Cass. civ., SS.UU., ordinanza 17/04/2019, n. 10770

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., SS.UU., ordinanza 17/04/2019, n. 10770
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 10770
Data del deposito : 17 aprile 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

nunciato la seguente ORDINANZA sul ricorso 25898-2018 proposto da: V A, elettivamente domiciliato in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato A C;

- ricorrente -

L G V, elettivamente domiciliato in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato A C;
- ricorrente successivo -

contro

PROCURATORE GENERALE RAPPRESENTANTE IL PUBBLICO MINISTERO PRESSO LA CORTE DEI CONTI, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA BAIAMONTI

25;
- con troricorrente - nonchè

contro

PROCURATORE REGIONALE PRESSO LA CORTE DEI CONTI, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE, REGIONE EMILIA ROMAGNA;

- intimati -

avverso la sentenza n. 176/2018 della CORTE DEI CONTI - I SEZIONE GIURISDIZIONALE CENTRALE D'APPELLO - ROMA, depositata il 30/04/2018. Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/03/2019 dal Consigliere A P L.

FATTI DI CAUSA

1. - La Procura regionale presso la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Emilia-Romagna convenne in giudizio A V e L G V, nelle loro qualità di consigliere e di presidente di gruppo consiliare dell'Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna, per sentirli condannare, a titolo di danno erariale, al rimborso delle spese (per pasti, trasporti, convegni, beni vari, spese di rappresentanza, ecc.) dal primo sostenute e dal secondo non controllate e vistate nei relativi documenti giustificativi, per l'utilizzo di fondi assegnati ai gruppi consiliari, nel periodo 2011 e 2012, ritenute non giustificate perché non inerenti all'attività e al funzionamento del gruppo cui appartenevano. Ric. 2018 n. 25898 sez. SU - ud. 12-03-2019 -2- Con sentenza non definitiva del 24 giugno 2016 e definitiva del 14 giugno 2017, l'adita Sezione giurisdizionale, in parziale accoglimento della domanda dell'Ufficio requirente territoriale, li condannò al pagamento di complessivi C 30150,10, oltre accessori. 2.- I gravami avverso detta decisione sono stati parzialmente accolti dalla Sezione giurisdizionale centrale di appello della Corte dei conti, con sentenza resa pubblica in data 30 aprile 2018, che ha ridotto l'importo da risarcire a C 18845,10 per ciascuno, oltre accessori. 2.1.- Il giudice contabile, per quanto interessa in questa sede, ha osservato che: 1) mancava una specifica «lettera di incarico» del gruppo consiliare al consigliere che aveva effettuato le spese o una specifica e motivata attestazione del presidente del gruppo, in caso di impossibilità di documentazione delle stesse, come richiesto dall'art. 6, commi secondo e terzo, della legge reg. 8 settembre 1997, n. 32, non essendo sufficiente che le voci di spesa fossero comprese nelle macrocategorie di spesa rimborsabili secondo la delibera dell'Ufficio di Presidenza n. 5 del 2012;
2) mancava la dimostrazione (a carico degli incolpati) della congruità e inerenza, cioè del collegamento funzionale delle spese indicate al funzionamento e all'attività del Gruppo consiliare, trattandosi piuttosto di spese non di partecipante al Gruppo di riferimento, ma ricollegabili all'attività di consigliere o all'attività politica nei collegi elettorali;
3) il Villani, in qualità di capogruppo, era responsabile per essersi limitato ad apporre il visto sui documenti di spesa del consigliere e firmare il «riepilogo del rimborso spese», senza valutarne la riconducibilità all'attività istituzionale del gruppo. 3.- Avverso tale sentenza hanno proposto separati ricorsi per cassazione Vecchi e Villani, illustrati da memoria;
