Cass. civ., SS.UU., sentenza 24/11/2008, n. 27863
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La giurisdizione in ordine alle controversie concernenti il rapporto di lavoro dei dipendenti dei gruppi parlamentari della Camera dei deputati spetta al giudice ordinario, e non alla Camera in sede di cosiddetta autodichia, non esistendo nell'ordinamento una norma avente fondamento costituzionale, sia pure indiretto attraverso il regolamento parlamentare, che autorizzi la deroga al principio della indefettibilità della tutela giurisdizionale davanti ai giudici comuni e non potendosi estendere, perchè norma eccezionale di stretta interpretazione, l'art. 12 del regolamento della Camera dei deputati riguardante i dipendenti della Camera, anche in considerazione della natura politica, oltre che strettamente parlamentare, dell'attività svolta dai suddetti gruppi.
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. C V - Primo Presidente -
Dott. P E - Presidente di sezione -
Dott. P R - Presidente di sezione -
Dott. T R M - Consigliere -
Dott. V G - Consigliere -
Dott. D'ALONZO Michele - Consigliere -
Dott. S S - Consigliere -
Dott. T G - Consigliere -
Dott. B B - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
T GUSEPPINA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FLAMINIA 109, presso lo studio degli avvocati F G, F F, che la rappresentano e difendono, giusta delega a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
PANNELLA GIACINTO DETTO MARCO, RUTELLI FRANCESCO, C G;
- intimati -
e sul 2^ ricorso n. 21614/05 proposto da:
C G, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA A. GRAMSCI 20, presso lo studio dell'avvocato C G, che lo rappresenta e difende, giusta delega a margine del controricorso e ricorso incidentale;
- controricorrente e ricorrente incidentale -
contro
PANNELLA GIACINTO DETTO MARCO, RUTELLI FRANCESCO, T GUSEPPINA;
- intimati -
e sul 3^ ricorso n. 21615/05 proposto da:
PANNELLA GIACINTO DETTO MARCO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA A. GRAMSCI 20, presso lo studio dell'avvocato C G, che lo rappresenta e difende, giusta delega a margine del controricorso e ricorso incidentale;
- controricorrente e ricorrente incidentale -
contro
C G, T GUSEPPINA, RUTELLI FRANCESCO;
- intimati -
avverso la sentenza n. 1926/04 della Corte d'Appello di ROMA, depositata il 24/07/04;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 08/07/08 dal Consigliere Dott. Bruno BALLETTI;
uditi gli avvocati Giuseppe FONTANA, Guido CONTI;
udito il P.M., in persona dell'Avvocato Generale Dott. IANNELLI Domenico, che ha concluso per il difetto di giurisdizione del giudice ordinario (autodichia).
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso ex art. 414 cod. proc. civ., dinanzi al Giudice del lavoro di Roma GIUSEPPINA TORRIELLI conveniva in giudizio PANNELLA GIACINTO (M) e il GRUPPO PARLAMENTARE FEDERALISTA EUROPEO, nonché (a seguito di integrazione del contraddittorio) RUTELLI FRANCESCO e GIUSEPPE CALDERISI esponendo di avere prestato lavoro subordinato dal gennaio 1982 al 30 aprile 1994 alle dipendenze (prima) del Gruppo Parlamentare Radicale e (poi) del Gruppo Parlamentare Federalista Europeo e rivendicando il relativo diritto ad essere inquadrata e retribuita come impiegata di 2^ livello del "c.c.n.l. dei dipendenti delle imprese commerciali" e, comunque, a ottenere il pagamento a carico dei convenuti di differenze relative (quantificate in L. 138.142.482), di ratei 13^ e 14^, di ratei ferie, di compensi per festività lavorate e riduzione orario di lavoro, e del t.f.r.. Instauratosi il contraddittorio, il Tribunale di Roma-giudice del lavoro respingeva il ricorso e - su impugnativa di G T e costituitisi gli appellati PANNELLA, RUTELLI e CALDERISI - la Corte di appello di Roma confermava la sentenza impugnata, compensando le spese del grado. Per quello che rileva in questa sede la Corte Territoriale ha rimarcato che: a) "la caratteristica del contratto di lavoro subordinato è l'eterodirezione, ovvero la soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, concretizzantesi nella facoltà di quest'ultimo di emanare disposizioni specifiche circa l'esecuzione della prestazione, secondo le mutevoli esigenze dell'organizzazione imprenditoriale, nonché nella facoltà di vigilanza e controllo sulla stessa prestazione: in assenza di tale elemento caratterizzante, gli altri indici sintomatici di tale contratto (quali, ad esempio, quelli inerenti alle modalità retributive) non assurgono ad una valenza probatoria inequivoca, idonea a far qualificare subordinato il rapporto di lavoro intercorso";b/1) "non è il solo coordinamento e, talvolta, l'inserimento organizzativo a denotare la subordinazione, ma la soggezione all'altrui direzione, il che, sul piano organizzativo, si concreta nella subordinazione alle specifiche disposizioni del soggetto datoriale sulle modalità di svolgimento dell'opera";b/2) "nel caso in esame, dalle acquisizioni istruttorie nulla è emerso al riguardo, non essendo stata fornita prova che responsabili del Gruppo parlamentare, individuati negli appellati, o altri dagli stessi dipendenti, avessero impartito specifiche direttive alla TORIELLI sulle modalità con le quali costei dovesse prestare la propria opera in favore del Gruppo".
