Cass. civ., SS.UU., ordinanza 26/07/2004, n. 14060

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Poiché l'art. 295 cod. proc. civ., la cui ragione fondante è quella di evitare il rischio di un conflitto tra giudicati, fa esclusivo riferimento all'ipotesi in cui fra due cause pendenti davanti allo stesso giudice o a due giudici diversi esista un nesso di pregiudizialità in senso tecnico - giuridico e non già in senso meramente logico, la sospensione necessaria del processo non può essere disposta nell'ipotesi di contemporanea pendenza davanti a due giudici diversi del giudizio sull'"an debeatur" e di quello sul "quantum", fra i quali esiste un rapporto di pregiudizialità solamente in senso logico, essendo in tal caso applicabile l'art. 337, secondo comma, cod. proc. civ., il quale, in caso di impugnazione di una sentenza la cui autorità sia stata invocata in un separato processo, prevede soltanto la possibilità della sospensione facoltativa di tale processo, e tenuto conto altresì del fatto che, a norma dell'art. 336, secondo comma, cod. proc. civ., la riforma o la cassazione della sentenza sull'"an debeatur" determina l'automatica caducazione della sentenza sul "quantum" anche se su quest'ultima si sia formato un giudicato apparente, con conseguente esclusione del conflitto di giudicati.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., SS.UU., ordinanza 26/07/2004, n. 14060
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 14060
Data del deposito : 26 luglio 2004
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. I G - Primo Presidente f.f. -
Dott. O G - Presidente di sezione -
Dott. P G - Consigliere -
Dott. M A - Consigliere -
Dott. C A - Consigliere -
Dott. P R - rel. Consigliere -
Dott. D N L F - Consigliere -
Dott. V U - Consigliere -
Dott. R F - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
C ATA, elettivamente domiciliata in ROMA,

VIALE GIUSEPPE MAZZINI

157, presso lo Studio dell'avvocato EMILIO MANGANIELLO, che la rappresenta e difende, giusta delega a margine del ricorso;



- ricorrente -


contro
I.N.P.S., ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

DELLA FREZZA

17, presso l'Avvocatura Centrale dell'Istituto stesso, rappresentato e difeso dagli avvocati UMBERTO LUIGI PICCIOTTO, PILERIO SPADAFORA, GIUSEPPE FABIANI, VINCENZA GORGA, giusta delega in atti;

- resistente con mandato -
avverso il provvedimento relativo al n. r.g. 86430/99 del Tribunale di ROMA, emesso il 06/10/00;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio il 18/03/04 dal Consigliere Dott. Roberto PREDEN;

lette le conclusioni scritte dal Sostituto Procuratore Generale Dott. Antonio MARTONE il quale chiede che le sezioni unite della Corte, in Camera di consiglio, accolgano il ricorso, con le conseguenze di legge.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 16927/98, il Pretore di Roma, in funzione di giudice del lavoro, ha dichiarato sussistente il diritto di Annunziata Craparo a percepire l'indennità di mobilità a decorrere dal 3.9.1993, data del licenziamento disposto dalla società Saepius, ed ha condannato l'INPS al pagamento delle somme dovute per tale causale.
In base a tale pronuncia la Craparo, con ricorso al Pretore di Roma depositato il 12.3.1999, ha chiesto la condanna dell'INPS al pagamento della somma di L. 66.329.554.
Il pretore, con ordinanza del 6.10.2000, rilevato che avverso la sentenza n. 16927/98 l'INPS aveva proposto appello davanti al Tribunale di Roma, ha sospeso il giudizio sino alla definizione del giudizio sull'esistenza del diritto, ai sensi dell'art. 295 c.p.c., ravvisando un caso di pregiudizialità, alla stregua delle sentenze n. 12836/97 e n. 7788/93 della Corte di Cassazione. Avverso l'ordinanza di sospensione la Craparo ha proposto regolamento di competenza ai sensi del novellato art. 42 c.p.c.. La ricorrente, rilevato che nella giurisprudenza della Corte di Cassazione alle sentenze citate dal pretore se ne contrappongono altre, come la n. 4844/96, n. 8374/98 e n. 13174/99, che escludono la necessità, ai sensi dell'art. 295 c.p.c., di sospendere il giudizio sul quantum in attesa che passi in giudicato la sentenza sull'an, e ritengono applicabile la sospensione facoltativa, ai sensi dell'art. 337, comma 2, c.p.c., da coordinare con l'art. 336, comma 2, c.p.c., ha chiesto
l'assegnazione del ricorso alle Sezioni unite. In tal senso è stato disposto.
CONSIDERATO IN DIRITTO


