Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 03/11/2021, n. 31469

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 03/11/2021, n. 31469
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 31469
Data del deposito : 3 novembre 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

e SENTENZA sul ricorso 17421-2015 proposto da: G S, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

PIETRO MASCAGNI

152, presso lo studio dell'avvocato S F, che lo rappresenta e difende;

- ricorrente -

contro 2021

FONDO DI PREVIDENZA PER IL PERSONALE DEL MINISTERO

2099 DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Presidente legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

GOLAMETTO

4, presso lo studio dell'avvocato L G, che lo rappresenta e difende;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 8664/2014 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 26/01/2015 R.G.N. 9998/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/06/2021 dal Consigliere Dott. D C;
il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. R SENZO visto l'art. 23, comma 8 bis del D.L. 28 ottobre 2020 n. 137, convertito con modificazioni nella legge 18 dicembre 2020 n. 176, ha depositato conclusioni scritte. r.g. n. 17421/2015

FATTI DI CAUSA

La Corte d'appello di Roma, con sentenza n. 8664 del 2014, ha rigettato l'appello proposto da S G avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede di accoglimento dell'opposizione proposta dal Fondo di previdenza per il personale del Ministero delle finanze al decreto ingiuntivo emesso a favore del G e volto ad ottenere la restituzione degli interessi che gli erano stati trattenuti all'atto della liquidazione del trattamento di fine servizio, ai sensi dell'art. 6, ultimo comma, del d.P.R. 21 dicembre 1984, n. 1034 (Approvazione del regolamento per l'amministrazione e l'erogazione del fondo di previdenza per il personale del Ministero delle finanze), che prevede che le anticipazioni dell'indennità di fine rapporto eventualmente corrisposta agli iscritti al fondo di previdenza per il personale del Ministero delle finanze, ai sensi dell'art. 4, n. 2 dello stesso d.P.R. n. 1034 del 1984, debbano essere detratte dall'importo finale della indennità stessa con la maggiorazione degli interessi legali. Ad avviso della Corte territoriale la disposizione regolamentare non si poneva in contrasto con il d.p.r. n. 211 del 1981 istitutivo del Fondo, né si poteva ritenere corretto quanto sostenuto dall'appellante circa il fatto che la disposizione impugnata, senza alcuna ragionevole giustificazione, detterebbe per i dipendenti pubblici da essa considerati una disciplina del trattamento di fine rapporto deteriore rispetto a quella cui sono sottoposti i lavoratori privati ai sensi dell'art. 2120 c.c. (che non prevede alcuna maggiorazione delle anticipazioni da detrarre dall'importo finale del trattamento stesso). Avverso tale sentenza ricorre S G sulla base di due motivi, successivamente illustrati da memoria. Resiste il Fondo di previdenza per il personale del Ministero dell'economia e delle finanze con controricorso.r.g. n. 17421/2015 Ragioni della decisione Con il primo motivo il ricorrente, ai sensi dell'art. 360, primo comma n. 3) c.p.c., deduce la violazione dell'art. 6 d.p.r. n. 1034 del 1984 in ragione del fatto che la sentenza impugnata non aveva accertato la contrarietà a legge della disposizione regolamentare e, quindi, non l'aveva disapplicata. La Corte territoriale aveva osservato che il citato articolo 6 non si poneva in contrasto con le previsioni del D.P.R. n. 211 del 1981, istitutivo del Fondo, dal momento che l'art. 7 del d.P.R. n. 648 del 1972 si era limitato a fornire direttive contabili alla normativa regolamentare e la previsione della decurtazione degli interessi afferiva agli aspetti contabili del trattamento in questione, mentre l'art. 5 del d.P.R. n. 211 del 1981 mirava solo ad impedire che fossero effettuate erogazioni superiori alle entrate. Tale ragionamento, osserva il ricorrente, incorre nella violazione di legge giacché i regolamenti di esecuzione non