Per la cassazione di tale sentenza G T propone ricorso assistito da tre motivi. Gli intimati P G (M) e G C resistono con distinti controricorsi e propongono distinti "ricorsi incidentali subordinati" assistiti da tre motivi.
L'altro intimato F R - nei cui confronti è stato integrato il contraddittorio, a cura della ricorrente con atto notificato il 3 maggio 2007, giusta ordinanza di questa Corte in data 28 marzo 2007 - non ha svolto attività difensive. Con ordinanza interlocutoria in data 9/16 gennaio 2008 la Sezione Lavoro di questa Corte Suprema ha disposto - ex art. 374 cod. proc. civ., comma 1 - di rimettere la causa alle Sezioni Unite per la
decisione sulla questione di giurisdizione sollevata dai controricorrenti-ricorrenti incidentali GIACINTO PANNELLA e GIUSEPPE CALDERISI.
Le parti costituite hanno depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ.. MOTIVI DELLA DECISIONE
1 - Deve essere disposta la riunione dei cennati ricorsi in quanto proposti contro la medesima sentenza (art. 335 cod. proc. civ.). 2 - Con il primo motivo del ricorso "principale" la ricorrente - denunciando "violazione degli artt. 2094, 2697, 2727 e 2729 cod. civ., anche in relazione agli artt. 1362 e 1367 cod. civ., art. 132 cod. proc. civ., art. 118 disp. att. c.p.c.;nonché vizi di
motivazione" - rileva che;a) "nel caso di specie abbiamo una affermazione di autonomia del rapporto di lavoro derivato dalla semplice affermazione di controparte e, a tutto voler concedere, dal dubbio circa la sussistenza dell'eterodirezione e quindi della subordinazione";b) "tutte le altre circostanze di fatto sono state esaminate e considerate non nel loro complesso e considerando la loro ricorrenza complessiva, ma singolarmente per negarne la decisività, possibile solo ove la singola circostanza non ricorresse unitamente alle altre";c) "in ordine all'onere della prova relativo alla subordinazione, è incontestabile che la ricorrente ha provato la ricorrenza di un insieme correlato di fatti che realizzano per lo meno presunzioni gravi precise e concordanti, rispetto alle quali controparte non è riuscita a fornire una idonea prova contraria, a nulla valendo le argomentazioni sulle singole circostanze e trascurando il quadro normativo complessivo".
Con il secondo motivo la ricorrente in via principale - denunciando "violazione dell'art. 2697 cod. civ., in relazione all'art. 2222 cod. civ. e segg., nonché vizi di motivazione" - rileva che "i resistenti
non hanno mai provato l'esistenza di lavoro autonomo: negare semplicemente le affermazioni di controparte non equivale a dimostrare la bontà delle proprie".
Con il terzo motivo del ricorso principale la ricorrente - denunciando "violazione dell'art. 421 cod. proc. civ., e omessa motivazione su un punto decisivo della controversia" - rileva criticamente che "di fronte all'atteggiamento difensivo di controparte la vertenza ha dovuto affrontare preliminarmente la questione della natura giuridica del rapporto di lavoro dedotto in giudizio, che, stante la peculiarità dei datori di lavoro e dell'attività probatoria delle parti, è pervenuta a conclusioni non pienamente convincenti e incontrovertibili, in quanto, in tale situazione, ci si sarebbe atteso un atteggiamento del giudice del lavoro più peculiare della sua funzione in relazione ai poteri attribuitigli".
