Cass. civ., sez. V trib., sentenza 18/11/2021, n. 35196
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In tema di determinazione del reddito d'impresa, è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 98 del d.P.R. n. 917 del 1986, vigente "ratione temporis", per violazione degli artt. 76 e 3 Cost., atteso che la mancata integrale attuazione del criterio di delega previsto dall'art. 4, lett. g) della l. n. 80 del 2003, nella parte in cui non subordina l'applicazione del regime della sottocapitalizzazione (c.d. thin capitalization) di una società rispetto all'attività di impresa esercitata alla condizione che gli interessi non concorrano a formare il reddito imponibile del soggetto percettore, consegue all'accoglimento della giurisprudenza della Corte di giustizia (sentenza in C-324/00 del 12 dicembre 2002) volta ad evitare discriminazioni tra soggetti residenti e non residenti, nonché violazioni della libertà di stabilimento, in coerenza con le finalità della legge delega di uniformare il sistema fiscale statale ai modelli europei più efficienti, e non essendo configurabile una disparità di trattamento rispetto a situazioni ontologicamente diverse.
Sul provvedimento
Testo completo
35 19 6 -2 1 M REPUBBLICA ITALIANA In nome del Popolo Italiano LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE QUINTA SEZIONE CIVILE Oggetto: avv. accert. Ires, Irap e IVA 2006 Composta da E C Presidente - L N Consigliere - R.G.N. 14620/2015 Cron.35196 Rosita D'Angiolella Consigliere - Consigliere Rel. - Pasqualina A.P. Condello UP 28/09/2021 - Consigliere - R G ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 14620/2015 R.G. proposto da FIMCO S.P.A., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa, in forza di procura speciale a margine del ricorso, dall'avv. A M C, con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. L R, in Roma, Viale della Vignola, n. 5 -
- ricorrente -
contro 364 AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, 2024 elettivamente domiciliata in Roma, alla via Portoghesi, n. 12, presso l'Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende come per legge
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 2534/13/14 della Commissione tributaria regionale della Puglia depositata il 5 dicembre 2014 udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 28 settembre 2021 dal Consigliere Pasqualina A P C;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore M V, che ha concluso chiedendo generale, dott. l'accoglimento del ricorso;
udito il difensore della parte ricorrente, avv. A M C, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso FATTI DI CAUSA 1. A seguito di verifica fiscale, l'Agenzia delle entrate notificò alla Fim.co s.p.a. tre avvisi di accertamento, per l'anno d'imposta 2006, con i quali contestò, per quanto ancora di interesse in questa sede, la erronea valutazione delle rimanenze finali delle opere con tempo di esecuzione ultrannuale, per avere adottato il metodo del cost - to cost, la violazione dell'art. 98 del t.u.i.r., per avere dedotto maggiori oneri finanziari per euro 242.387,00, e la indeducibilità di costi relativi a spese legali di competenza di esercizi diversi, spese di pubblicità e spese di consulenza.
2. Impugnati con distinti ricorsi gli atti impositivi, la Commissione tributaria provinciale adita, previa riunione, li accolse. La sentenza venne impugnata dall'Agenzia delle entrate e, in via incidentale, dalla società contribuente per la parte ad essa sfavorevole. La Commissione tributaria regionale della Puglia accolse l'appello principale e rigettò quello incidentale. Rilevò, in particolare, che: a) il criterio adottato dalla contribuente per la valutazione delle rimanenze finali delle opere con tempo di esecuzione ultrannuale non era applicabile al caso di specie, trattandosi di opere coperte da S.A.L., in relazione alle quali, a norma del comma 2 dell'art. 93 del t.u.i.r., doveva effettuarsi una valutazione sulla base dei corrispettivi liquidati;
2 b) la ripresa a tassazione degli oneri finanziari, in ottemperanza a quanto statuito dal comma 2 dell'art. 98, vigente ratione temporis, era legittima, in difetto di prova, da parte della contribuente, che i finanziamenti erogati o garantiti dal socio fossero stati concessi da terzi finanziatori sulla base di una oggettiva capacità di ottenere credito con la sola garanzia del patrimonio sociale ed in ragione dell'inidoneità delle censure mosse dalla contribuente a derogare all'applicazione della normativa in materia di thin capitalization;
c) l'Ufficio finanziario aveva offerto elementi dai quali si evinceva la piena legittimità dei costi ripresi a tassazione, per mancato rispetto del principio della competenza, non derogabile dalla contribuente, la cui inosservanza non poteva trovare giustificazione nella mancanza del requisito della certezza e determinabilità dei costi.
