Cass. civ., SS.UU., sentenza 23/12/2005, n. 28498
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Segnala un errore nella sintesiIl giudice ha accolto il ricorso della curatela, evidenziando che la Corte d'appello aveva erroneamente ritenuto che la mancanza del fascicolo di primo grado impedisse di accertare la conoscenza dell'insolvenza da parte della convenuta. La Corte ha sottolineato che l'appellante ha l'onere di produrre i documenti a sostegno delle proprie censure e che la mancanza di tali prove non può giustificare l'accoglimento dell'appello. Pertanto, la sentenza impugnata è stata cassata e il caso è stato rinviato per una nuova valutazione, stabilendo che la Corte d'appello dovrà considerare i principi di diritto esposti.
Massime • 2
Nel sistema processualcivilistico vigente - in specie dopo il riconoscimento costituzionale del principio del giusto processo - opera il principio di acquisizione della prova, in forza del quale un elemento probatorio, una volta introdotto nel processo, è definitivamente acquisito alla causa e non può più esserle sottratto, dovendo il giudice utilizzare le prove raccolte indipendentemente dalla provenienza delle stesse dalla parte gravata dell'onere probatorio. Ne consegue che la parte che nel corso del processo chieda il ritiro del proprio fascicolo ha l'onere di depositare copia dei documenti probatori che in esso siano inseriti, onde impedire che qualora essa, in violazione dei principi di lealtà e probità, ometta di restituire il fascicolo con i documenti in precedenza prodotti, risulti impossibile all'altra parte fornire, anche in sede di gravame, le prove che erano desumibili dal fascicolo avversario.
L'appellante è tenuto a fornire la dimostrazione delle singole censure, atteso che l'appello, non è più, nella configurazione datagli dal codice vigente, il mezzo per passare da uno all'altro esame della causa, ma una "revisio" fondata sulla denunzia di specifici "vizi" di ingiustizia o nullità della sentenza impugnata. Ne consegue che è onere dell'appellante, quale che sia stata la posizione da lui assunta nella precedente fase processuale, produrre, o ripristinare in appello se già prodotti in primo grado, i documenti sui quali egli basa il proprio gravame o comunque attivarsi, anche avvalendosi della facoltà , ex art. 76 disp. att. cod. proc. civ., di farsi rilasciare dal cancelliere copia degli atti del fascicolo delle altre parti, perchè questi documenti possano essere sottoposti all'esame del giudice di appello, per cui egli subisce le conseguenze della mancata restituzione del fascicolo dell'altra parte (nella specie rimasta contumace), quando questo contenga documenti a lui favorevoli che non ha avuto cura di produrre in copia e che il giudice di appello non ha quindi avuto la possibilità di esaminare.
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. C V - rel. Presidente aggiunto -
Dott. I G - Presidente di sezione -
Dott. P E - Consigliere -
Dott. P R - Consigliere -
Dott. A E - Consigliere -
Dott. V M - Consigliere -
Dott. L M G - Consigliere -
Dott. M G - Consigliere -
Dott. C C - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
FALLIMENTO "CARAFA TRASPORTI DI MUSARDO COSIMO &C. s.n.c.", in persona del curatore, elettivamente domiciliato in Roma, Via Cattaro n. 28, presso l'avv. P S, unitamente all'avv. CENTONZE G del Foro di Lecce, che lo rappresenta e difende in virtù di procura in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
M PTROLI S.a.s., in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliato in Roma, Viale delle Milizie n. 106, presso l'avv. V G, unitamente all'avv. F Z del Foro di Lecce, che lo rappresenta e difende in virtù di procura a margine del controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza della Corte d'appello di Lecce n. 809/2000 dell'8 febbraio 2000. Udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 29 settembre 2005 dal Pres. Dr. V C;
Udito, per la società resistente, l'avv. Zompi;
Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SORRENTINO Federico, il quale ha concluso per il rigetto del secondo motivo e rinvio, per il resto, alla sezione semplice competente. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1 - Con atto notificato il 5 maggio 1993, la curatela del fallimento della s.n.c. Carafa Trasporti (d'ora innanzi: società fallita) conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Lecce, la S.a.s. Marzano Petroli (d'ora innanzi: convenuta), esponendo:
- che, l'anno anteriore alla dichiarazione del proprio fallimento (pronunziato il 23 giugno 1992), la società fallita aveva effettuato pagamenti, in favore della convenuta, per un importo complessivo di L. 182.017,575 per forniture di gasolio;
- che in quel periodo la società fallita era in stato d'insolvenza, evidenziato da numerosi pignoramenti e protesti, del quale la convenuta era pienamente consapevole.
Tanto premesso, la curatela chiedeva la condanna della convenuta alla restituzione della somma sopra indicata, con interessi e rivalutazione monetaria, producendo l'elenco dei protesti subiti dalla società fallita e un certificato relativo alle procedure esecutive mobiliari a suo carico.