Con il primo motivo dei distinti ricorsi incidentali (di contenuto identico) proposti da M Pannella e da G C, i ricorrenti - denunciando "violazione degli artt. 101 e 112 cod. proc. civ. e art. 1173 cod. civ. e vizi di motivazione" - censurano, "in
via incidentale e subordinata", la sentenza impugnata per non avere la Corte di appello di Roma considerato che "i Gruppi parlamentari sono strutture della Camera dei deputati per cui la pretesa giudiziale nei confronti di un gruppo parlamentare deve essere proposta contro la Camera dei deputati e non di altri". Con il secondo motivo dei ricorsi incidentali i ricorrenti - denunciando "violazione dell'art. 112 cod. proc. civ. e artt. 2934, 2947 e 2948 cod. civ., nonché omessa motivazione su un punto decisivo" - addebitano alla Corte Territoriale "di avere trascurato in toto l'eccezione di prescrizione del preteso credito attoreo". Con il terzo motivo dei ricorsi i ricorrenti in via incidentale - denunciando "violazione degli artt. 36 e 39 Cost., dell'art. 112 cod. proc. civ. e degli artt. 2697 e 2103 cod. civ., nonché omessa
motivazione su punto decisivo" - censurano la sentenza impugnata "per avere trascurato di considerare, probabilmente in ragione del rigetto delle domande attrici, che manca la prova che i Gruppi parlamentari fossero obbligati ad applicare il c.c.n.l. del commercio". 3/a - Sulla questione della giurisdizione - che deve essere valutata dalle Sezioni Unite ex art. 374 cod. proc. civ., comma 1 - prospettata dai ricorrenti in via incidentale P G (M) e G C ("per essere i Gruppi parlamentari Radicale e Federalista Europeo strutture interne della Camera dei deputati per cui ogni questione relativa a pretese avanzate nei loro confronti è soggetta alla giurisdizione interna dell'istituzione medesima in quanto dotata di autodichia, (donde) la pregiudiziale eccezione di improponibilità del ricorso per difetto di giurisdizione del giudice ordinario") si rileva che la cennata posizione difensiva si basa sull'assunto di carattere generale che agli organi costituzionale (e tra di essi asseritamene i "gruppi parlamentari") deve essere riconosciuto un regime privilegiato che si concretizza nella titolarità della autodichia, quale c.d. potestà di autogiurisdizione specificamente in relazione alla decisione sulle controversie con i propri dipendenti (ed "giurisdizione domestica"). Più precisamente per autodichia viene intesa, secondo la dottrina costituzionalistica, la capacità di una istituzione - ed in particolar modo, appunto, degli organi costituzionali - di decidere direttamente, con proprio giudizio, ogni controversia attinente all'esercizio della propria funzione.
Peraltro, nell'attuale assetto costituzionale, l'autodichia non costituisce un necessario attributo implicato dalla posizione di autonomia e di indipendenza degli organi costituzionali, in quanto:
a) la potestà di autogiurisdizione non sembra desumibile dal principio della divisione dei poteri che, nel vigente ordinamento costituzionale, non è assoluto, nel senso di assicurare l'indifferenza e l'impenetrabilità assoluta tra i vari organi e le rispettive funzioni primarie, ma è attuato mediante forme di reciproco controllo (cfr. Cass. sez. unite ord. n. 356/1977);b) soprattutto, la tutela giurisdizionale costituisce principio fondamentale dell'ordinamento, atteso che la Costituzione (art. 24, anche in relazione agli artt. 3 e 113) assicura a "tutti" la tutela giurisdizionale dei propri diritti ed interessi legittimi, per cui le limitazioni a siffatta regola generale debbono essere espressamente previste e (per resistere al vaglio di costituzionalità) sorrette da adeguata giustificazione non potendo certo fondatamente sostenersi che, nell'ambito di una Costituzione scritta, un principio implicito o una norma inespressa si ponga di per sè in contrasto con un principio fondamentale esplicito (cfr., anche per la parte motiva, Cass. sez. unite n. 12614/1998, secondo cui, in tale evenienza, sembrerebbe preclusa la sottoposizione alla Corte Costituzionale della questione di legittimità, dovendo questa investire non già uno degli atti previsti dall'art. 134 Cost., ma una norma inespressa).
3/b - Tanto precisato in generale, eccezioni esplicite al principio dell'indefettibilità della tutela giurisdizionale dinanzi ai giudici comuni (ordinari o amministrativi), integranti ipotesi di autodichia a favore di organi costituzionali, sono previste nel diritto positivo.
