Cass. civ., sez. I, sentenza 01/10/2002, n. 14086

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Il passaggio in giudicato della sentenza definitiva sul "quantum debeatur", essendo questa obiettivamente condizionata al permanere della precedente sentenza non definitiva sull'"an", non fa venir meno l'interesse all'impugnazione già proposta contro quest'ultima sentenza.

In tema di responsabilità della Pubblica Amministrazione per occupazione illegittima e conseguente accessione invertita del fondo, la circostanza che, all'epoca dell'adozione dei decreti di occupazione e di espropriazione, inefficaci perché non sottoposti al controllo di legittimità ex artt. 45 e 49 della legge 10 febbraio 1953, n. 62, dottrina e giurisprudenza erano concordi nel ritenere l'esclusione di tali tipi di atti al controllo predetto, se può rilevare al fine di stabilire la gravità della colpa, non può valere ad escluderla, in quanto la Pubblica Amministrazione non ha alcun obbligo di conformarsi alla interpretazione dottrinale e giurisprudenziale, mentre ha invece l'obbligo - dovendo svolgere ogni sua attività con la rigorosa osservanza del principio di legalità - di applicare la legge dandone, in base ai prescritti canoni ermeneutici, una interpretazione conforme alla sua effettiva portata normativa. Nè difetta, in tal caso, il nesso di causalità tra il comportamento dello IACP, che ha proceduto all'occupazione in forza del decreto inefficace della Regione (unica responsabile, in ipotesi, in quanto autrice del provvedimento, dell'omissione del controllo sullo stesso), atteso che l'osservanza del menzionato principio di legalità impone all'ente pubblico, che procede all'occupazione di un bene di un privato per la realizzazione di un'opera pubblica di verificare che l'atto al quale dà esecuzione non sia privo di effetti giuridici.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. I, sentenza 01/10/2002, n. 14086
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 14086
Data del deposito : 1 ottobre 2002

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. R D M - Presidente -
Dott. F M F - rel. Consigliere -
Dott. F F - Consigliere -
Dott. B S M - Consigliere -
Dott. O F - Consigliere -
ha pronunciato la seguente

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
AZIENDA TERRITORIALE PER L'EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA ATERP, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA D.

AZUNI

9, presso l'avvocato P D C, che lo rappresenta e difende, giusta delega a margine del ricorso;



- ricorrente -


contro
PELLEGRINO LISE GUGLIELMO, PELLEGRINO LISE VIRGINIA, elettivamente domiciliati in

ROMA VIA TARO

35, presso l'avvocato S M, rappresentati e difesi dall'avvocato M M, giusta procura a margine del controricorso;



- controricorrente -


contro
REGIONE CALABRIA;

- intimata -
avverso la sentenza n. 569/99 della Corte d'Appello di CATANZARO, depositata il 28/10/99;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/05/2002 dal Consigliere Dott. F M F;

udito per il ricorrente l'Avvocato D C che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;

