Cass. civ., SS.UU., sentenza 22/07/2004, n. 13711
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La controversia instaurata da italiano che abbia lavorato per un console onorario di uno stato estero al fine di ottenere il pagamento di spettanze retributive ed il versamento dei contributi previdenziali omessi appartiene alla giurisdizione del giudice italiano, essendosi in presenza di una domanda giudiziale che non coinvolge aspetti relativi all'organizzazione dello stato straniero e non incide in alcun modo sull'esercizio dei suoi poteri sovrani, non ostando, perciò, all'esercizio di detta giurisdizione, la Convenzione sulle relazioni consolari di Vienna del 24 aprile 1963, ratificata e resa esecutiva con legge 9 agosto 1967 n. 804.
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. G A - Primo Presidente f. f. -
Dott. E A - Consigliere -
Dott. P V - Consigliere -
Dott. A E - Consigliere -
Dott. L P M - Consigliere -
Dott. M M R - Consigliere -
Dott. T R M - Consigliere -
Dott. V G - rel. Consigliere -
Dott. M G - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
V D, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GAVINANA 1, presso lo studio dell'avvocato F P, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati SALVATORE CICOGNA, FRANCESCO ANACLERIO, giusta delega in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
B I;
- intimato -
avverso la sentenza n. 176/02 della Corte d'Appello di MILANO, depositata il 22/03/02;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 03/06/04 dal Consigliere Dott. G V;
udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott. I D che ha concluso per l'accoglimento del ricorso, con dichiarazione della giurisdizione del giudice italiano. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso ex art. 414 c.p.c. D V conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Monza I B, console onorario della Costa d'Avorio, perché quest'ultimo venisse condannato al pagamento della complessiva somma di lire 331.072.328, a titolo di retribuzioni, mensilità aggiuntive, festività, ferie e permessi non goduti, diarie per missioni all'estero, trattamento di fine rapporto, con declaratoria dell'obbligo del datore di lavoro a regolarizzare la posizione del ricorrente presso l'INAIL e l'INPS, condannandolo al pagamento dei contributi omessi e conseguenti sanzioni, spese, diritti ed onorari di giudizio. Riferiva il ricorrente che aveva svolto, per conto di I B l'attività di ricerca di imprenditori lombardi interessati a intraprendere rapporti commerciali con la Costa d'Avorio, di organizzazione di viaggi e soggiorni nel Paese anche dei rappresentanti ivoriani per la loro partecipazione a riunioni e convegni, di avvio e mantenimento delle relazioni tra gli imprenditori italiani, gli organi governativi e gli imprenditori ivoriani. Precisava altresì il ricorrente che aveva ricevuto a titolo di rimborso spese per rappresentanza per intrattenere le pubbliche relazioni la somma settimanale di lire 300.000, mentre il versamento del corrispettivo vero e proprio era stato costantemente rinviato e non era stato effettuato neanche nell'occasione in cui il suo rapporto di lavoro era stato risolto per iniziativa del B.
Il Tribunale di Monza con sentenza del 22 maggio 2001 dichiarava il proprio difetto di giurisdizione a conoscere della controversia. A seguito di gravame del V, la Corte d'appello di Milano con sentenza del 13 marzo 2002 rigettava l'appello sul presupposto che alla fattispecie sottoposta al suo esame andava applicata il disposto dell'art. 43 della convenzione di Vienna del 8 aprile 1961 e 24 aprile 1964, ratificata con la legge 9 agosto 1967 n. 804. Evidenziava al riguardo la Corte territoriale che, essendo gli atti compiuti dal B attinenti alle funzioni consolari e, quindi, svolte nell'interesse dello Stato della Costa d'Avorio, quale soggetto internazionale, non poteva riconoscersi la giurisdizione del giudice nazionale perché le funzioni del V non erano state svolte a favore del B come cittadino, ma quale console della Costa d'Avorio. La giurisdizione non apparteneva, quindi, al giudice italiano non valendo per andare in contrario avviso addurre che, nella specie il V aveva spiegato pretese di ordine economico atteso che era "la qualità del petitum che definisce la qualità degli atti sui quali il petitum si fonda", non potendo, di contro, la natura economica incidere sulla rilevanza assunta dagli atti compiuti ai fini della gestione di uno Stato sovrano diverso dall'Italia. Avverso tale sentenza D V propone ricorso per Cassazione, affidato ad un duplice motivo.
