Cass. civ., SS.UU., sentenza 12/12/2014, n. 26243

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Massime1

La domanda di accertamento della nullità di un negozio proposta, per la prima volta, in appello è inammissibile ex art. 345, primo comma, cod. proc. civ., salva la possibilità per il giudice del gravame - obbligato comunque a rilevare di ufficio ogni possibile causa di nullità, ferma la sua necessaria indicazione alle parti ai sensi dell'art. 101, secondo comma, cod. proc. civ. - di convertirla ed esaminarla come eccezione di nullità legittimamente formulata dall'appellante, giusta il secondo comma del citato art. 345.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., SS.UU., sentenza 12/12/2014, n. 26243
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 26243
Data del deposito : 12 dicembre 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott.

ROVELLI

Luigi A - Primo Presidente f.f. -
Dott. T R M - Presidente di Sez. -
Dott. R R - Presidente di Sez. -
Dott. P L - Presidente di Sez. -
Dott. D P S - Consigliere -
Dott. B E - rel. Consigliere -
Dott. DI A S - Consigliere -
Dott. C A - Consigliere -
Dott. T G - est. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

262 4 / i


REPUBBLICA ITALIANA

Oggett4
IN

NOME DEL POPOLO ITALIANO

Nullità e
impugnative
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE negoziali -
contrasto
SEZIONI UNITE CIVILIR.G.N. 35042/2006
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
cron
Dott. LUIGI ANTONIO ROVELLI - Primo Pres.te f.f. - Z G 21(3 Dott. ROBERTO MICHELE TRIOLA - Presidente Sezione - ReP • F.:1 Ud. 08/04/2014
Dott. R R - Presidente Sezione -
PU
Dott. L P - Presidente Sezione -
Dott. S D P - Consigliere -
Dott. ETTORE BUCCIANTE - Rel. Consigliere -
Dott. SERGIO DI AMATO - Consigliere -
Dott. AURELIO CAPPABIANCA - Consigliere -
Dott. GIACOMO TRAVAGLINO - Est. Consigliere -
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso 35042-2006 proposto da:
VANNI ANTONIO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA 2014

VALADIER

44, presso lo studio dell'avvocato

GONNEILA

193 GIULIO, rappresentato e difeso dagli avvocati CONSOLO CLAUDIO, MONTEBELLI QUARTO, GIANPIERO SAMORI', per delega a margine del ricorso;



- ricorrente -


contro
MELUCCI MASSIMO nella qualità di socio della società semplice GID Novecento, FASCIOLI LICIA in proprio e
nella qualità di socio della società semplice GID
Novecento, elettivamente domiciliati in ROMA,

PIAZZA AUGUSTO IMPERATORE

22, presso lo studio dell'avvocato POTTINO GUIDO, che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato GALGANO FRANCESCO, per delega a margine del controricorso;



- controricorrenti -


avverso la sentenza n. 741/2006 della CORTE D'APPELLO di BOLOGNA, depositata il 03/07/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/04/2014 dal Consigliere Dott. ETTORE BUCCIANTE;

uditi gli avvocati Romano VACCARELLA per delega
dell'avvocato Quarto Montebelli, Rita ROLLI per delega dell'avvocato Federico Galgano, Guido POTTINO;

udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott. UMBERTO APICE, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.


1. I FATTI E I MOTIVI DI RICORSO


1.1. Nel febbraio del 1999 A V convenne in giudizio Licia F - in proprio e quale socia della società semplice GID Novecento - e Massimo M, a sua volta socio della GID, impugnò dinanzi al Tribunale di Milano il lodo reso all'esito di un arbitrato irrituale e di equità, di natura anche transattiva, avente ad oggetto contrapposte domande di adempimento o di risoluzione di due distinti contratti preliminari, con i quali era stata prevista:
• La costituzione di una società in nome collettivo, il conferimento in essa di determinati beni, la successiva cessione delle relative quote al V;

• La alienazione di un capannone industriale.


1.2. Il collegio arbitrale, acquisiti vari documenti e disposta consulenza tecnica., aveva pronunciato la risoluzione di tali contratti per inadempimento di entrambe le parti, disponendo in ordine alle conseguenti restituzioni e reintegrazioni.


1.3. Il V chiese la declaratoria di invalidità del lodo, per errore essenziale nella percezione della realtà e travisamento del fatto da parte degli arbitri, per violazione di norme inderogabili e per duplice errore di fatto nella ricostruzione ed intepretazione dei contratti, nonché, in via subordinata, per errore essenziale di percezione, eccesso di mandato ed erroneo accertamento di quanto a lui dovuto a titolo restitutorio.