udito per il resistente l'Avvocato Mazzoni che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Dario CAPIERO che ha concluso per il rigetto del ricorso;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con decreto n. 10742 in data 10 luglio 1975 il Presidente della Giunta della Regione Calabria concedeva l'autorizzazione all'occupazione d'urgenza di un terreno di proprietà di P L M, sito nel Comune di Cosenza, in località Vaglio Lise, in catasto al fol 9, part. 82, 111, 173, 112, 114 e 373, di superficie complessiva pari a ha 1.50.82, per la costruzione di alloggi popolari con delega allo IACP (ora ATERP) di Cosenza. In data 23.6.75 veniva redatto lo stato di consistenza cui seguiva, in data 4.8.75, l'immissione in possesso da parte dello IACP. In data 2.6.1978 il Presidente della Giunta Regionale della Calabria emetteva il decreto di esproprio.
Con atto di citazione del 23.9.1978 P L proponeva opposizione dinanzi alla Corte d'appello di Catanzaro avverso la liquidazione, operata dall'Ufficio Tecnico Erariale, della indennità di esproprio, chiedendo, in via subordinata, il risarcimento del danno derivante dall'occupazione asserita illegittima per scadenza del termine assegnato per il compimento dell'espropriazione. Costituitasi in giudizio, l'IACP contestava la illegittimità dell'occupazione e chiedeva il rigetto della domanda di risarcimento danni.
Il giudizio, in data 23.1.1981, veniva dichiarato estinto ai sensi dell'art. 309 c.p.c. e, successivamente, con atto notificato in data 26.9.1983, riassunto innanzi alla corte summenzionata per l'accoglimento delle medesime conclusioni formulate con l'atto introduttivo del giudizio.
Con sentenza n. 86 del 14.4.1988 la corte d'appello adita dichiarava l'estinzione del primo giudizio e l'ammissibilità dell'opposizione, sospendeva il processo in attesa della decisione sul risarcimento del danno, per la cui cognizione rimetteva le parti davanti al Tribunale di Cosenza.
La causa veniva riassunta dinanzi a detto giudice da P L, con atto di citazione notificato in data 9.1.89.
A sostegno della illegittimità della procedura ablatoria l'attore sottolineava come, prima della emanazione del decreto di esproprio, fosse intervenuta la "scadenza" sia del termine assegnato per il compimento della procedura di esproprio sia di quello per l'occupazione legittima.
Costituitasi in giudizio l'IACP di Cosenza assumeva la regolarità della procedura, essendo il decreto di esproprio intervenuto nel pieno rispetto del termine quinquennale dell'occupazione d'urgenza. Nel corso della istruttoria si accertava, poi, che ne' il decreto di occupazione d'urgenza ne' quello di esproprio erano stati sottoposti al controllo dell'apposita Commissione, ai sensi degli artt. 45 e 49 della legge 10.2.1953 n. 62. Data la deduzione in giudizio di tale omesso controllo, il G.I., ritenuta la comunanza di causa anche nei confronti della Regione Calabria, su richiesta dell'IACP, disponeva la chiamata in causa dell'Ente regionale.
Questo, regolarmente costituitosi, ribadiva la legittimità della procedura espropriativa e, nel chiedere il rigetto della domanda, insisteva perché fosse tenuto indenne da ogni eventuale condanna al risarcimento del danno.
A seguito del decesso dell'attore, avvenuto il 26.7.92 e dichiarato solo con la comparsa del 6 maggio 1997, la causa veniva proseguita dai due figli di P L M, unici eredi dello stesso, G e V P L.
Con sentenza non definitiva dell'11-26.6.1997 il Tribunale di Cosenza condannava l'IACP di Cosenza al risarcimento dei danni, disponendo la liquidazione degli stessi nel prosieguo del giudizio. Detta sentenza veniva impugnata, con atto del 3.3.1998 dall'A.T.E.R.P. (Azienda Territoriale per l'Edilizia Residenziale Pubblica già I.A.C.P.) della Provincia di Cosenza dinanzi alla corte d'appello di Catanzaro, chiedendone la riforma sulla base di vari motivi.
