Cass. civ., sez. III, ordinanza 12/05/2020, n. 8819

CASS
Ordinanza
12 maggio 2020
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CASS
Ordinanza
12 maggio 2020

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La protezione sussidiaria, disciplinata dall'art. 14, lett. c), d.lgs. n. 251 del 2007, ha come presupposto la presenza, nel Paese di origine, di una minaccia grave e individuale alla persona, derivante da violenza indiscriminata in una situazione di conflitto armato, il cui accertamento, condotto d'ufficio dal giudice in adempimento dell'obbligo di cooperazione istruttoria, deve precedere, e non seguire, qualsiasi valutazione sulla credibilità del richiedente, salvo che il giudizio di non credibilità non riguardi le affermazioni circa lo Stato di provenienza le quali, ove risultassero false, renderebbero inutile tale accertamento.

In materia di protezione internazionale, il giudice del merito è tenuto ad esaminare la possibilità di riconoscere una delle forme di protezione previste dalla legge, qualora i fatti storici allegati risultino pertinenti, a prescindere dalle istanze formulate dalla parte, trattandosi di giudizi relativi a domanda autodeterminata, avente ad oggetto diritti fondamentali, in relazione alla quale non ha importanza l'indicazione precisa del "nomen iuris" del tipo di protezione invocata, ma esclusivamente la prospettazione di situazioni concrete che consentano di configurare lo "status" di rifugiato o la protezione sussidiaria. Non rileva, di conseguenza, l'espressa limitazione della domanda ad alcune soltanto delle modalità di protezione possibili, poiché tale limitazione non può assumere il significato di una rinuncia tacita alla protezione non richiesta, quando i fatti esposti nell'atto introduttivo siano rilevanti rispetto alla fattispecie non espressamente invocata.

In materia di protezione internazionale, il giudice, prima di decidere la domanda nel merito, deve assolvere all'obbligo di cooperazione istruttoria, che non può essere di per sé escluso sulla base di qualsiasi valutazione preliminare di non credibilità della narrazione del richiedente asilo, dal momento che anteriormente all'adempimento di tale obbligo, egli non può conoscere e apprezzare correttamente la reale e attuale situazione dello Stato di provenienza e, pertanto, in questa fase, la menzionata valutazione non può che limitarsi alle affermazioni circa il Paese di origine. Ne consegue che solo ove queste ultime risultino immediatamente false, oppure la ricorrenza dei presupposti della tutela invocata possa essere negata in virtù del notorio, l'obbligo di cooperazione istruttoria verrà meno; alle stesse conclusioni, inoltre, dovrà giungersi qualora la difesa del ricorrente non esponga fatti storici idonei a rendere possibile l'esame della domanda, ovvero rinunci espressamente e motivatamente ad una delle possibili forme di protezione.

Nei procedimenti in materia di protezione internazionale, i presupposti necessari al riconoscimento della protezione umanitaria devono essere individuati autonomamente rispetto a quelli previsti per le due protezioni maggiori, non essendo tra loro sovrapponibili, ma i fatti storici posti a fondamento della positiva valutazione della condizione di vulnerabilità ben possono essere gli stessi già allegati per ottenere il riconoscimento dello "status" di rifugiato o la concessione della protezione sussidiaria, spettando poi al giudice qualificare detti fatti ai fini della riconduzione all'una o all'altra forma di protezione.

Nei procedimenti in materia di protezione internazionale, il dovere di cooperazione istruttoria del giudice si sostanzia nell'acquisizione di COI ("Country of Origin Information") pertinenti e aggiornate al momento della decisione (ovvero ad epoca ad essa prossima), da richiedersi agli enti a ciò preposti, non potendo ritenersi tale il sito ministeriale "Viaggiare sicuri", il cui scopo e funzione non coincidono, se non in parte, con quelli perseguiti nei procedimenti indicati.

L'obbligo del giudice di acquisire informazioni sulla reale ed attuale situazione del Paese di origine (cd. cooperazione istruttoria) non sorge per il solo fatto che sia stata proposta domanda di protezione internazionale, collocandosi in rapporto di stretta connessione con la circostanza che il richiedente abbia fornito una versione dei fatti quanto meno coerente e plausibile. Tuttavia tale adempimento non può essere escluso solo perchè, in base agli indicatori di credibilità soggettiva forniti dall'art. 3 d.lgs. n. 251 del 2007, le dichiarazioni della parte risultino intrinsecamente inattendibili, poiché, in questo modo, la valutazione di credibilità non atterrebbe più alla prova, ma diverrebbe una condizione di ammissibilità o un presupposto del riconoscimento del diritto o, comunque, si risolverebbe in un giudizio sulla lealtà processuale.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. III, ordinanza 12/05/2020, n. 8819
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 8819
Data del deposito : 12 maggio 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

