Cass. civ., sez. II, sentenza 10/03/2014, n. 5535
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Il giudice di rinvio non può procedere ad unica, globale, liquidazione per le spese di giudizio di cassazione e le spese del giudizio di rinvio, ma deve procedere a liquidazione distinta per ciascuno di tali giudizi, in modo da consentire alla parte interessata di verificare se, per ognuno di essi, siano stati rispettati i limiti delle relative tariffe.
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. O M - Presidente -
Dott. M V - Consigliere -
Dott. M E - Consigliere -
Dott. M L - rel. Consigliere -
Dott. D'ASCOLA Pasquale - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
S
sul ricorso 12356-2008 proposto da:
PERSIO FRANCESCO C.F. PRSFNC57M25H282H, elettivamente domiciliato in ROMA, V.LE G. MAZZINI 6, presso lo studio dell'avvocato G A, rappresentato e difeso da sè medesimo art. 86 c.p.c., e dall'Avv. P G;
- ricorrente -
contro
R S C.F. RSSSVS66M14C746P, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TACITO 23, presso lo studio dell'avvocato V G, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato B A;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 96/2008 del TRIBUNALE di RIETI, depositata il 13/02/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/01/2014 dal Consigliere Dott. L M;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. S L che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO D PO
Con atto di citazione notificato il 2-6-1997 R S conveniva dinanzi al Giudice di Pace di Rieti l'avv. Persio Francesco, per sentirlo condannare al pagamento della somma di L. 4.759.000, oltre interessi, quale compenso per i lavori eseguiti tra la fine del 1993 e gli inizi di febbraio del 1994, su commissione del convenuto, nel terrazzo di proprietà del medesimo.
Nel costituirsi, il Persio resisteva alla domanda, contestando la legittimazione attiva dell'attore.
Con sentenza in data 6-7-1999 il Giudice di Pace di Rieti accoglieva parzialmente la domanda, condannando il convenuto al pagamento in favore dell'attore della somma di L. 2.593.515, oltre IVA e interessi.
Avverso la predetta decisione proponevano appello principale il convenuto e appello incidentale l'attore.
Con sentenza in data 21-7-2000 il Tribunale di Rieti accoglieva l'appello principale e rigettava, invece, quello incidentale, rilevando, in particolare, che le circostanze poste a fondamento della prima decisione erano smentite dalle dichiarazioni rese dai testi indicati dal convenuto, da cui si evinceva che i lavori non erano stati affidati a R S, bensì al padre A. R S proponeva ricorso per cassazione avverso tale decisione.
Con sentenza in data 16-6-2005 la Corte di Cassazione accoglieva il primo motivo di ricorso, assorbiti gli atri, cassava la sentenza impugnata e rinviava anche per le spese al Tribunale di Rieti in diversa composizione.
Riassunto il giudizio ad opera di R S, con sentenza in data 13-2-2008 il Tribunale di Rieti rigettava sia l'appello principale che quello incidentale.
Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso Persio Francesco, sulla base di sei motivi.
R S ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) Con il primo motivo il ricorrente lamenta l'omessa e insufficiente motivazione in ordine all'eccezione di giudicato, nonché la violazione dell'art. 2909 c.c.. Rileva che la sentenza del Tribunale di Rieti n. 543/2000 aveva dichiarato il difetto di legittimazione attiva dell'attore anche per mancata prova in ordine al conferimento dell'incarico a R S. Deduce che la predetta sentenza, in relazione a tale aspetto, non ha costituito oggetto di specifica impugnativa da parte dell'attore e, pertanto, è divenuta definitiva e costituisce giudicato interno che il Tribunale in sede di rinvio avrebbe dovuto valutare, accogliendo l'eccezione formulata dal convenuto nella comparsa conclusionale depositata il 18-10-2007. Il motivo è infondato.
Si osserva, al riguardo, che il primo e il secondo motivo del precedente ricorso per cassazione proposto dal convenuto erano chiaramente finalizzati ad ottenere il riesame della questione della legittimazione attiva di R S, come si evince dalla relativa trascrizione contenuta nell'odierno ricorso (v. pag. 13) "conclusivamente, il giudice di appello è incorso in motivazione omessa o insufficiente sul punto decisivo della legittimazione attiva, decidendo la questione con un ragionamento probatorio metodologicamente scorretto... ") e come è reso evidente dal fatto che il primo motivo mirava ad espungere dal processo le dichiarazioni dei testi indotti dall'attore, i quali avevano riferito che i lavori non erano stati affidati a R S, bensì al padre A.