Costituitisi in giudizio, P L G e V, da una parte, e la Regione Calabria, dall'altra, chiedevano il rigetto del gravame.
Con sentenza del 6.7.99, depositata il 28.10.99, in parziale riforma della sentenza non definitiva impugnata, la corte adita dichiarava corresponsabili, in pari misura, dei danni lamentati dagli attori con l'atto di citazione del 9.1.89 l'A.T.E.R.P. della Provincia di Cosenza e la Regione Calabria, confermando nel resto l'appellata sentenza.
Osservava la corte che l'eccezione di prescrizione del diritto al risarcimento del danno - avanzata dall'appellante sul rilievo che non poteva riconoscersi effetto interruttivo della prescrizione agli atti del 1978 e del 1983 summenzionati, essendo stata prospettata con l'atto del 1989 una causa petendi diversa da quella indicata nei precedenti atti giudiziali - era infondata.
Ciò perché con gli atti del 1978 e del 1983 era stata denunciata la irregolarità dell'iter espropriativo in generale, tra le cui tante cause - data la ampiezza della denuncia - poteva farsi rientrare l'inefficacia dei decreti di occupazione d'urgenza e di esproprio per via della mancata sottoposizione al visto del CO.RE.CO. Osservava la corte, altresì, che anche gli atti monocratici delle regioni a statuto ordinario e, quindi, anche gli atti suindicati, contrariamente a quanto sostenuto dall'appellante, dovevano essere assoggettati a controllo di legittimità ai sensi degli artt. 45 e 49 della l. 10.2.1953 n. 62, in mancanza del quale dovevano ritenersi privi di effetti.
Osservava infine la Corte che l'evento dannoso, lamentato dai P L, era imputabile, in pari misura, alla Regione Calabria ed all'I.A.C.P, (ora A.TER.P.): alla prima, per aver emanato, attraverso il suo Presidente, i decreti di occupazione d'urgenza e di espropriazione risultati privi di efficacia in quanto non sottoposti al visto di legittimità del CO.RE.CO;
al secondo, per aver posto in esecuzione il primo decreto, occupando l'immobile e realizzando gli edifici E.R.P., senza tener conto dell'inefficacia dello stesso.
Pur ritenendo di poter affermare la corresponsabilità della Regione Calabria per il danno per cui è causa, essendo stata questa chiamata in garanzia dall'I.A.C.P., assumeva la corte che la prima non potesse essere direttamente condannata al risarcimento del danno nei confronti del P L, non avendo questi esteso la domanda risarcitoria anche nei confronti della Regione.
Avverso questa sentenza l'Azienda Territoriale per l'Edilizia Residenziale Pubblica - A.T.E.R.P. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi illustrati con memoria. P L G e V hanno resistito con controricorso e prodotto memoria ex art. 378 c.p.c. L'intimata Regione Calabria non ha spiegato difese.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2943, 2947, 1362 e segg. c.c. e 163 c.p.c. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. - Omessa, insufficiente
e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c. Il giudice di merito avrebbe errato nel riconoscere efficacia interruttiva della prescrizione agli atti di citazione del 1978 e del 1983, atteso che il danno preteso si basava su fatti e su elementi di diritto che nulla avevano a che vedere con l'omessa sottoposizione del decreto di occupazione e di quello di esproprio al controllo di legittimità ai sensi degli artt. 45 e 49 della L. 10.2.53 n. 62. Risultava, infatti che tale omissione era stata presa in considerazione e valutata dal giudice di merito solo perché dedotta dall'attore non con la citazione notificata il 9.1.89, ma addirittura nel corso del giudizio che ne era seguito.
Pertanto, la causa petendi degli atti di citazione, notificati all'I.A.C.P. negli anni 78 e 83 non poteva assolutamente ricomprendere detta omissione, riconosciuta dalla sentenza impugnata come (unico) fatto causativo del danno.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 2043 c.c. in relazione al n. 3 dell'art. 360 c.p.c.. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa
punti decisivi in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c.. Secondo la ricorrente nella fattispecie difetterebbe sia l'elemento della colpa che il nesso di causalità.
La sentenza impugnata avrebbe omesso di considerare che, all'epoca dell'adozione e dell'esecuzione dei decreti di occupazione di urgenza e di espropriazione emanati dal Presidente della Giunta Regionale, dottrina e giurisprudenza erano concordi nel ritenere che detti provvedimenti, in quanto monocratici e di carattere esecutivo, non dovessero essere assoggettati a controllo. Dubbi circa la bontà di tale orientamento era sorti soltanto dopo che la Corte Costituzionale, con le sentenze nn. 38 e 39 del primo giugno 1979, ebbe a statuire che "spetta allo Stato il controllo di legittimità previsto dall'art. 125 Cost. anche sugli atti amministrativi emanati da organi monocratici delle regioni a statuto ordinario". Però soltanto con la sentenza n. 7705 del 1991 della Corte di cassazione aveva preso vita il nuovo indirizzo secondo cui il decreto di occupazione d'urgenza costituiva atto soggetto a controllo. In siffatta situazione l'operato dell'I.A.C.P. (come quello della Regione Calabria) sarebbe immune da qualsiasi colpa, non potendo avere detto istituto, nel momento in cui operava, la consapevolezza, dato lo stato della dottrina e della giurisprudenza, di violare una qualche norma giuridica.
Nel caso di specie farebbe difetto anche il nesso di causalità fra il comportamento dell'IACP e il danno per cui è causa, in quanto questo sarebbe stato causato esclusivamente dal comportamento omissivo dell'Ente Regione, non avendo l'IACP alcun obbligo di sindacare o controllare gli atti della Regione.
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa interpretazione degli artt. 2043 e 2055 c.c. in relazione al n. 3 dell'art. 360 c.p.c. - Omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione in relazione al n. 5 dell'art. 360.
Lamenta con tale motivo la ricorrente che la ripartizione in pari misura delle responsabilità tra la stessa e la Regione sarebbe avvenuta senza procedere ad alcuna valutazione percentuale delle rispettive responsabilità.
Prima di procedere all'esame dei motivi di ricorso deve essere risolta una questione di carattere preliminare.
In data 20 febbraio 2002 i controricorrenti hanno depositato presso la cancelleria della corte di cassazione la sentenza n. 1190 del Tribunale di Cosenza, emessa in data 19 giugno 2000, con la attestazione da parte del cancelliere del passaggio in giudicato della stessa in data 3 agosto 2001.
Con detta sentenza il Tribunale summenzionato ha deciso, con pronuncia definitiva, la causa introdotta dalla domanda risarcitoria del P L, condannando l'A.T.E.R.P. e la Regione Calabria, in solido tra loro, al pagamento, a favore degli attori, della somma complessiva di lire 2.154.014.000, oltre gli interessi legali dalla sentenza fino all'effettivo soddisfo.
Secondo i controricorrenti il passaggio in giudicato di tale decisione sul quantum - avendo essa definito il giudizio, nel corso del quale era stata pronunciata la sentenza parziale sull'an, cui erano seguiti l'impugnazione della stessa dinanzi alla Corte d'appello di Catanzaro e l'attuale ricorso per cassazione - avrebbe reso inammissibile quest'ultimo per sopravvenuto difetto di interesse.
Tale tesi non può essere condivisa, atteso che a norma dell'art. 336 cod. proc. civ. le statuizioni della decisione sul quantum, trovando
il loro presupposto nella precedente decisione sull'an ed essendo a questa condizionate, sono destinate ad essere travolte, nonostante la formazione del giudicato, dall'eventuale cassazione o riforma di quest'ultima.
Conseguentemente il passaggio in giudicato della sentenza definitiva sul "quantum" non fa venir meno - essendo questa, come detto, obbiettivamente condizionata al permanere della precedente sentenza non definitiva sull'"an" - l'interesse all'impugnazione già proposta contro detta sentenza (cfr. cass. n. 2362/89;