Alcune di dette eccezioni trovano diretto fondamento nella Costituzione: così deve essere qualificata come autodichia la potestà, prevista dall'art. 66 Cost., di ciascuna Camera di giudicare dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità questione che è stata approfondita dalle Sezioni Unite con riferimento a particolari fattispecie: così Cass. Sez. Unite n. 9151/2008 - secondo cui la cognizione di ogni questione concernente le operazioni elettorali, ivi comprese quelle relative all'ammissione delle liste, è affidata alla funzione giurisdizionale esclusiva delle Camere, tramite le rispettive Giunte parlamentari, restando così preclusa qualsivoglia possibilità di intervento in proposito da parte del giudice ordinario o del giudice amministrativo -;Cass. sez. unite ord. n. 8118/2006 e, già, Cass. sez. unite n. 6568/1989 - secondo cui, pur riconoscendosi natura amministrativa agli atti degli uffici circoscrizionali e centrali, sussiste il difetto assoluto di giurisdizione, sia del giudice ordinario che del giudice amministrativo, su tali atti, con riguardo al regolare svolgimento delle operazioni elettorali e in relazione a quelle attività che hanno preceduto la convalida degli esiti delle elezioni, la cui attribuzione è rimessa a ciascuna Camera, con giudizio definitivo sui reclami avverso la ricusazione delle liste e sugli effetti di questi provvedimenti in ordine alla convalida stessa della elezione" -;Cass. Sez. unite n. 7075/1993 - secondo cui i decreti di nomina dei senatori a vita, nei quali si esprime una funzione (diversa da quella amministrativa) peculiare ed esclusiva del Presidente della Repubblica, sono sottratti (al pari degli atti di nomina di giudici costituzionali e di scioglimento delle Camere) al sindacato giurisdizionale di qualsiasi autorità giudiziaria, rimanendo soggetti unicamente al controllo del Senato ex art. 66 Cost.. Altre eccezioni integranti ipotesi di autodichia sono previste da norme che esibiscono un fondamento costituzionale solo indiretto. È questo il caso dell'autodichia nelle controversie sul rapporto di impiego dei dipendenti della Camera dei deputati (Cass. sez. unite n. 317/1955) - anche quelle riguardanti i relativi procedimenti concorsuali di assunzione (Cass. sez. unite n. 11019/2004) -, sul personale del Senato (Cass. sez. unite n. 16267/2002) e della Corte Costituzionale (Corte Cost. n. 2/1985 e n. 36/1953, e nelle controversie d'impiego dei magistrati e dei dipendenti della Corte dei Conti (Cass. sez. unite n. 1526/1983, con peculiare motivazione, ove, tra l'altro, venivano dichiarate manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale del R.D. n. 1214 del 1934, art. 3, comma 1, e art. 55, concernente la c.d. giurisdizione
domestica della Corte dei Conti per asserita ingiustificata disparità di trattamento dei magistrati della Corte dei Conti rispetto agli altri dipendenti pubblici sottoposti alla giurisdizione comune del giudice del pubblico impiego, per asserita mancanza di indipendenza ed imparzialità dell'organo giudicante derivante dalla presenza in esso di alcuni componenti dell'organo di governo della Corte, e per mancanza del doppio grado di giurisdizione, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 97, 101, 104, 108 e 113 Cost.)). Per i casi di autodichia nelle controversie sui rapporti di impiego dei dipendenti della Camera e del Senato vale specificare che l'eccezione al principio della indefettibilità della tutela giurisdizionale davanti ai giudici comuni trova la sua fonte nel potere regolamentare attribuito a detti organi costituzionali dall'art. 64 Cost., comma 1, (al riguardo si evidenzia che le relative norme regolamentari hanno suscitato, in quanto limitative della tutela giurisdizionale, seri dubbi di legittimità costituzionale come da ordinanza n. 356/1977 delle Sezioni Unite:
dubbi che sono rimasti, tuttavia, irrisolti, poiché la questione è stata dichiarata inammissibile in ragione della ritenuta insindacabilità, da parte del Giudice delle leggi, dei regolamenti parlamentari in quanto non rientranti tra gli atti aventi forza di legge ex art. 134 Cost. (Corte Cost. n. 154/1985)). Per il giudizio in esame, nell'ambito del contesto normativo di asserito generale riferimento, l'art. 12 del regolamento della Camera dei deputati deliberato ex art. 64 Cost. - prevede che: "l'ufficio di presidenza adotta i regolamenti e le altre norme concernenti... lo stato giuridico, il trattamento economico e di quiescenza e la disciplina dei dipendenti, ivi compresi i doveri relativi al segreto d'ufficio, e i relativi ricorsi".
