Cass. civ., sez. III, sentenza 27/11/2002, n. 16758

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In base all'art. 95, terzo comma, legge fall., non si verifica l'improseguibilità della domanda giudiziaria avente ad oggetto un credito vantato nei confronti di un ente sottoposto a liquidazione coatta amministrativa, nel corso del giudizio, quando, prima che l'avvio della procedura di liquidazione coatta sia ritualmente comunicato e formalmente acquisito al processo, sia stata già pronunciata sentenza accertativa del credito, anche se non ancora passata in giudicato.

Nella ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza della obbligazione principale ma al suo integrale adempimento, l'azione del creditore nei confronti del fideiussore non è soggetta al termine di decadenza previsto dall'art. 1957 cod. civ..

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. III, sentenza 27/11/2002, n. 16758
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 16758
Data del deposito : 27 novembre 2002

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. V C - Presidente -
Dott. M V - rel. Consigliere -
Dott. A L - Consigliere -
Dott. I P - Consigliere -
Dott. M M C - Consigliere -
ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A
sul ricorso proposto da:
FIRS SPA in LCA, in persona del Commissario prof. L P, elettivamente domiciliata in

ROMA VIA COSSERIA

5, presso lo studio dell'avvocato E R, che la difende anche disgiuntamente all'avvocato A J, giusta delega in atti;



- ricorrente -


contro
S S, corrente in Caselle, in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione e Amministrazione delegato ing. M C, elettivamente domiciliata in

ROMA LUNGOTEVERE DEI MELLINI

51, presso lo studio dell'avvocato G G, che la difende anche disgiuntamente all'avvocato R T, giusta delega in atti;



- controricorrente -


avverso la sentenza n. 456/99 della Corte d'Appello di TORINO, Sezione 2^ Civile, emessa il 30/10/98 e depositata il 15/04/99 (R.G. 774/95);

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/06/02 dal Consigliere Dott. M V;

udito l'Avvocato G P (per delega Avv. E R);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Antonietta CARESTIA che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto notificato in data 23 ottobre 1989 la SAGAT s.p.a. conveniva davanti al Tribunale di Torino la FIRS s.p.a. chiedendone la condanna al pagamento della somma di lire 417.831.960 oltre interessi legali a decorrere dal novembre 1987 e danni da svalutazione a partire dal 19 dicembre 1988.
A sostegno della sua domanda la SAGAT esponeva di aver concesso in appalto alla ICEM s.p.a., in data 29 maggio 1987, i lavori di ampliamento dell'aeroporto di Torino;
in occasione del contratto era stata stipulata a favore della SAGAT una polizza fideiussoria con cui la

