chiedeva l'accertamento del proprio diritto alla corresponsione della
1
maggiorazione sociale ex art. 38, comma 4 L. n. 448/2001 e art. 15 D.L. 104/2020 sulla pensione di inabilità civile di cui all'art. 12 L. n. 118/71, con decorrenza dal 20 luglio 2020, con conseguente condanna dell'INPS al pagamento, in suo favore, della suddetta prestazione.
A fondamento della pretesa assumeva che: - con verbale della Commissione Medico Legale
INPS, definito il 14.5.2019, era stata riconosciuta invalida con totale e permanente inabilità lavorativa, in misura pari al 100%, oltre che con necessità di assistenza continua, non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita, con decorrenza dal 7.5.2019;
- percepiva, dunque, la pensione di inabilità di cui all'art. 12 L. n. 118/71;
- per gli anni 2019, 2020 e 2021 il reddito annuo personale e del coniuge era inferiore ai limiti di legge per percepire la suindicata maggiorazione.
Aggiungeva che: - con sentenza n. 152/2020, la Corte Costituzionale aveva dichiarato
l'illegittimità dell'art.38 comma 4 legge 448/2001 nella parte in cui disponeva, per gli invalidi civili totali, che gli incrementi di cui al comma 1 alla pensione di inabilità fossero concessi “ai soggetti di età pari o superiore a sessanta anni” anziché “ai soggetti di età superiore a diciotto anni”;
- il legislatore, con l'art. 15 del Decreto Legge 14 agosto 2020, n. 104 aveva recepito tale principio;
- per gli invalidi civili tale adeguamento veniva riconosciuto dall'INPS di ufficio con decorrenza dal
20.7.2020, come disposto dalla predetta normativa;
- ciononostante, non le era stata attribuita detta maggiorazione.
Nelle more del giudizio – in cui l'INPS rimaneva contumace - CH PA decedeva.
Con memoria in data 24 maggio 2022 si costituivano in giudizio VA LO e VA
NT, in qualità di unici eredi della de cuius, chiedendo che fosse accertato e dichiarato il diritto, in capo alla loro dante causa, della predetta maggiorazione sociale, con conseguente condanna dell'Istituto al pagamento in loro favore degli importi dovuti a tale titolo, oltre accessori.
Con sentenza n. 8398/2022, emessa in data 14 ottobre 2022, il giudice di prime cure rigettava il ricorso sulla base delle seguenti argomentazioni: la parte ricorrente aveva dimostrato il possesso di tutti i presupposti per beneficiare della maggiorazione sociale;
quest'ultima, in quanto concernente prestazioni legate all'invalidità civile, “veniva riconosciuta da INPS senza necessità di domanda”;
tuttavia, la parte non aveva documentato che il pagamento della pensione di inabilità di cui all'art. 12
L. n. 118/71 era avvenuto da parte dell'INPS senza la predetta maggiorazione.
Avverso tale decisione proponevano appello VA LO e VA NT, in qualità di eredi dell'originaria ricorrente, per i seguenti motivi:
1) “erronea applicazione dell'art. 2697 c.c.”: assumevano che il creditore è tenuto unicamente a fornire la prova del rapporto o del titolo dal quale deriva il proprio diritto e non anche a dimostrare il mancato pagamento, che si configura quale fatto estintivo, del quale deve fornire la prova il debitore;
pertanto, erroneamente il Tribunale aveva posto in capo al creditore l'onere di provare un fatto
2
estintivo del diritto fatto valere, violando il disposto dell'art. 2697 c.c.;
2) “erronea applicazione dell'art. 421 c.p.c., comma 2”: il giudice di prime cure nella sentenza impugnata aveva disatteso quanto disposto dall'art. 421 c.p.c., omettendo di attivare i propri poteri di ufficio per l'accertamento della verità: ben avrebbe potuto e dovuto ordinare la produzione di un cedolino relativo alla pensione di inabilità già percepita, da cui risultasse la mancata erogazione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE DI APPELLO DI ROMA
IV SEZIONE LAVORO
La Corte, composta dai signori magistrati:
- dott. Alessandro Nunziata Presidente
- dott.ssa Gabriella Piantadosi Consigliere rel.
