Cass. civ., sez. III, sentenza 02/10/2003, n. 14684

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In tema di azioni cambiarie ed in base all'art. 66, comma terzo, della legge cambiaria, il mancato adempimento, da parte del giratario della cambiale, dell'onere di restituire al proprio girante il titolo "impregiudicato", vale a dire idoneo a legittimare l'esercizio delle azioni cambiarie che gli competono nei confronti del proprio debitore, comporta l'inammissibilità dell'azione "causale" proposta dal giratario che, per propria inattività, abbia lasciato prescrivere l'azione "cambiaria" spettante al girante, di regresso o diretta.

In tema di obbligazioni pecuniarie, il requisito della necessaria determinazione scritta degli interessi ultralegali, prescritto dall'art. 1284 cod. civ., può essere soddisfatto anche "per relationem", attraverso il richiamo a criteri prestabiliti ed elementi estrinseci, purché obbiettivamente individuabili. È tuttavia insufficiente a tale scopo la clausola che si limiti ad un mero riferimento "alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza", o espressioni analoghe, poiché, data l'esistenza di diverse tipologie di interessi, essa non consente, per la sua genericità, di stabilire a quale previsione le parti abbiano inteso concretamente riferirsi. In tal caso, la conoscenza successiva del saggio applicato non vale a sanare l'originario vizio di nullità della pattuizione, per carenza del requisito della determinabilità, la cui esistenza l'art. 1346 cod. civ. esige "a priori", al punto che non può essere individuato successivamente, tanto più quando il saggio non sia determinato da entrambe le parti ma da una di esse, che l'abbia portato a conoscenza dell'altra, attraverso documenti che abbiano il fine esclusivo di fornire l'informazione delle operazioni periodicamente contabilizzate e non anche di contenere proposte contrattuali, capaci di assumere dignità di patto in difetto di espresso dissenso.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. III, sentenza 02/10/2003, n. 14684
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 14684
Data del deposito : 2 ottobre 2003
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. G A - Presidente -
Dott. V P - Consigliere -
Dott. P L R - rel. Consigliere -
Dott. T F - Consigliere -
Dott. C D - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
L A, elettivamente domiciliato in

ROMA VIA ANAPO

29, presso lo studio dell'avvocato D G D, che lo difende unitamente all'avvocato T M, giusta delega in atti;



- ricorrente -


contro
BANCA POPOLARE DELL'ETRURIA LAZIO coop. soc. a.r.l., in persona del direttore generale del Dott. A R, legale rappresentante, elettivamente domiciliato in

ROMA VIA SABOTINO

45, difeso dall'avvocato M A, giusta delega in atti;



- controricorrente -


avverso la sentenza n. 637/98 della Corte d'Appello di FIRENZE, sezione seconda civile emessa il 24/03/98, depositata il 09/05/98, R.G. 476/96;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/02/03 dal Consigliere Dott. R P L;