In attuazione della cennata disposizione regolamentare e nell'esercizio dei poteri normativi e provvedimentali da essa conferiti, l'ufficio di presidenza ha disciplinato il procedimento attraverso il quale si perviene alla decisione definitiva dei "ricorsi sullo stato e sulla carriera giuridica ed economica dei dipendenti", istituendo, in particolare, una "commissione giurisdizionale per il personale", le cui decisioni sono impugnabili alla "sezione giurisdizionale dell'ufficio di presidenza, presieduta dal presidente della camera e composta da quattro membri nominati all'inizio di ogni legislatura dall'ufficio di presidenza fra i propri componenti, su proposta del presidente. Quest'organismo, competente all'esame del gravame (art. 6 del regolamento per la tutela giurisdizionale) ed avente composizione tutta interna all'ufficio suddetto (che, a sua volta, è composto da membri dell'assemblea di appartenenza, come emerge dall'art. 5 del regolamento della camera dei deputati 18 febbraio 1971) da piena e puntuale esecuzione alla citata disposizione di quest'ultimo, sovraordinato regolamento, in quanto riserva appunto all'ufficio medesimo la pronuncia conclusiva dei procedimenti contenziosi aventi ad oggetto lo stato giuridico ed il trattamento economico del personale.
Tanto rimarcato per completezza di disamina si rileva che le Sezioni Unite hanno affermato (Cass. Sez. Unite nn. 2861/1986, 317/2000) che l'art. 12 del regolamento della camera del 18 febbraio 1971 (rimasto sostanzialmente identico nel nuovo testo del 16 dicembre 1998) in quanto qualificabile quale atto di normazione primaria, non è suscettibile di disapplicazione da parte del giudice ordinario e si sottrae, altresì, al sindacato di legittimità costituzionale, come affermato dalla Corte costituzionale con sentenza n. 154 del 1985, proprio sulla base del rilievo dell'indipendenza garantita alle camere del parlamento da ogni altro potere. Con la conseguenza - vale ribadirlo - che le controversie inerenti al rapporto di lavoro del personale di detta camera esulano dalla cognizione sia del giudice ordinario che del giudice amministrativo, in quanto spettano all'esclusiva cognizione della camera medesima e dei suoi organi. Con la cennata sentenza la Corte costituzionale, nell'escludere la sindacabilità dei regolamenti, ha, preliminarmente ed in via generale, rilevato che "la Costituzione repubblicana ha instaurato una democrazia parlamentare", nel senso che "come dimostra anche la precedenza attribuita dal testo costituzionale al parlamento nell'ordine espositivo dell'apparato statuale, ha collocato il parlamento al centro del sistema, facendone l'istituto caratterizzante l'ordinamento". Pertanto, secondo il Giudice delle leggi, "è nella logica di tale sistema che alle camere spetti e vada perciò riconosciuta, un'indipendenza guarentigiata nei confronti di qualsiasi altro potere, cui pertanto deve ritenersi precluso ogni sindacato degli atti di autonomia normativa ex art. 64 Cost., comma 1". Siffatto presidio dell'autonomia parlamentare deriva dal coacervo delle guarentigie poste dall'ordinamento costituzionale, dovendo queste essere considerate, non singolarmente, bensì nel loro insieme, poiché, pur potendo specificamente riguardare l'uno o l'altro degli aspetti dell'attività parlamentare - come, ad esempio, quelle che fondano l'immunità dei membri delle camere ovvero l'immunità delle rispettive sedi - "è evidente, la loro univocità, mirando esse, pur sempre, ad assicurare la piena indipendenza degli organi". Ne è conferma il divieto alla forza pubblica ed a qualsiasi persona estranea - sia pure il presidente della repubblica o il membro di una camera diversa da quella di appartenenza - di entrare nell'aula, che discende dall'art. 64 Cost., u.c., prima ancora che dalle disposizioni dei regolamenti della Camera e del Senato. Donde la conclusione che il parlamento "in quanto espressione immediata della sovranità popolare, è diretto partecipe di tale sovranità, ed i regolamenti, in quanto svolgimento diretto della Costituzione, hanno una peculiarità e dimensione, che ne impedisce la sindacabilità, se non si vuole negare che la riserva costituzionale di competenza regolamentare rientra tra le guarentigie disposte dalla Costituzione per assicurare l'indipendenza dell'organo sovrano da ogni potere".