1.4. Nel costituirsi in giudizio, i convenuti eccepirono in limine l'incompetenza per territorio dell'autorità giudiziaria adita, indicando come competente il Tribunale di Rimini. Il Tribunale di Milano, accolta l'eccezione, dichiarò la propria incompetenza in favore di quest'ultimo, assegnando il termine per la riassunzione della causa, onere tempestivamente assolto dal V, che riformulò le domande già proposte dinanzi al primo giudice.

1.5. Nelle more, il Tribunale di Rimini, adito con ricorso dalla F e dal M - che chiedevano l'adempimento delle obbligazioni derivanti dal lodo, e in particolare la restituzione dellmAlexandra Plaza Hotel" -, aveva autorizzato il sequestro giudiziario dell'azienda alberghiera. I ricorrenti, anche in nome della GID, provvidero poi ad instaurare il relativo giudizio di ['1
merito nei confronti di A e Cristina V e della s.r.l. Vacanze 2000 chiedendo la conferma del provvedimento cautelare ottenuto ante causam, il risarcimento dei danni conseguenti all'inadempimento del lodo e, soltanto nei confronti Cristina V e della s.r.l. Vacanze 2000, il ristoro dei pregiudizi loro arrecati dall'illegittima e protratta detenzione dei beni indicati.


1.6. Il Tribunale di Rimini, con sentenza non definitiva del 15 ottobre 2001, rigettò la domanda di A V, dichiarandolo obbligato, insieme con Cristina V e con la s.r.l. Vacanze 2000, rimaste contumaci, alla restituzione dell'azienda alberghiera e al risarcimento dei danni - da determinarsi nel prosieguo del giudizio - determinati dall'inadempimento delle obbligazioni scaturenti dal lodo, previo pagamento in suo favore, da parte della F e del M, della somma di £. 950.000.000. 1.7. La sentenza fu impugnata da Cristina V e dalla Vacanze 2000 s.r.l. eccependo, la prima, il proprio difetto di legittimazione passiva, la seconda, il vizio di ultrapetizione e di violazione del principio della relatività dei contratti, non avendo preso parte al giudizio arbitrale;



1.8. Con separato atto di impugnazione, A V dedusse, a sua volta: 1) l'invalidità della clausola compromissoria in quanto transattiva;
2) la nullità di detta clausola in quanto inserita in un negozio simulato, altre essendo state le reali intenzioni delle parti, sì come desumibili da specifiche dichiarazioni confessorie, dimostrative dell'intento di trasferire sic et simpliciter l'azienda e non anche di costituire una società;
3) il vizio di eccesso di mandato del lodo;
4) la violazione del principio del contraddittorio e l'omessa pronuncia sulla censura concernente l'eccesso di mandato;
5) l'errore di fatto revocatorio in relazione all'omessa considerazione, da parte degli arbitri, delle proroghe concesse al V per la produzione dei documenti necessari per il trasferimento del capannone.

1.9. Instauratosi il contraddittorio, gli appellati eccepirono l'inammissibilità delle
questioni introdotte per la prima volta in grado di appello, chiedendo poi, nel merito, il rigetto delle impugnazioni.


1.10. La Corte di appello di Bologna, con sentenza del 3 luglio 2006, dichiarò inammissibile le domande proposte nei confronti di Cristina V, ed affetta da nullità per violazione dell'art. 112 cod. proc. civ. la condanna pronunciata nei confronti della Vacanze 2000 s.r.l. al risarcimento dei danni derivanti dal mancato tempestivo adempimento delle obbligazioni aventi la propria fonte nelle determinazioni arbitrali, confermando nel resto l'impugnata decisione.


1.11. Per quanto ancora di rilievo in questa sede, la decisione di rigetto dell'appello del V resa dalla Corte felsinea risulta fondata sulle considerazioni che seguono:
• Quanto al primo motivo di appello (Invalidità della clausola compromissoria in quanto transattiva), a detta del giudice territoriale "il V aveva chiaramente dedotto ipotesi di nullità o di annullamento" caratterizzate dalla evidente novità delle relative deduzioni, in violazione del limite preclusivo costituito dal principio della domanda. La Corte, dopo aver rilevato in limine la conseguente inammissibilità per novità delle domande proposte in appello, aggiungerà, "per completezza di esposizione", che "la questione attinente alla nullità della clausola compromissoria in quanto transattiva" era infondata nel merito, non potendosi per converso ritenere "tout court transattiva tale clausola, salvo negare, in via generale, l'essenza stessa dell'arbitrato irrituale, mentre la previsione (quale quella di specie) del futuro conferimento agli arbitri di un mandato di ampiezza tale da comprendere anche la risoluzione di questioni insorgende ma non ancora attuali doveva ritenersi del tutto legittima, atteso che, inoltre, i residuali poteri transattivi non erano stati concretamente utilizzati dal collegio arbitrale che, come previsto in via principale dalla clausola compromissoria, erano pervenuto alle proprie determinazioni applicando precise regola giuridiche, ritenute conformi ad una composizione della vertenza secondo equità" (così la motivazione della sentenza da folio 10 a folio 14);

