Cass. civ., sez. I, ordinanza 15/03/2023, n. 07469
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C ha pronunciato la seguente ORDINANZA sul ricorso iscritto al n.506/2020 R.G. proposto da : FOPE SPA, domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati ALBERTI NICOLA (LBRNCL72C25L840M), GIUDICI SILVIA (GDCSLV63C63A794H), FONTANA FRANCESCO (FNTFNC75P19L840T) -ricorrenteprincipale- contro R I S, elettivamente domiciliato in ROMA LARGO DI TORRE ARGENTINA 11, presso lo studio dell’avvocato L L (LTTLNZ83A24H501R) rappresentato e difeso dagli avvocati ROSSI FRANCESCO (RSSFNC74S28L378H), PARROTTA NOEMI (PRRNMO80L70D122K), RONCAGLIA PIERLUIGI (RNCPLG61P26D548W), GAVUZZI ELISABETTA (GVZLBT65D64F205Y) -controricorrente principale - e sul controricorso incidentale proposto da R I S, elettivamente domiciliato in ROMA LARGO DI TORRE ARGENTINA 11, presso lo studio dell’avvocato L L (LTTLNZ83A24H501R) rappresentato e difeso dagli avvocati ROSSI FRANCESCO (RSSFNC74S28L378H), PARROTTA NOEMI (PRRNMO80L70D122K), RONCAGLIA PIERLUIGI (RNCPLG61P26D548W), GAVUZZI ELISABETTA (GVZLBT65D64F205Y) -ricorrente incidentale- contro FOPE SPA, domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati ALBERTI NICOLA (LBRNCL72C25L840M), GIUDICI SILVIA (GDCSLV63C63A794H), FONTANA FRANCESCO (FNTFNC75P19L840T) -controricorrente incidentale- avverso SENTENZA di CORTE D'APPELLO MILANO n. 4137/2019 depositata il15/10/2019. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/02/2023 dal Consigliere ANDREA FIDANZIA. FATTI DI CAUSA La Corte d’Appello di Milano, con sentenza n. 4137/2019, depositata in data 15.10.2019, ha rigettato l’appello principale proposto da F s.p.a. contro la sentenza n. 11108/2017, depositata il 7.11.2017, con cui il Tribunale di Milano ha dichiarato la nullità del marchio IT 1481128 e della porzione italiana del modello internazionale multiplo DM/031275 (limitatamente a specifiche figure indicate in dispositivo) nella titolarità di F s.p.a. nonché ha accertato che l’offerta in vendita, la commercializzazione e la pubblicizzazione della “catena con testa di felino”, del collier e del bracciale della linea Amulette di Cartier, da parte di R Italia s.p.a., non costituiscono violazione di alcuna privativa di F s.r.l. e neppure integrano condotte di concorrenza sleale ex art. 2598 n. 1 e 3 cod. civ… La Corte d’Appello di Milano ha, altresì, rigettato l’appello incidentale di R Italia s.p.a. con cui era stata impugnata la statuizione del giudice di primo grado che aveva accertato l’insussistenza della concorrenza sleale ex art 2598 n. 3 cod. civ. da parte di F s.p.a.. Il giudice d’appello, previo rigetto dell’eccezione di inammissibilità della domanda di nullità proposta da R Italia s.p.a., ha accertato la nullità del marchio di forma di F, incorrendo tale marchio nel divieto di registrazione della forma che conferisce valore sostanziale al prodotto ex art. 9 c.p.i.. In particolare, la Corte territoriale ha evidenziato che “posto che il marchio coincide con il prodotto-spezzone di catena, sia pure applicato ad una variegata serie di monili, le scelte dei consumatori per simili prodotti non di uso quotidiano e che impongono una maggiore riflessione, sono ancorate a canoni estetici piuttosto che ad un richiamo di una particolare provenienza del prodotto. Ciò in quanto una forma – sia essa tridimensionale o bidimensionale – può essere registrata come marchio solo se ed in quanto assolva essenzialmente o prevalentemente la funzione tipica del marchio, e quindi assolva ad una funzione distintiva, piuttosto che estetico- ornamentale...”. La Corte d’Appello ha, altresì, ritenuto questo marchio di forma non registrabile, tenuto conto anche delle numerose registrazioni di questa forma come modello ornamentale depositate da F a partire dal 1985, che corroborano il convincimento che il giudizio dell’utente finale, nella scelta della maglia c.d. agganciata, sia stato fondato su canoni prettamente estetici. In ordine alla dedotta (da F) capacità distintiva, il giudice d’appello ha ritenuto dirimente ai fini dell’impedimento, ex art. 9 c.p.i., alla registrazione del marchio la circostanza che lo stesso fosse incentrato sul valore sostanziale della forma, osservando, comunque, che era significativo, ai fini di escludere la capacità distintiva, che circa il 50% degli operatori professionali del settore non ne avessero riconosciuto una tale attitudine. Infine, la Corte territoriale ha escluso sia che i gioielli Cartier avessero integrato una imitazione servile di quelli di F, sia che la condotta di quest’ultima società di inoltro delle diffide e di promuovimento dell’azione giurisdizionale nei confronti di R italia integrasse una concorrenza sleale, difettando la consapevolezza, in capo a F, della totale infondatezza delle pretese azionate. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la F s.p.a. affidandolo a cinque motivi. La R Italia s.p.a. ha resistito in giudizio con controricorso ed ha, altresì, proposto ricorso incidentale con un unico articolato motivo. La ricorrente ha depositato la memoria ex art. 380 bis.1 cod. proc. civ.. RAGIONI DELLA DECISIONE Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 183 comma 5° cod. proc. civ., per avere la Corte d’Appello ritenuto ammissibile la domanda di nullità del marchio italiano IT ‘ 128 formulata dalla R Italia s.p.a. in via di reconventio reconventionis. Ad avviso della ricorrente principale, la domanda riconvenzionale di nullità del marchio svolta dalla controparte all’udienza di comparizione delle parti non poteva essere introdotta, non essendo indispensabile per assicurare un’adeguata difesa di fronte alla domanda riconvenzionale o alle eccezioni dell’avversaria, né consequenziale rispetto ad esse. In particolare, in conseguenza del fatto che l’accertamento di nullità del marchio F era già stato richiesto, con atto di citazione, dalla R già ab origine, sia pure in via incidentale, quando aveva richiesto al Tribunale di accertare la natura non contraffattoria di tre specifici monili, la successiva nuova domanda, svolta dalla stessa società all’udienza di prima comparizione, in via di reconventio reconventionis, di nullità del marchio F, con efficacia di giudicato, era inammissibile. La domanda riconvenzionale svolta da F di accertamento della contraffazione era, infatti, già stata adeguatamente contrastata, in via preventiva, domanda di nullità del titolo effettuata incidenter tantum. Né F aveva introdotto nel giudizio alcuna situazione ulteriore che giustificasse la reconventio reconventionis. 2. Il motivo è fondato. Va preliminarmente osservato che questa Corte ( vedi Cass. n. 26782/2016) ha già enunciato il principio di diritto – cui questo Collegio intende dare continuità – secondo cui “ L'attore contro il quale il convenuto abbia proposto domanda riconvenzionale ben può opporre, a sua volta, altra riconvenzionale, avendo egli qualità di convenuto rispetto alla prima, e tale principio, valido per il processo di cognizione ordinario come per quello di ingiunzione, costituisce una deroga rispetto a quello secondo cui l'attore non può proporre domande diverse rispetto a quelle originariamente formulate nell'atto di citazione: tuttavia la sua posizione non è assimilabile a quella del convenuto, nè trovano, quindi, applicazione gli artt. 36 e 167, comma 2, c.p.c., atteso che la cd. “reconventio reconventionis” non è un’azione autonoma, ma può essere introdotta esclusivamente per assicurare all’attore un’adeguata difesa di fronte alla domanda riconvenzionale o alle eccezioni del convenuto e deve essere consequenziale rispetto ad esse”. Questa Corte di legittimità ha, in sostanza, ritenuto che l’attore contro il quale il convenuto abbia proposto domanda riconvenzionale, può, a sua volta, svolgere domanda riconvenzionale, in via di “reconventio reconventionis”, nei limiti in cui tale domanda sia indispensabile per assicurare un’idonea difesa in relazione ad un nuovo tema di indagine introdotto dal convenuto con la domanda riconvenzionale, rispetto al quale la nuova domanda dell’attore (che era stato posto, a sua volta, in una situazione processuale di convenuto per effetto della domanda riconvenzionale della sua controparte) abbia natura consequenziale. Nel caso di specie, la società ricorrente ha allegato e documentato, in ossequio al principio di autosufficienza (vedi pag. 9, nota 10), che la R Italia s.p.a., nell’atto di citazione con cui la aveva convenuta in giudizio innanzi al Tribunale di Milano, per reagire ad un ricorso cautelare proposto da F nei suoi confronti innanzi al Tribunale di Venezia – segnatamente, a pag. 2 dell’atto introduttivo, in cui si evidenziava che l’azione si fondava “..da un lato sulla palese invalidità delle privative azionate da