ORIGINALE 1 88 19 /20 o i t p e c . C.U., CJ. N . F REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE TERZA SEZIONE CIVILE Composta dai Sigg.ri Magistrati Oggetto Immigrazione Dott. Angelo Spirito Presidente Dott. Giacomo Travaglino Relatore Dott. Antonella Di Florio Consigliera Dott. Enzo Vincenti Consigliere Ud. 28/2/2020 Dott. Marco Rossetti Consigliere CC Cron. 8819 ha pronunciato la seguente ORDINANZA sul ricorso n. 27550/2019 r.g. proposto da: A.M. rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall'Avvocato Silvano Zanchini, presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Novafeltria (RN), Via Cesare Battisti 42. ricorrente

contro

MINISTERO DELL'INTERNO (cod. fisc. 80014130928), in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall'Avvocatura dello Stato, domiciliata in via del Portoghesi n. 12. intimato 2020 379 avverso il decreto del Tribunale di omissis, depositato in data 16.8.2019;
rif. - RG 856/18따 udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28.12.2020 dal dott. Giacomo Travaglino;
I FATTI DI CAUSA - I MOTIVI DI RICORSO A.M.

1. Il signor , propose opposizione avverso il provvedimento con il quale la commissione territoriale di omissis gli aveva negato il riconoscimento dello status di rifugiato e di ogni altra forma di protezione, chiedendo che gli fosse concesso, in via principale, il diritto alla protezione sussidiaria, ovvero, in subordine, quello al permesso di soggiorno per motivi umanitari. Intervenuto in giudizio, il P.M. non formulò alcuna osservazione ostativa all'accoglimento della domanda.

2. Dinanzi alla Commissione territoriale, il ricorrente dichiarò: - che, a seguito della morte per Ebola dei suoi più stretti congiunti, si era trasferito presso uno zio;
- che era poi stato catturato e condotto in un bosco, dove avrebbe dovuto sottoporsi ad un rito di iniziazione per entrare a far parte della Poro Society;
- che era riuscito a fuggire, apprendendo, al ritorno a casa, che anche lo zio, a sua volta membro della setta, pretendeva da lui che ne entrasse a far parte;
che non si era recato alla polizia, su consiglio dello stesso zio, non sapendo nulla di particolare sulla Poro Society;
che il padre, peraltro, prima di morire, l'aveva messo in guardia dagli adepti alla setta.

3. L'organo amministrativo ritenne le circostanze narrate dal ricorrente vaghe, generiche e in alcuni aspetti contraddittorie, opinando che la causa principale del suo allontanamento dal paese d'origine fosse da ricondursi a vecchi contrasti proprietari.

4. Il ricorso proposto avverso il provvedimento amministrativo di rigetto delle istanze venne impugnato dinanzi al Tribunale di omissis ove, all'udienza dell'11.12. 2018, il sig. M. rese, in sede di audizione, ben più ampie e circostanziate dichiarazioni (testualmente riportate nel 2 provvedimento impugnato ai ff.

2-5 del decreto, alle quali in questa sede si rinvia,e delle quali si dirà in seguito, per quanto ancora di rilievo nel presente giudizio).

5. Il Tribunale ha rigettato la domanda.

5.1. Avverso tale provvedimento è stato proposto ricorso per cassazione dal difensore del sig. M. sulla base di due motivi di censura. * 5.Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 5, 6, 7 n. 2 e 14 lett. a e b del D.lgs. 251/2007;
dell'art. 8 comma 3 del D.lgs. 25/2008 in relazione all'art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.. Con il secondo motivo, egli si duole della violazione dell'art. 5 comma 6 del D.lgs. n. 286/1998 in relazione all'art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.- Protezione umanitaria. LE RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Devono essere preliminarmente esaminatele censure contenute, in parte qua, nel primo motivo, riferibili al diniego di riconoscimento di una delle forme di protezione internazionale rientrante nei parametri di cui all'art. 7 del D.lgs. 251 del 2007. 1.1. Si legge, difatti, al folio 1 del provvedimento del Tribunale che, nell'impugnare il provvedimento della Commissione territoriale "con il quale gli veniva negato il riconoscimento dello status di rifugiato e di forme complementari di protezione", il ricorrente chiese “che gli fosse riconosciuto, in via principale, il diritto alla protezione sussidiaria o, in subordine, il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari”.

2. Le censure proposte sono, in parte qua, ammissibili rispetto a tutte le forme di protezione internazionale (come correttamente ritenuto dal giudice di merito, che ne ha esaminato i presupporti tout court), nonostante violino, prima facie, il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato.

2.1. Pur risultando specificamente circoscritto alle (sole) forme di protezione sussidiaria e/o umanitaria l'originario petitum introdotto dinanzi al tribunale, 3 vanno comunque esaminate, in questa sede, te argomentazioni addotte dal giudice territoriale a fondamento dell'impredicabilità dello status di rifugiato del ricorrente.