In questo contesto le Sezioni Unite, anche in passato non hanno potuto che prendere atto, da un lato, dell'esistenza di una specifica norma primaria istitutiva (art. 12 del regolamento) dell'autodichia - norma non sindacabile sotto il profilo della sua conformità ai precetti della Costituzione che concernono l'esercizio della funzione giurisdizionale -;dall'altro lato, di una valutazione legale tipica - che discende dall'inserimento della norma stessa in una fonte strumentale alla tutela dell'autonomia e della sovranità dell'assemblea - circa la necessità di configurare gli atti di esercizio della menzionata prerogativa, vale a dire i provvedimenti posti in essere dai due rami del parlamento per la risoluzione delle controversie con i propri dipendenti (anche quelli in fieri), come inerenti essi stessi strettamente all'organizzazione ed al funzionamento delle Camere, con uguali connotati di insindacabilità esterna, non tanto sub specie di privilegi connessi al rispetto, al prestigio ed al decoro dei titolari delle relative potestà, quanto perché strumentali all'autonomo esercizio delle funzioni di questi;
sicché, rispetto a detti provvedimenti, s'impone in non minore misura l'esigenza che tale esercizio non sia in modo alcuno condizionato da interventi di altri poteri, i quali potrebbero indebolire quell'indipendenza che costituisce condizione essenziale per il pieno sviluppo della libera azione degli organi suddetti: e questa, e non altra, è proprio la ratio sottesa alla norma regolamentare che riserva alla cognizione della camera le controversie summenzionate.
Per cui, fermo restando il principio della sottrazione di queste ultime alla giurisdizione (ordinaria o amministrativa), quand'anche si voglia ritenere che il sistema di autodichia apprestato dal regolamento della camera dei deputati possa ricondursi ad un concetto di giurisdizione "speciale", questo non sarebbe evocabile se non in senso lato, vale a dire, più che per intrinseca natura del sistema stesso, per la ragione che fra i due contrapposti orientamenti interpretativi quello che nega ogni giudice e quello che accorda un giudice - può apparire opportuna la scelta del secondo, siccome "suscettivo di offendere meno gravemente - e cioè, eventualmente, soltanto sotto i profili dell'indipendenza - terzietà ed imparzialità, nonché della difesa e del contraddittorio - i precetti costituzionali contenuti negli artt. 24 e 113 Cost." (così, originariamente, Cass. sez. unite n. 317/1999). 3/c - Analoga situazione non è, peraltro, ravvisabile per le controversie concernenti il rapporto di impiego del personale dipendente da organi per i quali non esiste una norma regolamentare avente un fondamento costituzionale indiretto.
In quest'ultimo senso è stato ritenuto che non sussiste autodichia nel caso di della cognizione di controversie relative al rapporto di impiego dei dipendenti della Presidenza della Repubblica (Cass. sez. unite n. 12614/1998, Cons. Stato sez. 4^ n. 178/1997), del personale addetto al segretariato generale della Presidenza della Repubblica (Cass. Sez. unite n. 3422/1988, ove viene chiarito che le relative controversie, ancorché investano i provvedimenti presidenziali di approvazione delle norme regolamentari sullo stato giuridico ed economico e sul trattamento pensionistico, non si sottraggono alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, tenuto conto che quei provvedimenti integrano atti amministrativi attinenti al rapporto d'impiego e che difettano disposizioni di deroga alla suddetta giurisdizione in favore di organi interni della Presidenza della Repubblica, come, invece, previsto negli ordinamenti del personale della Camera e del Senato), degli assistenti personali dei deputati (Cass. sez. unite n. 5234/1998, secondo cui il relativo rapporto di lavoro "configura un rapporto di collaborazione di natura privata ex art. 2222 cod. civ., ed è riservato alla competenza della giurisdizione ordinaria in quanto esula dall'ambito dell'autodichia parlamentare").
Nella summenzionata decisione le Sezioni Unite hanno, altresì, statuito - e il relativo principio troverà specifica applicazione per la decisione del presente giudizio - che "le norme, contenute in leggi e regolamenti, le quali sottraggono alla competenza degli organi costituzionali le controversie relative ai rapporti di impiego del personale dipendente da alcuni organi costituzionali, quali la Camera dei deputati ed il Senato, avendo carattere eccezionale, non sono suscettibili di applicazione fuori degli ambiti e dei casi positivamente stabiliti".