Corte d'Appello Napoli, sentenza 18/01/2024, n. 245

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Corte d'Appello Napoli, sentenza 18/01/2024, n. 245
Giurisdizione : Corte d'Appello Napoli
Numero : 245
Data del deposito : 18 gennaio 2024

Testo completo

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D'APPELLO DI NAPOLI
SEZIONE CONTROVERSIE DI LAVORO E
DI PREVIDENZA ED ASSISTENZA composta dai Magistrati:
1) - Dott.ssa R B C - Presidente
2) - Dott.ssa F R A - Consigliere
3) - Dott. P B - Consigliere rel.
a seguito di trattazione scritta ha pronunciato in grado di appello alla udienza del
23.11.2023 la seguente
SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 125/2019 R.G. sezione lavoro
TRA
, rappresentata e difesa dall'avv. M d S e dall'avv. G Parte_1
I, domiciliata presso lo studio del primo in Napoli alla via Mattia Preti n. 10
-appellante-
E
in persona Controparte_1
dei rispettivi legali rappresentanti p.t., rappresentate e difese dall'avv. M M, presso il cui studio sono elettivamente domiciliate in Napoli al corso Arnaldo Lucci n. 102
-appellate-
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato in data 23.2.2016 presso il Tribunale di Napoli, esponeva: di Parte_1 aver lavorato con contratto di collaborazione coordinata e continuativa dal 7.1.2009 all'11.1.2013 in favore dell e dell' dapprima presso la CP_1 Controparte_1 Controparte_1 comunità e a decorrere dall'ottobre 2012 presso la svolgendo sempre Org_1 Org_2
le mansioni di educatrice professionale;
di aver lavorato in assenza di inquadramento formale o con contratti a progetto secondo turni predisposti dai responsabili della comunità, per un impegno orario di 48 ore settimanali, osservando due turni settimanali della durata di 24 ore ognuno (dalle 8 del


mattino alle 8 del giorno successivo) ovvero due turni di mattina (dalle 8 alle 16 e due turni pomeriggio/notte, dalle 16 alle 8 del giorno successivo), oltre ad una settimana di agosto h 24 in cui accompagnava i minori in vacanza, per un compenso orario dopo il primo anno di € 5 ad ora per il lavoro diurno ed € 4 ad ora per quello notturno;
di aver proposto altro giudizio dinanzi allo stesso
Tribunale, avente ad oggetto il riconoscimento della natura subordinata del rapporto di lavoro e
l'impugnazione del licenziamento orale intimatole, nonché dei vari contratti a progetto stipulati e che la statuizione in merito al suddetto accertamento era passata in giudicato. Concludeva per
l'accertamento dell'unicità del complesso aziendale delle società convenute e del diritto al pagamento dei compensi per l'attività autonoma coordinata e continuativa svolta, utilizzando come parametro di riferimento le tabelle retributive previste dal ccnl cooperative sociali per il livello D2.
Instauratosi il contraddittorio, si costituivano le associazioni convenute chiedendo il rigetto del ricorso.
Con sentenza pronunciata in data 11.7.2018, il Tribunale adito, dichiarava la inammissibilità del ricorso per violazione del principio del “ne bis in idem”.
A fondamento del decisum il Tribunale rilevava che, nella fattispecie, la ricorrente aveva dedotto le stesse circostanze di fatto e richiesto le medesime somme (sebbene a diverso titolo) già oggetto del precedente giudizio intercorso tra le parti, conclusosi con esito negativo e coperto da giudicato (cfr. sentenza del Tribunale di Napoli n. 6029/2014 confermata dalla sentenza n. 1055/2015 della Corte
d'Appello di Napoli): le stesse rivendicazioni economiche rigettate nel precedente giudizio erano state, quindi, riproposte, non più sul presupposto dell'avvenuta intercorrenza di un rapporto di lavoro di natura subordinata, ma sulla base dell'attività di collaborazione coordinata e continuativa espletata.
Avverso la predetta sentenza ha proposto tempestivo appello con ricorso depositato Parte_1
il 14.1.2019, deducendo l'erroneità della pronuncia: nell'aver accolto l'eccezione di inammissibilità del ricorso per violazione del principio del “ne bis in idem”;
nell'aver ritenuto che la domanda per il giusto compenso da lavoro autonomo espletato avesse il medesimo oggetto della domanda di pagamento delle differenze retributive conseguenti all'accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro;
nell'aver ritenuto che con il ricorso introduttivo siano state riproposte le medesime circostanze di fatto e siano state richieste le medesime somme oggetto del precedente giudizio.
Ha quindi chiesto la riforma della pronuncia, con l'accoglimento di tutte le domande proposte in primo grado: accertare preliminarmente la unicità del complesso aziendale dei soggetti convenuti e del rapporto di collaborazione della ricorrente con titolarità in solido in capo alle associazioni convenute;
accertare il diritto della ricorrente al pagamento dei compensi per l'attività coordinata e
continuativa prestata in favore delle associazioni appellate, ininterrottamente per il periodo dal