La Corte di Cassazione ha accolto il primo motivo di ricorso e dichiarato assorbiti gli altri, rilevando che il giudice di appello, rigettando l'eccezione di nullità e inefficacia della prova testimoniale articolata dall'attore, formulata dal convenuto per tardiva indicazione della lista testimoniale, e basando il proprio convincimento sulle risultanze di tali acquisizioni probatorie, non aveva considerato che "l'ordine alle deduzioni istruttorie il momento della preclusione di attività ulteriori si verifica allorquando il giudice abbia provveduto sulla richiesta avanzata", e che quindi la concessione di termini è possibile "solo prima del provvedimento con cui vengano ammesse le prove e non dopo". Il giudice di legittimità, di conseguenza, ha cassato con rinvio la sentenza impugnata, enunciando il seguente principio di diritto: "In tema di deduzioni istruttorie concernenti la prova testimoniale, il termine assegnato dal giudice istruttore ai sensi del primo comma dell'art. 184 c.p.c. riguarda non solo la formulazione dei capitoli, ma anche l'indicazione dei testi;una volta ammessa la prova non è più possibile provvedere a detta indicazione od integrare la lista testi eventualmente indicata tempestivamente;e l'unica attività giuridicamente possibile circa le prove ammesse consiste nell'assunzione delle medesime".
Nessun giudicato, pertanto, si è formato sull'accertamento compiuto dal giudice di appello circa la carenza di legittimazione attiva dell'attore, essendo il giudice del rinvio chiamato a riesaminare i fatti oggetto di discussione, compresa la questione della legittimazione del Rossi, attenendosi al principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte, e quindi senza tener conto delle deposizioni dei testi tardivamente indicati dal convenuto. 2) Con il secondo motivo il ricorrente, denunciando la violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 c.c., nonché l'omessa e insufficiente motivazione, anche in relazione all'art. 112 c.p.c., censura la sentenza impugnata, nella parte in cui ha fondato la pronuncia di condanna sul quantum sulla perizia di parte prodotta dal Rossi. Deduce che il giudice del rinvio ha omesso di pronunciarsi sullo specifico motivo di doglianza dell'appellante principale, con cui si deduceva che non era vero che tale perizia, come affermato dal Giudice di Pace, non era stata contestata dal convenuto, avendola invece quest'ultimo immediatamente contestata all'udienza del 6-11- 1997.
Il motivo è inammissibile.
Deve premettersi che nel vigente ordinamento, dominato dal principio del libero convincimento del giudice, non è a questi vietato di porre a fondamento della decisione una perizia stragiudiziale, anche se contestata dalla controparte (Cass. 7-6-1980 n. 3677), purché fornisca adeguata motivazione di tale sua valutazione (Cass. 12-12- 2011 n. 26550;Cass 3-3-1992 n. 2574). Nella specie, per quanto si legge nel ricorso, l'unica censura mossa in appello dal convenuto riguardava l'affermazione resa dal primo giudice circa la mancata contestazione della consulenza tecnica di parte attrice;mentre non erano state mosse specifiche critiche riguardo alla congruità dell'importo determinato in tale consulenza. Ciò posto, si osserva che il ricorrente è privo di interesse a censurare l'omessa pronuncia su tale punto, atteso che la contestazione della consulenza di parte in questione non escludeva il potere del giudice di merito di avvalersi di tale atto e che, pertanto, un'eventuale decisione al riguardo non poteva che essere per lui sfavorevole.
Per altro verso, si rileva che il Tribunale, nel ritenere di dover confermare la liquidazione dei lavori contenuta nella predetta consulenza di parte, ha implicitamente ma chiaramente espresso una valutazione di congruità delle relative risultanze. 3) Con il terzo motivo il ricorrente, lamentando la violazione o falsa applicazione degli artt. 392-394 c.p.c. e art. 164 c.p.c., comma 4, art. 125 disp. att. c.p.c., in relazione all'art. 163 c.p.c., comma 3, n. 4, art. 112 c.p.c., art. 99 c.p.c., art. 2907 c.c., artt. 342 e 343 c.p.c., nonché l'omessa e insufficiente
motivazione, censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha disatteso l'eccezione di nullità dell'atto introduttivo del giudizio di rinvio e la conseguente richiesta di improcedibilità o inammissibilità della relativa domanda. Deduce che il giudice di rinvio non ha esaminato la specifica eccezione sollevata dal Persio nella comparsa di costituzione del 20-3-2006, con cui era stato dedotto che l'atto di riassunzione non conteneva tutti gli elementi richiesti dagli artt. 163 e 163 bis c.p.c., avendo il Rossi esposto solo lo svolgimento del processo, senza indicare gli elementi essenziali relativi alla editio actionis ne' richiamare gli atti di citazione di primo grado e di appello incidentale. La sentenza impugnata, pertanto, è incorsa nel vizio di omessa pronuncia, o comunque in quello di omessa motivazione.
