Cass. civ., sez. III, sentenza 18/09/2012, n. 15698

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Intrapresa dal creditore ipotecario, contro il suo debitore, procedura esecutiva immobiliare, l'opposizione di terzo ex art. 619 cod. proc. civ., fondata sull'usucapione della piena proprietà del bene pignorato ed ipotecato, non può essere decisa dal giudice dell'esecuzione riconoscendo efficacia di giudicato, anche nei confronti del creditore ipotecario, alla sentenza di accertamento dell'usucapione, resa all'esito di autonomo giudizio - peraltro solo pendente al momento della proposizione del ricorso ex art. 619 cod. proc. civ. - intercorso, in via esclusiva, tra il debitore (titolare formale del diritto di proprietà) e l'usucapiente, non potendo detta sentenza spiegare effetti contro il creditore ipotecario ai sensi dell'art. 404, secondo comma, cod. proc. civ., ciò che impone al giudice dell'opposizione all'esecuzione di considerare la sentenza "de qua", con motivato e logico apprezzamento, solo come un'eventuale prova dell'intervenuta usucapione, in relazione alla cui sussistenza egli è, pertanto, tenuto dare corso all'istruzione della causa. (Principio enunciato dalla S.C. in relazione a motivo dichiarato inammissibile).

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. III, sentenza 18/09/2012, n. 15698
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 15698
Data del deposito : 18 settembre 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. U F - Presidente -
Dott. A A - Consigliere -
Dott. A A - Consigliere -
Dott. F R - rel. Consigliere -
Dott. B G L - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

S
sul ricorso proposto da:
S.G.C. GESTIONE CREDITI S.R.L. 00751270141 in persona del suo Procuratore M FANCESCO, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA COLA DI RIENZO

69, presso lo studio dell'avvocato C G BTISTA, rappresentata e difesa dall'avvocato C G giusta delega in atti;



- ricorrente -


contro
CONE CARMINE CRBCMN21B26DO86K, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

ZANARDELLI

23, presso lo studio dell'avvocato R M L, rappresentato e difeso dall'avvocato R O giusta delega in atti;



- controricorrente -


e contro
MANFREDI PASQUALE FALLITO, MANFREDI FRANCESCO SAVERIO FALLITO;



- intimati -


avverso la sentenza n. 656/2007 del TRIBUNALE di COSENZA, depositata il 11/04/2007 R.G.N. 4677/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/05/2012 dal Consigliere Dott. RELE FRASCA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA

Vincenzo che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO


1. La S.g.c. s.r.l. Società Gestione Crediti, nella qualità di procuratrice della S.A.R.C, s.r.l., ha proposto ricorso straordinario per cassazione, ai sensi dell'art. 111 Cost., comma 7,

contro

Carbone Carmine e Pasquale e Francesco Saverio Manfredi, dichiarati falliti, in persona del curatore fallimentare e del liquidatore giudiziale del concordato fallimentare, avverso la sentenza dell'11 aprile 2007, con la quale il Tribunale di Cosenza, investito dal Carbone, con ricorso proposto nell'ottobre 2005 di un'opposizione di terzo ai sensi dell'art. 619 c.p.c. avverso l'esecuzione immobiliare promossa nei confronti dei Manfredi dalla Banca Nazionale del Lavoro, del cui credito la S.A.R.C. si era resa cessionaria, ha accolto l'opposizione ritenendo fondata la prospettazione dell'opponente, che aveva dedotto che il bene pignorato era stato da lui usucapito, come poi accertato da sentenza del 14 dicembre 2005 dello stesso Tribunale di Cosenza passata in cosa giudicata ed emessa nel contraddittorio fra il debitore Carbone e la curatela del fallimento ed il liquidatore del concordato fallimentare.