FIRS

Italiana Assicurazioni aveva garantito la restituzione di una anticipazione effettuata alla ICEM ai sensi dell'art. 12 del r.d. 18 novembre 1923 n. 2440 (come modificato dall'art. 2 d.P.R. 30 giugno 1972 n. 627).
A seguito della risoluzione del contratto di appalto per inadempimento della ICEM, la SAGAT aveva quindi escusso la fideiussione per ottenere dalla FIRS la restituzione dell'anticipazione, ed in assenza di pagamento era stata costretta ad adire le vie legali.
Si costituiva in giudizio la FIRS contestando tutti gli assunti avversari ed eccependo l'intervenuta estinzione della garanzia a suo tempo concessa ai sensi degli artt. 1955 e 1251 c.c.. Con sentenza 5 novembre 1993/15 giugno 1994 l'adito Tribunale condannava la FIRS al pagamento, a favore della SAGAT, di lire 417.831.960, oltre agli interessi legali dal 24 novembre 1987 ed alle spese processuali.
Avverso tale sentenza la FIRS, nel frattempo ammessa a procedura di liquidazione coatta amministrativa, proponeva appello chiedendone l'integrale riforma sulla base di motivi riguardanti sia l'estinzione della fidejussione ex artt. 1955, 1956 e 1957 c.c., sia l'inammissibilità di una pronuncia di condanna nei confronti della procedura concorsuale.
Nella resistenza della SAGAT la Corte di Appello di Torino, con sentenza 15 aprile 1999, rigettava il gravame e condannava l'appellante alle spese del grado, ritenendo non fondate le eccezioni di estinzione ex artt. 1955, 1956 e 1957 c.c.. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la Liquidazione c.a. della FIRS affidandolo a tre motivi illustrati anche da memoria. Ha resistito la SAGAT con controricorso. MOTIVI DELLA DECISIONE
Va esaminato in primo luogo il terzo motivo con il quale la Liquidazione ricorrente, denunciando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 51, 95 e 201 1. fall. e 133 c.p.c., nonché il vizio della motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360 nn. 3 e 5 del codice di rito, lamenta che il giudice di appello abbia pronunciato, nei suo confronti, sentenza di condanna, senza rilevare che con l'ammissione alla procedura di l.c.a. una simile pronuncia era inammissibile, stante l'obbligo di fare valere eventuali pretese risarcitorie nelle forme e con i modi della verificazione del passivo davanti agli organi competenti, a seguito del divieto generale di esercitare azioni esecutive individuali sul patrimonio anche dell'impresa assoggettata alla procedura di l.c.a.. Aggiunge la ricorrente:
che non opera, nella specie, il disposto dell'art. 95 l. fall. - secondo cui se il credito risulta da sentenza non passata in giudicato, è necessaria l'impugnazione se non si vuole ammettere il credito - dal momento che la sentenza di primo grado era stata deliberata il 3/11/93 ma pubblicata mediante deposito in cancelleria solo il 15/6/94 e, quindi, era venuta a giuridica esistenza dopo che essa impresa assicuratrice era stata posta in l.c.a. (d.m. 23/5/94);

