Cass. pen., sez. V, sentenza 08/01/2019, n. 00562
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Testo completo
la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: BARBACETTO GIANNI nato a MILANO il 21/03/1952 avverso la sentenza del 29/01/2018 della CORTE APPELLO di MILANOvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere IRENE SCORDAMAGLIA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore ANTONIETTA PICARDI che ha concluso chiedendo Il Proc. Gen. conclude per il rigetto udito il difensore LA
DIFESA DEPOSITA CONCLUSIONI ALLE QUALI SI RIPORTA E NOTA SPESE RITENUTO IN FATTO
1. E' impugnata la sentenza del 29 gennaio 2018, con la quale la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa città in data 27 gennaio 2015, di condanna di B G per il delitto di cui all'art. 595 cod. pen., per avere, quale autore del libro "Le mani sulla città", edito nel settembre 2011, offeso la reputazione di G G, capogruppo del Pdl al Comune di Milano, affermando, nell'inciso contenuto alla pag. 39 della menzionata pubblicazione, che gli imprenditori I e M - posti al vertice della società Kreiamo, coinvolta nelle indagini condotte dalla DIA di Milano sugli affari in Lombardia della cellula 'ndranghetista Barbaro-Papalia - erano in ottimi rapporti con diversi esponenti politici della regione, tra i quali figurava anche il G.
2. Con il ricorso per cassazione proposto con il ministero del difensore, l'imputato censura la sentenza della Corte meneghina articolando due motivi, enunciati nei limiti richiesti per la motivazione dall'art. 173 disp.att. cod.proc.pen.. 2.1. Con il primo motivo denuncia il vizio di violazione di legge, in relazione agli artt. 521 cod.proc.pen. e 595 cod.pen., e il vizio di motivazione. All'uopo deduce che la condanna era stata pronunciata per un fatto diverso da quello contestatogli: infatti, mentre l'addebito mossogli era riferito al solo fatto di avere affermato - nell'inciso contenuto nella pagina 39 della pubblicazione menzionata - che il duo I-M era in ottimi rapporti con l'esponente del Pdl G G, la condanna era stata pronunciata sul rilievo che la valenza offensiva delle espressioni utilizzate derivava, vuoi dal contesto comunicativo in cui la stessa era inserita - posto che l'espediente verbale utilizzato richiamava il contenuto di altri passaggi del testo, nei quali era chiaro il riferimento alla contiguità degli imprenditori I e M agli ambienti della criminalità organizzata calabrese delocalizzata -, vuoi dagli articoli a firma di Davide Milosa, coautore del libro, pubblicati sul periodico "Il Fatto Quotidiano" - cui la Corte faceva costante richiamo -, nei quali si insinuava che la candidatura del G alle elezioni regionali del 2010 fosse stata sponsorizzata dalla stessa criminalità per il tramite degli imprenditori menzionati. Aggiunge che tale dilatazione della portata intrinseca delle espressioni utilizzate costitutiva, altresì, indice di carenza di motivazione, atteso che non era stata spesa alcuna puntuale argomentazione sul punto della oggettiva idoneità offensiva delle espressioni in sé considerate, tanto vero che il giudice aveva dovuto far ricorso ad una costellazione di elementi estrinseci in grado di puntellare una giustificazione altrimenti debole.