possono superare la necessità di dare attuazione alla legge cui si riferiscono e, nel caso di specie, la base di rango primario non può individuarsi nell'art. 5 del d.P.R. n. 211 del 1981 che ha demandato alla fonte regolamentare esclusivamente le modalità amministrative di erogazione del trattamento e non la determinazione del quantum. Errata, quindi, deve ritenersi la tesi sostenuta dalla sentenza impugnata che ha sostenuto che la somma accantonata a titolo di trattamento di fine rapporto costituisca una sorta di prestito, trattandosi della semplice anticipazione delle somme spettanti in ipotesi di documentato grave bisogno finanziario. Inoltre, non esisterebbe nell'ordinamento alcuna norma di rango legislativo che consenta di applicare interessi in caso di anticipazione del t.f.r. e la mancata disapplicazione del regolamento in esame finirebbe per creare una ingiustificata disparità di trattamento tra i dipendenti privati, soggetti alla disciplina dell'art. 2020 c.c., e r.g. n. 17421/2015 quelli pubblici, come evidenziato dal parere del Consiglio di Stato del 6 marzo 2001 depositato dalla controparte nel corso del giudizio. Con il secondo motivo, si deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 4 delle preleggi in ragione del fatto che tale disposizione impone la disapplicazione degli atti regolamentari illegittimi per contrarietà alla legge e, per quanto sopra detto, la disposizione regolamentare di cui all'art. 6 d.P.R. n. 211 del 1981 dovrebbe essere considerata illegittima e disapplicata. I due motivi, in quanto ancorati al medesimo presupposto della affermata illegittimità dell'art. 6 d.P.R. citato, in ragione di una incompatibilità della stessa disposizione con l'art. 2120 c.c., considerato quale norma di sistema, e con il generale principio di parità di trattamento, vanno trattati unitariamente e sono infondati. E' opportuno premettere alla trattazione della specifica questione dedotta in causa, riferita alla disciplina dell'anticipazione dell'indennità di buonuscita spettante ai dipendenti del Ministero delle finanze, da cui si genera l'obbligo di restituzione degli interessi contestato dal ricorrente, alcune considerazioni di ordine generale relative al rapporto tra l'indennità oggetto di causa ed il trattamento di fine rapporto regolato dall'art. 2120 c.c., tenendo in considerazione la circostanza che il ricorrente è stato dipendente della citata amministrazione da epoca antecedente al 31 dicembre 2000, posto che - come lo stesso specifica - ha ottenuto l'anticipazione dell'indennità di buonuscita 11 15 maggio 1992. Così circoscritto l'ambito temporale rilevante per la decisione, va ricordato che la dottrina ha da tempo segnalato le differenze vistose rispetto al settore privato che tradizionalmente caratterizzavano le prestazioni erogate dai fondi di previdenza che provvedono alla r.g. n. 17421/2015 corresponsione dell'indennità di buonuscita o premio di fine servizio e di altri benefici che trovano rilievo sul terreno della solidarietà sociale. In particolare, il diritto alle indennità di cessazione dal servizio - a differenza del trattamento di fine rapporto dei lavoratori privati (regolato dalla L. n. 297 del 1982) - risultava condizionato all'esistenza di un periodo minimo dì iscrizione all'ente di previdenza e assistenza e dal versamento di un minimo contributivo, nonché, per quella erogata dall'INADEL (enti locali e sanità), dalla maturazione dei requisiti pensionistici. Il quadro complessivo era composito perché retto da diversi criteri di calcolo e di voci retributive computabili, sia rispetto al regime dei lavoratori privati che fra i diversi settori del pubblico impiego;
