Cass. pen., sez. IV, sentenza 29/03/2023, n. 13077
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a seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: TOZZI PAOLA FRANCESCA nata ad AMANDOLA il 30/01/1981 avverso l'ordinanza del 06/04/2022 della CORTE APPELLO di PERUGIAudita la relazione svolta dal Consigliere L V;lette le conclusioni del PG che ha chiesto il rigetto del ricorso;RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 6 aprile 2022, la Corte di Appello di Perugia ha rigettato la domanda tempestivamente formulata da P F T per la liquidazione dell'equa riparazione dovuta ad ingiusta sottoposizione a misura cautelare privativa della libertà personale dal 16 giugno 2012 al 12 giugno 2013 (custodia in carcere dal 13 giugno 2012 al 28 febbraio 2013, poi arresti domiciliari). 2. La misura cautelare fu disposta con ordinanza del G.i.p. del Tribunale di Perugia del 9 giugno 2012 per la ritenuta sussistenza di gravi indizi dei seguenti reati: - art. 270 bis, commi 1 e 2, cod. pen., per avere fatto parte di un'associazione con finalità di terrorismo ed eversione dell'ordine democratico avente base in Perugia, da qualificare come organizzazione anarco- insurrezionalista dedita alla pratica delle azioni dirette, quali imbrattamento di immobili, danneggiamento, minacce gravi, vilipendio della Repubblica e delle sue istituzioni [capo A) della richiesta di rinvio a giudizio, capo E) della imputazione provvisoria];- artt. 110, 81 cpv., 61 n. 5, 635, commi 1 e 2, n. 3, in relazione all'art. 625 comma 7, 639 comma 2, 663 comma 2 cod. pen., art. 5 legge 22 maggio 1974 n. 152, come modificato dalla legge 31 luglio 2005 n. 155, art. 1 decreto-legge 15 dicembre 1979 n. 625, convertito nella legge 6 febbraio 1980 n. 15, per avere in concorso con altri, con l'utilizzo di copricapo nero per rendere difficoltoso il riconoscimento, danneggiato lo sportello bancomat di una banca con sede in Perugia, rendendola inservibile;con l'aggravante di avere commesso il fatto su cosa esposta alla pubblica fede e destinata al pubblico servizio;affiggendo inoltre sul muro antistante un manifesto a firma "anarchici e solidali" dal titolo "corteo contro la guerra di occupazione in Libia";con l'aggravante di avere commesso il fatto con finalità di terrorismo e di eversione dell'ordine democratico [capo C) della richiesta di rinvio a giudizio, capo H) dell'imputazione provvisoria]. Secondo l'impostazione accusatoria: il reato di cui al capo A) era stato commesso in epoca «antecedente e prossima al mese di marzo 2011» ed era in corso il 9 giugno 2012, quando fu emessa l'ordinanza cautelare;il reato di cui al capo C) era stato commesso il 13 aprile 2011. Il 17 gennaio 2014, Paola T fu prosciolta dall'imputazione di cui al capo A) con sentenza pronunciata dal G.u.p. del Tribunale di Perugia ai sensi dell'art. 425 cod. proc. pen. «perché il fatto non sussiste».Con la medesima sentenza, il G.u.p. dichiarò non luogo a procedere, «perché l'azione penale non poteva essere esercitata per difetto di richiesta del Ministro della Giustizia», in relazione al reato cfi cui al capo B) della richiesta di rinvio a giudizio (artt. 110, 81, comma 2, 290, comma 1, 663, comma 2, cod. pen., art. 5 legge n. 152/1975, art. 1 d.l. n. 625/1979 per avere, in concorso con altri soggetti, col volto travisato per rendere difficoltoso il riconoscimento, affisso in Perugia, sulla Fontana Maggiore ed in piazza Morlacchi un telo bianco con la scritta in spray "terrorista è lo Stato solidarietà agli anarchici", costituente vilipendio della Repubblica;per avere inoltre scritto con spray nero sul muro adiacente l'ingresso della mensa universitaria di via Pascoli "terrorista è lo Stato libertà per gli anarchici", da ritenere vilipendio della Repubblica, con l'aggravante di avere agito con finalità di terrorismo e di eversione dell'ordine democratico). La sentenza è divenuta irrevocabile il 6 marzo 2014. All'esito dell'udienza preliminare fu disposto, invece, il rinvio a giudizio per il reato di cui al capo C). P F I è stata prosciolta da questo reato con sentenza del 16 ottobre 2019 del Tribunale di Perugia perché, nelle more, era decorso il termine massimo di prescrizione e il reato era estinto ex art. 157 cod. pen. Questa sentenza è divenuta irrevocabile il 3 novembre 2020. 3. La Corte di appello di Perugia ha escluso il diritto alla riparazione osservando: - che la misura cautelare è stata applicata, oltre che in relazione al capo A) dal quale la I è stata assolta nel merito, anche per un reato dichiarato estinto per prescrizione [capo C));- che, «per lo meno nei limiti in cui tale reato legittimava il permanere della misura della custodia cautelare secondo il termine massimo di fase per esso consentito» (tre mesi, ex art. 303, comma i lett. a) n. 1 cod. proc. pen.), il diritto alla riparazione non sussiste;- che «l'aver commesso un fatto di danneggiamento in quel particolare contesto e forme, costituisce un fatto sicuramente doloso», e questo fatto ha «contribuito» all'adozione della misura cautelare «anche in relazione al più grave reato associativo»;- che l'aver intrattenuto contatti «con altri soggetti dell'ambiente anarchico», ponendo anche in essere specifiche azioni criminose, integra colpa grave concausale rispetto all'applicazione di misure cautelari;- che, scegliendo di avvalersi della facoltà di non rispondere, la I ha rinunciato a far chiarezza sugli esatti contorni della propria attività ed anche questo comportamento - che, secondo la Corte territoriale, rileva a titolo di colpa grave - ha determinato il protrarsi della misura cautelare.4. Contro l'ordinanza di rigetto della domanda di riparazione per ingiusta detenzione P F I ha proposto tempestivo ricorso per mezzo del proprio difensore. Il ricorso consta di due motivi che di seguito si riportano nei limiti strettamente necessari alla decisione come previsto dall'art. 173, comma 1, d.lgs. 28 luglio 1989 n. 271. 