Cass. pen., sez. IV, sentenza 17/05/2022, n. 19291
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Testo completo
a seguente SENTENZA sui ricorsi proposti da: M L nato a ERBA il 11/11/1988 R F nato a SAN GIOVANNI ROTONDO il 18/05/1949 avverso la sentenza del 05/05/2021 della CORTE DI CASSAZIONE di ROMAsvolta la relazione dal Consigliere G C;
lette le conclusioni del Procuratore generale, in persona del sostituto V M, la quale ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso con ogni conseguente statuizione;
la difesa ha depositato note insistendo nell'accoglimento delle richieste formulate in ricorso. Ritenuto in fatto 1. Il difensore di M L e R F, condannati definitivamente per il reato di cui all'art. 170 bis, d. Igs. n. 58 del 1998 (per avere, cioè, omesso di fornire alla CONSOB i dati dalla stessa richiesti con lettere del 9/5/2012 e del 12/7/2012, così ostacolandone le funzioni di vigilanza), giusta sentenza del Tribunale di Como del 16/3/2017;
e per i reati di cui agli artt. 166, comma 1, lett. c), d.lgs. n. 58 del 1998 e 4, legge n. 401 del 1989 e 640, cod. pen., nonché per quelli di cui agli artt. 5, 10 e 11, d.lgs. n. 74 del 2000 (la sola RUSSO), giusta sentenza del Tribunale di Como del 4/7/2017, condanne confermate dalla Corte d'appello di Milano, con sentenza del 12/2/2019, ha proposto ricorso ai sensi dell'art. 625 bis, cod. proc. pen., avverso la sentenza n. 26869 del 5/5/2021, con la quale la Terza sezione penale di questa Corte ha dichiarato inammissibili i ricorsi proposti dai predetti avverso la sentenza della Corte d'appello.
2. A sostegno del ricorso, la difesa ha dedotto un primo errore di fatto che ravvisa nella circostanza che la Corte di legittimità ha dichiarato inammissibile il ricorso, omettendo di considerare un elemento, che assume fondamentale, vale a dire la ritenuta ammissibilità dell'impugnazione da parte della sezione filtro. Da ciò il deducente inferisce che, sul mero piano lessicale, per svista, il giudice di legittimità avrebbe utilizzato il termine inammissibile, in luogo di infondato. Deduce, poi, un secondo errore di fatto, costituito nel "mancato richiamo, in fatto, sia della delibera Consob 19521 del 24.02.2016 in vigore dall'08.03.2016 sia del II comma del Decreto Legislativo n. 72 del 12.05.2015 che dispone la modifica alla VA parte del Decreto Legislativo 24.02.1998 n. 58 che sancisce l'entrata in vigore del raddoppio delle pene a partire da tale data 08.03.2016, da quattro anni a 8 anni di reclusione" (così testualmente in ricorso). Aggiunge il difensore che i fatti contestati risalgono al periodo 2011-2012, come dimostrato dal collega e co-difensore nella memoria del 5/5/2021 e la Corte sarebbe incorsa quindi in una svista rilevante, essendo integralmente trascorsi i termini di prescrizione. Tale errore non implica, secondo il deducente, una valutazione, ma una semplice adesione al testo di legge e alla volontà del legislatore. Procede, dunque, alla ricostruzione della vicenda e alla esposizione delle cause che ritiene abbiano determinato la svista contenuta nella sentenza censurata. In particolare, assume che gli atti del procedimento sarebbero stati trasmessi alla Terza sezione in tempi brevissimi, essendo stata la competenza prima ritenuta in capo alla Seconda sezione, quindi alla Quinta sezione;
ciò avrebbe influito sullo sviamento dei fatti e sulla comprensibile impossibilità materiale di averne una completa visione;
la motivazione della sentenza (che la difesa indica con il numero sezionale 1009) non avrebbe colto aspetti fondamentali per la ricerca della verità e della giustizia che procede, dunque, a rassegnare all'attenzione di questa Corte, anche attraverso l'esposizione dei motivi d'impugnazione nelle fasi e nei gradi precedenti. Aggiunge che il fascicolo di causa è ricco di dati concreti, specifici e documentali che smentirebbero l'accusa, non avendo i giudici della Cassazione, nella sentenza censurata, neppure potuto percepire che un fatto identico a quello per il quale vi è stata una grave condanna, si era concluso con una semplice sanzione amministrativa e senza pene detentive. In ogni caso, rileva che tutte le violazioni si sarebbero prescritte poiché il termine decorrerebbe da date comprese tra il 2011 e il