che, comunque, a tutto voler concedere, il giudizio di gravame non avrebbe mai potuto sfociare in una pronuncia di condanna ma di mero accertamento, da utilizzare successivamente per la insinuazione al passivo.
La complessa censura non coglie nel segno. Essa è stata neutralizzata dal giudice di appello rilevando che "nella fattispecie non si tratta di verifica del credito al di fuori della procedura concorsuale, poiché il credito è già stato oggetto di un giudizio, concluso, seppure con sentenza non passata in giudicato, diversamente dal caso in cui non sia stata ancora instaurata alcuna controversia...".
La statuizione, del suddetto giudice, di rigetto dell'analogo motivo di appello è corretta, ancorché la motivazione non sia del tutto appagante e debba essere chiarita ed integrata dalle seguenti considerazioni. Quel che rileva, infatti, non è il momento in cui è stata pronunciata la sentenza di primo grado (certamente successivo alla messa in l.c.a. della FIRS, alla luce delle date sopraindicate), ma quello in cui l'avvio della liquidazione coatta è stato comunicato e formalmente acquisito al processo. Ora ciò è accaduto nel giudizio di appello, (nè poteva essere diversamente), quando la sentenza emessa in prime cure era già stata impugnata e, quindi, il preteso credito era già stato oggetto di una sentenza ancorché non passata in giudicato (art. 95 l. fall. cit.) ed il giudizio di impugnazione doveva quindi ritualmente e necessariamente proseguire fino alla pronuncia definitiva.
L'esposto motivo va, pertanto, rigettato.
Riprendendo l'ordine delle cesure come esposto dalla ricorrente, con il primo motivo, denunciando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1956, 1175 e 1375 c.c. anche sotto il profilo del vizio della motivazione ex art. 360, nn. 3 e 5 c.p.c., ci si duole che non sia stata riconosciuta l'avvenuta estinzione della fideiussione per avere la SAGAT fatto credito alla ICEM dopo che quest'ultima in data 12/10/88, aveva dichiarato di non essere in grado di adempiere il contratto di appalto (pagamento in data 15/12/88 alla cessionaria del credito ICEM della fattura 8/8/88 relativa al primo stato di avanzamento lavori).
Neppure questa censura coglie nel segno. Essa ha già trovato idonea confutazione da parte del giudice di appello il quale ha escluso l'applicabilità dell'art. 1956 c.c. in quanto l'obbligazione fideiussoria "non era obbligazione futura", trattandosi di garanzia rilasciata per il credito alla restituzione di un'anticipazione relativa al contratto di appalto, credito che "esisteva in tutti i suoi elementi".
Considerazione ineccepibile e conforme al principio già affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui nell'ipotesi di anticipazione all'appaltatore di un'opera pubblica di una percentuale del prezzo contrattuale, ai sensi dell'art. 16, 4^ co., lett. c), l. 14 maggio 1981 n. 219 (o art. 1 d.m. 25 gennaio 1972), comportante l'obbligazione di restituzione della somma nel
momento in cui l'amministrazione appaltante delibera di concedere l'anticipazione, la fidejussione riguardante il debito eventuale alla restituzione dell'anticipazione, che sia stata prestata dopo la delibera di concessione dell'anticipazione stessa, non è anteriore rispetto al debito garantito (Cass. 18 ottobre 1991 n. 11038). Può solo aggiungersi che l'obbligazione di restituzione è solo condizionata, poiché in ogni caso l'appaltatore è tenuto a restituire l'anticipazione. Sono semplicemente diversi i tempi di esigibilità: nel caso di prosecuzione del rapporto la restituzione dell'anticipazione avviene progressivamente, mediante conguaglio con gli importi dovuti dalla stazione appaltante via via che l'opera viene realizzata, importi che vengono accertati dai vari stati di avanzamento lavori;
in caso di risoluzione o revoca
dell'anticipazione, l'ammontare dell'anticipazione diviene interamente ed immediatamente esigibile. In entrambi i casi variano semplicemente tempi e modalità di restituzione, ma la debenza dell'importo dell'anticipazione da parte dell'appaltatore sussiste comunque sin dal momento in cui è avvenuto il versamento. Anche il primo motivo va, pertanto, rigettato.
Con il successivo mezzo la ricorrente, denunciando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1957, 1175, 1375, 1366, 1367 e 1184 c.c. nonché il vizio della motivazione su altro punto decisivo della controversia (art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.), lamenta che non sia stata riconosciuta neppure l'ulteriore eccezione di estinzione della garanzia fideiussoria per non avere la creditrice SAGAT proposto e coltivato diligentemente le sue istanze contro la ICEM entro 6 mesi dalla scadenza dell'obbligazione principale.
La censura non è fondata. Al riguardo la Corte torinese ha rigettato l'identico motivo di appello, rilevando che la FIRS si era costituita fideiussore fino alla liberazione dell'impresa obbligata, con conseguente inapplicabilità dell'art. 1957 c.c.. Così statuendo, tale giudice si è uniformato all'ormai costante indirizzo di questa Corte, alla cui stregua nelle ipotesi in cui la durata della fideiussione sia correlata non alla scadenza dell'obbligazione principale ma al suo integrale soddisfacimento, l'azione del creditore non è più soggetta ad alcun termine di decadenza, con conseguente estraneità della relativa situazione all'area di operatività del cit. art. 1957 (ex pluribus Cass. 24 marzo 1994 n. 2827). Nè vale opporre che, nella specie, ICEM aveva esplicitamente comunicato di non essere più in grado di proseguire i lavori (cosicché un integrale soddisfacimento dell'obbligazione principale non era più possibile), dovendosi ritenere che neppure la sopravvenuta dichiarazione di fallimento potrebbe incidere sull'obbligazione del fideiussore (Cass. 2 maggio 1980 n. 2899). Anche il secondo motivo viene quindi rigettato.
Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese di questo grado.

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