1. Il provvedimento impugnato ha sospeso il giudizio di primo grado sul quantum sino al passaggio in giudicato della sentenza sull'an, gravata di appello, in applicazione dell'art. 295 c.p.c., che disciplina l'ipotesi della "Sospensione necessaria" del processo. La questione della sussistenza, nel caso in esame, di una ipotesi di sospensione necessaria, ai sensi dell'art. 295 c.p.c. ("Il giudice dispone che il processo sia sospeso in ogni caso in cui egli stesso o altro giudice deve risolvere una controversia, dalla cui definizione dipende la decisione della causa"), ovvero di una ipotesi di sospensione facoltativa, ai sensi dell'art. 337, comma 2, c.p.c. ("Quando l'autorità di una sentenza è invocata in un diverso processo, questo può essere sospeso se tale sentenza è impugnata"), è oggetto di contrasto nella giurisprudenza di questa Corte.

2. Un primo indirizzo accoglie la tesi positiva ed afferma che l'art. 295 c.p.c. deve trovare applicazione anche in ordine al giudizio sul
quantum debeatur, che, ove sia stata impugnata la sentenza resa nel separato giudizio sull'an, deve essere sospeso fino alla definizione del giudizio sull'an, avente carattere di indispensabile antecedente logico-giuridico della decisione sul quantum (sent. n. 5044/83;
n. 5298/83;
n. 4026/93;
n. 7788/93
;
nello stesso senso, in relazione al rapporto tra giudizio avente ad oggetto il riconoscimento della qualifica superiore e quello concernente l'attribuzione delle mansioni corrispondenti o delle conseguenti differenze retributive, sent. n. 1672/78;
n. 3730/78;
n. 3736/81;
n. 538/90;
n. 12386/97
).

2. Altro indirizzo nega l'applicabilità della sospensione necessaria, e sostiene che deve ravvisarsi l'ipotesi di sospensione facoltativa prevista dall'art. 337, comma 2, c.p.c.. Si afferma che, poiché l'art. 295 c.p.c., la cui ratto è quella di evitare il rischio di un conflitto tra giudicati, fa esclusivo riferimento all'ipotesi in cui fra due cause pendenti davanti allo stesso giudice o a due giudici diversi esista un nesso di pregiudizialità in senso tecnico-giuridico e non già in senso meramente logico, la sospensione necessaria del processo non può essere disposta nell'ipotesi di contemporanea pendenza davanti a due giudici diversi del giudizio sull'an debeatur e di quello sul quantum (fra i quali esiste un rapporto di pregiudizialità solamente in senso logico) essendo in tal caso applicabile l'art. 337, comma 2, c.p.c., il quale, in caso di impugnazione di una sentenza la cui autorità possa essere invocata in un separato processo, prevede soltanto la possibilità della sospensione facoltativa di tale processo, e tenuto conto altresì del fatto che, a norma dell'art. 336, comma 2, c.p.c., la riforma o la cassazione della sentenza sull'an debeatur determina l'automatica caducazione della sentenza sul (quantum anche se su quest'ultima si sia formato un giudicato apparente (sent. n. 4844/96, che richiama la precedente sent. n. 2037/85, che per prima aveva enunciato il principio;
è conforme la sent. n. 5006/02;
il principio è condiviso dalla sentenza n. 10766/02;
nello stesso solco si pone la sentenza n. 8374/98, in cui si afferma che i rapporti tra sentenza non definitiva sottoposta ad appello immediato e prosecuzione del giudizio davanti al giudice che ha pronunciato quella sentenza, nell'ipotesi di sospensione disciplinata dall'art. 279, comma 4, c.p.c., non sono regolati dall'art. 295 c.p.c.).


