Cass. civ., sez. II, sentenza 24/08/2021, n. 23333

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. II, sentenza 24/08/2021, n. 23333
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 23333
Data del deposito : 24 agosto 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

ato la seguente SENTENZA sul ricorso 16895-2018 proposto da: BANCA D'ITALIA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, presso la propria sede in VIA

NAZIONALE

91, rappresentata e difesa dagli avvocati M M, P B e M C dell'Avvocatura della Banca stessa;
2020

- ricorrente -

2452

contro

COEN C;

- intimato -

contro

GEQUITY S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore - in qualità di socio unico dell'estinta società Investimenti e Sviluppo SGR S.p.A., già in liquidazione coatta amministrativa elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA COLA DI RIENZO

69, presso lo studio dell'avvocato F R, rappresentata e difesa dall'avvocato D T, giusta delega in atti;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 53/2017 della CORTE D'APPELLO di M, depositata il 30/11/2017;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/11/2020 dal Consigliere A C;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale .C MISTRI, che ha concluso per l'accoglimento del primo motivo di ricorso e accoglimento del ricorso per quanto di ragione;
udito l'Avvocato M C, difensore della ricorrente, che ha chiesto di riportarsi agli atti difensivi depositati, depositanto in udienza avviso di ricevimento n. cronol. 1434/2011 del 3 marzo 2020;
udito l'avvocato F R, comparsa con delega orale dell'avvocato D T, difensore della resistente, che ha chiesto di riportarsi agli atti depositati;

FATTI DI CAUSA

1. La Banca d'Italia ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza della Corte d'appello di Milano n. 53/2017 che ha annullato il provvedimento sanzionatorio n. 337853 del 17 aprile 2012, adottato con delibera del Direttorio della stessa Banca d'Italia n. 314 del 2012, con cui al sig. Corrado C, amministratore delegato della società Investimenti e Sviluppo SGR s.p.a., era stata applicata, ai sensi dell'articolo 190 TUF, la sanzione amministrativa pecuniaria di C 45.000, per carenze nell'organizzazione e nei controlli interni da parte dell'Amministratore delegato, in violazione delle discipline dettate dalla Banca d'Italia ai sensi dell'articolo 62, comma 2 bis, del TUF.

2. Per quanto ancora rileva, la Corte territoriale ha ritenuto che tale sanzione fosse stata emessa in violazione del principio generale del ne bis in idem. Infatti - dopo avere affermato che le facoltà attribuite alla Consob e alla Banca d'Italia sono concorrenti, ma non sovrapponibili, nel senso che non possono condurre all'applicazione di distinte sanzioni in relazione alla medesima condotta - la corte ambrosiana ha argomentato che le condotte per le quali il C era stato sanzionato sia dalla Consob che dalla Banca d'Italia sarebbero state sostanzialmente le medesime e che, pertanto, il decreto del 18 dicembre 2013, con il quale la stessa Corte d'appello di Milano si era pronunciata sull'opposizione proposta dal C al provvedimento della Consob (accogliendola soltanto quoad poenam), aveva coperto il dedotto e il deducibile in relazione alla vicenda in oggetto.

3. Avverso tale sentenza la Banca d'Italia ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

4. L'intimato Corrado C non ha svolto attività difensiva.

5. La causa è stata chiamata una prima volta alla pubblica udienza del 14 novembre 2019, al cui esito la Corte - premesso che l'impugnata sentenza era stata resa anche nei confronti della società Investimenti e Sviluppo SGR s.p.a., quale soggetto indicato nel provvedimento sanzionatorio come responsabile in solido col sig. C - rilevava che il ricorso per cassazione non risultava notificato a tale società e, pertanto, disponeva l'integrazione del contraddittorio nei confronti della stessa.

6. La Banca d'Italia provvedeva alla disposta integrazione del contraddittorio e, poiché la società Investimenti e Sviluppo SGR s.p.a., già in liquidazione coatta amministrativa, si era estinta, notificava l'atto di integrazione - oltre che all'indirizzo dell'ultima sede sociale della Investimenti e Sviluppo SGR s.p.a., alla p.e.c. della Liquidatela ed alla p.e.c. del Liquidatore, prof. avv. S A - anche,A;sensi degli articoli 2495 c.c. e 110 c.p.c., al socio unico della stessa Investimenti e Sviluppo SGR s.p.a., la società Gequity s.p.a.. 7. Gequity s.p.a depositava controricorso in cui chiedeva dichiararsi inammissibile l'integrazione del contraddittorio nei suoi confronti e, in ipotesi, dichiararsi non dovuto da parte di Gequity l'importo della sanzione comminata al sig. C.

8. La causa veniva quindi nuovamente chiamata alla pubblica udienza del 4 novembre 2020, per la quale la Banca d'Italia depositava una memoria e nella quale il Procuratore Generale concludeva come in epigrafe e i procuratori della ricorrente e della contro ricorrente discutevano oralmente.