2. Al ricorso ha resistito con controricorso soltanto il Carbone, mentre i Manfredi non hanno svolto attività difensiva.

3. La ricorrente ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE


1. Con il primo motivo di ricorso si deduce "violazione e falsa applicazione dell'art. 2909 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)". Vi si assume che la sentenza impugnata avrebbe violato l'art. 2909 c.c., perché avrebbe ritenuto vincolante nei confronti della
creditrice procedente la sentenza di accertamento dell'intervenuta usucapione pronunciata fra il Carbone da un lato e la curatela fallimentare Manfredi ed il liquidatore del relativo concordato. Il Tribunale non avrebbe, invece, considerato la sentenza soltanto come fonte di prova ai fini del giudizio sull'opposizione del terzo. La violazione della citata norma deriverebbe dalla circostanza che la creditrice era rimasta estranea al giudizio e, quindi, essendo un terzo rispetto ad esso, il giudicato formatosi per effetto della sentenza non poteva esserle opposto.
Il motivo è concluso dal seguente quesito di diritto: Sussiste violazione dell'art. 2909 c.c. allorché il giudice ritenga che l'accertamento contenuto in una sentenza passata in giudicato possa fare stato ad ogni effetto ed essere vincolante anche nei confronti di un soggetto rimasto estraneo al giudizio medesimo.