2.2. A prescindere dalla domanda delle parte, difatti, il giudice è comunque tenuto ad esaminare (come correttamente verificatosi nel caso di specie) la possibilità di riconoscere al richiedente asilo detta forma di protezione, ove ne ricorrano i presupposti, qualora i fatti storici addotti a fondamento della stessa risultino ad essa pertinenti, trattandosi di domanda autodeterminata avente ad oggetto diritti fondamentali. Va pertanto confermato ed integrato l'orientamento, seguito in parte qua dalla giurisprudenza di questa Corte, a mente del quale ciò che rileva non è l'indicazione precisa del nomen iuris della fattispecie di protezione internazionale che s'invoca, ma esclusivamente la prospettazione di una situazione che possa configurare il rifugio politico o la protezione sussidiaria (quanto alla legittimità dell'esame delle varie forme di protezione sussidiaria, sebbene non specificamente indicate, Cass. n. 14998 del 2015). Il principio va ulteriormente specificato nel senso che tale regola processuale non cambia pur in presenza (come nella specie) di una espressa limitazione della domanda di protezione internazionale ad alcune soltanto delle sue possibili forme, poiché tale limitazione non può assumere il significato di una rinuncia tacita a quella non richiesta, sempre che i fatti esposti con l'atto introduttivo del giudizio siano rilevanti e pertinenti rispetto alla fattispecie non espressamente invocata (per l'applicazione di un principio non dissimile, mutatis mutandis, in tema di nullità negoziali, Cass. ss.uu. 26242/2014).

3. Le argomentazioni svolte con il primo motivo, pertanto, risultano ammissibili non solo limitatamente alle questioni poste in tema di protezione sussidiaria.

4. Tanto premesso, il motivo è fondato, sia pur nei limiti di cui si dirà.

4.1. Esso pone, in diritto: la questione dell'estensione e dei limiti del dovere di cooperazione del giudice nei procedimenti di protezione internazionale;
- la questione dei criteri di valutazione della credibilità del richiedente asilo. * 5. Le censure relative alla omessa attivazione del dovere di cooperazione officiosa da parte del giudice sono fondate.

5.1. Si legge, difatti, al folio 8 del provvedimento impugnato, che "il giudizio di non attendibilità del dichiarante, secondo condivisibile orientamento giurisprudenziale esime il giudice dall'onere di cooperazione nell'acquisizione della prova che si atteggi come ulteriore vaglio di credibilità del richiedente asllo, in particolare con riguardo all'acquisizione, da parte del giudice, di aggiornate informazioni sul Paese d'origine del ricorrente". Secondo tale orientamento (si citano Cass. 5224 e 7333/2015 e Cass.16925/2018) "il potere/dovere istruttorio del giudice non sorge in presenza di dichiarazioni intrinsecamente inattendibili, e non si richiede, pertanto, alcun approfondimento istruttorio”.

5.2. Il principio di diritto affermato dal tribunale felsineo (che, peraltro, non omette poi di esaminare, a f. 9 del provvedimento, la situazione del Paese di provenienza, nella parte in cui vengono citate alcune fonti internazionali) si colloca nella scia di un orientamento espresso anche da alcune pronunce di questa Corte, ma non può, in alcun modo, dirsi conforme a diritto, e deve ritenersi sostanzialmente superato dal più recente indirizzo di legittimità, inaugurato da Cass. 2954/2020, cui il collegio presta convinta adesione, sia pur con le precisazioni che seguono.

5.3. Va premesso come il dovere di cooperazione istruttoria, nelle due forme di protezione cd. "maggiori", non sorga ipso facto sol perché il giudice di merito sia stato investito da una domanda di protezione internazionale, ma si colloca in un rapporto di stretta connessione logica (anche se non in una relazione di stretta e indefettibile subordinazione) rispetto alla circostanza che il richiedente sia stato in grado di fornire una versione dei fatti quanto meno coerente e plausibile.

5.4. E' del tutto consolidato, ancora, il principio per cui la valutazione della credibilità soggettiva del richiedente asilo non può essere legata alla mera presenza di riscontri obiettivi di quanto da lui narrato, poiché incombe al giudice, nell'esercizio del detto potere-dovere di cooperazione, l'obbligo di attivare i propri poteri officiosi al fine di acquisire una completa ed attuale conoscenza della complessiva situazione dello Stato di provenienza, onde accertare la fondatezza e l'attualità del timore di danno grave dedotto (per tutte, Cass. sez.6, 25/07/2018, n. 19716).

5.5. Il giudice, pertanto, deve, in limine, prendere le mosse del suo accertamento e della conseguente decisione da una versione precisa e credibile, se pur sfornita di prova perché non reperibile o non esigibile - - della personale esposizione a rischio grave alla persona o alla vita: tale premessa è sicuramente funzionale, in astratto, all'attivazione officiosa del dovere di cooperazione volta all'accertamento della situazione del Paese di origine del richiedente asilo;
ma non appare conforme a diritto

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