7.1.2009 all'11.1.2013, con una condanna al pagamento, secondo equità ex art. 2225 c.c. e ss. ovvero ai sensi dell'art. 2233 c.c. o ai sensi degli artt. 1226 c.c. e 432 c.p.c., utilizzando come parametro di riferimento le tabelle retributive previste dal ccnl cooperative sociali per il livello D2, per l'importo di € 112.668,93, come da conteggi allegati al ricorso o, in via subordinata, di €
32.128,00, con vittoria delle spese di giudizio.
Si sono costituite le associazioni appellate, chiedendo il rigetto dell'appello.
Espletata la prova testimoniale, all'udienza di discussione del giorno 23.11.2023, all'esito della trattazione scritta, la Corte ha trattenuto la causa in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L'appello è meritevole di accoglimento.
Preliminarmente, va esaminata la questione del giudicato formatosi sulla decisione emessa tra le stesse parti nel precedente giudizio r.g. n. 6029/2014, posto a fondamento dell'impugnata sentenza, per violazione del principio del “ne bis in idem”, avente ad oggetto la richiesta delle medesime somme, anche se a titolo diverso.
Su una fattispecie analoga a quella che occupa, si è pronunciata la Suprema Corte con sentenza n.
17706/2015: “E' noto il principio più volte affermato da questa Corte di Cassazione secondo cui il giudicato formatosi con la sentenza intervenuta tra le parti, copre il dedotto e il deducibile in relazione al medesimo oggetto, e cioè non soltanto le ragioni giuridiche e di fatto esercitate in giudizio, ma anche tutte le possibili questioni, proponibili sia in via di azione, sia in via di eccezione, le quali, sebbene non dedotte specificamente, costituiscono precedenti logici, essenziali e necessari, della pronuncia: ma tale principio non può essere applicato alla fattispecie in esame. Nel caso che occupa, infatti, la prima pronuncia riguardava, diverso petitum e causa petendi, riferendosi infatti alla richiesta di pagamento di retribuzioni per asserito rapporto di lavoro subordinato, nel mentre il secondo giudizio era stato introdotto per conseguire il compenso ex art. 2222 c.c., nel quadro della (affermata) collaborazione continuativa e coordinata. La domanda proposta dopo il giudicato si fondava, pertanto, su elementi non solo diversi, ma anche incompatibili (per la loro evidente alternatività) con la domanda oggetto del primo giudizio: ed anche il "bene della vita" in questione era da ritenere affatto diverso riguardando, l'uno, il pagamento delle spettanze alla stregua delle norme di legge e collettive applicabili e, l'altro, la liquidazione del non fissato equo compenso ad opera del giudice alla stregua del disposto dell'art. 2225 c.c.”.
Applicando il principio espresso dalla Cassazione al caso di specie, si evince come nel giudizio de quo sia stata introdotta una realtà storica del tutto diversa da quella integrante la causa petendi del
precedente giudizio r.g. n. 6029/2014, in quanto mutati gli elementi essenziali del fatto costitutivo del diritto azionato. Oggetto del giudizio non è più la natura subordinata del rapporto con i connessi doveri del lavoratore e del datore di lavoro ed i conseguenti speculari diritti (es. potere disciplinare, ecc.), ma un rapporto tra le parti caratterizzato da elementi essenziali del tutto diversi (ad es., assenza di obblighi quali giustificazione delle assenze per il lavoratore o corresponsione del tfr per il datore).