lette le conclusioni del Procuratore generale, in persona del sostituto V M, la quale ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso con ogni conseguente statuizione;
la difesa ha depositato note insistendo nell'accoglimento delle richieste formulate in ricorso. Ritenuto in fatto 1. Il difensore di M L e R F, condannati definitivamente per il reato di cui all'art. 170 bis, d. Igs. n. 58 del 1998 (per avere, cioè, omesso di fornire alla CONSOB i dati dalla stessa richiesti con lettere del 9/5/2012 e del 12/7/2012, così ostacolandone le funzioni di vigilanza), giusta sentenza del Tribunale di Como del 16/3/2017;
e per i reati di cui agli artt. 166, comma 1, lett. c), d.lgs. n. 58 del 1998 e 4, legge n. 401 del 1989 e 640, cod. pen., nonché per quelli di cui agli artt. 5, 10 e 11, d.lgs. n. 74 del 2000 (la sola RUSSO), giusta sentenza del Tribunale di Como del 4/7/2017, condanne confermate dalla Corte d'appello di Milano, con sentenza del 12/2/2019, ha proposto ricorso ai sensi dell'art. 625 bis, cod. proc. pen., avverso la sentenza n. 26869 del 5/5/2021, con la quale la Terza sezione penale di questa Corte ha dichiarato inammissibili i ricorsi proposti dai predetti avverso la sentenza della Corte d'appello.
2. A sostegno del ricorso, la difesa ha dedotto un primo errore di fatto che ravvisa nella circostanza che la Corte di legittimità ha dichiarato inammissibile il ricorso, omettendo di considerare un elemento, che assume fondamentale, vale a dire la ritenuta ammissibilità dell'impugnazione da parte della sezione filtro. Da ciò il deducente inferisce che, sul mero piano lessicale, per svista, il giudice di legittimità avrebbe utilizzato il termine inammissibile, in luogo di infondato. Deduce, poi, un secondo errore di fatto, costituito nel "mancato richiamo, in fatto, sia della delibera Consob 19521 del 24.02.2016 in vigore dall'08.03.2016 sia del II comma del Decreto Legislativo n. 72 del 12.05.2015 che dispone la modifica alla VA parte del Decreto Legislativo 24.02.1998 n. 58 che sancisce l'entrata in vigore del raddoppio delle pene a partire da tale data 08.03.2016, da quattro anni a 8 anni di reclusione" (così testualmente in ricorso). Aggiunge il difensore che i fatti contestati risalgono al periodo 2011-2012, come dimostrato dal collega e co-difensore nella memoria del 5/5/2021 e la Corte sarebbe incorsa quindi in una svista rilevante, essendo integralmente trascorsi i termini di prescrizione. Tale errore non implica, secondo il deducente, una valutazione, ma una semplice adesione al testo di legge e alla volontà del legislatore. Procede, dunque, alla ricostruzione della vicenda e alla esposizione delle cause che ritiene abbiano determinato la svista contenuta nella sentenza censurata. In particolare, assume che gli atti del procedimento sarebbero stati trasmessi alla Terza sezione in tempi brevissimi, essendo stata la competenza prima ritenuta in capo alla Seconda sezione, quindi alla Quinta sezione;
ciò avrebbe influito sullo sviamento dei fatti e sulla comprensibile impossibilità materiale di averne una completa visione;
la motivazione della sentenza (che la difesa indica con il numero sezionale 1009) non avrebbe colto aspetti fondamentali per la ricerca della verità e della giustizia che procede, dunque, a rassegnare all'attenzione di questa Corte, anche attraverso l'esposizione dei motivi d'impugnazione nelle fasi e nei gradi precedenti. Aggiunge che il fascicolo di causa è ricco di dati concreti, specifici e documentali che smentirebbero l'accusa, non avendo i giudici della Cassazione, nella sentenza censurata, neppure potuto percepire che un fatto identico a quello per il quale vi è stata una grave condanna, si era concluso con una semplice sanzione amministrativa e senza pene detentive. In ogni caso, rileva che tutte le violazioni si sarebbero prescritte poiché il termine decorrerebbe da date comprese tra il 2011 e il
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