Cass. civ., sez. I, sentenza 08/05/2019, n. 12047

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. I, sentenza 08/05/2019, n. 12047
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 12047
Data del deposito : 8 maggio 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

l gravame proposto da V V C M osservando, segnatamente, che non ricorrevano le condizioni per disapplicare la nota prefettizia del 2.7.1998, in base alla quale venivano ravvisati sussistenti i detti tentativi di infiltrazione mafiosa, non avendo il giudice ordinario «il potere di sostituire l'amministrazione negli accertamenti e valutazioni di merito che sono di sua esclusiva competenza».

3. Con sentenza di questa Corte n. 26044 depositata il 23 dicembre 2010, in accoglimento del ricorso per cassazione proposto da V V C M, veniva cassata la citata sentenza della Corte d'Appello di Palermo, con rinvio alla stessa Corte in diversa composizione, affinché fosse accertato se il V C M avesse o meno il diritto di esigere il pagamento della somma liquidata a titolo di sussidio per il raccolto del 1995. In particolare, questa Corte affermava che «la questione oggetto di giudizio, non attinente a profili riconducibili a lesione di interessi legittimi, non è tanto quella relativa all'impossibilità, per il giudice ordinario, di compiere accertamenti di spettanza della pubblica amministrazione ovvero quella concernente la possibilità o la necessità di disapplicare un atto (nota prefettizia) presupposto del provvedimento successivamente emesso (rifiuto di pagamento da parte dell'AIMA), quanto quella relativa all'accertamento in ordine all'esistenza di condizioni ostative al soddisfacimento di un diritto di credito del ricorrente, altrimenti riconosciuto». Ai Giudici di merito veniva pertanto demandata l'indagine di fatto sulla «ricorrenza dei presupposti per ritenere ravvisabili quei tentativi di infiltrazione mafiosa ostativi alla corresponsione di quanto altrimenti dovuto, in ciò operando secondo le regole dell'onere della prova disciplinate dal codice di rito.» 4. La Corte d'appello di Palermo, con sentenza n.1139/2015, pubblicata il 18-7-2015 e notificata il 28-7-2015, in riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato l'opposizione proposta da A.I.M.A., ora A.G.E.A. - Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura-, avverso il decreto ingiuntivo n.33 bis/99 emesso dal Tribunale di Palermo il 26 gennaio 1999. La Corte palermitana ha ritenuto che la prova della sussistenza di situazioni ostative al soddisfacimento del diritto di credito azionato in via monitoria da V V C M non fosse stata fornita dal debitore A.I.M.A., ora A.G.E.A.. Secondo i Giudici d'appello le circostanze esposte nella nota prefettizia del 2 luglio 1998 non possono considerarsi, di per sé, indicative dell'esistenza di tentativi di infiltrazioni mafiose secondo i comuni canoni probatori. Neppure la Corte territoriale ha attribuito valore decisivo al mancato rilascio del cd. certificato antimafia da parte della Prefettura di Palermo ed alla circostanza che il creditore V V C M si fosse fatto rappresentare, sia nel procedimento amministrativo che nel giudizio di primo grado, da A V C, condannato in via definitiva per il reato di cui all'art.416 bis cod. pen., trattandosi di mero elemento indiziario e non essendo dato conoscere quale specifico ruolo il secondo avesse rivestito nell'ambito dell'impresa agricola gestita da V V C M.

5. La sentenza è stata impugnata da A.G.E.A. - Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura- con ricorso per cassazione affidato a tre motivi. Resiste con controricorso V V C M, il quale ha anche depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo l'Agenzia ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all'art.360, comma 1, 4 n.5 cod. proc. civ.. Deduce la ricorrente che dagli atti processuali, ed in particolare dal ricorso per decreto ingiuntivo, era dato evincere la qualità di procuratore generale ad negotia di A V C. Inoltre quest'ultimo, nella qualità di procuratore speciale di V V C M, aveva presentato la domanda amministrativa di aiuti comunitari oggetto del contendere, come pure documentalmente dimostrato. Rileva pertanto la ricorrente che il ruolo nell'impresa di A V C, per l'esercizio correlato ai poteri ex art.2209 cod. civ., costituiva prova di tentativo infiltrazione mafiosa e a ciò doveva aggiungersi la parentela tra i due soggetti, desumibile dall'identità del cognome. L'omesso esame della gestione procuratoria riveste natura di decisività, secondo la prospettazione della ricorrente, nel senso che a diverse conclusioni sarebbe pervenuta la Corte d'appello ove, invece di affermare la mancata dimostrazione da parte dell'Agenzia ricorrente dello specifico ruolo rivestito da A V C, avesse valutato il ruolo del medesimo correlato alle sue funzioni di procuratore generale dell'impresa agricola.
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