Cass. pen., sez. V, sentenza 03/02/2023, n. 04813
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Testo completo
la seguente SENTENZA sui ricorsi proposti da: N E nato a ROMA il 29/02/1980 N P nato a ROMA il 07/02/1958 NATALONI SIMONE SERGIO nato a ROMA il 26/01/1986 avverso l'ordinanza del 03/05/2022 della CORTE APPELLO di ROMAudita la relazione svolta dal Consigliere A G;
lette/sentite le conclusioni del PG udito il difensore IN
FATTO E IN DIRITTO
1. Con l'ordinanza di cui in epigrafe la corte di appello di Roma respingeva l'istanza di ricusazione formulata da N M, N P e N S S nei confronti del giudice per l'udienza preliminare presso il tribunale di Roma, dott.ssa R C, ai sensi dell'art. 37, co. 1, lett. a), c.p.p. La suddetta istanza era stata motivata dalla circostanza che il giudice procedente aveva rigettato la richiesta di patteggiamento avanzata dagli imputati, motivando tale decisione sulla incongruità della pena concordata con il pubblico ministero, stante l'impossibilità di riconoscere in loro favore le circostanze attenuanti generiche, in ragione della gravità del fatto contestato, e la sospensione condizionale della pena, nonché sulla insufficienza del risarcimento già versato dai prevenuti. Ciò aveva indotto il medesimo giudice a formulare istanza di astensione, che il presidente del tribunale aveva rigettato, con la restituzione degli atti al giudice procedente, per la prosecuzione del procedimento e la celebrazione dell'udienza preliminare, creando dunque le condizioni affinché gli imputati presentassero istanza di ricusazione, rigettata dalla corte di appello con il provvedimento impugnato in questa sede. Nel rigettare l'istanza di ricusazione, la corte territoriale ha evidenziato come la fattispecie concreta non integri alcuna delle ipotesi di ricusazione previste dall'art. 37 del codice di rito, norma che, al pari di tutta la disciplina codicistica in subiecta materia, va interpretata restrittivamente, in considerazione del carattere eccezionale dell'istituto della ricusazione, che deroga al principio costituzionale del giudice naturale precostituito per legge.
2. Avverso la menzionata ordinanza, di cui chiede l'annullamento, hanno proposto ricorso per cassazione i menzionati imputati, lamentando violazione di legge, in relazione agli artt. 34 e 37, c.p.p. Ad avviso dei ricorrenti, erra la corte di appello a porre a fondamento della sua decisione il dictum della sentenza n. 20744 del 2016 della Corte di Cassazione, non avendo il giudice di legittimità, in tale arresto, ritenuto sic et simpliciter la compatibilità del giudice che abbia rigettato l'istanza di applicazione della pena su richiesta delle parti a celebrare l'udienza preliminare, ma ha affermato un principio diverso, ovvero che le cause di incompatibilità, non incidendo sulla capacità del giudice, non comportano la nullità dei provvedimenti emessi, costituendo esse, eventualmente, motivo di ricusazione, che in quella specifica vicenda non era stata mai presentata, per essersi la difesa limitata ad eccepire la nullità del decreto che dispone il giudizio. I ricorrenti evidenziano come un provvedimento di rigetto dell'istanza di applicazione di pena su richiesta delle parti, debba considerarsi ostativo a che lo stesso giudice emetta il decreto che dispone il giudizio, poiché ciò implicherebbe un doppio giudizio del medesimo giudice nella stessa vicenda. In altri termini il giudice che abbia valutato negativamente la richiesta ex art. 444, c.p.p., entrando nel merito non solo della riconducibilità all'imputato del fatto contestato, dovendo escludere di poter pronunciare declaratoria ex art. 129, c.p.p., ma operando anche un controllo sulla dosimetria della pena ex art. 133, c.p., di tutte le circostanze e di eventuali benefici, non può ritenersi compatibile, in caso di rigetto, a emettere il decreto che dispone il giudizio, in virtù della idoneità di tale provvedimento a "pregiudicare" la fase processuale, come affermato dalle Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione nella sentenza n. 37207 del 2020. In via subordinata i ricorrenti sollecitano la remissione al Giudice delle leggi della questione di legittimità costituzionale dell'art. 34, co. 2, c.p.p., con riferimento agli artt. 3, 24, e 111, Cost.;
6, C.E.D.U. e 14 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, nella parte in cui non prevede la denunciata incompatibilità.
2.1. Con requisitoria scritta del 28.7.2022, il procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione chiede che il ricorso sia rigettato, con valutazione, se del caso, di sollevare questione di costituzionalità dell'art. 34, c.p.p., nella parte in cui non prevede l'incompatibilità del giudice per l'udienza preliminare a proseguire l'udienza dopo avere rigettato una istanza di definizione della pena con l'accordo delle parti.