• Quanto al secondo motivo (Nullità della clausola in quanto inserita in un negozio simulato) , il giudice felsineo osserva che la censura di nullità della clausola compromissoria in quanto inerente a una serie , di pattuizioni simulate, come tali affette da nullità, riproponeva, sì,
un tema già affrontato (ancorché incidenter tantum) dallo stesso collegio arbitrale, ma, nel giudizio di primo grado, la questione era stata riproposta in termini assolutamente diversi da quelli poi prospettati in sede di appello, nel senso che il lodo veniva impugnato - quanto alla simulazione del contratto contenente la clausola compromissoria - sotto il profilo dell'erronea percezione della realtà da parte del collegio arbitrale e di violazione di norme inderogabili (artt. 2730 e 2732 c.c.) - questione peraltro non riproposta e quindi abbandonata ex art. 346 c.p.c. -. Di converso, "Non era mai stata in maniera chiara dedotta, nel giudizio di primo grado, la nullità "derivata" della clausola compromissoria in quanto inserita in un contratto a sua volta affetto da nullità" (ex simulatione). Di tal che "appariva innegabile", aggiungerà la Corte territoriale, "la sostanziale differenza tra tale deduzione (inerente ad un vizio derivante dalla nullità della clausola compromissoria) e la prospettazione di un vizio della volontà del lodo-negozio giuridico". Anche se "i temi dell'inapplicabilità all'arbitrato irrituale del principio di autonomia della clausola compromissoria e, quanto al merito, della ricorrenza o meno della simulazione nel caso di costituzione di società finalizzata al trasferimento di beni immobiliari" sarebbero state meritevoli "di attenta considerazione: tuttavia le preclusioni derivanti dalla tardività della deduzione del vizio intrinseco della clausola compromissoria" dovevano ritenersi irrimediabilmente "ostative al loro esame", atteso il principio della impossibilità di proporre domande nuove, anche sotto il profilo del mutamento della causa petendi, quando la domanda, come nel caso in esame, fosse stata "diretta a far valere l'invalidità del negozio impugnato". E, poiché il thema decidendum vedeva direttamente sull'illegittimità dell'atto, "una diversa ragione di nullità non poteva essere rilevata di ufficio né poteva essere dedotta per la prima volta in gradi di appello, trattandosi di domanda nuova e diversa da quella ab origine proposta dalla parte nel suo diritto di azione".
• Quanto (ancora) al secondo motivo, esso introduceva la controversa questione circa la sussistenza, o meno, in capo al giudice ordinario, del potere di deliberare, in tema di arbitrato irrituale, in ordine alla validità ed efficacia della clausola compromissoria. Osserva, in proposito, la Corte di appello che, anche aderendo alla tesi affermativa, "non potevano obliterarsi i dettami e le preclusioni che regolano l'ordinato svolgimento del processo". A rigore, difatti, "il vizio denunciato doveva qualificarsi non già in termini di invalidità, ma - comportando la nullità della clausola compromissoria l'insussistenza del potere in capo agli arbitri in quanto mandatari, con conseguente inefficacia e non già nullità del lodo - veniva a realizzarsi una più profonda violazione di quei dettami, in quanto, ad una iniziale deduzione di un vizio del consenso del lodo sarebbe subentrato, nel grado successivo, la deduzione dell'inefficacia del lodo stesso, previa contestazione, per la prima volta in appello, della nullità derivata della clausola compromissoria, mentre la stessa inefficacia (pur diversa dalla nullità) non si sottrae al divieto della rilevabilità d'ufficio. Non senza considerare ancora che "l'espletamento senza rilievi dell'arbitrato e la proposizione di un giudizio di primo grado in cui non sia stata ritualmente introdotta la questione dell'inefficacia del lodo comportano la sostanziale ratifica, ex artt. 1399, 1712 c.c., dell'operato degli arbitri, con conseguente impossibilità di far valere successivamente la già sanata inefficacia".

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