Cass. pen., sez. I, sentenza 27/04/2023, n. 17503

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. I, sentenza 27/04/2023, n. 17503
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 17503
Data del deposito : 27 aprile 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: S A nato a VITERBO il 05/09/1964 avverso la sentenza del 04/05/2022 della CORTE MILITARE APPELLO di ROMAvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere C R;
udito il PG, FRANCESCO UFILUGELLI, che ha concluso chiedendo l'inammissibilità del ricorso;
udito il difensore avv. S M del foro di ROMA in qualità di sostituto processuale dell'avvocato M G del foro di ROMA, in difesa di S A conclude riportandosi ai motivi di ricorso chiedendone l'accoglimento;
Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 9 dicembre 2021 il Tribunale militare di Roma ha condannato il tenente colonnello dell'Esercito italiano A S alla pena di 4 mesi di reclusione militare per il reato di disobbedienza previsto dall'art. 173 codice penale militare di pace perché, una volta trasferito presso altro reparto, aveva rifiutato di consegnare entro 30 giorni il casco di volo in dotazione presso il precedente reparto di assegnazione;
l'ordine di riconsegna era stato notificato il 21 dicembre 2018, l'effettiva riconsegna era avvenuta il 12 aprile 2019. Con sentenza del 4 maggio 2022 la Corte militare di appello, in parziale riforma della sentenza di primo grado, previa concessione delle attenuanti generiche, ha rideterminato la pena in 2 mesi e 20 giorni di reclusione militare e confermato la sentenza di primo grado per il resto.

2. Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso l'imputato, per il tramite del difensore, con i seguenti motivi di seguito descritti nei limiti strettamente necessari ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen. Con il primo motivo deduce motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, in quanto la sentenza impugnata non ha valutato adeguatamente che il casco indicato nell'ordine di riconsegna non era lo stesso in disponibilità dell'imputato che aveva un numero seriale diverso, nonché perché la missiva del 21 dicembre 2018 non era un ordine in senso tecnico ma solo una diffida di carattere civilistico atteso che forniva una alternativa al suo adempimento, ed anche perché non è stata valutata la possibilità di applicare al caso in esame l'istituto dell'art. 131-bis cod. pen. Con il secondo motivo deduce inosservanza legge penale e vizio di motivazione, perché l'ordine non era chiaro, perché non proveniva da superiore gerarchico dell'imputato ma dal comandante del precedente reparto in cui serviva lo stesso, e perché la missiva del 21 dicembre 2018 notificata all'imputato era una mera diffida civilistica, non idonea ad integrare l'ordine di cui alla norma incriminatrice.

3. La difesa dell'imputato ha chiesto la discussione orale. Il Procuratore generale, dr. Francesco Ufilugelli, ha chiesto l'inammissibilità del ricorso. Il difensore dell'imputato, avv. Giulio Murano, attraverso il sostituto processuale, ha insistito per l'accoglimento del ricorso. Considerato in diritto Il ricorso è infondato.