3. I ricorsi vanno rigettati perché sorretti da motivi infondati.
4. Va, innanzitutto, rilevato come non possa condividersi la critica difensiva sulla non pertinenza del precedente della giurisprudenza di legittimità richiamato dalla corte territoriale. Se si legge con la necessaria attenzione la motivazione della sentenza pronunciata dalla Terza Sezione Penale di questa Corte in data 4.2.2016, n. 20744 (Rv. 266567), appare evidente che il tema della incompatibilità, nella prospettazione difensiva, assumeva un ruolo centrale. E invero, come rilevava la Suprema Corte, "con un primo motivo si deducono l'erronea applicazione degli artt. 416 e seguenti c.p.p. e vizi della motivazione in ordine al rigetto della censura relativa alla nullità radicale del procedimento, conseguente alla nullità del decreto di rinvio a giudizio", da ritenersi nullo perché emesso dal giudice per le indagini preliminari, in sede di udienza preliminare, nel corpo di un unico provvedimento con cui il suddetto giudice, oltre a disporre il rinvio a giudizio, aveva contestualmente anche rigettato la richiesta di patteggiannento proposta dall'imputato, sulla quale il pubblico ministero aveva espresso il suo consenso, "senza considerare che, a seguito del diniego del patteggiannento, egli si trovava in una situazione di incompatibilità ex art. 34, c.p.p.". Se, dunque, è vero che l'eccezione difensiva riguardava la nullità del decreto che dispone il giudizio emesso all'esito della celebrazione dell'udienza preliminare, eccezione che il tribunale procedente aveva disatteso, è altrettanto vero che, nella prospettiva difensiva, siffatta nullità, come si è detto, discendeva dalla circostanza che a emetterlo era stato lo stesso giudice che aveva rigettato, nella medesima sede processuale, la richiesta di applicazione di pena su cui si era formato il consenso delle parti, "entrando abbondantemente nel merito del giudizio ed evidenziando la particolare gravità dei fatti" per cui si procedeva.Orbene, nel rigettare il motivo di ricorso sul punto, il giudice di legittimità, premesso che nel caso in esame si trattava non di un unico provvedimento, ma di due distinti provvedimenti adottati, con forme diverse, dal medesimo giudice nella stessa udienza preliminare, consistenti nel decreto con cui veniva rigettata la richiesta di patteggiamento e nell'ordinanza di rinvio a giudizio innanzi al giudice del dibattimento, tra le ragioni giustificatrici della sua decisione poneva anche l'affermazione testuale che, "contrariamente a quanto asserito dalla difesa, nessuna incompatibilità è prevista dall'art. 34, c.p.p.,, per il Gup che, dopo avere rigettato la richiesta di patteggiamento, pronunci il decreto che dispone il giudizio" (cfr. p. 4). Inoltre, ben consapevole che il tema della incompatibilità del giudice determinata da atti compiuti nel procedimento ha formato oggetto, nel corso degli anni, di reiterati interventi da parte della Corte Costituzionale con sentenze additive di
lette/sentite le conclusioni del PG udito il difensore IN
FATTO E IN DIRITTO
1. Con l'ordinanza di cui in epigrafe la corte di appello di Roma respingeva l'istanza di ricusazione formulata da N M, N P e N S S nei confronti del giudice per l'udienza preliminare presso il tribunale di Roma, dott.ssa R C, ai sensi dell'art. 37, co. 1, lett. a), c.p.p. La suddetta istanza era stata motivata dalla circostanza che il giudice procedente aveva rigettato la richiesta di patteggiamento avanzata dagli imputati, motivando tale decisione sulla incongruità della pena concordata con il pubblico ministero, stante l'impossibilità di riconoscere in loro favore le circostanze attenuanti generiche, in ragione della gravità del fatto contestato, e la sospensione condizionale della pena, nonché sulla insufficienza del risarcimento già versato dai prevenuti. Ciò aveva indotto il medesimo giudice a formulare istanza di astensione, che il presidente del tribunale aveva rigettato, con la restituzione degli atti al giudice procedente, per la prosecuzione del procedimento e la celebrazione dell'udienza preliminare, creando dunque le condizioni affinché gli imputati presentassero istanza di ricusazione, rigettata dalla corte di appello con il provvedimento impugnato in questa sede. Nel rigettare l'istanza di ricusazione, la corte territoriale ha evidenziato come la fattispecie concreta non integri alcuna delle ipotesi di ricusazione previste dall'art. 37 del codice di rito, norma che, al pari di tutta la disciplina codicistica in subiecta materia, va interpretata restrittivamente, in considerazione del carattere eccezionale dell'istituto della ricusazione, che deroga al principio costituzionale del giudice naturale precostituito per legge.
