Cass. civ., sez. II, sentenza 15/07/2005, n. 15086

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Ai fini dell'ammissibilità' del ricorso per cassazione, pur essendo necessario che il mandato al difensore sia stato rilasciato in data anteriore o coeva alla notificazione del ricorso all'intimato, non occorre che la procura sia integralmente trascritta nella copia notificata all'altra parte, ben potendosi pervenire d'ufficio, attraverso altri elementi, purchè specifici ed univoci, alla certezza che il mandato sia stato conferito prima della notificazione dell'atto. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto ammissibile il ricorso, in quanto dalla relata di notifica del ricorso risultava che il mandato al difensore era stato conferito in data almeno coeva a quella della notifica stessa).

In tema di litisconsorzio necessario ed in ipotesi di giudizio di divisione ereditaria, la parte che eccepisce la non integrità del contraddittorio, a causa della mancata partecipazione al giudizio di un coerede, non può limitarsi ad assumere genericamente l'esistenza di litisconsorti pretermessi, ma ha l'onere di indicare le persone degli altri eredi, oltre quelli che, in tale qualità, abbiano ritualmente partecipato alle pregresse fasi del giudizio e di specificare le ragioni di fatto e di diritto della necessità di integrazione, le quali non debbono apparire "prima facie" pretestuose.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. II, sentenza 15/07/2005, n. 15086
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 15086
Data del deposito : 15 luglio 2005
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. V A - Presidente -
Dott. S O - rel. Consigliere -
Dott. M D C L - Consigliere -
Dott. T F - Consigliere -
Dott. T G - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
R A, elettivamente domiciliato in

ROMA VIALE MAZZINI

140, presso lo studio dell'avvocato P L, difeso dall'avvocato B C, giusta delega in atti;



- ricorrente -


contro
S F, RLTA GIUSEPPE, R S, RLTA ROSALBA, RLTA PAOLA, elettivamente domiciliati in

ROMA VIA OFANTO

18, presso lo studio dell'avvocato L G, che li difende, giusta delega in atti;



- controricorrenti -


avverso la sentenza n. 242/02 della Corte d'Appello di BOLOGNA, depositata il 20/02/02;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 12/04/05 dal Consigliere Dott. O S;

udito l'Avvocato L G, difensore del resistente che ha chiesto rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. A P che ha concluso per rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione notificata il 19 novembre 1992, S F, R Rosalba, R Paola, R Giuseppe e R Stefano, quali eredi di R M, deceduta il 21-3-1989, convenivano in giudizio davanti al tribunale di Ravenna R A e, premesso che la predetta loro dante causa aveva disposto, con testamento olografo ed allegata successiva disposizione testamentaria, che i B.O.T. dell'importo di lire 25.000.000, da lei acquistati il 25-5- 1984 ed intestati a sè stessa, a S F, madre di essi attori, ed a Martini Maria, moglie di R Giuseppe, passassero, alla sua morte, per il 50% alla famiglia di S F e, per l'altra metà, a quella di Martini Maria;
che, nell'anno successivo, la predetta R M, recatasi in banca con il pronipote R A per acquistare un nuovo taglio di titoli per lire 5.000.000, aveva cointestato tutti i titoli, per complessive lire 30.000.000, a sè" stessa, a Martini Maria ed a R A, con esclusione di S F;
che alla data della scadenza annuale del 1987, era risultato che i titoli erano stati venduti da R A, che si era appropriato dell'intero corrispettivo di lire 30.000.000, sottraendolo in tal modo alla futura successione di R M;

tutto ciÒ premesso, chiedevano la condanna del convenuto alla restituzione della somma di lire 15.000.000, pari alla metà del ricavato della vendita dei titoli per lire 30.000.000. Nel costituirsi in giudizio e nel chiedere il rigetto della domanda perché "prescritta" e comunque infondata, R A proponeva, a sua volta, domanda riconvenzionale per far accertare che S F si era appropriata di mobili di antiquariato prelevati dall'abitazione di R M e che aveva riscosso, negli ultimi tempi, che avevano preceduto il decesso della stessa, la sua pensione, ammontante a lire 1.600.000. Con sentenza del 4-7-2000, l'adito tribunale condannava il convenuto al pagamento agli attori della somma di lire 15.000.000, dichiarava carente di legittimazione attiva S F, rigettava le domande riconvenzionali e compensava integralmente tra le parti le spese di lite. Proposto appello principale dal soccombente e appello incidentale dagli attori relativamente alla disposta compensazione delle spese e per chiedere inoltre la condanna di R A al risarcimento dei danni per lite temeraria, la corte di appello di Torino, con sentenza del 20-2- 2002, ha rigettato entrambi gli appelli, condannando l'appellante al pagamento agli appellati delle spese del grado.
La motivazione della decisione si basa, per la parte che ancora qui rileva, sulle seguenti proposizioni.
La Corte ha escluso innanzitutto che la sentenza del tribunale sia nulla per pretesa mancata integrazione del contraddittorio a norma dell'art. 784 c.c. nei confronti della coerede legittima R G, sorella di R A, posto che la stessa non risulta partecipe della comunione ereditaria con titolarità di diritti comuni, e non risulta nemmeno che abbia accettato l'eredità della zia R M. Quanto, poi, al merito della questione, relativa all'esistenza ed alla validità della pretesa donazione dei titoli fatta da quest'ultima a favore del nipote A, la corte ha ritenuto, sulla base della prodotta documentazione bancaria, che manca la prova dell'esistenza di un qualsiasi atto di disposizione patrimoniale o di un atto di liberalità della de cuius a favore del nipote, avente ad oggetto l'intero "pacchetto" dei titoli acquistati;