cass. n. 1589/90, resa a sezioni unite;
cass. n. 5967/91). Il primo motivo di ricorso è infondato.
Secondo l'azienda ricorrente il giudice di merito avrebbe rilevato d'ufficio la interruzione della prescrizione, mentre questa poteva essere fatta valere esclusivamente dalla parte interessata. Il collegio rileva che tale profilo di censura è inammissibile e, quindi, non può essere preso in esame, avendo il ricorrente avanzato tale cesura soltanto nella memoria illustrativa, depositata ex art. 378 cod. proc. civ..
Infatti, secondo il costante orientamento di questa corte, le memorie difensive hanno l'esclusiva funzione di illustrare e chiarire i motivi di ricorso tempestivamente e ritualmente proposti, nonché di confutare le tesi dell'avversario, ma non possono contenere la deduzione di nuove censure, ne' sollevare questioni nuove, che non siano rilevabili d'ufficio (cfr. tra le molte: cass. n. 936/80;
cass. n. 468/85;
cass. n. 1699/96;
cass. n. 4199/2002).
Con la censura, ritualmente mossa alla sentenza impugnata con il motivo di ricorso in esame, la ricorrente deduce che erroneamente la corte di merito avrebbe attribuito agli atti di citazione del 1978 e del 1983 efficacia interruttiva della prescrizione. Detti atti non potevano avere l'effetto suindicato, atteso che il danno preteso si fondava su una causa petendi - illegittimità della procedura ablatoria ascrivibile a colpa dell'IACP, per essersi questo reso responsabile, in via principale, della "avvenuta scadenza del termine assegnato per il compimento della espropriazione" dell'immobile di proprietà del P L e, in via subordinata, della "occupazione temporanea che ha ecceduto i termini di legittimità" - che nulla aveva a che vedere con la causa petendi - illegittimità della procedura ablatoria per l'omessa sottoposizione al controllo di legittimità ex artt. 45 e 49 della L. 10.2.53 n. 62 del decreto del Presidente della Regione di occupazione
d'urgenza e di quello di esproprio - prospettata nel successivo giudizio, promosso con citazione del 9 gennaio 1989 e deciso sulla base di detta diversa prospettazione.
Osserva il collegio che la ricorrente, con una visione riduttiva dei fatti, indica quale causa petendi del diritto al risarcimento del danno invocato dai P L soltanto alcuni elementi della fattispecie posta a fondamento della loro pretesa risarcitoria. Costoro hanno posto a base di tale pretesa, sia negli atti di citazione del 1978 e del 1983 che nel giudizio svoltosi a seguito della citazione del 1989, la fattispecie, individuata dalla fondamentale sentenza n. 1464 del 1983, resa a sezioni unite, ed indicata come "occupazione appropriativa" o "accessione invertita" o "espropriazione sostanziale".
Secondo tale fondamentale decisione "nelle ipotesi in cui la pubblica amministrazione (o un suo concessionario) occupi un fondo di proprietà privata per la costruzione di un'opera pubblica e tale occupazione sia illegittima, per totale mancanza di provvedimento autorizzativo o per decorso dei termini in relazione ai quali l'occupazione si configura legittima, la radicale trasformazione del fondo, con l'irreversibile sua destinazione alfine della costruzione dell'opera pubblica, comporta l'estinzione del diritto di proprietà del privato e la contestuale acquisizione a titolo originario della proprietà in capo all'ente costruttore, ed inoltre costituisce un fatto illecito (istantaneo, sia pure con effetti permanenti) che abilita il privato a chiedere, nel termine prescrizionale di cinque anni dal momento della trasformazione del fondo nei sensi indicati, la condanna dell'ente medesimo a risarcire il danno derivante dalla perdita del diritto di proprietà, con l'ulteriore conseguenza che un provvedimento di espropriazione del fondo per pubblica utilità;