Non si è costituito I B.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione di norme di diritto con riferimento agli artt. 43, 58, 71 della convenzione di Vienna del 24 aprile 1963, ratificata con la legge 9 agosto 1967 n. 804. In particolare addebita alla sentenza impugnata di avere applicato alla fattispecie in esame il disposto dell'art. 43 della Convenzione di Vienna e di non avere considerato che per giurisprudenza costante va affermata l'esistenza della giurisdizione italiana anche in relazione ai rapporti inerenti le funzioni istituzionali di uno stato straniero quando la decisione richiesta non è idonea ad interferire - come avviene con riferimento ai rapporti di natura esclusivamente economica - con l'esercizio delle funzioni istituzionali e sovrane dello stato straniero. Lamenta ancora che il giudice d'appello ha riconosciuto al console onorario, con una interpretazione personale ed estensiva delle norme della Convenzione di Vienna, privilegi non spettanti, ritenendolo beneficiario di alcune concessioni, esenzioni e privilegi previsti espressamente per il solo personale di carriera, con ciò dimenticando di considerare che la posizione dei consoli onorari cittadini dello Stato mandatario, quale risulta dallo spirito della Convenzione di Vienna del 1963, non può dare luogo a dubbi perché essi una volta messi, con piena garanzia, nella condizione di potere svolgere liberamente il loro mandato speciale, rimangono per tutto il resto cittadini del loro stato e, come tali di conseguenza, rimangono soggetti come gli altri connazionali, all'osservanza della legge comune.
Il suddetto motivo è fondato e, pertanto, va accolto. Va premesso che questa Corte, a Sezioni Unite, ha statuito, con riguardo alle controversie inerenti al rapporto di lavoro del personale italiano dei consolati stranieri in Italia, che sussiste il difetto di giurisdizione del giudice italiano per effetto della immunità consolare quando la pronunzia a tale giudice richiesta comporti interferenza sull'organizzazione dell'ufficio consolare - come nel caso di impugnativa del licenziamento con domanda di condanna alla reintegrazione nel posto di lavoro - senza che rilevi in contrario la circostanza della avvenuta applicazione al rapporto di cui trattasi di un contratto collettivo di lavoro (cfr. al riguardo Casa., Sez. Un. 18 novembre 1992 n. 12315). I giudici di legittimità hanno così ribadito, con riferimento al disposto dell'art. 43 della Convenzione di Vienna del 24 aprile 1963 sulle relazioni consolari, ratificata con la legge 9 agosto 1967 n. 804, che la giurisdizione del giudice italiano va affermata non soltanto allorquando si tratti di dipendenti con mansioni meramente ausiliarie ma anche nel caso di dipendenti con mansioni di collaborazione con funzioni consolari, ove la domanda sia indirizzata solo al conseguimento di spettanze retributive o comunque investa esclusivamente questioni patrimoniali (cfr. in tali sensi Casa., Sez. Un., 15 maggio 1989 n. 2329). Non assume poi alcun rilievo ai fini decisori la circostanza che il rapporto di lavoro del V si sia instaurato nel caso di specie con il B, quale console onorario della Costa d'Avorio, atteso che dal combinato disposto dell'art. 43 e dell'art. 58, comma 2^, della Convenzione di Vienna si evince l'estensione della immunità di giurisdizione dei funzionar e degli impiegati consolari anche ai funzionar consolari onorari.
Tale conclusione risulta in linea con l'indirizzo di queste Sezioni Unite volto a contemperare l'esigenza di assicurare il riconoscimento delle prerogative proprie di uno stato estero con la tutela dei diritti dei cittadini italiani lavoratori.