Il motivo è privo di fondamento.
Non sussiste il dedotto vizio di omessa pronuncia, il quale implica la completa omissione del provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto: nella specie, infatti, il giudice del rinvio si è pronunciato sull'eccezione di nullità dell'atto di riassunzione, formulata dal Persio nella comparsa di costituzione, ritenendola infondata.
Nè ricorrono i denunciati vizi di omessa motivazione, in quanto il Tribunale ha sufficientemente illustrato le ragioni della propria decisione, dando atto che l'atto riassuntivo doveva reputarsi completo in tutti i suoi elementi, giacché il Rossi, nelle conclusioni di tale atto, aveva richiamato la domanda proposta con la citazione introduttiva del giudizio, e chiesto il rigetto dell'appello principale e l'accoglimento di quello incidentale. L'apprezzamento espresso al riguardo dal Tribunale si pone in linea con il principio, più volte affermato dalla giurisprudenza, secondo cui la riassunzione della causa dinanzi al giudice di rinvio ai sensi dell'art. 392 c.p.c., ha la funzione di riattivare il giudizio, configurandosi come meramente ripetitiva delle richieste avanzate negli atti processuali precedenti, a mezzo dei quali, pertanto, il suo contenuto può essere integrato. Ne consegue che, ai fini della validità dell'atto di riassunzione, non è richiesta la medesima precisione espositiva richiesta per l'atto introduttivo del giudizio di primo grado o per l'atto di appello (Cass. 29-3-2006 n. 7243;Cass. 22-1-1999 n. 617) e non è, quindi, indispensabile che in esso siano riprodotte tutte le domande della parte in modo specifico, essendo invece sufficiente che sia richiamato - senza necessità, cioè, di integrale e testuale riproduzione - l'atto introduttivo in base al quale sia determinabile per relationem il contenuto dell'atto di riassunzione, nonché il provvedimento in forza del quale è avvenuta la riassunzione medesima (Cass. 2-2-2007 n. 2309). 4) Con il quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 394, 383, 384 e 324 c.p.c., art. 2909 c.c., art. 112 c.p.c., nonché l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione.
Il motivo, nella parte in cui denuncia violazioni di legge, si conclude con la formulazione di un quesito di diritto non rispondente ai requisiti richiesti dall'art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis al ricorso in esame.
E invero, ai sensi della menzionata disposizione di legge, il quesito inerente ad una censura in diritto - dovendo assolvere alla funzione di integrare il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l'enunciazione del principio giuridico generale - non può essere meramente generico e teorico, ma deve essere calato nella fattispecie concreta, per mettere la Corte in grado di poter comprendere, dalla sua sola lettura, l'errore asseritamene compiuto dal giudice di merito e la regola applicabile. Ne consegue che esso non può consistere in una semplice richiesta di accoglimento del motivo, ovvero nel mero interpello della Corte in ordine alla fondatezza della propugnata petizione di principio o della censura così come illustrata nello svolgimento del motivo (v. Cass. 7-3-2012 n. 3530;Cass. 25-7-2008 n. 20454;Cass. 14-2-2008 n. 3519). Nella specie, il quesito di diritto posto dal ricorrente ("se la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 394 c.p.c. anche in relazione agli artt. 383 e 384 c.p.c., artt. 1173 e 222 c.c., dell'art. 324 c.p.c., dell'art. 2909 c.c. e dell'art. 112 c.p.c. configuri nullità della sentenza deducibile ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 ovvero deducibile ex art. 3601 c.p.c., n. 3") è
formulato in termini del tutto generici e astratti, risolvendosi in una mera petizione di principio, priva di qualsiasi riferimento alla specifica vicenda processuale sottoposta all'esame di questa Corte. Quanto agli asseriti vizi di motivazione, non è dato cogliere nel motivo in esame il "momento di sintesi" contenente la "chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione", così come prescritto, per le cause ad esso ancora soggette, dallo stesso art. 366 bis epe, nell'ipotesi in cui con il ricorso per cassazione vengano denunciati vizi ex art. 360 c.p.c., n.