udito l'Avvocato ARTURO MARZANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. R R che ha concluso in via principale assegnazione del ricorso alle sezione unite con riferimento al 2^ motivo;
in subordine inammissibile il 1^ accoglimento del 2^ assorbito il 3^. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L Andrea proponeva opposizione avverso il decreto col quale, il 12 dicembre 1983, il presidente del Tribunale di Grosseto gli aveva ingiunto di pagare alla Banca Popolare dell'Etruria lire 14.849.601, oltre agli interessi convenzionali del 20%, eccependo la prescrizione dell'azione cambiaria e la decadenza dall'azione causale e contestando anche la misura degli interessi.
La Banca replicava che intratteneva col L un rapporto di conto corrente nonché di sconto di cambiali e di vaglia cambiari e che il decreto era stato chiesto proprio perché alcuni titoli erano rimasti insoluti. Rilevava che, indipendentemente dall'eventuale prescrizione cambiaria, i titoli valevano come promesse di pagamento, che gli stessi erano stati allegati al decreto e che gli interessi erano quelli pattuiti per iscritto nel contratto di conto corrente. Con sentenza del 5 maggio 1994 l'adito Tribunale rigettava l'opposizione, osservando che i titoli avevano l'efficacia di una promessa di pagamento e che gli interessi erano stati legittimamente pattuiti e richiesti.
Con sentenza del 9 maggio 1998, la Corte d'Appello di Firenze ha rigettato il gravame del L.
Per la cassazione ricorre il soccombente, articolando tre motivi. Resiste con controricorso la Banca.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Col primo motivo il ricorrente, denunciando la violazione dell'art. 66 u.c. del R.D. 14 dicembre 1933 n. 1669 nonché omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 n. 3 e 5 C.p.c.), osserva che dalla pacifica prescrizione dell'azione cambiaria, riconosciuta anche dalla sentenza impugnata, discende anche la sicura decadenza della Banca dall'azione causale, per non aver adempiuto, come prescrive l'art. 66 u.c. cit., le formalità necessarie per conservare al L le azioni di regresso che gli competevano.
Invero, dei titoli azionati dalla Banca, sette risultano emessi a favore di terzi (prenditori) e da questi girati al L, che li ha poi girati a sua volta alla Banca. Per tali sette vaglia il L avrebbe potuto validamente rivalersi nei confronti dei propri giranti, esercitando l'azione cambiaria di ulteriore regresso prevista dall'art. 94 3 comma l. cambiaria, se questa non si fosse prescritta in seguito all'inerzia della Banca portatrice. Presupposto essenziale per l'esercizio di tale azione, come è assolutamente pacifico in giurisprudenza, è infatti che il pagamento o la domanda giudiziale del portatore ricadano entro il termine di prescrizione dell'azione cartolare del portatore stesso e del successivo obbligato e cioè, nel nostro caso, entro l'anno dal protesto, essendo la Banca ultima portatrice, ai sensi dell'art. 94 2 comma l. cambiaria. Assolutamente inappropriato è, secondo il ricorrente, il richiamo fatto dalla Corte al diritto della Banca di vedersi restituite le somme anticipate in forza del contratto di sconto, perché trattasi proprio dell'azione causale derivante dallo sconto per cui è causa, dalla quale la Banca, come detto, è appunto decaduta. In conclusione, l'esercizio, da parte della Banca, dell'azione causale oltre il termine di prescrizione dell'azione cambiaria ha determinato l'impossibilità del debitore L di agire "ex titulo" nei confronti dei soggetti verso di lui obbligati e quindi la decadenza della Banca stessa da tale azione.
Tale decadenza, sempre eccepita, anche in appello, non ha ricevuto alcun riscontro della Corte territoriale.
Col secondo mezzo, denunciando la violazione dell'art. 1284 uc C.c. (art. 360 n. 3 C.P.C.), il ricorrente afferma l'illegitt interessi pretesi dalla Banca, giacché l'eventuale riferimento alle "condizioni usualmente praticate sulla piazza" non soddisfa il requisito della forma scritta richiesta per la pattuizione di interessi in misura superiore a quella legale, attesa la sua equivocità, in rapporto alle diverse tipologie di interessi, e anche per l'assoluta mancanza agli atti di elementi e prove di alcun genere da cui desumere quelle "condizioni usualmente praticate". Col terzo mezzo, denunciando la violazione delle regole di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 e segg. C.c. e comunque omessa o insufficiente motivazione (art. 360 n. 3 e 5 C.p.c.), il L sostiene che, pur se si volesse dare per provato
che all'epoca dell'emissione del decreto ingiuntivo la misura degli interessi fosse del 20%, ciò non giustificherebbe la recezione di questo tasso, perché semmai si sarebbe dovuto ingiungere il pagamento degli interessi nella misura in uso sulla piazza, onde poter applicare correttamente, al momento del pagamento o dell'esecuzione, quella in concreto via via espressa dal mercato, evitando così il risultato di condannare il debitore a riconoscere interessi del 206 in epoche in cui il tasso bancario di sconto fosse attestato su livelli assai più bassi.