intervenuto successivamente a tale momento, deve considerarsi del tutto privo di rilevanza, sia ai fini, dell'assetto proprietario, sia ai fini della responsabilità da illecito".
Con gli atti di citazione del 1978 e del 1983, com'anche nel successivo giudizio, promosso con la citazione del 1989, gli attuali controricorrenti non hanno invocato un diverso diritto, ma il medesimo diritto al risarcimento del danno per la perdita dei loro diritto dominicale per la intervenuta radicale trasformazione del fondo con la realizzazione dell'opera pubblica, senza che, prima della sua realizzazione, sia intervenuto un valido ed efficace provvedimento di esproprio a conclusione di un regolare procedimento ablatorio.
È la mancanza di un tempestivo, legittimo ed efficace decreto di esproprio, che giustifichi l'acquisizione da parte della Pubblica Amministrazione della proprietà del bene del privato, che, integrando e completando la fattispecie in esame, specifica e definisce nel suo contenuto essenziale il diritto fatto valere in giudizio;
le varie ragioni per le quali il decreto di espropriazione sia mancato, sia invalido o inefficace, se pur rilevano nel giudizio come tema di prova, non incidono, invece, sulla natura del diritto in questione, che, nonostante la diversità dei vizi e delle ragioni che hanno impedito alla procedura ablatoria di giungere a compimento, resta pur sempre lo stesso.
Anche il secondo motivo di ricorso è infondato.
Deduce la ricorrente la mancanza di colpa per il fatto che, all'epoca dell'adozione e della esecuzione dei decreti di occupazione e di espropriazione emanati dal Presidente della Giunta Regionale, dottrina e giurisprudenza erano concordi nel ritenere che tali provvedimenti, in quanto monocratici e di carattere esecutivo, non dovessero essere assoggettati a controllo.
Osserva il collegio che, se la dedotta circostanza può rilevare al fine di stabilire la gravità della colpa, non vale certo ad escluderla, in quanto la Pubblica Amministrazione non ha alcun obbligo di conformarsi alla interpretazione dottrinale e giurisprudenziale, mentre ha invece l'obbligo - dovendo svolgere ogni sua attività con la rigorosa osservanza del principio di legalità - di applicare la legge dandone, in base ai prescritti canoni ermeneutici, una interpretazione conforme alla sua effettiva portata normativa.
Deduce, altresì la ricorrente che farebbe difetto il nesso di causalità fra il comportamento dell'IACP e il danno per cui è causa;
questo sarebbe stato causato esclusivamente dal comportamento omissivo della Regione, non avendo l'IACP alcun obbligo di sindacare o controllare gli atti di quest'ultima.
Anche tale tesi non può essere condivisa, atteso che l'osservanza del menzionato principio di legalità impone all'ente pubblico, che procede all'occupazione del bene di un privato per la realizzazione di un'opera pubblica, di verificare che l'atto, al quale da esecuzione (nel caso di specie il decreto di occupazione di urgenza), non sia privo (nella fattispecie per non essere stato sottoposto a controllo) di effetti giuridici.
Infine anche il terzo motivo di ricorso è infondato.
Il giudice di merito, nello stabilire la misura in cui IACP e Regione hanno concorso a produrre il danno per cui è causa, non si è giovato della presunzione di parità delle colpe, di cui all'ultimo comma dell'art. 2055 cod. civ..
Detto giudice, infatti non ha avanzato alcun dubbio circa la possibilità di stabilire in concreto l'entità della rilevanza causale del comportamento dei due enti summenzionati - cosa che avrebbe legittimato il ricorso alla presunzione della parità delle colpe - ma ha deciso che l'evento dannoso era imputabile, in pari misura, alla Regione Calabria ed all'IACP (ora ATERP) dopo aver valutato il peso delle relative condotte.
Detto giudice, infatti, ha così testualmente giustificato, anche se con sintetica motivazione, la sua decisione: "È indubbio...... che l'evento dannoso lamentato dai P L è imputabile, in pari misura, alla Regione Calabria ed all'I.A.C.P. (ora AIERP), la prima, per aver emanato, attraverso il suo Presidente, i decreti di occupazione d'urgenza e di esproprio risultati privi di efficacia in quanto non sottoposti al visto di legittimità del CO.RE.CO. e, il secondo, per avere posto in esecuzione il primo decreto, occupandò l'immobile e realizzando gli edifici E.R.P., senza tener conto dell'inefficacia dello stesso".
Per quanto precede il ricorso deve essere respinto e la ricorrente deve esser condannata a rimborsare ai controricorrenti le spese giudiziali che, tenuto conto della complessità delle questioni dibattute e del valore della lite, appare giusto liquidare in complessivi euro 7.158, di cui euro 7.000 (settemila) per onorari.

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