1.1 - La convenuta si opponeva all'accoglimento della domanda, deducendo che le forniture erano state sempre regolarmente pagate e di non aver, quindi, mai sospettato che la società fallita si trovasse in stato d'insolvenza.
2 - Il Tribunale accoglieva la domanda, salvo che per la richiesta di risarcimento del "maggior danno", ponendo in evidenza:
- che, a partire dal 1986, la società fallita aveva subito numerosi pignoramenti mobiliari, divenuti particolarmente numerosi a partire dal 1989;
- che nel secondo semestre del 1989 e nel primo semestre del 1990 del pari numerosi erano stati i protesti subiti dalla stessa società;
- che gli ultimi protesti, elevati il 25 giugno 1990, erano stati riportati nel "Bollettino" di dicembre di quello stesso anno, pubblicato proprio nel periodo (dicembre 1990/gennaio 1991) in cui la convenuta aveva iniziato ad avere rapporti con la società fallita;
- che, conseguentemente, era ragionevole supporre che la convenuta fosse a conoscenza dello stato di dissesto della società fallita, tanto più che essa operava nello stesso ambito territoriale;
- che, d'altro canto, la convenuta non aveva fornito alcuna prova idonea a smentire il valore indiziario di tali elementi;
3 - La società convenuta, risultata soccombente, proponeva appello, censurando la sentenza impugnata per non aver considerato:
- che i protesti subiti dalla società fallita erano andati progressivamente riducendosi sino a comparire del tutto;
- che l'ultimo protesto elevato a suo carico risaliva al 25 giugno 1990, sei mesi prima che avessero avuto inizio i suoi rapporti commerciali con detta società e dodici mesi prima dell'inizio dei pagamenti oggetto di revocatoria;
- che, conseguentemente, tali elementi, lungi dall'evidenziare lo stato di insolvenza della società fallita, fornivano, al contrario, la prova del definitivo superamento, dopo il giugno 1990, di una situazione transitoria di illiquidità;
3.1 - La Corte territoriale - premesso che la prova che deve essere fornita dal curatore del fallimento a norma della L. Fall., art. 67, comma 2, concerne (non la conoscibilità, ma) la conoscenza effettiva
dello stato d'insolvenza da parte del terzo e, pur dando atto che la dimostrazione di tale stato può essere desunta anche da presunzioni - accoglieva il gravame, osservando:
che pignoramenti e protesti sono solo astrattamente idonei a rivelare lo stato d'insolvenza dell'imprenditore e che, pertanto, la loro significatività nel caso concreto deve essere sottoposta, di volta in volta, ad attenta verifica;- che, nel caso di specie, tale verifica non poteva essere effettuata, data la mancanza - nella fase di appello - del fascicolo di primo grado della curatela nel quale era inserita la documentazione relativa ai protesti e alle procedure esecutive a carico della società fallita.
3.2 - La curatela chiedeva la cassazione di tale sentenza con due motivi, al cui accoglimento la società intimata si opponeva con controricorso.
4 - Il ricorso, dopo essere stato assegnato alla prima sezione civile, è stato successivamente rimesso a queste Sezioni Unite per l'esame della questione, di carattere pregiudiziale e ritenuta di particolare importanza, concernente il riparto dell'onere probatorio nel giudizio d'appello e, in particolare, il problema se l'appellante sia in ogni caso gravato dell'onere di fornire la prova della fondatezza delle proprie censure, ovvero se il suo onere probatorio debba essere individuato con esclusivo riferimento alla posizione assunta nel giudizio di primo grado, con la conseguenza che se in quel giudizio l'appellante era attore, egli sarà tenuto a fornire in appello la prova del fatto costitutivo del diritto azionato, mentre, se in quel grado aveva assunto la posizione di convenuto, il suo onere probatorio sarà circoscritto ai soli fatti impeditivi o estintivi fatti del diritto fatto valere dall'attore. MOTIVI DELLA DECISIONE
5 - Assume priorità, sul piano logico, la censura formulata con il secondo motivo di ricorso. Con esso infatti, la Curatela del fallimento denunziando violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 c.c., in relazione agli artt. 115, 280, 281 c.p.c. e agli artt. 76,
123 disp. att. c.p.c., nonché vizio di motivazione - censura la sentenza impugnata per avere accolto l'appello e, quindi, in riforma della sentenza impugnata, rigettato la domanda di "revoca" dei pagamenti effettuati dalla fallita in favore della società Marzano Petroli (sul rilievo che, per la mancanza del fascicolo depositato nel primo grado di giudizio dalla curatela del fallimento, non era possibile accertare quale valore, ai fini della conoscenza dello stato di insolvenza da parte della società Marzano, potesse essere attribuito ai protesti e ai pignoranti subiti dalla società fallita), senza considerare che l'appellante ha l'onere di produrre, o di ripristinare se già prodotti in primo grado, i documenti posti a fondamento del proprio gravame.