Questa Corte - in conformità delle opinioni condivise dalla dottrina internazionalistica - ha abbandonato da tempo la tesi della "immunità diffusa" per accogliere, invece, il principio della "immunità ristretta o relativa". Come è stato al riguardo precisato, quest'ultima teoria risponde, ormai, al diritto internazionale consuetudinario sicché può affermarsi che l'esenzione degli Stati stranieri dalla giurisdizione civile è limitata agli atti iure imperii (a quegli atti, cioè, attraverso i quali si esplica l'esercizio delle funzioni pubbliche statali) e non si estende invece agli atti iure gestionis o iure privatorum (ossia agli atti aventi carattere privatistico, come l'acquisto di un immobile a titolo di investimento o all'emissione di prestiti obbligazionari).
Ed analoghe restrizioni in termini di immunità di giurisdizione si riscontrano per quanto attiene ad attività lavorative di natura pubblicistica in relazione alle quali si osserva nella nostra giurisprudenza il graduale ma, in tempi recenti, costante riconoscimento della sussistenza della giurisdizione del giudice italiano sulla base, non più della natura delle funzioni in concreto spiegate dal lavoratore, ma sulla base dell'impatto della decisione giudiziaria richiesta sui poteri sovrani dello Stato estero, con la conseguenza di assegnare rilevanza decisiva - ai fini dell'attribuzione della giurisdizione al giudice italiano - alla natura patrimoniale della controversia di lavoro.
Alla stregua dell'indicato criterio - e nella direzione di una regola consuetudinaria di generale applicazione, recepita dall'ordinamento italiano in virtù del richiamo dell'art. 10 Cost. - l'esenzione dello Stato straniero dalla giurisdizione nazionale viene meno, quindi, non solo nel caso di controversie relative a rapporti di lavoro aventi per oggetto l'esecuzione di attività meramente ausiliarie delle funzioni istituzionali degli enti convenuti, ma anche nel caso di controversie promosse dai dipendenti allorquando la decisione richiesta al giudice italiano, attenendo ad aspetti solo patrimoniali, sia inidonea ad incidere o ad interferire sulle funzioni dello stato sovrano (cfr. ex plurimis;Cass., sez. Un., 15 maggio 1989 n. 2329;Cass., Sez. Un., 3 agosto 2000 n. 531 in motivazione, cui adde, da ultimo, Casa., Sez. Un., 12 novembre 2003 n. 17087, ord.). In altri termini, al fine dell'esenzione dalla giurisdizione del giudice nazionale è richiesto che l'esame e l'indagine sulla fondatezza della domanda dei lavoratori non comporti apprezzamenti, indagini o statuizioni che possano incidere o interferire sugli atti o comportamenti dello Stato estero (o di un ente pubblico attraverso il quale detto Stato opera per perseguire anche in via indiretta le sue finalità istituzionali), espressione dei suoi poteri sovrani di autorganizzazione, vigendo in tali casi il principio generale "par in parem non habet jurisdictionem". Su tali presupposti è stata esclusa la giurisdizione del giudice nazionale nel caso di domanda volta alla reintegrazione nel posto di lavoro, investendo detta pretesa in via diretta l'esercizio di poteri pubblicistici dell'ente straniero, anche per gli effetti della decisione sulla valutazione del codice deontologico e disciplinare posto sovente alla base del licenziamento (cfr. su tale fattispecie: Cass., Sez. Un., 8 giugno 1994 n. 5565 cui adde Cass., Sez. Un., 18 novembre 1992 n. 12315 ed ancora Cass., Sez. Un., 12 novembre 2003 n. 17087 cit.). E, sempre sul presupposto che venga ad incidere sui poteri organizzativi dello Stato estero, è stata esclusa dalla giurisdizione del giudice nazionale la domanda di qualifica superiore, con contestuale più favorevole trattamento economico, comportando anche detta domanda valutazioni e apprezzamenti strettamente inerenti - segnatamente quando si tratti di mansioni fiduciarie - ai poteri di autorganizzazione dell'ente straniero (cfr. Cass., Sez. Un., 16 novembre 1990 145, relativa alle prestazioni di un addetto ad ufficio stampa di ambasciata, cui adde Cass., Sez. Un., 9 settembre 1997 n. 8768, riguardante la domanda di migliore Inquadramento avanzata da collaboratrice, con notevole margine di autonomia, dell'ufficio pubblicazione dell'"Ecole francaise de Rome").