3. Le più risalenti pronunce che accolgono il primo indirizzo si limitano ad affermare, a sostegno della tesi della sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c., che la previa definizione della causa avente ad oggetto il giudizio sull'an (o il riconoscimento della qualifica), nella quale sia stata pronunciata sentenza avverso la quale sia stata proposta impugnazione, costituisce, per il suo carattere pregiudiziale, l'indispensabile antecedente logico- giuridico dal quale dipende la decisione della causa relativa al quantum (o all'attribuzione delle mansioni o delle differenze retributive corrispondenti alla qualifica), essendo la domanda proposta in questa sede esclusivamente fondata sulla precedente sentenza.
La sentenza n. 4026/93, successiva alla sentenza n. 2037/85, che per prima aveva enunciato l'opposto principio della applicabilità della sospensione facoltativa ex art. 337, comma 2, c.p.c., si pone con questa in consapevole contrasto, affermando che, nel caso in cui sia impugnata la sentenza sull'an, il separato giudizio sul quantum deve essere necessariamente sospeso, ai sensi dell'art. 295 c.p.c., poiché una situazione di questo genere rientra necessariamente nelle previsioni dell'art. 336 c.p.c. anziché in quelle dell'art. 337 steso codice. Invero, osserva testualmente la sentenza, mentre il comma 2, dell'art. 337 c.p.c. consente al giudice di sospendere facoltativamente il processo quando in questo venga invocata l'autorità di una sentenza pronunciata in altro processo, gli effetti e la portata della quale, senza essere quelli della cosa giudicata (nel qual caso il giudice deve soltanto decidere sulla relativa eccezione), possono essere soltanto quelli della connessione o, comunque, di un'influenza diretta che potrebbe concretarsi in un fenomeno di giudizi contraddittori, il caso in esame vertendo sul rapporto tra sentenza di condanna generica e giudizio sul quantum, viene a concretare la situazione in cui la pronuncianda sentenza... di determinazione e di condanna al quantum, sarebbe stata necessariamente dipendente dall'eventuale riforma della pregressa sentenza... sull'an debeatur. Col risultato finale che la eventuale riforma del giudizio pretorile, con sentenza passata in giudicato, avrebbe necessariamente travolto il giudizio di liquidazione". In altri termini, secondo la richiamata pronuncia, dovrebbe operare la sospensione necessaria perché, qualora il giudice della causa sul quantum non sospendesse avvalendosi della facoltà di cui all'art. 337, comma 2, c.p.c., la decisione sul quantum sarebbe esposta al
rischio di caducazione nel caso di riforma della sentenza sull'an, ai sensi dell'art. 336, comma 2, c.p.c.. 4. La tesi della sospensione facoltativa ex art. 337, comma 2, c.p.c., è ampiamente argomentata dalla sentenza n. 4844/96, che
svolge le seguenti considerazioni.
Secondo la costante giurisprudenza della Corte, la sospensione necessaria del processo, che non sia imposta da specifica disposizione di legge, ha per fondamento non solo l'indispensabilità logica dell'antecedente avente carattere pregiudiziale, nel senso che la definizione della relativa controversia si ponga come momento ineliminabile del processo logico della causa dipendente, ma anche di indispensabilità giuridica, nel senso che l'antecedente logico venga postulato con efficacia di giudicato, per modo che possa eventualmente verificarsi conflitto di giudicati. Ai fini della sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c., occorre tenere conto della distinzione, formulata con riferimento all'art. 34 c.p.c., tra "pregiudizialità logica" e "pregiudizialità tecnico-
giuridica". Con la prima espressione si indica il rapporto giuridico dal quale nasce l'effetto dedotto in giudizio o, secondo altra convergente accezione, il fatto costitutivo del diritto fatto valere davanti al giudice (ad esempio: il contratto di compravendita rispetto alla richiesta di pagamento del prezzo della cosa venduta), integrante il "punto pregiudiziale", mentre la seconda indica quella fattispecie che, essendo esterna al fatto costitutivo del diritto, ne integra il presupposto o, come anche si afferma, quella situazione che ugualmente rappresenta un presupposto dell'effetto dedotto in giudizio, ma che si distingue, attesa la sua autonomia, dal fatto costitutivo sul quale si fonda l'effetto (ad esempio: la qualità di erede del creditore rispetto alla domanda di pagamento del prezzo oggetto del contratto di compravendita stipulato dal defunto) ed integra la "questione pregiudiziale".