RAGIONI DELLA DECISIONE

9. Preliminarmente va disattesa l'eccezione di inammissibilità dell' l'integrazione del contraddittorio nei confronti Gequity s.p.a., da quest'ultima sollevata in controricorso sul rilievo che il creditore della società estinta può soddisfarsi nei confronti dell'ex socio solo nei limiti di quanto costui abbia ricevuto in sede di liquidazione della società. 10. li suddetto rilievo è esatto, ma attiene al merito del diritto della creditore di escutere l'ex socio per il credito sociale;
esso, per contro, non vale ad escludere la legittimazione dell'ex socio a stare in giudizio come successore della società originariamente convenuta. L'opposta tesi, pur sostenuta in taluni precedenti di questa Corte (cfr. Sez. Trib. n. 7676/12) è stata espressamente disattesa dalla Sezioni Unite Civili, le quali, nella sentenza n. 6070/13, hanno precisato (a pag. 9): «D'altro canto, alla tesi - pure in sé certamente plausibile - che limita il descritto meccanismo successorio all'ipotesi in cui i soci di società di capitali (o il socio accomandante della società in accomandita semplice) abbiano goduto di un qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione, ravvisandovi una condizione da cui dipenderebbe la possibilità di proseguire nei confronti di detti soci l'azione originariamente intrapresa dal creditore sociale verso la società (tesi propugnata da Cass. 16 maggio 2012, nn. 7676 e 7679, nonché da Cass. 9 novembre 2012, n. 19453), sembra da preferire quella che individua invece sempre nei soci coloro che son destinati a succedere nei rapporti debitori già facenti capo alla società cancellata ma non definiti all'esito della liquidazione (anche, come si dirà, ai fini processuali), fermo però restando il loro diritto di opporre al creditore agente il limite di responsabilità cui s'è fatto cenno. Il successore che risponde solo intra vires dei debiti trasmessigli non cessa, per questo, di essere un successore;
e se il suaccennato limite di responsabilità dovesse rendere evidente l'inutilità per il creditore di far valere le proprie ragioni nei confronti del socio, ciò si rifletterebbe sul requisito dell'interesse ad agire (ma si tenga presente che il creditore potrebbe avere comunque interesse all'accertamento del proprio diritto, ad esempio in funzione dell'escussione di garanzie) ma non sulla legittimazione passiva del socio medesimo». La stessa Sezione Tributaria ha peraltro successivamente affermato, in conformità a SSUU n. 6070/13, che, qualora l'estinzione della società di capitali, all'esito della cancellazione dal registro delle imprese, intervenga in pendenza del giudizio di cui la stessa sia parte e tale estinzione non sia dichiarata o notificata, o si verifichi quando sia ormai impossibile farlo nei modi stabiliti, «l'impugnazione della sentenza resa nei riguardi della società deve provenire o essere indirizzata, a pena d'inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci succeduti alla società estinta in quanto il limite di responsabilità degli stessi di cui all'art. 2495 c.c. non incide sulla loro legittimazione processuale ma, al più, sull'interesse ad agire dei creditori sociali» (sent.5988/17). 11. Va quindi escluso, in definitiva, che l'odierna contro ricorrente, ex socia della Investimenti e Sviluppo SGR s.p.a., possa ritenersi priva di legittimazione a contraddire nel presente giudizio di legittimità. 12. Né può trovare seguito l'assunto della contro ricorrente secondo cui le risultanze del bilancio finale di liquidazione - da cui emergerebbe che la società Gequity non avrebbe riscosso alcuna somma in base al bilancio finale di liquidazione della Investimenti e Sviluppo SGR s.p.a. - imporrebbero di escludere l'interesse ad agire della Banca d'Italia. Il Collegio ritiene infatti di dare seguito al principio, più volte espresso da questa Corte (Cass. n. 9094/17, Cass. n. 15035/17, Cass. n. 14446/18, Cass. n. 897/19) che l'interesse ad agire dei creditori sociali non è di per sé escluso dalla circostanza che i soci non abbiano partecipato utilmente alla ripartizione finale, potendo, ad esempio, sussistere beni e diritti che, sebbene non ricompresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, si sono trasferiti ai soci. 13. In sostanza, la questione se la Banca d'Italia abbia o non abbia il diritto di esigere dalla società Gequity il pagamento del credito dalla stessa vantato nei confronti della estinta società Investimenti e Sviluppo SGR non rileva ai fini dell'affermazione, a monte, della legittimazione della Gequity a contraddire, quale ex socia della società Investimenti e Sviluppo SGR, nel giudizio avente ad oggetto l'impugnazione di una sentenza pronunciata nei confronti di quest'ultima società. Palesemente estranea all'ambito del giudizio di legittimità risulta, poi, la richiesta della contro ricorrente di dichiarare non dovuto da parte di Gequity l'importo della sanzione comminata al sig. C. 13. Passando all'esame dei motivi di ricorso, si rileva che con il primo motivo, riferito al n. 3 dell'art. 360 c.p.c., la Banca d'Italia lamenta la violazione e falsa applicazione del principio del ne bis in idem, dell'art. 4 del Prot. n. 7 della CEDU, dell'art. 324 c.p.c., nonché degli artt. 5, 6, commi 2-bis e 2-ter, 190 e 195 T.U.F.. Il motivo si articola in due distinte censure. 