L'eccezione di giudicato sollevata dalle resistenti in I grado ed accolta dal primo giudice, è pertanto infondata.
Passando all'esame del merito, la prova orale espletata in appello conferma chiaramente il ricorso introduttivo, in relazione alle differenze retributive invocate per le ore di lavoro effettivamente espletate dalla ed il controverso pagamento dei compensi spettanti. Parte_1
Le associazioni resistenti non hanno contrapposto alle risultanze istruttorie l'avvenuto integrale pagamento dei compensi dovuti alla ricorrente, non assolvendo, pertanto, al proprio onere probatorio, né, invero, hanno allegato il monte ore complessivamente svolto dalla ricorrente ed il criterio adottato per la determinazione del compenso che asseriscono di aver corrisposto in maniera satisfattiva delle avverse pretese.
CP_ Quanto alla prova orale, riferisce in particolare la teste “Ho lavorato per da Testimone_1
settembre 2009 e la da gennaio 2009, per come mi ha riferito. Sia io che la ricorrente Parte_1 svolgiamo tutte le attività relative all'educazione dei minori, per ognuno dei quali vi era un progetto di cui noi davamo attuazione. All'epoca vi erano otto minori e noi assistenti ne eravamo sei. Il nostro orario si articolava in turni e per ogni turno vi erano due assistenti. L'articolazione dei turni poteva variare, ma comunque vi erano le ore da espletare. Di solito vi era un turno di 24 ore e l'altro dalle 16.00 alle 8.00 del mattino successivo. In caso di emergenza si potevano svolgere anche ore ulteriori. Anche io per le medesime rivendicazioni ho proposto azione giudiziaria che ho vinto in primo grado e che è passata in giudicato. Venivamo pagati con un compenso di 5,00 € all'ora per le ore diurne, mentre dalle 16.00 alle 8.00 il compenso era di 4,00 € all'ora. Il compenso ci veniva erogato dopo molto tempo, quando il Comune erogava i fondi ed in ogni caso non venivamo mai pagate per tutto l'arretrato, ma ci veniva corrisposta solo una parte. Il compenso ci veniva pagato tramite bonifico bancario e se vi erano gli extra, questi ci venivano pagati in contanti. Nel mese di agosto ogni educatore lavorava una settimana per portare il minore in vacanza e per il resto del mese eravamo liberi (ricevendo sempre la stessa retribuzione a tariffa oraria) e venivamo pagati solo per quella settimana, non ricevendo alcuna retribuzione per il resto del mese. Sia in entrata che in uscita dal lavoro, firmavamo dei moduli. Segnavamo i turni di lavoro che facevamo e le
attestazioni prima erano cartacee, poi venivano fatte tramite computer, a cui provvedeva o la responsabile per il turno fino alle 16.00 e dopo noi stesse”. CP_ La teste dichiara: “Io ho lavorato per fine 2011/inizio 2012. Ho fatto Testimone_2
vertenza che mi è stata rigettata in primo e secondo grado e per la quale non ho proposto ricorso in
Cassazione. Ho lavorato dal 2008 quale responsabile della comunità e in Org_1
CP_ quell'occasione ho conosciuto la ha iniziato a lavorare per ad inizio Parte_1 Parte_1
2009. L'orario di lavoro minimo era di 40 ore settimanali, di cui uno di 24 e l'altro dalle 16.00 alle
Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi