Cass. civ., SS.UU., sentenza 25/06/2009, n. 14886

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La revoca della dichiarazione di pubblica utilità per sopravvenute ragioni di merito, spiegando efficacia preclusiva della conclusione del procedimento espropriativo e costituendo condizione risolutiva dell'accordo intervenuto tra il privato e l'Amministrazione espropriante per la determinazione dell'indennità di esproprio, fa sorgere reciproche obbligazioni di restituzione riguardo, rispettivamente, al fondo oggetto di occupazione ed alla somma ricevuta in forza del predetto accordo. Avendo, tuttavia, tale revoca effetto "ex nunc", l'occupazione assume carattere di illegittimità solo a partire da tale momento, con la conseguenza che l'Amministrazione può liberarsi formulando offerta di restituzione dell'immobile, idonea a costituire in mora il proprietario creditore, mentre, quanto alla somma ricevuta a titolo di anticipazione dell'indennità di esproprio, valgono le regole della ripetizione di indebito oggettivo, essendo l'art. 2033 cod. civ. applicabile anche nel caso di sopravvenienza della causa che renda indebito il pagamento, sicchè, dovendosi presumere la buona fede dell'"accipiens", gli interessi decorrono dal giorno della domanda e non da quello dell'eventuale, precedente,costituzione in mora.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., SS.UU., sentenza 25/06/2009, n. 14886
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 14886
Data del deposito : 25 giugno 2009
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. C V - Primo Presidente -
Dott. M S - Presidente di sezione -
Dott. P E - Presidente di sezione -
Dott. M A - Consigliere -
Dott. D'

ALONZO

Michele - Consigliere -
Dott. F F M - Consigliere -
Dott. P P - Consigliere -
Dott. S A - Consigliere -
Dott. N A - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
S R , domiciliato in Roma, Lungotevere della Vittoria 10, presso l'avv. P. Monte, rappresentato e difeso dall'avv. SCOLA A., come da mandato in calce al ricorso;



- ricorrente -


contro
Ministero della difesa, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l'avvocatura generale dello Stato, che per legge lo rappresenta e difende;

- controricorrente e ricorrente incidentale -
avverso la sentenza n. 711/2006 della Corte d'appello di Catanzaro, depositata il 16 novembre 2006;

Sentita la relazione svolta dal Consigliere Dott. A N;

Udite le conclusioni del P.M., Dr. M A, che ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sentenza impugnata la Corte d'appello di Catanzaro s'è pronunciata in grado d'appello nella controversia insorta tra il Ministero della difesa e R S in seguito alla revoca della dichiarazione di pubblica utilità delle progettate opere di ampliamento dell'aeroporto militare di *Isola Capo Rizzato* e alla conseguente interruzione del procedimento di espropriazione dei terreni destinati a tali opere, già occupati in via d'urgenza dalla pubblica amministrazione.
Il Ministero della difesa aveva infatti convenuto in giudizio S R dinanzi al Tribunale di Catanzaro, chiedendone la condanna alla restituzione della somma di L. 461.304.000, versatagli in esecuzione di un accordo sull'indennità di espropriazione, divenuto poi inefficace in seguito all'interruzione del procedimento ablativo. R S aveva resistito alla domanda, sostenendo che l'accordo aveva comportato l'immediato trasferimento della proprietà dei terreni occupati, sicché non era stato travolto dalla sopravvenuta revoca della dichiarazione di pubblica utilità;
aveva comunque proposto domanda riconvenzionale per la condanna della pubblica amministrazione al risarcimento dei danni. Il Tribunale di Catanzaro, in accoglimento della domanda proposta dal Ministero della difesa, aveva dichiarato inefficace l'accordo sull'indennità di espropriazione e condannato R S a restituire la somma di Euro 238.243,63, con gli interessi legali dalla domanda. Aveva però accolto parzialmente anche la domanda riconvenzionale, condannando il Ministero della difesa al pagamento in favore di R S delle seguenti somme: a) Euro 42.707,86, oltre interessi al saggio legale sulla somma annualmente rivalutata, dalla data del deposito della relazione di c.t.u. al soddisfo per danno emergente;

b) Euro 106.351,59, oltre interessi al saggio legale sulla somma annualmente rivalutata, dalla data di deposito della predetta relazione, per lucro cessante sino all'anno 2000;

c) Euro 8.236,31, oltre interessi al saggio legale sulla somma annualmente rivalutata, dalla data di deposito della predetta relazione, per lucro cessante relativo all'anno 2001;

d) Euro 6.133,18 oltre interessi al saggio legale dalla sentenza al soddisfo, per il danno futuro derivante dall'impossibilità di irrigazione del fondo a seguito del degrado della condotta idrica del Consorzio di bonifica.
Compensate poi interamente tra le parti le spese processuali, il tribunale aveva posto a totale carico del Ministero le spese di consulenza. La Corte d'appello di Catanzaro, adita in via principale dal Ministero della difesa e in via incidentale da R S , ha rigettato l'appello incidentale, confermando la condanna di R S al pagamento della somma di Euro 238.243,63;
ma, in parziale accoglimento dell'appello principale, ha fissato al 19 febbraio 1996 la data di decorrenza degli interessi legali dovuti da R S su tale somma e ha determinato in complessivi Euro 83.399,72, oltre interessi legali, la somma dovuta dal Ministero della difesa a R S , ponendo a carico di entrambe le parti in pari misura le spese di c.t.u..
Hanno ritenuto i giudici d'appello che, revocata la dichiarazione di pubblica utilità, l'amministrazione aveva diritto alla restituzione di quanto anticipato a titolo di indennità di espropriazione, con gli interessi legali dalla costituzione in mora del debitore S R . La revoca ebbe però effetti ex nunc, hanno precisato i giudici del merito, sicché a R S spettava l'indennità per l'occupazione legittima dal 24 settembre 1990 al 22 aprile 1993 e il risarcimento dei danni cagionatigli durante tale periodo con la demolizione di un fabbricato e altri manufatti. Per l'occupazione successiva alla revoca della dichiarazione di pubblica utilità, a R S spettava certo il risarcimento dei danni derivanti dal mancato godimento del fondo, ma solo fino al 29 ottobre 1996, data della notifica della seconda, incondizionata offerta in restituzione dell'immobile, che aveva costituito in mora il creditore. Nè spettava a R S il risarcimento del danno futuro derivante dalla dedotta impossibilità di impiego della condotta idrica del Consorzio di bonifica, in quanto del tutto incerto.
Contro la sentenza d'appello ricorre ora per cassazione S R e propone sei motivi d'impugnazione, cui resiste con controricorso il Ministero della difesa, che ha proposto altresì ricorso incidentale.
I ricorsi proposti contro la stessa sentenza vengono riuniti ai sensi dell'art. 335 c.p.c.. MOTIVI DELLA DECISIONE