ha resistito il Procuratore generale rappresentante il Pubblico ministero presso la Corte dei conti. Ric. 2018 n. 25898 sez. SU - ud. 12-03-2019 -3- I ricorsi sono stati avviati alla trattazione in camera di consiglio, ai sensi dell'art. 380-bis.1 c.p.c.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Preliminarmente, dev'essere rigettata l'istanza dei ricorrenti di discussione dei ricorsi in udienza pubblica, non ravvisandosi profili di rilievo nomofilattico che possano giustificarla, neppure desumibili dalla recente sentenza della Corte costituzionale n. 43 del 2019, la quale ha sì accolto un conflitto di attribuzioni sollevato dalla regione Emilia Romagna nei confronti dello Stato, ma in relazione a una vicenda - nella quale la Procura regionale della Corte dei conti aveva agito per il danno erariale derivante dalla nomina del Capo di Gabinetto del Presidente dell'Assemblea legislativa regionale non in possesso del titolo di studio della laurea - ben diversa e non interferente con quella delle erogazioni di contributi pubblici assegnati ai gruppi consiliari della medesima regione. 2.- Sempre in via preliminare, non si frappone all'esame dei motivi di censura l'esistenza di un giudicato interno sulla giurisdizione per non essere stato il giudice di appello della Corte dei conti già investito della questione stessa di giurisdizione per eccesso di potere giurisdizionale, su cui si fondano i proposti ricorsi. Invero, per poter configurare la formazione di un giudicato (anche implicito, a partire dal Cass., S.U., n. 24883 del 2008) sulla giurisdizione, rilevabile dalla Corte di cassazione, è necessaria l'esistenza nella sentenza di primo grado di un capo autonomo sulla giurisdizione impugnabile, ma non impugnato in appello. Tale capo autonomo sulla giurisdizione non è ravvisabile nella sentenza di primo grado del giudice speciale che sia, astrattamente, affetta dal vizio di eccesso di potere giurisdizionale, il quale è storicamente da ricondursi nell'alveo di quella particolare competenza attribuita alle Sezioni Unite, sin dalla legge n. 3761 del 1877, di giudice dei conflitti di attribuzione (non riservati alla Corte Ric. 2018 n. 25898 sez. SU - ud. 12-03-2019 -4- costituzionale) e che, sempre storicamente, si distingue dalla competenza in materia di riparto di giurisdizione, cui si rivolge l'art.37 c.p.c. Detto vizio, quindi, viene ad integrare una questione di merito e non di giurisdizione, con la conseguenza che l'errore commesso dal giudice speciale è rimediabile con la proposizione del gravame in base alle regole processuali proprie del plesso giurisdizionale di riferimento. Pertanto, con la proposizione dell'appello il giudice speciale di secondo grado è investito dell'esame degli errores in iudicando e in procedendo imputati alla sentenza di primo grado e l'eventuale errore del Consiglio di Stato e della Corte dei conti nella valutazione della specificità o pertinenza dei motivi di gravame integra, a sua volta, un error in procedendo incensurabile dalle Sezioni Unite. Del resto, ritenere che, per escludere il giudicato sulla giurisdizione (in tesi formatosi in primo grado), la parte soccombente debba formulare davanti al Consiglio di Stato e alla Corte dei conti un motivo di impugnazione della sentenza per eccesso di potere giurisdizionale, non si giustifica alla luce del rilievo che la parte soccombente in primo grado non ha interesse a proporre un simile motivo, essendo tenuta a proporre l'ordinario rimedio dell'appello in base all'ordinamento processuale amministrativo (che non prevede uno specifico motivo di gravame per eccesso di potere giurisdizionale). L'inconfigurabilità di un giudicato implicito sulla giurisdizione è stata affermata da Cass., S.U., 10 settembre 2013, n. 20698, nel caso in cui l'interesse a sollevare l'eccezione di difetto di giurisdizione - nella specie, per asserita invasione della sfera delle attribuzioni riservate al legislatore - sorga sulla base del percorso decisionale in concreto adottato dal giudice speciale d'appello. Soluzione, questa, che comunque presupporrebbe un sindacato delle Sezioni Unite in Ric. 2018 n. 25898 sez. SU - ud. 12-03-2019 -5- punto di proposizione, tempestiva e adeguata, in appello (in ipotesi come violazione di legge) della questione dell'invasione della sfera delle attribuzioni;