2. Avverso la menzionata ordinanza, di cui chiede l'annullamento, hanno proposto ricorso per cassazione i menzionati imputati, lamentando violazione di legge, in relazione agli artt. 34 e 37, c.p.p. Ad avviso dei ricorrenti, erra la corte di appello a porre a fondamento della sua decisione il dictum della sentenza n. 20744 del 2016 della Corte di Cassazione, non avendo il giudice di legittimità, in tale arresto, ritenuto sic et simpliciter la compatibilità del giudice che abbia rigettato l'istanza di applicazione della pena su richiesta delle parti a celebrare l'udienza preliminare, ma ha affermato un principio diverso, ovvero che le cause di incompatibilità, non incidendo sulla capacità del giudice, non comportano la nullità dei provvedimenti emessi, costituendo esse, eventualmente, motivo di ricusazione, che in quella specifica vicenda non era stata mai presentata, per essersi la difesa limitata ad eccepire la nullità del decreto che dispone il giudizio. I ricorrenti evidenziano come un provvedimento di rigetto dell'istanza di applicazione di pena su richiesta delle parti, debba considerarsi ostativo a che lo stesso giudice emetta il decreto che dispone il giudizio, poiché ciò implicherebbe un doppio giudizio del medesimo giudice nella stessa vicenda. In altri termini il giudice che abbia valutato negativamente la richiesta ex art. 444, c.p.p., entrando nel merito non solo della riconducibilità all'imputato del fatto contestato, dovendo escludere di poter pronunciare declaratoria ex art. 129, c.p.p., ma operando anche un controllo sulla dosimetria della pena ex art. 133, c.p., di tutte le circostanze e di eventuali benefici, non può ritenersi compatibile, in caso di rigetto, a emettere il decreto che dispone il giudizio, in virtù della idoneità di tale provvedimento a "pregiudicare" la fase processuale, come affermato dalle Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione nella sentenza n. 37207 del 2020. In via subordinata i ricorrenti sollecitano la remissione al Giudice delle leggi della questione di legittimità costituzionale dell'art. 34, co. 2, c.p.p., con riferimento agli artt. 3, 24, e 111, Cost.;
6, C.E.D.U. e 14 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, nella parte in cui non prevede la denunciata incompatibilità.
2.1. Con requisitoria scritta del 28.7.2022, il procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione chiede che il ricorso sia rigettato, con valutazione, se del caso, di sollevare questione di costituzionalità dell'art. 34, c.p.p., nella parte in cui non prevede l'incompatibilità del giudice per l'udienza preliminare a proseguire l'udienza dopo avere rigettato una istanza di definizione della pena con l'accordo delle parti.
3. I ricorsi vanno rigettati perché sorretti da motivi infondati.
4. Va, innanzitutto, rilevato come non possa condividersi la critica difensiva sulla non pertinenza del precedente della giurisprudenza di legittimità richiamato dalla corte territoriale. Se si legge con la necessaria attenzione la motivazione della sentenza pronunciata dalla Terza Sezione Penale di questa Corte in data 4.2.2016, n. 20744 (Rv. 266567), appare evidente che il tema della incompatibilità, nella prospettazione difensiva, assumeva un ruolo centrale. E invero, come rilevava la Suprema Corte, "con un primo motivo si deducono l'erronea applicazione degli artt. 416 e seguenti c.p.p. e vizi della motivazione in ordine al rigetto della censura relativa alla nullità radicale del procedimento, conseguente alla nullità del decreto di rinvio a giudizio", da ritenersi nullo perché emesso dal giudice per le indagini preliminari, in sede di udienza preliminare, nel corpo di un unico provvedimento con cui il suddetto giudice, oltre a disporre il rinvio a giudizio, aveva contestualmente anche rigettato la richiesta di patteggiannento proposta dall'imputato, sulla quale il pubblico ministero aveva espresso il suo consenso, "senza considerare che, a seguito del diniego del patteggiannento, egli si trovava in una situazione di incompatibilità ex art. 34, c.p.p.". Se, dunque, è vero che l'eccezione difensiva riguardava la nullità del decreto che dispone il giudizio emesso all'esito della celebrazione dell'udienza preliminare, eccezione che il tribunale procedente aveva disatteso, è altrettanto vero che, nella prospettiva difensiva, siffatta nullità, come si è detto, discendeva dalla circostanza che a emetterlo era stato lo stesso giudice che aveva rigettato, nella medesima sede processuale, la richiesta di applicazione di pena su cui si era formato il consenso delle parti, "entrando abbondantemente nel merito del giudizio ed evidenziando la particolare gravità dei fatti" per cui si procedeva.Orbene, nel rigettare il motivo di ricorso sul punto, il giudice di legittimità, premesso che nel caso in esame si trattava non di un unico provvedimento, ma di due distinti provvedimenti adottati, con forme diverse, dal medesimo giudice nella stessa udienza preliminare, consistenti nel decreto con cui veniva rigettata la richiesta di patteggiamento e nell'ordinanza di rinvio a giudizio innanzi al giudice del dibattimento, tra le ragioni giustificatrici della sua decisione poneva anche l'affermazione testuale che, "contrariamente a quanto asserito dalla difesa, nessuna incompatibilità è prevista dall'art. 34, c.p.p.,, per il Gup che, dopo avere rigettato la richiesta di patteggiamento, pronunci il decreto che dispone il giudizio" (cfr. p. 4). Inoltre, ben consapevole che il tema della incompatibilità del giudice determinata da atti compiuti nel procedimento ha formato oggetto, nel corso degli anni, di reiterati interventi da parte della Corte Costituzionale con sentenze additive di
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