3. Contro la suddetta decisione la società contribuente ha proposto と ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi. L'Agenzia delle entrate ha resistito mediante controricorso. In prossimità dell'udienza pubblica la società contribuente ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ. RAGIONI DELLA DECISIONE -1. Con il primo motivo rubricato: Nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell'art. 93, commi 1 e 2, del d.P.R. n. 917 del 1986, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. la società ricorrente lamenta che i giudici di appello hanno - ritenuto non corretta la contabilizzazione delle opere di durata ultrannuale, benché la stessa sia avvenuta, nel rispetto del dato letterale del precetto normativo, in base ai corrispettivi effettivamente liquidati e corrisposti. Secondo la contribuente, la C.T.R., pur riconoscendo la possibilità di utilizzare il metodo del cost to cost ai fini della valutazione delle opere ultrannuali e pur conoscendo il contenuto del contratto di appalto stipulato con il Comune, con cui l'Ente locale si impegnava a corrispondere quanto dovuto nei limiti di quanto 3 effettivamente incassato a seguito della cessione dei loculi e delle cappelle funerarie che la società avrebbe provveduto a realizzare, nonché quello dei provvedimenti di liquidazione e pagamento emessi dallo stesso Comune che indicavano che l'Ente aveva determinato di liquidare le somme incamerate dal Comune ad oggi, nei limiti degli stati di avanzamento lavori...e precisamente per un importo complessivo non superiore a quelli incassati dal Comune>> aveva - comunque ritenuto fondato il rilievo contestato dall'Ufficio. Soggiunge la ricorrente che, ai fini della valutazione delle rimanenze, applicando il metodo della percentuale di completamento (cost to cost), aveva portato a tassazione il margine lordo della stessa, in misura pari al 20,7 per cento dei costi effettivamente sostenuti in ciascuno degli esercizi di durata della commessa;
di contro, accedendo alla tesi dell'Ufficio finanziario, avallata dai giudici di appello, se avesse adottato il metodo di valutazione in base agli stati di avanzamento lavori (emessi in via provvisoria) avrebbe portato a tassazione nei primi esercizi della commessa utili lordi pari mediamente a circa il 70 per cento dei costi sostenuti nei singoli esercizi, rispetto alla redditività totale del 20,7 per cento attesa dalla commessa, mentre negli esercizi finali avrebbe conseguito consistenti perdite, in quanto gli stati di avanzamento lavori avrebbero quantificato corrispettivi notevolmente inferiori ai costi effettivamente sostenuti in ciascuno degli esercizi;
così facendo, non sarebbe stato rispettato il criterio della ripartizione del margine nei periodi in cui era stata effettuata l'attività, come disposto dall'art. 93 citato, criterio che, peraltro, era stato affermato anche dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 25499 del 2011. 2. Con il secondo motivo, deducendo la nullità della sentenza per violazione dell'art. 115, primo e secondo comma, cod. proc. civ., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., assume la ricorrente che la C.T.R. avrebbe violato l'invocata disposizione normativa sotto un duplice profilo. Sotto il primo aspetto (art. 115, primo comma, cod. proc. civ.), per avere deciso prescindendo dagli elementi probatori addotti a dimostrazione dell'inconsistenza delle contestazioni sollevate dall'Ufficio e, quindi, per avere violato il principio di non contestazione, confermando la pretesa tributaria, benché l'Ufficio non avesse mai contestato le eccezioni ed i mezzi probatori allegati dalla contribuente al fine di provare l'infondatezza della ripresa a tassazione. Sotto il secondo profilo (art. 115, secondo comma, cod. proc. civ.), la C.T.R., in deroga al principio dispositivo ed al contraddittorio, non aveva deciso in base alle prove fornite dalle parti, bensì in base alla propria scienza privata. Sostiene la ricorrente che dalla produzione documentale offerta si evinceva chiaramente che aveva utilizzato quale criterio di ripartizione ed imputazione dei costi e dei ricavi quello denominato cost to cost ed aveva contabilizzato le rimanenze, anche in applicazione del principio di cui all'art. 2426, terzo comma, punto 11, cod. civ., in ragione del principio della ragionevole certezza>>, ovvero in ragione della loro concreta determinabilità sia sotto il profilo dell'an che del quantum.
3. Con il terzo motivo, deducendo la nullità della sentenza per violazione dell'obbligo di motivazione in relazione all'art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., con riferimento al capo della sentenza afferente alla valutazione delle rimanenze finali delle opere con tempo di esecuzione ultrannuale ai fini del recupero di Ires e Irap, assume la ricorrente che i giudici di appello, trascurando di prendere in considerazione le argomentazioni e difese addotte, hanno affermato, con una motivazione del tutto generica, che le contestazioni da essa sollevate confliggevano con l'art. 93 del t.u.i.r., in quanto l'ammontare dei ricavi doveva essere determinato per competenza in base allo stato di avanzamento dei lavori < e non per cassa>>, facendo in tal modo riferimento al principio di cassa mai invocato in giudizio dall'ufficio finanziario. Si duole che il passaggio motivazionale non estrinseca le 5 ragioni poste a fondamento del decisum, cosicché la motivazione risulta apparente.
4. Il terzo motivo, da scrutinare con priorità perché afferente ad un error in procedendo, è infondato e va disatteso. Secondo l'insegnamento di questa Corte, «la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all'interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture» (Cass., sez. U, 3/11/2016, n. 22232;
Cass., sez. 6-5, 7/04/2017, n. 9105, secondo cui ricorre il vizio di omessa motivazione della sentenza, nella duplice manifestazione di difetto assoluto o di motivazione apparente, quando il Giudice di merito