sindacato che, invece, non è consentito alle stesse Sezioni Unite, non ricadendo su un capo autonomo sulla giurisdizione (rispetto al quale è possibile il formarsi di un giudicato interno), ma su un profilo pienamente inerente alla giurisdizione speciale. Invero, l'interesse a coinvolgere le Sezioni Unite potrà sorgere esclusivamente rispetto alla sentenza d'appello che, essendo espressione dell'organo di vertice del relativo plesso giurisdizionale speciale, è anche la sola suscettibile di arrecare un vulnus all'integrità della sfera delle attribuzioni degli altri poteri, dell'amministrazione, del legislatore o di altre giurisdizioni. In tale prospettiva, Cass., S.U., 18 novembre 2015, n. 23542 ha affermato che «il vizio di eccesso di potere giurisdizionale del giudice ordinario per aver quest'ultimo esercitato un potere non previsto dalla legge o in aperta violazione della legge, pur qualificandosi come più radicale vizio di violazione di legge, non è deducibile come "questione di giurisdizione" [...] ma trova la sua risposta di giustizia, per le parti in causa, nel sistema processuale delle impugnazioni». Analogamente, rispetto alle sentenze del Tar e della Corte dei conti in primo grado può dispiegarsi a tutto campo il sindacato di legittimità del Consiglio di Stato e della Corte dei conti in grado di appello per violazione di legge (parallelamente a quanto previsto dalla regola generale del settimo comma dell'art. 111 Cost.), atteso che, come osservato dalle Sezioni Unite, in tali ambiti «il canone dell'eccesso di potere giurisdizionale non ha, in linea di massima, autonomia concettuale e normativa rispetto alla violazione di legge» (Cass., S.U., n. 23542 del 2015, citata);
si finirebbe altrimenti per attribuire indirettamente al Consiglio di Stato e alla Corte dei conti la verifica dell'esistenza dell'eccesso di potere giurisdizionale, compito che è invece costituzionalmente riservato alle Sezioni Unite. Ric. 2018 n. 25898 sez. 5U - ud. 12-03-2019 -6- E', dunque, da escludere la configurabilità di un giudicato interno sulla giurisdizione che possa precludere il ricorso alle Sezioni Unite per eccesso di potere giurisdizionale avverso le sentenze del Consiglio di Stato e della Corte dei conti emesse in grado di appello. L'eccezione di giudicato implicito sollevata dal Procuratore generale contabile è quindi infondata, come già ritenuto in fattispecie similare da Cass. S.U. 16 gennaio 2019, n. 1034. 3. I ricorsi, dall'identico tenore, sono affidati a due motivi. 3.1.- Con il primo motivo è denunciato, ai sensi degli artt. 360, primo comma, n. 1, e 362 c.p.c., difetto assoluto di giurisdizione del giudice contabile in fattispecie attinente a questioni riservate all'organo legislativo regionale, sottratte ad un sindacato nel merito delle scelte discrezionali rimesse all'autonomia politica dei gruppi consiliari, con conseguente violazione dei limiti esterni della giurisdizione contabile. Si premette nel motivo che la legge regionale n. 32 del 1997 - prima della modifica intervenuta con legge regionale n. 17 del 21 dicembre 2012, non applicabile ai fatti contestati - disciplinava in modo completo «un controllo serio ed imparziale sull'utilizzazione dei finanziamenti pubblici dei gruppi» da parte del Consiglio regionale, quale «funzione tipica dell'Assemblea», come tale sottratto, per effetto dell'art. 123 Cost., «a qualsiasi controllo di organo giurisdizionale, anche contabile» e ciò sino alla promulgazione del d.l. 10 ottobre 2012, n. 174, conv. in legge 7 dicembre 2012, n. 213, che aveva introdotto il «controllo contabile in sede di parifica», regolando puntualmente le modalità del sindacato della Corte dei conti sulle spese dell'Assemblea legislativa, fermo restando che la verifica era effettuata direttamente dal Consiglio regionale in base all'art. 1, comma 5, della legge regionale n. 32 del 1997, nell'ambito della «autodichia delle spese sostenute dai gruppi consiliari»;