2.2. Con il secondo motivo denuncia il vizio di violazione di legge, in relazione agli artt. 21 Cost. e 51, 59 e 595 cod. pen., e il vizio di motivazione. Eccepisce che il proprio operato avrebbe dovuto riconoscersi come scriminato dall'esercizio del diritto di cronaca e di critica, almeno nella forma putativa, considerato che la notizia riportata - l'essere il G in ottimi rapporti con lo I e il M - era vera, perché corrispondente a quanto accertato nel procedimento penale denominato "Parco del Sud";
completa, perché nell'ambito dello stesso contesto comunicativo era riferito che il G non aveva assunto, comunque, la qualità di indagato nel procedimento in parola e che gli era stato preferito un altro candidato della stessa cordata politica;
frutto di una diligente attività di documentazione e di verifica delle fonti informative, disponibili solo dal 2010, posto non si era omesso di riferire che i rapporti tra il politico e gli imprenditori si erano interrotti nell'estate 2008;
e riferita con un linguaggio civile e pacato. Nondimeno rileva che la motivazione resa dalla Corte territoriale è l'espressione di un travisamento delle prove dichiarative e documentali raccolte nel dibattimento, le quali avevano restituito, oltre ogni evidenza, la rappresentazione di un consolidato rapporto esistente tra gli imprenditori e il politico, come dimostrato da plurime circostanze in fatto: gli auguri formulati dal secondo ai primi in occasione delle festività e la visita effettuata dalla parte offesa alla sede della Kreiamo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
1. Questa Corte ha limpidamente affermato che: «In tema di diffamazione a mezzo stampa, il significato delle parole dipende dall'uso che se ne fa e dal contesto comunicativo in cui si inseriscono» (Sez. 5, n. 6062 del 04/04/1995, Scalfari e altro, Rv. 201762). Donde, alla stregua della riferita massima di orientamento, come anche del pacifico approdo del diritto vivente secondo cui «In materia di diffamazione, la Corte di cassazione può conoscere e valutare l'offensività della frase che si assume lesiva della altrui reputazione, perché è compito del giudice di legittimità procedere in primo luogo a considerare la sussistenza o meno della materialità della condotta contestata e, quindi, della portata offensiva delle frasi ritenute diffamatorie, dovendo, in caso di esclusione di questa, pronunciare sentenza di assoluzione dell'imputato (Sez. 5, n. 48698 del 19/09/2014, P.G., P.C. in proc. Demofonti, Rv. 261284;
Sez. 5, n. 832 del 21/06/2005 - dep. 12/01/2006, Travaglio, Rv. 233749), occorre procedere alla verifica delle espressioni usate dall'imputato, secondo quanto emerge dal capo di imputazione, dal testo della pubblicazione incriminata, dalla sentenza impugnata e da quella di primo grado, alla quale è fatto costante richiamo nell'atto di impugnativa, utilizzando il
udita la relazione svolta dal Consigliere IRENE SCORDAMAGLIA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore ANTONIETTA PICARDI che ha concluso chiedendo Il Proc. Gen. conclude per il rigetto udito il difensore LA
DIFESA DEPOSITA CONCLUSIONI ALLE QUALI SI RIPORTA E NOTA SPESE RITENUTO IN FATTO
1. E' impugnata la sentenza del 29 gennaio 2018, con la quale la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa città in data 27 gennaio 2015, di condanna di B G per il delitto di cui all'art. 595 cod. pen., per avere, quale autore del libro "Le mani sulla città", edito nel settembre 2011, offeso la reputazione di G G, capogruppo del Pdl al Comune di Milano, affermando, nell'inciso contenuto alla pag. 39 della menzionata pubblicazione, che gli imprenditori I e M - posti al vertice della società Kreiamo, coinvolta nelle indagini condotte dalla DIA di Milano sugli affari in Lombardia della cellula 'ndranghetista Barbaro-Papalia - erano in ottimi rapporti con diversi esponenti politici della regione, tra i quali figurava anche il G.