A diversa conclusione deve, invece, pervenirsi, come si è detto, in tutti quei casi in cui le domande avanzate rimangono - come nella fattispecie oggetto dell'esame di questa Corte - limitate al trattamento economico e non coinvolgono in alcun modo questioni relative all'organizzazione dell'ente.
È stata a tale riguardo dalla dottrina Internazionalistica rimarcata una prassi giudiziaria recente, volta a valorizzare la specificità di una materia in cui sono in gioco valori di fondamentale importanza, ed è stato sottolineato come già in alcuni Paesi lo stato straniero non sia immune se il lavoro è prestato nel territorio dello Stato del foro, considerandosi questa regola dalla giurisprudenza come corrispondente al diritto consuetudinario o quanto meno ad una consuetudine in formazione. Ed a conforto di tale indirizzo favorevole a delimitare la sfera di immunità dello Stato straniero in materia di rapporti di lavoro si sono indicate numerose norme di diritto internazionale, facendosi specificamente riferimento alla - "Convenzione europea sull'immunità degli Stati" del 16 maggio 1972, entrata in vigore l'11 giugno 1976 e già ratificata da vari Paesi (cfr. art. 5), nonché al Progetto di convenzione predisposto dall'Organizzazione degli Stati Americani(cfr. art. 6, lettera a, che esclude comunque l'immunità quando il lavoro è prestato nel territorio dello stato del foro), cui può aggiungersi la Convenzione di Roma del 19 giugno 1980 - esecutiva in Italia con la legge 18 dicembre 1984 n. 975 ed entrata in vigore il 1^ aprile 1991 secondo
il disposto dell'art. 57 l. n. 218 del 1995 - che alle regole generali fissate in materia contrattuale pongono due temperamenti al fine di offrire una maggiore tutela al contraente istituzionalmente più debole, quale è, appunto, il lavoratore(cfr. art. 6). Alla stregua dei principi sopra enunciati va accolto il ricorso e va dichiarata la giurisdizione del giudice italiano non potendosi prendere in esame la censura con la quale si solleva questione di costituzionalità degli art. 43, 58 e 71 della Convenzione di Vienna del 24 aprile 1963, recepita con la legge 9 agosto 1967 n. 804, in relazione dell'art. 24 della Costituzione se interpretati nei sensi indicati dal giudice d'appello.
La sentenza impugnata va cassata e dichiarata la giurisdizione del giudice italiano. Alla stregua degli artt. 383 e 353 c.p.c. la causa va rimessa al giudice di primo grado, e cioè al Tribunale di Monza, in funzione di giudice del lavoro, che procederà ad un nuovo esame della presente controversia in attuazione del principio di diritto secondo cui "la controversia instaurata da un dipendente italiano di un console onorario di uno Stato estero per ottenere il pagamento di spettanze retributive ed il versamento dei contributi omessi appartiene alla giurisdizione del giudice italiano, non ostando a detto riconoscimento la Convenzione sulle relazioni consolari di Vienna del 24 aprile 1963, ratificata e resa esecutiva con legge 9 agosto 1967 n. 804, essendosi in presenza di una domanda giudiziaria
che non coinvolge aspetti relativi all'organizzazione dello Stato straniero e che non incide in alcun modo sull'esercizio dei suoi poteri sovrani".
Al giudice di rinvio va rimessa anche la statuizione sulle spese del presente giudizio di Cassazione e dei giudizi di merito.