Poiché lo scopo perseguito dalla sospensione necessaria è quello di evitare il conflitto di giudicati, l'art. 295 c.p.c., può trovare applicazione solo quando in altro giudizio deve essere decisa, con efficacia di giudicato, una questione pregiudiziale in senso tecnico- giuridico, sussistendo in tal caso il rischio del conflitto di giudicati, e non anche qualora oggetto dell'altra controversia sia una questione pregiudiziale soltanto in senso logico, non configurandosi in questo caso il menzionato rischio. Va quindi esclusa l'applicabilità dell'art. 295 c.p.c. nell'ipotesi in cui pendano, davanti a giudici di diverso grado, il giudizio sull'an debeatur e quello sul guantoni debeatur, nel quale sia stata invocata la sentenza sull'an e questa sia stata impugnata, poiché la questione che è oggetto del giudizio sull'an debeatur è pregiudiziale solamente in senso logico rispetto a quella pregiudicata che viene discussa nel separato giudizio sul quantum. Nella suindicata ipotesi, piuttosto che alla norma di cui all'art. 295 c.p.c., deve farsi riferimento a quella dettata dall'art. 337, comma 2, c.p.c. ("Quando l'autorità di una sentenza è invocata in
un diverso processo, questo può essere sospeso se tale sentenza è impugnata"), da porre in correlazione all'art. 336, c.p.c., concernente gli "Effetti della riforma o della cassazione", il cui comma 2, nel testo modificato dalla riforma del 1990), dispone che:
"La riforma o la cassazione estende i suoi effetti ai provvedimenti ed agli atti dipendenti dalla sentenza riformata o cassata". Non è condivisibile l'assunto secondo cui l'autorità alla quale si riferisce l'art. 337, comma 2, c.p.c., è quella della sentenza passata in giudicato, con la conseguenza che la norma sarebbe applicabile soltanto nel caso in cui la sentenza invocata nel diverso giudizio sia stata impugnata per revocazione straordinaria o con opposizione di terzo. L'autorità alla quale la norma si riferisce è quella di qualsiasi sentenza, soggetta anche ai mezzi di impugnazione ordi-nari. Prima ancora del passaggio in giudicato, qualsiasi pronuncia giurisdizionale è infatti dotata di propria autorità, dato che la sentenza esplica un'efficacia di accertamento al di fuori del processo. La stabilità della sentenza impugnata, anche se provvisoria, costituisce naturale proprietà dell'atto giurisdizionale, che esprime la volontà della legge nel caso concreto, e con questa l'esigenza di una sua immediata, anche se provvisoria, attuazione, nell'attesa del formarsi del giudicato ed indipendentemente da questo. Principio che trova conferma, in primo luogo, nelle disposizioni di legge che regolano gli effetti della sentenza non definitiva emessa nel giudizio di primo grado (artt. 278, 279, comma 2, n. 4 e 340 c.p.c.), ed in secondo luogo nella formulazione letterale della norma, che riconosce autorità, e quindi efficacia, alla sentenza ancor prima del suo passaggio in giudicato, atteso che di tale evento nella norma non v'è menzione. Deve quindi affermarsi che, nell'ipotesi di contemporanea pendenza del giudizio sull'an e di quello sul quantum davanti a due giudici di grado diverso il giudice può, a norma dell'art. 337, comma 2, c.p.c. disporre la sospensione facoltativa del processo relativo al quantum debeatur ove la sentenza sull'an sia stata impugnata. Se la sospensione facoltativa non è disposta, non sussiste il rischio di conflitto di giudicati, poiché soccorre il citato art. 336, comma 2, c.p.c. (nel testo modificato dalla riforma del 1990).
La disposizione, che attiene al c.d. effetto espansivo esterno delle pronunce giurisdizionali, è infatti applicabile, come è pacificamente riconosciuto, anche alle sentenze definitive, nel senso che la riforma o la cassazione della sentenza non definitiva determina l'immediata caducazione delle statuizioni contenute nella sentenza definitiva e dipendenti dalla pronuncia riformata o cassata. Per costante giurisprudenza, qualora fra la sentenza non definitiva e quella definitiva sussista un nesso di consequenzialità, nel senso che la prima costituisce il presupposto dell'altra, gli effetti pregiudicanti determinati dalla riforma o dalla cassazione della sentenza non definitiva si producono su quella definitiva anche in caso di mancata impugnazione di questa, dato che il giudicato che si è formato sulla sentenza definitiva è solo apparente, essendo lo stesso necessariamente collegato alla mancata riforma della sentenza non definitiva che ne costituisce l'antecedente necessario (sent. n. 1409/90;
n. 5633/90;
2188/93
). Principi, questi, che vengono pacificamente applicati anche alla sentenza non definitiva sull'an (sent. n. 2362/89;
n. 451/90;
n. 3724/97
), e che vanno estesi anche all'ipotesi in cui il creditore agisca per la condanna generica e successivamente agisca in separato giudizio per ottenere sentenza di condanna specifica.

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