4.1. Col primo articolato motivo, la ricorrente deduce violazione di legge e vizi di motivazione. Sostiene che l'unico capo di imputazione che consentiva in concreto l'applicazione della custodia in carcere era quello di cui al capo A). Osserva che tale misura non avrebbe potuto essere applicata per il reato di cui al capo C) ostandovi la disposizione di cui all'art. :275, comma 2 bis, cod. proc. pen. Anche nel testo all'epoca vigente, infatti, questa disposizione vietava che potesse essere applicata la custodia in carcere se il giudice riteneva di poter sospendere condizionalmente la pena e la T è tuttora incensurata. Secondo la difesa, il diritto all'equa riparazione può essere riconosciuto anche quando risulti accertato con decisione irrevocabile che la misura era stata disposta senza che ne sussistessero le condizioni e deve esserlo, dunque, anche in un caso in cui si sia accertato che la pena avrebbe potuto essere condizionalmente sospesa. La ricorrente riferisce che l'ordinanza applicativa della misura fu confermata dal Tribunale per il riesame con ordinanza del 30 giugno 2012, ma questa ordinanza fu annullata con rinvio dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 27838 del 08/04/2013. In questa sentenza la Corte di legittimità affermò che la gravità dei singoli episodi di danneggiamento ascritti alla T non era stata adeguatamente motivata essendo stata desunta unicamente «dalla personale contiguità della ricorrente» con A S e S M S, entrambi conclamati esponenti della federazione anarchica informale (FAI): circostanza insufficiente per ritenere che i singoli episodi di danneggiamento ascritti alla T, fossero stati da lei commessi «come appartenente ad una cellula perugina della citata associazione anarchica, avendo peraltro lo stesso provvedimento impugnato dato atto che in nessuno degli specifici episodi di danneggiamento [...] è stata riscontrata un'esplicita rivendicazione da parte dell'associazione "FAI"» (così testualmente pag. 4 della sentenza n. 27838). Secondo la difesa, sulla base di tale motivazione, l'aggravante prevista dall'art. 1 d.l. n. 625/1979, avrebbe dovuto essere esclusa. Di conseguenza, difettavano le condizioni che, ai sensi degli artt. 280 cod. proc. pen., consentono l'applicazione della misura (il reato di cui all'art. 635, commi 1 e 2 n. 3, nel testo vigente all'epoca dei fatti, era punito con pena detentiva non superiore nel massimo a tre anni). La difesa si duole che l'ordinanza impugnata abbia ritenuto di valorizzare il dato formale rappresentato dalla mancata esclusione dell'aggravante. Osserva che il Tribunale si è limitato a dichiarare l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione e che l'aggravante avrebbe dovuto essere esclusa già sulla base della decisione assunta dalla Cassazione in fase cautelare. Sotto diverso profilo, la difesa osserva che il G.u.p. ha escluso la partecipazione della I ad una associazione avente finalità eversive e censura l'ordinanza impugnata nella parte in cui valorizza la distinzione operata dal G.i.p. tra «mera finalità eversiva/sovversiva» e finalità «di tipo terroristico». A questo proposito la difesa sottolinea che il G.u.p. ha ritenuto non fosse possibile desumere dall'ideologia anarchica, che condivideva con i coimputati, la partecipazione della T ad una associazione avente finalità eversive operante in Perugia, quale è quella contestata al capo A). La difesa sostiene, in sintesi, che l'ordinanza impugnata avrebbe attribuito alla I una condotta eversiva che la sentenza di proscioglimento del G.u.p. ha espressamente escluso. La ricorrente sottolinea, inoltre, che non è possibile individuare nel danneggiamento di cui al capo C), in relazione al quale è stata sofferta privazione della libertà personale, una condotl:a dolosa avente rilevanza causale rispetto alla ben più lunga privazione della libertà personale conseguente alla ritenuta sussistenza del reato associativo, che è stata esclusa con sentenza definitiva. 4.2. Col secondo motivo, la difesa si duole che la scelta difensiva consistita nell'essersi avvalsa della facoltà di non rispondere sia stai:a valutata quale condotta gravemente colposa ostativa al riconoscimento del diritto all'equa riparazione dell'ingiusta detenzione. Sottolineai che, così argomentando, la Corte territoriale non ha tenuto conto del d.lgs. 8 novembre 2021 n. 188 che ha modificato l'art. 314, comma 1, cod. proc. pen, e ha stabilito che «l'esercizio da parte dell'imputato della facoltà di cui all'art. 64, comma 3, lettera b), cod. proc. pen. non incide sul diritto alla riparazione di cui al primo periodo». La ricorrente sostiene che nessuna altra condotta, accertata nel corso del giudizio, può essere considerata causa della lunga privazione della libertà personale sofferta.
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