che la delibera n. 5/2012 dell'ufficio di presidenza del Consiglio regionale, Ric. 2018 n. 25898 sez. SU - ud. 12-03-2019 -7- comunque applicabile solo pro futuro, aveva individuato «16 voci di spesa suscettibili di gravare sul bilancio regionale attraverso i contributi annualmente versati ai singoli gruppi consiliari, sulla scorta dei rendiconti e della documentazione giustificativa da questi ultimi esibiti e approvati dalla stessa Assemblea legislativa» e, in ogni caso, contemplava espressamente tra le voci di spesa suscettibili di gravare sul bilancio regionale attraverso i contributi versati ai singoli gruppi consiliari, sulla scorta della documentazione giustificativa e dei rendiconti esibiti e approvati dall'Assemblea legislativa, numerose ed eterogenee voci di spesa, come quelle per ogni «servizio di documentazione», per le «iniziative pubbliche del gruppo» (ad esempio «convegni, seminari, noleggio strutture ed attrezzature per manifestazioni, organizzazione meeting, simposi, volantinaggio, ristorazione, ospitalità relatori e partecipanti»), per i «rimborsi spese ai consiglieri» («pranzi di lavoro, treno, auto, pedaggi, aereo, hotel per incontri e missioni», ecc.), per «spese di rappresentanza», ecc. Tanto premesso, si assume che la Corte dei conti abbia effettuato un controllo nel «merito della spesa», al punto di valutarne la utilità o proficuità, e non già un controllo di legittimità che era l'unico consentito e che si sarebbe dovuto esaurire nel ricondurre le spese rendicontate alle tipologie di spese elencate nella citata deliberazione assembleare n. 5/2012, risolvendosi nella censura all'istituto stesso del finanziamento ai gruppi consiliari e alle modalità di rendicontazione delle spese, come tali riconosciute dall'Ufficio di presidenza e, quindi, dall'Assemblea, «unico organo titolare del potere di controllo»;
quindi la Corte avrebbe sconfinato dai limiti della propria giurisdizione per invadere indebitamente l'autonomia riservata all'Assemblea legislativa, creando, in luogo di quello «normativamente previsto di competenza esclusiva del Consiglio regionale», una «norma di attribuzione di una verifica contabile ulteriore rispetto a quella documentale», con l'effetto di sindacare il Ric. 2018 n. 25898 sez. SU - ud. 12-03-2019 -8- merito dell'operato dei presidenti dei gruppi che era stato unicamente quello di trasmettere all'Assemblea rendiconti - già dichiarati regolari dal comitato tecnico per la rendicontazione dei gruppi assembleari e dall'ufficio di presidenza - che prevedevano una destinazione delle risorse finanziarie coerente e conforme al vincolo di destinazione impresso dalla citata delibera;
in altri termini, avrebbe operato nell'ambito della discrezionalità riservata al Consiglio regionale e ai suoi organi, tutelata costituzionalmente dall'art. 122, quarto comma, Cost., «anch'esso specificamente violato, perché l'esame normativamente previsto era stato normativamente superato», sconfinando nell'ambito delle scelte discrezionali e di merito riservate all'autonomia politica dei gruppi. 3.1.1.- Il motivo è infondato. Questa Corte ha più volte affermato (Cass., S.U. 31 ottobre 2014, n. 23257;
S.U. 21 aprile 2015, n. 8077;
S.U. 28 aprile 2015, n. 8570;
S.U. 29 aprile 2015, n. 8622;
S.U. 8 aprile 2016, n. 6895;
S.U. 7 settembre 2018, n. 21927;
