Cass. civ., SS.UU., ordinanza 06/02/2023, n. 03514
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- ha pronunciato la seguente ORDINANZA sul ricorso 4146-2022 propostoda: DUCA GIULIANO, MAGRÌ P, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA MECENATE 27, presso lo studio dell'avvocato A D T, rappresentati e difesi dagli avvocati F P e P B;-ricorrenti - contro COMUNE DI CEFALU';-intimato - per regolamento di giurisdizione in relazione al giudizio pendente n. 1367/2021 del TRIBUNALE di TERMINI IMERESE. Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/09/2022 dal Consigliere A C;lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale A C, il quale chiede che la Corte di Cassazione dichiari la giurisdizione dell'Autorità Giudiziaria Ordinaria. RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Nel 2009 il Comune di Cefalù rilasciò ai signori G D e P M il permesso di costruire n. 2 del 13 gennaio 2009, avente ad oggetto l’edificazione, su un terreno di loro proprietà, di un fabbricato di due piani, ad uso civile abitazione, tipologia a villa. 2. Con la sentenza del TAR Sicilia n. 911/2015 il suddetto permesso di costruire venne giudicato illegittimo, ed annullato, su ricorso della proprietaria del fondo confinante, in ragione del mancato rispetto, nella progettazione del costruendo edificio, della disciplina delle distanze tra fabbricati. 3. Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione siciliana respinse l'appello contro la decisione del TAR con la sentenza n. 427/2020. 4. Divenuto inoppugnabile l'annullamento giurisdizionale del permesso di costruire, i signori D e M convennero il Comune di Cefalù davanti al Tribunale di Termini Imerese per sentirlo condannare, previo accertamento della responsabilità del medesimo per la violazione dei canoni di buona fede e correttezza, al risarcimento dei danni da loro patiti per aver realizzato il suddetto immobile facendo incolpevole affidamento sulla legittimità dei titoli abilitativi rilasciati dall’Amministrazione municipale. 5. Costituendosi davanti al Tribunale di Termini Imerese, il Comune di Cefalù ha preliminarmente eccepito il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, sostenendo l’appartenenza della controversia alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ex art. 133, comma 1, lettera f), c.p.a.. 6. I sigg. D e M hanno quindi proposto regolamento preventivo di giurisdizione, chiedendo affermarsi la giurisdizione del giudice ordinario. 7. Il Comune Cefalù non ha spiegato difese in questa sede. 8. La causa è stata decisa nella camera di consiglio del 27 settembre 2022, per la quale non sono state depositate memorie. 9. La controversia in esame - avente ad oggetto, come accennato nel precedente paragrafo 4 - la domanda di risarcimento dei danni asseritamente causati dall'esecuzione di opere realizzate in base ad un permesso di costruire giudizialmente annullato - è perfettamente sovrapponibile a quella decisa da queste Sezioni Unite con l’ordinanza SSUU n. 6595 del 23 marzo 2011, con la quale si affermò la giurisdizione del giudice ordinario sulle controversie aventi ad oggetto il risarcimento dei danni lamentati per la lesione dell'affidamento riposto nella legittimità di una concessione edilizia poi annullata dal giudice amministrativo. 10. Come è noto, l’ordinanza n. 6595 del 23 marzo 2011 fu decisa da queste Sezioni Unite nella stessa udienza, del 12 ottobre 2010, in cui furono decise anche le ordinanze nn. 6594 e 6596, anch’esse depositate il 23 marzo 2011, con le quale si affermò la giurisdizione del giudice ordinario anche sulle controversie aventi ad oggetto, rispettivamente, il risarcimento dei danni lamentati per la lesione dell'affidamento riposto nella legittimità di una concessione edilizia poi annullata in autotutela (ord. n. 6594/11) ed il risarcimento dei danni lamentati dall'aggiudicatario di una gara per la lesione dell'affidamento riposto nella legittimità del provvedimento di aggiudicazione poi annullato dal giudice amministrativo (ord. n. 6596/11). 11. Alla base delle suddette tre pronunce vi era, in sostanza, la considerazione che i privati che avevano instaurato i giudizi in cui le medesime sono state emesse non mettevano in discussione l'illegittimità degli atti amministrativi, ampliativi della loro sfera giuridica, annullati in via di autotutela o ope judicis , ma lamentavano la lesione del loro affidamento sulla legittimità degli atti annullati e chiedevano il risarcimento dei danni da loro subiti per aver orientato le proprie scelte negoziali o imprenditoriali confidando, fino all'annullamento di tali atti, nella legittimità di questi ultimi. 12. I principi espressi nelle tre menzionate ordinanze del 23 marzo 2011 hanno trovato ampio seguito - con qualche minoritario dissenso (ord. n. 8057/2016, sent. n. 13454/2017) - nella giurisprudenza del secondo decennio del secolo delle Sezioni Unite di questa Corte;si vedano le pronunce nn. 17586/2015, 12799/2017, 15640/2017, 19171/2017, 1654/2018, 4996/2018, 22435/2018, 32365/2018, 4889/2019, 6885/2019 e 12635/2019, nelle quali ricorre l'affermazione che la controversia relativa ai danni subiti dal privato che abbia fatto incolpevole affidamento su di un provvedimento amministrativo ampliativo della propria sfera giuridica, legittimamente annullato, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario perché ha ad oggetto la lesione non già di un interesse legittimo pretensivo, bensì di un diritto soggettivo. 