risultando, invece, proprio dalla predetta documentazione che, in data 30-5-1988, fu accreditata sul conto bancario di R A la somma di lire 30.000.000, relativa alla scadenza di B.O.T. di pari importo e proveniente dalla loro vendita, da parte del R, il quale si era avvalso, per compiere l'operazione, della cointestazione dei titoli e della facoltà di disporne disgiuntamente rispetto agli altri cointestatari, intascandone, quindi, l'intero ricavato. Ha anche rilevato, la corte, che la semplice cointestazione dei titoli, con facoltà di disporne disgiuntamele, non costituiva atto di donazione, diretta o indiretta, nemmeno per la quota di un terzo, ma era valsa soltanto, nella fattispecie, a conferire al nipote, da parte della zia, la facoltà di amministrare e gestire i titoli, ciò costituendo, sotto il profilo giuridico, un mandato fiduciario senza rappresentanza, avente appunto tale contenuto, al quale era estraneo, pertanto, qualsiasi spirito di liberalità;
con la conseguenza che non era prescritta per la validità del negozio la forma dell'atto pubblico.
Quanto al rigetto della domanda riconvenzionale, proposta da R A nei confronti di S F, la corte ha confermato anche sul punto,- la statuizione del primo giudice, evidenziando che, dalle dichiarazioni dei testi escussi, non è emersa la prova che, nella casa della de cuius, vi fossero effettivamente mobili e suppellettili di antiquariato, di cui la Sfera, a dire dell'appellante, si sarebbe appropriata.
Ricorre per la cassazione della sentenza R A in forza di quattro motivi.
Resistono con controricorso S F, R Stefano, Giuseppe, Rosalba e Paola, che eccepiscono preliminarmente l'inammissibilità del ricorso "per assenza della procura nelle copie notificate". Il ricorrente ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L'eccezione di inammissibilità del ricorso "per assenza della procura nelle copie notificate", sollevata dai resistenti, non ha pregio, posto che se è vero che, qualora la procura sia rilasciata in calce o a margine del ricorso per Cassazione, occorre che essa sia trascritta nella copia notificata al resistente, in modo da dare la certezza che il mandato sia stato conferito in data anteriore o coeva alla notificazione del ricorso, è pur vero, peraltro, che tale certezza può essere desunta anche d'ufficio da altri elementi, purché specifici ed univoci, dovendosi ritenere, in tal caso, ammissibile il ricorso, nonostante la mancata trascrizione della procura apposta in calce o a margine dell'originale (Cass. n. 446/80, n. 2541/77 ed altre). Nel caso in esame, risulta dalla relata di notifica del ricorso, avvenuta il 27 maggio 2002, che il mandato al difensore è stato conferito, quanto meno, in data coeva alla notifica stessa e, pertanto, il gravame è ammissibile. Ciò detto, può passarsi all'esame del merito del ricorso con cui R A denuncia: 1) "Violazione e falsa applicazione delle norme sul mandato, sulla donazione, sull'interpretazione dei contratti, nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa tale punto decisivo della controversia (art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.)", il tutto con riferimento all'errata qualificazione data dalla corte all'atto - con cui la de qua, superando tutte le contestazioni degli anni precedenti ed estromettendo tutti gli altri cointestatari, disponeva finalmente che quei titoli fossero non solo intestati, ma soprattutto attribuiti in via esclusiva al solo nipote Sig. R A - (così, testualmente nel ricorso). Dalla corretta interpretazione di tale atto, la corte avrebbe dovuto trarre, secondo il ricorrente, la conclusione, sulla base anche delle assunte testimonianze, che R M, intestando solo a lui i titoli, ed estromettendo S M dal proprio patrimonio, a causa dei maltrattamenti subiti ad opera della stessa e della sua famiglia, aveva inteso destinare tutto il proprio danaro, proveniente dalla vendita dei titoli, soltanto al nipote A, manifestando, quindi, in tal senso, ed in modo esplicito, la sua inequivoca volontà. In definitiva, è errata, per il ricorrente, la qualificazione giuridica data dalla corte di merito all'atto con cui R M cointestò a se stessa ed al nipote A i titoli in questione, estromettendo S F alla quale in precedenza li aveva cointestati, dovendosi ritenere che nella fattispecie, avuto riguardo a tutte le circostanze del caso, sia stata posta in essere certamente una donazione indiretta, con cui la zia ha voluto che solo il nipote disponesse del danaro proveniente dai titoli.