S.U. 17 dicembre 2018, n. 32618;
S.U. 16 gennaio 2019, n. 1035 e 1034, quest'ultima con riferimento alla Regione Emilia Romagna) che la gestione dei fondi pubblici erogati ai gruppi partitici dei consigli regionali è soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di responsabilità erariale, sia perché a tali gruppi - pur in presenza di elementi di natura privatistica connessi alla loro matrice partitica - va riconosciuta natura essenzialmente pubblicistica in relazione alla funzione strumentale al funzionamento dell'organo assembleare da essi svolta, sia in ragione dell'origine pubblica delle risorse e della definizione legale del loro scopo, senza che rilevi il principio dell'insindacabilità di opinioni e voti ex art. 122, quarto comma, Cost., non estensibile alla gestione dei suddetti contributi. Le argomentazioni svolte dai ricorrenti (e ribadite con la memoria depositata in prossimità dell'adunanza) circa l'asserito Ric. 2018 n. 25898 sez. SU - ud. 12-03-2019 -9- vulnus alle prerogative del Consiglio regionale, per essere oggetto di autodichia la verifica delle spese dei gruppi consiliari in base all'art. 1, comma 5, della legge regionale n. 32 del 1997 (nella formulazione precedente alla modifica recata dalla legge regionale 21 dicembre 2012, n. 17), non colgono nel segno. L'invocata guarentigia di cui all'art. 122, quarto comma, Cost., in quanto deroga alla regola generale della giurisdizione (Corte cost. n. 200 del 2008), «non mira ad assicurare una posizione di privilegio ai consiglieri regionali, ma a preservare da interferenze e condizionamenti esterni delle determinazioni inerenti alla sfera di autonomia costituzionalmente riservata al Consiglio regionale (ex plurimis, sentenze n. 195 del 2007, n. 392 e n. 391 del 1999)» (Corte cost. n. 332 del 2011), e «non copre gli atti non riconducibili ragionevolmente all'autonomia ed alle esigenze ad essa sottese» (Corte cost. n. 289 del 1997). A tal riguardo, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 235 del 2015, ha ribadito - proprio a fronte di analoga doglianza mossa dalla Regione Emilia-Romagna in sede di giudizio per conflitto di attribuzione contro il Presidente del Consiglio dei ministri sorto a seguito di atti di citazione emessi dalla Procura regionale nei confronti dei capigruppo e di alcuni consiglieri regionali - che, in ordine alla gestione delle somme erogate a titolo di contributi pubblici ai gruppi consiliari, i capigruppo dei Consigli regionali e tutti i consiglieri regionali, anche se sottratti alla giurisdizione di conto, restano assoggettati alla responsabilità amministrativa e contabile (oltre che penale, ricorrendone i presupposti), anche se sottratti alla giurisdizione di conto prima dell'esercizio finanziario 2013 (cfr. Corte cost. n. 130 del 2014), conclusione questa che resta ferma anche rispetto alla disciplina recata dalla citata legge regionale n. 32 del 1997 e, quindi, all'intervenuta approvazione dei rendiconti da parte del comitato tecnico o dell'ufficio di presidenza. Ric. 2018 n. 25898 sez. SU - ud. 12-03-2019 -10- Opinare diversamente - si afferma ancora nella sentenza n. 235 del 2015 - condurrebbe «al risultato abnorme, e senza dubbio contrario alla natura eccezionale della guarentigia di cui all'art. 122, quarto comma, Cost., di delineare un'area di totale irresponsabilità civile, contabile e penale in favore dei consiglieri regionali», peraltro venendo a configurare, «in maniera paradossale e del tutto ingiustificata, una tutela della insindacabilità delle opinioni dei consiglieri regionali più ampia di quella apprestata [...] ai parlamentari nazionali», in contrasto «sia con il principio di responsabilità per gli atti compiuti, che informa l'attività amministrativa (artt. 28 e 113 Cost.), sia con il principio che riserva alla legge dello Stato la determinazione dei presupposti (positivi e negativi) della responsabilità penale (art. 25 Cost.)». L'accertamento rimesso in tale ambito alla Corte dei conti, affinché non debordi dai limiti esterni imposti alla sua giurisdizione, non può investire l'attività politica del presidente del gruppo consiliare o le scelte di «merito» dal medesimo effettuate nell'esercizio del mandato, ma deve mantenersi nell'alveo di un giudizio di conformità alla legge dell'azione amministrativa (art. 1 della legge n. 20 del 1994), come ribadito anche dalla Corte costituzionale (n. 235 e 107 del 2015). E tuttavia, diversamente da quanto sostenuto dai ricorrenti, l'astratta riconducibilità delle spese sostenute dai singoli consiglieri alle categorie di cui alla delibera consiliare n. 5 del 2012 non vale, di per sé, a fare escludere necessariamente la possibilità che le singole spese siano «non inerenti» all'attività del gruppo, nei casi in cui non sia rispettato il parametro di ragionevolezza, soprattutto con riferimento alla entità o proporzionalità, oltre che all'effettività delle spese, anche sotto il profilo della veridicità della relativa documentazione. Ric. 2018 n. 25898 sez. SU - ud. 12-03-2019 -11- In siffatto alveo - e, dunque, nei limiti interni della giurisdizione contabile - rimane la verifica, rimessa alla Corte dei conti, della «manifesta difformità», in ciò consistendo propriamente il giudizio di non «inerenza» delle attività di gestione del contributo erogato ai gruppi consiliari rispetto alle finalità, di preminente interesse pubblico, che allo stesso imprime la normativa vigente, in termini di congruità e di collegamento teologico delle singole voci di spesa ammesse al rimborso alle finalità pubblicistiche dei gruppi. In tal senso deve intendersi il principio secondo cui non è ravvisabile un profilo di immunità costituzionalmente garantita in capo agli organi regionali, avendo anch'essi l'obbligo di rispettare il vincolo di destinazione dei contributi erogati ai gruppi, la cui violazione può essere accertata in sede giurisdizionale nei confronti dei responsabili. Ed è proprio questa la verifica compiuta dai giudici contabili nella sentenza impugnata in questa sede, imperniata su un giudizio di manifesta incongruità tra i contributi percepiti e i fini per i quali erano stati erogati ai gruppi del Consiglio regionale dell'Emilia Romagna. 4.- Il secondo mezzo denuncia, ai sensi degli artt. 360, primo comma, n. 1, e 362 c.p.c., il difetto assoluto di giurisdizione per avere disapplicato la legislazione regionale vigente, incorrendo in eccesso di potere e prescindendo dalla disciplina normativa ad hoc, vigente in materia, avendo imputato ai ricorrenti l'omessa preventiva produzione di una lettera d'incarico da parte del capogruppo, cui aveva collegato la riconduzione delle spese alle esigenze personali dei consiglieri, mentre l'art. 6, secondo comma, della legge reg. n. 32 del 1997 non richiede affatto la preventiva determinazione né tantomeno una lettera d'incarico o un'autorizzazione preventiva del capogruppo. 4.1.- Il motivo è inammissibile, risolvendosi nella denuncia di un error in iudicando - che è evidentemente estraneo al sindacato rimesso alle Sezioni Unite - nell'interpretazione dell'art. 6, secondo Ric. 2018 n. 25898 sez. SU - ud. 12-03-2019 -12- comma, della legge n. 32 del 1997, nel senso della necessità dell'autorizzazione preventiva espressa da parte dei gruppi di appartenenza al compimento della (o alla partecipazione alle) attività cui si riferisce la spesa, al fine di rendere possibile il rimborso, che la sentenza impugnata ha risolto in senso affermativo, valorizzando le parole usate dal legislatore («consiglieri stessi [...] incaricati di [...]...») e il regime «eccezionale» altrimenti previsto, per il rimborso, dal terzo comma dello stesso art.
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