1.1. Tale quesito è inidoneo ad assolvere il requisito di cui all'art. 366-bis c.p.c., perché si risolve in un interrogativo del tutto astratto, cioè privo di riferimenti alla vicenda oggetto del giudizio di merito ed alla decisione qui impugnata.
Ora, l'art. 366-bis c.p.c., quando esigeva che il quesito di diritto dovesse concludere il motivo imponeva che la sua formulazione non si presentasse come la prospettazione di un interrogativo giuridico del tutto sganciato dalla vicenda oggetto del procedimento, bensì evidenziasse la sua pertinenza ad essa. Invero, se il quesito doveva concludere l'illustrazione del motivo ed il motivo si risolve in una critica alla decisione impugnata e, quindi, al modo in cui la vicenda dedotta in giudizio è stata decisa sul punto oggetto
dell'impugnazione e criticato dal motivo, appare evidente che il quesito, per concludere l'illustrazione del motivo, doveva necessariamente contenere un riferimento riassuntivo ad esso e, quindi, al suo oggetto, cioè al punto della decisione impugnata da cui il motivo dissentiva, sì che ne risultasse evidenziato - ancorché succintamente - perché l'interrogativo giuridico astratto era giustificato in relazione alla controversia per come decisa dalla sentenza impugnata. Un quesito che non presenta questa contenuto è, pertanto, un non - quesito (si veda, in termini, fra le tante, Cass. sez. un. n. 26020 del 2008;
nonché n. 6420 del 2008). È da avvertire che l'utilizzo del criterio del raggiungimento dello scopo per valutare se la formulazione del quesito sia idonea all'assolvimento della sua funzione appare perfettamente giustificata dalla soggezione di tale formulazione, costituente requisito di contenuto-forma del ricorso per cassazione, alla disciplina delle nullità e, quindi, alla regola dell'art. 156 c.p.c., comma 2, per cui all'assolvimento del requisito non poteva bastare la formulazione di un quesito quale che esso fosse, eventualmente anche privo di pertinenza con il motivo, ma occorreva una formulazione idonea sul piano funzionale, sul quale emergeva appunto il carattere della conclusività. Da tanto l'esigenza che il quesito rispettasse i criteri innanzi indicati.
Per altro verso, la previsione della necessità del quesito come contenuto del ricorso a pena di inammissibilità escludeva che si potesse utilizzare il criterio di cui all'art. 156 c.p.c., comma 3 posto che quando il legislatore qualifica una nullità di un certo atto come determinativa della sua inammissibilità deve ritenersi che abbia voluto escludere che il giudice possa apprezzare l'idoneità dell'atto al raggiungimento dello scopo sulla base di contenuti desunti aliunde rispetto all'atto: il che escludeva che il quesito potesse integrarsi con elementi desunti dal residuo contenuto del ricorso, atteso che l'inammissibilità era parametrata al quesito come parte dell'atto complesso rappresentante il ricorso, ivi compresa l'illustrazione del motivo (si veda, in termini, già Cass.(ord.) n. 16002 del 2007;
(ord.) n. 15628 del 2009, a proposito del
requisito di cui all'art. 366 c.p.c., n. 6). È, altresì, da avvertire, che l'intervenuta abrogazione dell'art.366-bis c.p.c. non può determinare - in presenza di una
manifestazione di volontà del legislatore che ha mantenuto ultrattiva la norma per i ricorsi proposti dopo il 4 luglio 2009 contro provvedimenti pubblicati prima ed ha escluso la retroattività dell'abrogazione per i ricorsi proposti antecedentemente e non ancora decisi - l'adozione di un criterio interpretativo della stessa norma distinto da quello che la Corte di Cassazione, quale giudice della nomofilachia anche applicata al processo di cassazione, aveva ritenuto di adottare anche con numerosi arresti delle Sezioni Unite. L'adozione di un criterio di lettura dei quesiti di diritto ai sensi dell'art. 366-bis c.p.c. dopo il 4 luglio 2009 in senso diverso da quanto si era fatto dalla giurisprudenza della Corte anteriormente si risolverebbe, infatti, in una patente violazione dell'art. 12 preleggi, comma 1, posto che si tratterebbe di criterio contrario all'intenzione del legislatore, il quale, quando abroga una norma, tanto più processuale, e la lascia ultrattiva o comunque non assegna effetti retroattivi all'abrogazione, manifesta non solo una voluntas nel senso di preservare l'efficacia della norma per la fattispecie compiutesi anteriormente all'abrogazione e di assicurarne l'efficacia regolatrice rispetto a quelle per cui prevede l'ultrattività, ma anche una implicita voluntas che l'esegesi della norma abrogata continui a dispiegarsi nel senso in cui antecedentemente è stata compiuta. Per cui l'interprete e, quindi, anche la Corte di Cassazione ai sensi dell'art. 65 dell'Ordinamento Giudiziario, debbono conformarsi a tale doppia voluntas e ciò ancorché, in ipotesi, l'eco dei lavori preparatori della legge abrogativa riveli che l'abrogazione possa essere stata motivata anche e proprio dall'esegesi che della norma sia stata data. Invero, anche l'adozione di un criterio esegetico che tenga conto della ragione in mente legislatori dell'abrogazione impone di considerare che l'esclusione dell'abrogazione in via retroattiva ed anzi la previsione di una certa ultrattività per determinate fattispecie sempre in mente legislatorio significhino voluntas di permanenza dell'esegesi affermatasi, perché il contrario interesse non è stato ritenuto degno di tutela.
Il primo motivo è, dunque, inammissibile perché si conclude con un quesito inidoneo al rispetto dell'art. 366-bis c.p.c.. 1.2. 11 primo motivo non sarebbe, comunque, fondato. Preliminarmente si deve rilevare che il Tribunale, nella sentenza impugnata, non ha espressamente affermato che il giudicato formatosi inter alios nel giudizio di accertamento dell'usucapione spiegava effetti nei confronti della creditrice ipotecaria, ma lo ha affermato in modo implicito ed indiretto, in quanto, dopo avere assunto a premessa la pronuncia della sentenza di accertamento dell'usucapione come passata in giudicato, ha considerato (evocando Cass. n. 2161 del 2005) che l'avere la sentenza emessa in quel giudizio accertato un acquisto a titolo originario a favore del Carbone e nei confronti del debitore ipotecario comportava che il conflitto fra la creditrice procedente, titolare di un diritto in via derivativa dal detto debitore, e l'acquirente per usucapione dovesse risolversi necessariamente a favore del secondo e ciò indipendentemente dalla anteriorità della iscrizione ipotecaria e dello stesso pignoramento rispetto alla trascrizione della sentenza di accertamento dell'usucapione e prima ancora della relativa domanda. Ha poi rilevato, dopo avere fatto riferimento ad altre decisioni di questa Corte in punto di esegesi dell'art. 2651 c.c., a Cass. n. 8792 del 2000, secondo la quale L'usucapione compiutasi all'esito di possesso ventennale esercitato da un soggetto privo di titolo trascritto estingue le iscrizioni e trascrizioni risultanti a nome del precedente proprietario (tale effetto estintivo riconducendosi non già ad una presunta usucapio libertatis, bensì all'efficacia retroattiva dell'usucapione stessa), con la conseguenza che il notaio rogante nella successiva vendita del bene compiuta dall'usucapiente non è tenuto a verificare l'esistenza di iscrizioni o trascrizioni pregiudizievoli di data anteriore a quella della trascrizione della sentenza di accertamento dell'intervenuta usucapione. In sostanza, a premessa rispetto alle ragioni della prevalenza dell'accertamento dell'usucapione sul diritto della creditrice ipotecaria, la sentenza impugnata ha assunto la sentenza di accertamento dell'usucapione come efficace anche nei confronti della qui ricorrente.

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