- dott.ssa Alessandra Lucarino Consigliere
all'udienza dell'8.10.2024 ha pronunciato la presente
SENTENZA
nella causa iscritta al n. 805/2023 R.G. vertente
TRA
ON OL e ON AN, nella qualità di unici eredi di CH
PA, rappresentati e difesi dall'Avv. Marco Maccarrone, presso il cui studio domiciliano in Roma alla Via Ugo Ojetti n. 350 APPELLANTE
E
INPS, in persona del Presidente pro-tempore
APPELLATO CONTUMACE
avente ad oggetto: appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma, in funzione di giudice del lavoro n. 8398/2022 pubblicata il 14/10/2022
Conclusioni: come in atti.
IN FATTO E IN DIRITTO
1. Con ricorso depositato innanzi al Tribunale di Roma, in funzione di giudice del lavoro,
CH PA chiedeva l'accertamento del proprio diritto alla corresponsione della
1
maggiorazione sociale ex art. 38, comma 4 L. n. 448/2001 e art. 15 D.L. 104/2020 sulla pensione di inabilità civile di cui all'art. 12 L. n. 118/71, con decorrenza dal 20 luglio 2020, con conseguente condanna dell'INPS al pagamento, in suo favore, della suddetta prestazione.
A fondamento della pretesa assumeva che: - con verbale della Commissione Medico Legale
INPS, definito il 14.5.2019, era stata riconosciuta invalida con totale e permanente inabilità lavorativa, in misura pari al 100%, oltre che con necessità di assistenza continua, non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita, con decorrenza dal 7.5.2019;
- percepiva, dunque, la pensione di inabilità di cui all'art. 12 L. n. 118/71;
- per gli anni 2019, 2020 e 2021 il reddito annuo personale e del coniuge era inferiore ai limiti di legge per percepire la suindicata maggiorazione.
Aggiungeva che: - con sentenza n. 152/2020, la Corte Costituzionale aveva dichiarato
l'illegittimità dell'art.38 comma 4 legge 448/2001 nella parte in cui disponeva, per gli invalidi civili totali, che gli incrementi di cui al comma 1 alla pensione di inabilità fossero concessi “ai soggetti di età pari o superiore a sessanta anni” anziché “ai soggetti di età superiore a diciotto anni”;
- il legislatore, con l'art. 15 del Decreto Legge 14 agosto 2020, n. 104 aveva recepito tale principio;
- per gli invalidi civili tale adeguamento veniva riconosciuto dall'INPS di ufficio con decorrenza dal
20.7.2020, come disposto dalla predetta normativa;
- ciononostante, non le era stata attribuita detta maggiorazione.
Nelle more del giudizio – in cui l'INPS rimaneva contumace - CH PA decedeva.
Con memoria in data 24 maggio 2022 si costituivano in giudizio VA LO e VA
NT, in qualità di unici eredi della de cuius, chiedendo che fosse accertato e dichiarato il diritto, in capo alla loro dante causa, della predetta maggiorazione sociale, con conseguente condanna dell'Istituto al pagamento in loro favore degli importi dovuti a tale titolo, oltre accessori.
Con sentenza n. 8398/2022, emessa in data 14 ottobre 2022, il giudice di prime cure rigettava il ricorso sulla base delle seguenti argomentazioni: la parte ricorrente aveva dimostrato il possesso di tutti i presupposti per beneficiare della maggiorazione sociale;
quest'ultima, in quanto concernente prestazioni legate all'invalidità civile, “veniva riconosciuta da INPS senza necessità di domanda”;
tuttavia, la parte non aveva documentato che il pagamento della pensione di inabilità di cui all'art. 12
L. n. 118/71 era avvenuto da parte dell'INPS senza la predetta maggiorazione.
Avverso tale decisione proponevano appello VA LO e VA NT, in qualità di eredi dell'originaria ricorrente, per i seguenti motivi:
1) “erronea applicazione dell'art. 2697 c.c.”: assumevano che il creditore è tenuto unicamente a fornire la prova del rapporto o del titolo dal quale deriva il proprio diritto e non anche a dimostrare il mancato pagamento, che si configura quale fatto estintivo, del quale deve fornire la prova il debitore;
pertanto, erroneamente il Tribunale aveva posto in capo al creditore l'onere di provare un fatto
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estintivo del diritto fatto valere, violando il disposto dell'art. 2697 c.c.;
2) “erronea applicazione dell'art. 421 c.p.c., comma 2”: il giudice di prime cure nella sentenza impugnata aveva disatteso quanto disposto dall'art. 421 c.p.c., omettendo di attivare i propri poteri di ufficio per l'accertamento della verità: ben avrebbe potuto e dovuto ordinare la produzione di un cedolino relativo alla pensione di inabilità già percepita, da cui risultasse la mancata erogazione
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