inoltre, tali istituti venivano inquadrati nell'ambito della previdenza pubblica in quanto strutturati secondo lo schema assicurativo. Come ricostruito dalle Sezioni Unite di questa Corte di cassazione (Cass. SS.UU. n. 24280 del 2014) il regime giuridico in esame è poi mutato per i dipendenti assunti alle dipendenze dello Stato successivamente alla data a decorrere dalla quale opera l'unificazione del trattamento di fine servizio in base alle regole dettate originariamente per i privati, dall'art. 2120 c.c.. 12. Tale unificazione è stata disposta, limitatamente ai dipendenti contrattualizzati, dalla L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 2, comma 5, (riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare, c.d. riforma Dini). La decorrenza originaria indicata dalla legge di riforma è stata poi differita da alcuni decreti del presidente del consiglio dei ministri, l'ultimo dei quali l'ha fissata al 31 dicembre 2000. Di conseguenza, le nuove assunzioni intervenute dopo tale data sono soggette alle "regole concessive e di computo di cui alla L. 29 maggio 1982, n. 297, in materia di trattamento di fine rapporto" (così il r.g. n. 17421/2015 D.P.C.M. 20 dicembre 1999, art. 2, comma 2, come integrato e modificato dal D.P.C.M. 2 marzo 2001, art. 1, comma 1, lett. b)). La successiva giurisprudenza di questa Corte di legittimità ha dato atto dell'evoluzione normativa di cui si parla, interessata anche dagli interventi della giurisprudenza costituzionale. In particolare, Cassazione n. 4040 del 2021, ha ribadito la svolta impressa alla normativa che vede ormai prevalere la natura retributiva riconosciuta al TFR come confermato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 159 del 2019, essendo stato affermato che l'evoluzione normativa, stimolata dalla giurisprudenza costituzionale, ha ricondotto le indennità di fine rapporto erogate nel settore pubblico al paradigma comune della retribuzione differita con concorrente funzione previdenziale, nell'ambito di un percorso di tendenziale assimilazione alle regole dettate nel settore privato dall'art. 2120 c.c. (D.P.C.M. 20 dicembre 1999). Si è precisato che tale processo di armonizzazione, contraddistinto anche da un ruolo rilevante dell'autonomia collettiva (sentenza Corte Cost. n. 213 del 2018), rispecchia la finalità unitaria dei trattamenti di fine rapporto, che si prefiggono di accompagnare il lavoratore nella delicata fase dell'uscita dalla vita lavorativa attiva. Corte di cassazione n. 4040 del 2021 ha tuttavia precisato che tale mutazione normativa, oltre che radicata sul discrimine temporale del riferimento ai rapporti di lavoro sorti dopo il 31 dicembre 2000, non interferisce sulla specifica disciplina dell'anticipazione del trattamento di buonuscita di cui si è occupata la sentenza di questa Corte n. 24474 del 2011. Inoltre, Cass. 18230 del 2015 proprio sul tema dell'anticipazione di tale trattamento, ha ricordato la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 10770 del 2012;
nonché la citata Cass. n. 24474 del 2011) che ha nig. n, 17421/2015 affermato il principio secondo il quale i pubblici dipendenti hanno sempre goduto dell'indennità di buonuscita ex D.P.R. n. 1032 del 1973, mentre l'istituto del TFR vigente per i dipendenti privati è stato loro esteso solo ai nuovi assunti. Si è pure precisato (Cass. sent. 27836 del 2009 e ord. n. 709 del 2012), quanto al trattamento di fine servizio per i pubblici dipendenti in servizio al 31 dicembre 1995, che è demandata alla contrattazione collettiva soltanto la definizione delle modalità applicative della disciplina in materia di trattamento di fine rapporto (L. n. 335 del 1995, art. 2, comma 7) e la "nuova regolamentazione contrattuale della materia", destinata a superare la previgente disciplina (D.Lgs. n. 29 del 1993, ex art. 72, comma 3, ora trasfuso nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, comma 2), va riferita ad un intervento complessivo di modifica del quadro normativo e non a meri interventi specifici su taluni punti. La fattispecie in esame è regolata, dunque, dalla propria specifica disciplina e non opera dunque l'art. 2120 cod. civ. E' pertanto evidente che la tesi sostenuta in ricorso, che parte dal presupposto che tale disposizione (nella parte in cui non prevede l'obbligo di corrispondere interessi in caso di anticipazione) sia espressione di un principio generale da coordinare con quello, non identificato in alcuna espressa previsione, della parità di trattamento tra dipendenti pubblici e privati, è