13. Il tema ha formato oggetto di una esplicita rimeditazione nella ordinanza di questa Corte n. 8236/2020. Tale ordinanza concerne una questione parzialmente diversa da quella trattata nelle ordinanze del 2011, ossia quella dell’affidamento ingenerato non da un provvedimento ampliativo della sfera del privato, ma dal comportamento tenuto dall'amministrazione nella conduzione del procedimento amministrativo conclusosi senza l’emanazione del richiesto provvedimento ampliativo. Nelle premesse argomentative dell’ordinanza n. 8236/2020, tuttavia, le Sezioni Unite hanno ritenuto «necessario tornare sulle ragioni che stanno alla base dell'orientamento inaugurato dalle ordinanze nn. 6594, 6595 e 6596 del 2011» (§ 22). 14. Nell’ordinanza n. 8236/2020, in particolare, si sottolinea che «Il rilievo, pur di per sé certamente condivisibile, che l'interesse legittimo consiste nella pretesa ad un provvedimento favorevole che derivi dall'attività legittima dell'amministrazione non significa, tuttavia, che il danno lamentato dal privato che abbia ottenuto un determinato bene della vita mediante un provvedimento amministrativo illegittimo, successivamente annullato, sia stato causato dall'atto favorevole illegittimo;quest'ultimo, in quanto favorevole, non ha prodotto alcun danno al suo destinatario, ancorché illegittimo. La fattispecie causativa del danno non consiste, pertanto, nella lesione dell'interesse legittimo del destinatario del provvedimento, bensì nella lesione dell'affidamento che costui ha riposto nella legittimità del provvedimento che gli ha attribuito il bene della vita» (§ 26). 15. Ancora, nell’ordinanza n. 8236/2020 si argomenta che: «Non appare dunque persuasivo l'argomento, sostenuto da una parte della dottrina, che - poiché il provvedimento favorevole giustamente annullato è comunque espressione del potere pubblico - la lesione che esso arreca dovrebbe essere ricondotta, almeno nelle materie di giurisdizione esclusiva, alla cognizione del giudice amministrativo;tale argomento, infatti, trascura la considerazione … che la lesione di cui si discute non è causata dal provvedimento favorevole (illegittimo - e, perciò, giustamente annullato - ma non dannoso per il suo destinatario), bensì dalla fattispecie complessa costituita dall'emanazione dell'atto favorevole illegittimo, dall'incolpevole affidamento del beneficiario nella sua legittimità e dal successivo (legittimo) annullamento dell'atto stesso. La lesione, cioè, discende non dalla violazione delle regole di diritto pubblico che disciplinano l'esercizio del potere amministrativo che si estrinseca nel provvedimento, bensì dalla violazione delle regole di correttezza e buona fede, di diritto privato, cui si deve uniformare il comportamento dell'amministrazione;regole la cui violazione non dà vita ad invalidità provvedimentale, ma a responsabilità» (§ 26.1). 16. Infine, nell’ordinanza n. 8236/2020 si illustrano le ragioni che hanno indotto la Corte a ritenere che i principi fissati nelle tre ordinanze nn. 6594, 6595 e 6596 del 2011, rese con riferimento alla disciplina dettata dal d.lgs, n. 80 del 1998, non avessero perso attualità a causa dell'entrata in vigore del codice del processo amministrativo di cui al d.lgs. n. 104 del 2010. 17. In particolare, quanto al disposto dell'articolo 7, primo comma, c.p.a., nell’ordinanza n. 8236/2020 si evidenzia come tale disposizione postuli che sia comunque in questione «l'esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo» o comportamenti «riconducibili anche mediatamente all'esercizio di tale potere». Nel caso in cui - secondo la prospettazione dell'attore - «il comportamento della pubblica amministrazione abbia leso l'affidamento del privato, perché non conforme ai canoni di correttezza e buona fede, non sussiste alcun collegamento, nemmeno mediato, tra il comportamento dell'amministrazione e l'esercizio del potere. Il comportamento dell'amministrazione rilevante ai fini dell'affidamento del privato, infatti, si pone - e va valutato - su un piano diverso rispetto da quello della scansione degli atti procedimentali che conducono al provvedimento con cui viene esercitato il potere amministrativo. Detto comportamento si colloca in una dimensione relazionale complessiva tra l'amministrazione ed il privato, nel cui ambito un atto provvedimentale di esercizio del potere amministrativo potrebbe mancare del tutto … o, addirittura, essere legittimo» (§ 27.1). 18. Quanto al disposto dell'articolo 30, secondo comma, c.p.a., nell’ordinanza n. 8236/2020 si sottolinea che «anche nelle materie di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, la
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