F, che occorrendo potrà essere accertata in via incidentale;e dall’altro sulla non interferenza con queste privative dei gioielli Cartier oggetto delle contestazioni avversarie…” – aveva chiesto l’accertamento della non contraffazione di tre monili Cartier proprio sul presupposto esplicito che il marchio italiano di forma IT ‘128 non costituisse un titolo proteggibile in quanto da ritenersi nullo (incidenter tantum), oltre perché i monili Cartier dovevano comunque ritenersi sufficientemente diversi rispetto ai monili di F s.p.a.. Tale ricostruzione della vicenda processuale non è stata, peraltro, contestata da R Italia s.p.a., la quale si è limitata a richiamare a sostegno della propria posizione difensiva alcune massime di questa giurisprudenza di legittimità e dei giudici di merito. Emerge quindi che la questione della nullità delle privative di F apparteneva già al thema decidendum sin dal primo atto del giudizio di primo grado e F s.p.a., con la proposizione della domanda riconvenzionale svolta nei confronti di R Italia s.p.a. di accertamento della contraffazione delle proprie privative – domanda “speculare” a quella originaria proposta da quest’ultima di accertamento della non contraffazione – non ha introdotto alcun nuovo tema di indagine che rendesse indispensabile o necessaria una reazione di R: semplicemente quest’ultima società, all’udienza di comparizione ex art. 183 cod. proc. civ., ha richiesto accertarsi, con efficacia di giudicato, e quindi “erga omnes”, quanto aveva già richiesto nell’atto di citazione incidenter tantum, ovvero l’accertamento della nullità delle privative di F. La nuova domanda svolta da R Italia, in via di “reconventio reconventionis” non era quindi affatto indispensabile per svolgere un’adeguata difesa in relazione alla domanda di F di accertamento della contraffazione, la quale aveva già ben chiara la posizione di R in ordine alla validità delle proprie privative (questione che già apparteneva al thema decidendum). La nuova richiesta di accertamento della nullità della privativa “erga omnes” era solo il frutto della scelta discrezionale, diversa da quella iniziale, di non circoscrivere l’eventuale accertamento di nullità del marchio nel solo ambito di questo giudizio. Ne consegue che la domanda riconvenzionale svolta da R deve ritenersi inammissibile, non essendo riconducibile alla fattispecie di “reconventio reconventionis” contemplata da questa Corte nella citata sentenza n. 26782/2016. 3. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 9 c.p.i. e del combinato disposto degli artt.2697 cod. civ. e 121 c.p.i., nonché degli artt. 2727,2828, 2729 cod. civ. e dell’art. 115 comma 2° cod. proc. civ., per avere la Corte d’Appello ritenuto il marchio IT ‘ 128 dotato di valore sostanziale. Ha premesso la ricorrente principale che l’art. 121 c.p.i. contempla una presunzione di validità del titolo di proprietà industriale e prevede che l’onere di provare la nullità o la decadenza di tale titolo incombe su chi lo impugna. Ciò premesso, per quanto concerne la prova per presunzioni, gli artt. 2727 e 2828 cod. civ. limitano esclusivamente al “fatto noto” la fonte da cui è possibile inferire la conoscenza in ordine al fatto ignoto ed esclude che, alla base del ragionamento inferenziale, il giudice possa porre fatti la cui conoscenza è, a sua volta, il risultato di un procedimento presuntivo. Lamenta la ricorrente che la valutazione della Corte d’Appello di non registrabilità del proprio marchio, sul rilievo che la forma conferisce valore sostanziale al prodotto ex art. 9 c.p.i., è frutto di una doppia presunzione, errata e comunque vietata dalla legge. In particolare, osserva che la circostanza affermata dal giudice d’appello, secondo cui il consumatore è solito acquistare un monile esclusivamente per la sua valenza estetica piuttosto che per la sua funzione distintiva, non solo non costituisce un fatto notorio inteso in senso rigoroso, come fatto indubitabile e incontestabile, ma tale ragionamento è anche errato. Infatti, la scelta di un monile da parte di un consumatore non dipende necessariamente - anche se si tratta di un prodotto non di uso quotidiano e che impone una certa riflessione – da canoni estetici, potendo dipendere dal fatto che quel prodotto ha una forma indicatrice di una determinata fonte imprenditoriale.
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