1. Con il primo motivo il ricorrente principale eccepisce il difetto di giurisdizione del giudice ordinario.
Sostiene che la controversia appartiene alla giurisdizione del giudice amministrativo, perché insorta con riferimento all'utilizzazione di strumenti negoziali sostitutivi di poteri autoritativi della pubblica amministrazione.
Il motivo è inammissibile.
Secondo la più recente giurisprudenza di questa Corte, infatti, sono precluse dal giudicato, anche implicito, le questioni di giurisdizione non riproposte con specifici motivi di impugnazione anche nelle fasi di merito (Cass., sez. un., 9 ottobre 2008, n. 24883, m. 604576, Case., sez. un., 18 novembre 2008, n. 27348, m. 605700). In realtà l'art. 161 c.p.c., comma 1, prevede che "la nullità delle sentenze soggette ad appello o a ricorso per cassazione può essere fatta valere soltanto nei limiti e secondo le regole proprie di questi mezzi di impugnazione". E secondo l'interpretazione prevalente questa regola, di conversione delle nullità in motivi d'impugnazione (Cons. Stato, sez. 6^, 19 ottobre 1979, n. 711), vale anche per le nullità insanabili, perché l'art.158 c.p.c., nel prevedere come nullità appunto insanabili i vizi
relativi alla costituzione del giudice e all'intervento del pubblico ministero, fa salva la disposizione dell'art. 161 c.p.c.. Si è sostenuto in senso contrario che il rinvio dell'art. 158 all'art. 161 c.p.c., non è limitato al comma 1, ma è esteso anche al comma 2, che, per la mancata sottoscrizione della sentenza, deroga al principio di conversione delle nullità in motivi d'impugnazione. Sicché da un corretto coordinamento tra le due disposizioni dovrebbe desumersi che qualsiasi impugnazione legittimi di per sè il giudice a rilevare d'ufficio le nullità insanabili, quale che sia l'oggetto del giudizio d'impugnazione: perché dall'esclusione della rilevanza di qualsiasi nullità (tranne quella di cui all'art. 161 c.p.c., comma 2) in mancanza di un'impugnazione, non deriverebbe alcun limite
alla rilevabilità della nullità insanabili, quando un'impugnazione sia stata effettivamente proposta.
Sennonché questa interpretazione contrasta con l'art. 354 c.p.c., che non prevede la rimessione della causa dal giudice d'appello al giudice di primo grado nel caso di sentenza viziata a norma dell'art.158 c.p.c., mentre prevede la rimessione nel caso di sentenza viziata
a norma dell'art. 161 c.p.c., comma 2, così mostrando di distinguere l'inesistenza della sentenza per difetto di sottoscrizione dalle nullità anche insanabili che si convertono in motivi di impugnazione. E comunque l'art. 161 c.p.c., comma 1, prevede certamente che le nullità, anche insanabili, possono essere fatte valere solo con i mezzi di impugnazione. Ma prevede anche che tali nullità possano essere fatte valere soltanto secondo le regole proprie dell'appello e del ricorso per cassazione, così rinviando alla disciplina degli effetti devolutivi di tali impugnazioni, che può risultare di per sè preclusiva della rilevabilità anche delle nullità insanabili, infatti è di solito riconosciuto in dottrina e in giurisprudenza che insanabili sono le nullità rilevabili d'ufficio in ogni stato e grado del processo. Come è indiscusso che solo il giudicato preclude la deducibilità delle nullità rilevabili d'ufficio in ogni stato e grado del processo. E poiché le questioni escluse dall'oggetto del giudizio d'impugnazione sono precluse dal giudicato interno, ne consegue che la disciplina dell'effetto devolutivo delle impugnazioni, destinata appunto a definire l'oggetto dei relativi giudizi, può precludere la rilevabilità anche delle nullità insanabili.
Anche il difetto di giurisdizione, dunque, benché determini un'invalidità insanabile, può essere dedotto o rilevato dal giudice d'appello solo nei limiti dell'effetto devolutivo dell'impugnazione. Ma è indiscusso ormai, anche nel giudizio amministrativo (Cass. Stato, sez. 6^, 6 maggio 2008, n. 2013, Cons. Stato, sez. 4^, 30 giugno 2005, n. 3545), che l'oggetto del giudizio d'appello è definito dalle questioni effettivamente devolute dalle parti con specifici motivi d'impugnazione (Cass., sez. un., 23 dicembre 2005, n. 28498, m. 586371). Sicché la 10 questione di giurisdizione può essere riproposta nel giudizio di cassazione solo se sia stata devoluta al giudice d'appello in ragione dei motivi d'impugnazione specificamente dedotti.
Nel caso in esame, dunque, l'eccezione di difetto di giurisdizione è inammissibile, perché proposta per la prima volta nel giudizio di legittimità.

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