1. Il primo motivo deduce motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, evidenziando anzitutto che la richiesta di riconsegna non poteva essere evasa dall'imputato in quanto il casco indicato nel provvedimento non era in disponibilità dello stesso, in quanto quello in dotazione riportava un numero seriale diverso. L'argomento non è fondato, perché la motivazione della Corte militare di appello, riportando le dichiarazioni del testimone Tripiccione che, per conto del comandante del Reggimento, aveva avuto un incontro con l'imputato finalizzato a risolvere la questione, evidenzia che l'imputato aveva compreso quale fosse il casco di cui gli era stata formulata richiesta, perché non aveva obiettato la non esistenza del casco oggetto del provvedimento ma soltanto che lo stesso non era sul carico amministrativo del Reggimento richiedente. La circostanza, quindi, che il casco di servizio in disponibilità dell'imputato avesse un numero diverso non gli avrebbe impedito, pertanto, di ottemperare all'ordine. Il motivo di ricorso prosegue evidenziando che la missiva del 21 dicembre 2018, recante l'ordine di consegna del casco, non poteva essere considerata ordine in senso tecnico nel significato di cui all'art. 173 del codice penale militare di pace, ma solo una diffida di carattere civilistico, perché essa forniva una alternativa al suo adempimento, che era il pagamento del valore corrispondente del bene. Anche questo argomento è infondato. La sentenza di appello evidenzia a pag. 12 che "la lettera del 21 dicembre 2018 sancisce l'obbligo di restituzione entro 30 giorni dalla notifica, fa riferimento all'interruzione del termine di prescrizione ed alle norme del codice civile e illustra da un lato che l'interessato può giustificare la perdita del possesso con idonea documentazione ma dall'altro che la mancata consegna comporta il recupero con trattenute sulla retribuzione. La chiusura della lettera, mediante la frase che inizia con "nel caso di restituzione", ad avviso della Corte non rende la restituzione una semplice possibilità, non svuota la lettera del suo contenuto di obbligo di restituzione. Quelle parole adeguatamente contestualizzate esprimono in modo ellittico un diverso significato "a seguito della restituzione";
tutto il contenuto della lettera, infatti, è improntato all'obbligo è chiaro in questo senso riferimento all'interruzione della prescrizione una clausola cautelare in favore dell'amministrazione ha protezione dei suoi beni tale riferimento non sarebbe compatibile con una facoltà". In modo non illogico, pertanto, la Corte militare di appello ha ritenuto che la alternativa del pagamento del valore economico del bene non priva il provvedimento notificato del contenuto di ordine in senso proprio, perché il suo tenore letterale depone per l'esistenza di un obbligo cogente in capo al militare che ha ricevuto l'ordine. Infatti, correttamente la Corte militare di appello ha ritenuto che, in realtà, una vera alternativa alla riconsegna non vi fosse, perchè il pagamento dell'equivalente economico non era rimessa alla volontà dell'interessato, perché avveniva non in modo non spontaneo, ma mediante trattenuta sullo stipendio. Si trattata di un recupero coattivo, ulteriore elemento che induceva a ritenere la cogenza dell'ordine, non di un pagamento volontario a titolo di corrispettivo. Il ricorso prosegue la critica a questo passaggio della motivazione della sentenza impugnata sostenendo che l'alternativa del pagamento dell'equivalente economico stava anche a significare che la mancata restituzione non poteva in alcun modo offendere il bene giuridico tutelato dalla norma contestata. Anche questo argomento non è fondato. Se, per stessa ammissione del ricorrente, l'art. 173 tutela l'esigenza di assicurare il corretto funzionamento dell'apparato militare, la circostanza che il casco di volo fosse una dotazione di servizio comporta la inerenza dell'ordine al servizio, e la conseguente offensività del comportamento dell'imputato attraverso cui il bene è stato sottratto alla sua destinazione. E' quindi correttamente stato ritenuto integrato l'elemento oggettivo del reato dell'art. 173 codice penale militare di pace che dispone che "il militare, che rifiuta, omette o ritarda di obbedire a un ordine attinente al servizio o alla disciplina, intimatogli da un superiore, è punito con la reclusione militare fino a un anno";
nel percorso della norma l'ordine è qualificato soltanto dal fatto che deve inerire al servizio o alla disciplina. La Corte Cost con ordinanza n. 39 del 5 febbraio 2001 dichiarò la manifesta infondatezza della questione di costituzionalità della norma dell'art. 173 precisando che "il reato non si sostanzia nella disobbedienza ad un 'ordine' qualsiasi proveniente da un superiore gerarchico, in quanto solo la disobbedienza a un ordine funzionale e strumentale alle esigenze del servizio o della disciplina, e comunque non eccedente i compiti di istituto, integra gli estremi del modello legale di cui all'art. 173 cod. pen. mil . di pace;
che, infatti, oggetto della tutela apprestata dalla norma censurata non è il prestigio del superiore in sè e per sè considerato, ma il corretto funzionamento dell'apparato militare". Nel caso in esame, la circostanza che il casco di volo fosse una dotazione di servizio comporta, pertanto, come detto, la inerenza dell'ordine al servizio. Il motivo di ricorso prosegue sostenendo che anche alla luce della mancanza di offensività del comportamento contestato la motivazione della sentenza impugnata deve essere censurata, perché non ha preso in considerazione la possibilità dell'applicazione al caso in esame dell'art. 131-bis cod. pen., applicazione che, a giudizio del ricorrente, sarebbe possibile chiedere per la prima volta in sede di legittimità. L'argomento è infondato, perché la giurisprudenza di legittimità, che ammette effettivamente che la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall'art. 131-bis cod. pen., sia astrattamente applicabile ai reati militari. (Sez. 1, Sentenza n. 30694 del 05/06/2017, Corda, Rv. 270845), ritiene che la questione dell'applicabilità dell'art. 131-tis cod. pen. non possa essere dedotta per la prima volta in cassazione, ostandovi il disposto di cui all'art. 609, comma 3, cod. proc. pen., se il predetto articolo e-a, come nel caso in esame, già in vigore alla data della deliberazione della sentenza d'appello (Sez. 3, n. 23174 del 21/03/2018, Sarr, Rv. 272789;
Sez. 5, n. 57491 del 23/11/2017, Moio, Rv. 271877;
Sez. 3, n. 6870 del 28/04/2016, Fontana, dep. 2017, Rv. 269160;
Sez. 7, n. 43838 del 27/05/2016, Savini, Rv 268281;
Sez. 6, n. 20270 del 27/04/2016, Gravina, Rv. 266678). In definitiva, il motivo è infondato.
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