2. Con il ricorso per cassazione proposto con il ministero del difensore, l'imputato censura la sentenza della Corte meneghina articolando due motivi, enunciati nei limiti richiesti per la motivazione dall'art. 173 disp.att. cod.proc.pen.. 2.1. Con il primo motivo denuncia il vizio di violazione di legge, in relazione agli artt. 521 cod.proc.pen. e 595 cod.pen., e il vizio di motivazione. All'uopo deduce che la condanna era stata pronunciata per un fatto diverso da quello contestatogli: infatti, mentre l'addebito mossogli era riferito al solo fatto di avere affermato - nell'inciso contenuto nella pagina 39 della pubblicazione menzionata - che il duo I-M era in ottimi rapporti con l'esponente del Pdl G G, la condanna era stata pronunciata sul rilievo che la valenza offensiva delle espressioni utilizzate derivava, vuoi dal contesto comunicativo in cui la stessa era inserita - posto che l'espediente verbale utilizzato richiamava il contenuto di altri passaggi del testo, nei quali era chiaro il riferimento alla contiguità degli imprenditori I e M agli ambienti della criminalità organizzata calabrese delocalizzata -, vuoi dagli articoli a firma di Davide Milosa, coautore del libro, pubblicati sul periodico "Il Fatto Quotidiano" - cui la Corte faceva costante richiamo -, nei quali si insinuava che la candidatura del G alle elezioni regionali del 2010 fosse stata sponsorizzata dalla stessa criminalità per il tramite degli imprenditori menzionati. Aggiunge che tale dilatazione della portata intrinseca delle espressioni utilizzate costitutiva, altresì, indice di carenza di motivazione, atteso che non era stata spesa alcuna puntuale argomentazione sul punto della oggettiva idoneità offensiva delle espressioni in sé considerate, tanto vero che il giudice aveva dovuto far ricorso ad una costellazione di elementi estrinseci in grado di puntellare una giustificazione altrimenti debole.
2.2. Con il secondo motivo denuncia il vizio di violazione di legge, in relazione agli artt. 21 Cost. e 51, 59 e 595 cod. pen., e il vizio di motivazione. Eccepisce che il proprio operato avrebbe dovuto riconoscersi come scriminato dall'esercizio del diritto di cronaca e di critica, almeno nella forma putativa, considerato che la notizia riportata - l'essere il G in ottimi rapporti con lo I e il M - era vera, perché corrispondente a quanto accertato nel procedimento penale denominato "Parco del Sud";
completa, perché nell'ambito dello stesso contesto comunicativo era riferito che il G non aveva assunto, comunque, la qualità di indagato nel procedimento in parola e che gli era stato preferito un altro candidato della stessa cordata politica;
frutto di una diligente attività di documentazione e di verifica delle fonti informative, disponibili solo dal 2010, posto non si era omesso di riferire che i rapporti tra il politico e gli imprenditori si erano interrotti nell'estate 2008;
e riferita con un linguaggio civile e pacato. Nondimeno rileva che la motivazione resa dalla Corte territoriale è l'espressione di un travisamento delle prove dichiarative e documentali raccolte nel dibattimento, le quali avevano restituito, oltre ogni evidenza, la rappresentazione di un consolidato rapporto esistente tra gli imprenditori e il politico, come dimostrato da plurime circostanze in fatto: gli auguri formulati dal secondo ai primi in occasione delle festività e la visita effettuata dalla parte offesa alla sede della Kreiamo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
1. Questa Corte ha limpidamente affermato che: «In tema di diffamazione a mezzo stampa, il significato delle parole dipende dall'uso che se ne fa e dal contesto comunicativo in cui si inseriscono» (Sez. 5, n. 6062 del 04/04/1995, Scalfari e altro, Rv. 201762). Donde, alla stregua della riferita massima di orientamento, come anche del pacifico approdo del diritto vivente secondo cui «In materia di diffamazione, la Corte di cassazione può conoscere e valutare l'offensività della frase che si assume lesiva della altrui reputazione, perché è compito del giudice di legittimità procedere in primo luogo a considerare la sussistenza o meno della materialità della condotta contestata e, quindi, della portata offensiva delle frasi ritenute diffamatorie, dovendo, in caso di esclusione di questa, pronunciare sentenza di assoluzione dell'imputato (Sez. 5, n. 48698 del 19/09/2014, P.G., P.C. in proc. Demofonti, Rv. 261284;
Sez. 5, n. 832 del 21/06/2005 - dep. 12/01/2006, Travaglio, Rv. 233749), occorre procedere alla verifica delle espressioni usate dall'imputato, secondo quanto emerge dal capo di imputazione, dal testo della pubblicazione incriminata, dalla sentenza impugnata e da quella di primo grado, alla quale è fatto costante richiamo nell'atto di impugnativa, utilizzando il
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