2) "Violazione e falsa applicazione dei principi sul mandato nonché contraddittorietà ed insufficienza della motivazione relativamente alla conferma delle statuizioni di primo grado". Con tale motivo il ricorrente si duole del fatto che la corte, dopo avere qualificato erroneamente, l'atto di cui si discute come mandato fiduciario a gestire e ed amministrare, ha condannato l'appellante, senza alcuna ulteriore spiegazione e, soprattutto, senza dichiarare l'inefficacia, nei confronti degli eredi, dell'atto con cui il cointestatario ha proceduto alla successiva intestazione esclusiva dei titoli a se stesso, alla restituzione della metà del controvalore dei titoli. 3) "violazione e falsa applicazione dell'art. 784 c.p.c. nonché insufficiente motivazione sul punto", con riguardo alla mancata integrazione del contraddittorio nei confronti R G, sorella del ricorrente e, come lui, erede legittima di R M. 4) "Omessa ed insufficiente motivazione circa il mancato accoglimento della domanda riconvenzionale".
Va esaminato preliminarmente il terzo motivo, attenendo la censura in esso contenuta all'integrità del contraddittorio. La censura è priva di pregio.
È principio consolidato quello secondo cui, nel giudizio di divisione ereditaria, la parte che eccepisce la non integrità del contraddittorio, per la mancata partecipazione a giudizio di un coerede, non può limitarsi ad assumere genericamente l'esistenza di liticonsorti pretermessi, ma ha l'onere di indicare le persone degli altri eredi, oltre quelli che, in tale qualità, abbiano ritualmente partecipato alle pregresse fasi del giudizio, e di specificare le ragioni di fatto e di diritto della necessità della integrazione, le quali non debbono apparire prima facie pretestuose o infondate (Cass. n. 7876/91 e n. 363/83). Nella fattispecie in esame, risulta che
l'appellante, odierno ricorrente, ha denunciato, con uno specifico motivo di appello - e, quindi, solo in secondo grado - la violazione dell'art. 784 c.p.c., per la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti della sorella R G, quale coerede, essendo essi, a suo dire, entrambi figli di R Giuseppe, fratello della "de cuius" R M. Ma la corte di appello, in conformità al principio sopra richiamato, ha correttamente rilevato, in proposito, che tale semplice allegazione non è idonea a far attribuire alla predetta R G la qualità di erede di R M ed a rendere la stessa partecipe della comunione ereditaria e, dunque, liticonsorte necessaria nel presente giudizio, ed ha, conseguentemente, respinto il motivo con cui la questione è stata dedotta dall'appellante. Ne deriva che l'analogo motivo di ricorso, con cui la questione è stata riproposta, è infondato. Sono parimenti infondati il primo ed il secondo motivo, che, avuto riguardo alla loro connessione, si prestano ad essere esaminati congiuntamente. La generica censura di violazione di legge e di vizi di motivazione che con i due motivi il ricorrente muove alla corte territoriale non è pertinente, invero, al giudizio di legittimità, pretendendosi, in realtà, con tale denuncia un riesame ed una nuova valutazione delle risultanze processuali, che non possono compiersi in questa sede. La corte di merito, infatti, con accertamenti ed apprezzamenti di dati di fatto e di elementi di giudizio non sindacabili da questa Corte, ha qualificato la cointestazione all'odierno ricorrente dei titoli acquistati da R M alla stregua di un mandato fiduciario senza rappresentanza (art. 1705 c.c.), finalizzato alla gestione, da parte di R A, dei
titoli medesimi, di proprietà della predetta R M, presumibilmente per incapacità di questa a provvedervi personalmente.
Tale qualificazione appare corretta e: porta ad escludere che possa configurarsi, nella fattispecie, una donazione indiretta fatta dalla zia al nipote;
in ordine alla quale ancora una volta la corte, con accertamento in fatto non sindacabile e con motivazione logica ed aderente alle risultanze processuali, ha osservato che manca la prova dell'esistenza di un atto di disposizione patrimoniale o di un atto di liberalità posto in essere dalla prima in favore del secondo, avente ad oggetto l'intero "pacchetto" dei titoli acquistati. Alla luce della qualificazione data al negozio intercorso tra R M e R A, appare corretta, quindi, anche la pronuncia del tribunale, confermata dalla corte, con la quale, in accoglimento della domanda degli attuali resistenti, basata sull'assunto che il danaro incassato dal secondo a seguito della vendita dei titoli, siccome appartenente alla prima, costituiva, alla morte di lei, il relictum e, come tale, andava diviso tra gli eredi, R A è stato condannato a pagare agli attori metà della somma proveniente dalla vendita dei titoli, per la quota, non contestata, loro spettante dell'eredità di R M.
Non sussistono, infine, i vizi di motivazione denunciati con il terzo motivo, essendo, al contrario, logica, congrua e convincente la motivazione con la quale è stata rigettata la domanda riconvenzionale proposta da R A.

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