La Banca e il L infatti, col contratto di conto corrente, non avrebbero convenuto gli interessi nella misura del 20%, bensì in quella d'uso sulla piazza. Il giudice non avrebbe potuto indicare pertanto tale saggio, fisso e immutabile, in luogo di quello, vario e mutevole, voluto dalle parti, perché, operando in tal modo, il saggio degli interessi sarebbe ancorato alla più assoluta casualità dipendendo dall'epoca di emissione del decreto ingiuntivo. Risulta perciò violata la regola secondo cui, nell'interpretare il contratto, si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti: queste, nel caso in esame, vollero una misura degli interessi flessibile, legata cioè alle variazioni temporali del mercato, e non invece fissa, del 20% annuo. Per giunta, nessuna spiegazione è stata fornita dalla Corte sui criteri che giustificherebbero la scelta del 20%, in luogo del tasso, variabile, contrattualmente individuato dalle parti con la locuzione "usualmente praticate sulla piazza".
Il primo motivo è fondato.
La verifica degli atti processuali, cui questa Corte è abilitata, a causa del denunciato "error in procedendo", consente di appurare che il Tribunale, pur dando per scontato che la banca abbia esercitato l'azione causale (perché, a suo avviso, tutti i titoli valgono "come promesse di pagamento implicanti l'utile esercizio dell'azione causale";
e deve riconoscersi "l'autonomo diritto alla restituzione degli importi dei medesimi discendente dalla regola dell'art. 1859 C.c.", che contempla, per l'appunto, l'azione causale restitutoria
nascente dal contratto di sconto di cambiali), non dedica alcuna attenzione alla pur eccepita decadenza da tale azione ai sensi dell'art. 66 l.c..
Non è vero poi che l'appello del L vertesse soltanto sul "quantum debeatur", giacché, seppure in forma parentetica, l'eccezione (in senso proprio) di decadenza venne espressamente ivi riproposta ("deve ricordarsi che la banca è decaduta dall'azione causale (...) per aver pregiudicato, facendole prescrivere, le azioni di regresso eventualmente spettanti al L"), con ciò stesso dolendosi l'appellante, senza equivoco, del vizio di omessa pronuncia sul punto.
La sentenza impugnata, pur condividendo, a quanto pare, l'opinione dei primi giudici sulla natura causale dell'azione esercitata dalla banca (dal momento che afferma il diritto di quest'ultima di ottenere, anche in base al contratto di sconto di cambiali, la restituzione dell'intero importo del credito ceduto e non del solo importo di fatto versato allo scontatario a sua volta ha omesso di pronunciare sul motivo col quale si faceva valere l'omessa pronuncia del Tribunale sull'eccezione di decadenza.
È noto che, in base all'art. 66, 3 comma, l.c., il mancato adempimento, da parte del giratario della cambiale, dell'onere di restituire al proprio girante il titolo "impregiudicato", vale a dire idoneo a legittimare l'esercizio delle azioni cambiarie che gli competono nei confronti del proprio debitore, comporta l'inammissibilità dell'azione causale proposta dal giratario che, per propria inattività, abbia lasciato prescrivere l'azione cambiaria spettante al girante, di regresso o diretta (Cass. 16 febbraio 1998 n. 1640). Toccherà quindi al giudice di rinvio accertare se e in relazione a quali titoli cambiari la banca sia incorsa nella denunciata decadenza dall'azione causale.
È fondato anche il secondo motivo.
La sentenza impugnata, nel rigettare il rilievo relativo agli interessi, osserva che il tasso fu pattuito per iscritto (art. 7 del contratto), "con rinvio alle condizioni usualmente praticate sulla piazza". Per giunta, conclude sul punto, mai nessuna contestazione è stata mossa tempestivamente dal L avverso le varie distinte riepilogative del conto, contenenti l'indicazione della misura degli interessi praticati.
Ebbene, la più recente giurisprudenza di questa Suprema Corte, cui il Collegio intende prestare adesione, ha decisamente mutato indirizzo sul tema, giacché, pur riaffermando che il requisito della necessaria determinazione scritta degli interessi ultra legali, prescritto dall'art. 1284 C.c., può essere soddisfatto anche "per relationem", attraverso il richiamo a criteri prestabiliti e ad elementi estrinseci, purché obiettivamente individuabili, ha chiarito l'insufficienza, a tale scopo, di una clausola che si limiti ad un mero riferimento "alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza" o espressioni analoghe (Cass. 21 novembre 2000 n. 15024): ciò perché, data l'esistenza di diverse tipologie di interessi, essa non consente, per la sua genericità, di stabilire a quale previsione le parti abbiano inteso concretamente riferirsi (Cass. 1 febbraio 2002 n. 1287;
19 luglio 2000 n. 9465
). Beninteso, la conoscenza successiva del saggio applicato non vale a sanare l'originario vizio di nullità della pattuizione, per carenza del requisito della determinabilità, la cui esistenza l'art. 1346 C.C., esige "a priori", al punto che non può essere individuato
successivamente;
tanto più quando il saggio non sia determinato da entrambe le parti ma da una di esse, che l'abbia portato a conoscenza dell'altra, attraverso documenti che abbiano il fine esclusivo di fornire l'informazione delle operazioni periodicamente contabilizzate e non anche di contenere proposte contrattuali, capaci di assumere dignità di patto in difetto di espresso dissenso (Cass. 1 febbraio 2002 n. 1287 cit.). All'accoglimento del motivo in esame consegue l'assorbimento del terzo.
Concludendo, la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti, col rinvio, anche per la liquidazione delle spese di questo giudizio, a un giudice di pari grado, designato nel dispositivo.

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