priva di base normativa. Anzi, la necessità di compensare mediante la previsione dell'obbligo di corrispondere gli interessi l'erogazione anticipata dell'indennità di buonuscita, pare strettamente connessa alla finalità espressa dall'art. 5, secondo comma, del d.P.R. n. 211 del 1981 che prevede la necessità che il regolamento risulti ispirato ai criteri indicati nello art. 7 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 648, dovendo contenere norme dirette comunque ad impedire r.g. n. 17421/2015 erogazioni superiori al volume delle entrate previste dalle vigenti disposizioni, con esclusione di ogni ulteriore onere per il bilancio dello Stato. Deve peraltro aggiungersi che questa Corte di cassazione (Cass. n. 9418 del 2008), si è occupata, al fine di stabilire il momento della effettiva esigibilità dell'indennità di buonuscita, della procedura di liquidazione dell'indennità per cessazione dal servizio spettante agli iscritti al Fondo controricorrente, prevista dal D.P.R. 21 dicembre 1984, n. 1034, art. 4, (Regolamento per l'amministrazione e l'erogazione del Fondo di Previdenza per il personale del Ministero delle Finanze), ed ha precisato che la sua peculiarità strutturale consiste nell' articolazione in vari stadi. L'art. 7 del su richiamato regolamento, infatti, dopo avere puntualizzato che tale indennità "è corrisposta d'ufficio", previe opportune comunicazioni degli "uffici amministratori il personale iscritto al fondo" alla segreteria del fondo stesso, dispone, al comma 4, che "le suddette comunicazioni devono essere inviate entro e non oltre 30 giorni dalla data di cessazione dal servizio". L'art. 10, prevede poi, al comma 1, le modalità di determinazione della misura dell'indennità, stabilendo, al suo ultimo comma, che "entro i centoventi giorni dall'acquisizione di tutti gli elementi necessari per la liquidazione dell'indennità verrà corrisposto all'iscritto un acconto pari all'80% dell'importo della indennità calcolato sulla base della misura determinata per l'esercizio anteriore alla cessazione". A tal proposito - precisa l'art. 15, comma 2- il presidente del consiglio di amministrazione, "entro il mese di aprile di ogni anno", deve sottoporre all'approvazione del consiglio di amministrazione il conto consuntivo della gestione dell'esercizio scaduto, da pubblicarsi nel Bollettino ufficiale del Ministero delle finanze - Direzione generale degli r.g. n. 17421/2015 affari generali e del personale. Il conguaglio verrà poi erogato dopo l'approvazione del consuntivo relativo all'ultimo anno di servizio dell'iscritto (art. 21). Il descritto procedimento mostra la stretta relazione esistente tra i criteri di determinazione del quantum della prestazione e delle modalità temporali di erogazione della stessa e la modalità di finanziamento del fondo, il quale si alimenta, non già mediante l'accantonamento di parte della retribuzione maturata dal dipendente, ma bensì sulle entrate indicate nell'art. 2 del Regolamento n. 1034 del 1981 (precisamente derivanti: a) dalle quote dei proventi derivanti dall'applicazione degli articoli 5 e 6 della legge 15 novembre 1973, n. 734;
b) dai proventi degli investimenti effettuati con le disponibilità del fondo di riserva;
c) dai proventi delle sanzioni pecuniarie di cui all'art. 70 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, come integrato dall'art. 3 del decreto del Presidente della Repubblica 28 marzo 1975, n. 60;
d) dai proventi delle sanzioni pecuniarie di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, modificato dall'art. 1 del decreto del Presidente della Repubblica 23 dicembre 1974, n. 687;
e) dai proventi di cui all'art. 7 della legge 25 luglio 1971, n.545, e successive modificazioni;
f) dai proventi della trattenuta dell'i per cento sulle vincite al gioco del lotto ai sensi dell'art. 23 della legge 2 agosto 1982, n. 528;
g) da sovvenzioni, contributi, oblazioni, lasciti, donazioni ed altri proventi vari ed eventuali). Anche per tali ragioni, dunque, il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.
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