14. Sotto un primo profilo, la ricorrente contesta che le sanzioni amministrative previste dall'articolo 190 T.U.F. possano essere considerate sostanzialmente penali alla stregua dei criteri fissati dalla CEDU nella sentenza 8.6.1976 Engel. 15. Sotto un secondo profilo la ricorrente contesta la ricorrenza, nella vicenda in esame, del presupposto dell'idem factum;
in particolare la Banca d'Italia censura l'affermazione della sentenza impugnata alla cui stregua il decreto della stessa corte ambrosiana del 18 dicembre 2013 - che aveva confermato, riducendone soltanto la misura, la sanzione irrogata al C dalla Consob - avrebbe «coperto tutto il dedotto e il deducibile in relazione alla vicenda in oggetto». Nel mezzo di ricorso si sottolinea come la vigilanza, e l'eventuale attività sanzionatoria, della Banca d'Italia e della Consob si appuntino «su obblighi diversi, non coincidenti, che impongono pertanto condotte diverse, potendo al più venire in rilievo profili connessi, ma senza che sia in alcun modo possibile ravvisare uno stesso fatto nel senso richiesto dal bis in idem» (pag. 19 del ricorso). 16. Il motivo è fondato in relazione ad entrambi i profili cui si articola. 17. Quanto al primo profilo, va qui ribadito che il principio del ne bis in idem opera quando la stessa condotta venga sanzionata con due sanzioni entrambe - formalmente o sostanzialmente, alla luce dei criteri Engel - penali. Ciò posto, il Collego rileva che le sanzioni applicata al sig. C dalla Banca d'Italia nel provvedimento qui impugnato, al pari di quelle al medesimo sig. C precedentemente irrogate dalla Consob, sono previste dall'articolo 190 T.U.F e questa Corte ha più volte abbiamo affermato che le sanzioni previste dal T.U.F. con riferimento ad illeciti diversi dagli abusi di mercato non sono qualificabili come penali nel senso definito dalla sentenza Engel (cfr. Cass.8855/17, Cass. 1621/18, Cass. 8805/18, Cass. 8806/18, Cass. 27365/18, Cass. 8046/19). 20. Tale affermazione, tra l'altro, è stata resa, con specifico riferimento alle sanzioni previste dall'articolo 190 T.U.F., anche nella sentenza di questa Corte n. 9919/18, che ha rigettato il ricorso che lo stesso odierno ricorrente aveva proposto contro il menzionato decreto della Corte d'appello di Milano del 18.12.13. Tale decreto, nel confermare, in punto di accertamento dell'illecito, il provvedimento sanzionatorio della Consob, aveva rigettando l'eccezione di bis in idem anche in quella sede sollevata dal sig. C;
sul punto, in Cass. n. 9919/18 si legge, in particolare: «Orbene, le sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dalla CONSOB ai sensi degli artt. 190 e ss. del d.lgs. n. 58 del 1998 (cd. TUF) non sono equiparabili, quanto a tipologia, severità, incidenza patrimoniale e personale, a quelle inflitte ai sensi dell'art. 187-ter del TUF per manipolazione del mercato, sicché esse non hanno la natura sostanzialmente penale che appartiene a queste ultime, né pongono un problema di compatibilità con le garanzie riservate ai processi penali dall'art. 6 CEDU, in particolare quanto alla violazione del ne bis in idem tra sanzione penale ed amministrativa comminata sui medesimi fatti (Cass., 05/04/2017, n. 8855). Ed anche la decisione della Corte di Giustizia UE del 05/04/2017, citata dai ricorrenti, appare riferibile al diverso caso delle sanzioni tributarie e penali irrogate alla stessa persona per la medesima condotta, e non è, pertanto, applicabile alla fattispecie oggetto del presente giudizio». 18. L'impugnata sentenza, trascurando la natura non sostanzialmente penale delle sanzioni di cui all'articolo 190 T.U.F., è dunque incorsa nella denunciata violazione della disciplina del ne bis in idem. 19. Parimenti fondata è la seconda censura in cui si articola il primo mezzo di ricorso. L' affermazione dell'impugnata sentenza secondo cui il più volte richiamato decreto della Corte di appello di Milano del 18 dicembre 2013 avrebbe «coperto tutto il dedotto e il deducibile in relazione alla vicenda in oggetto» trascura l'insegnamento di questa Corte alla cui stregua i due procedimenti sanzionatori attivati, rispettivamente dalla Banca d'Italia e dalla CONSOB sulla base dell'unica verifica ispettiva hanno ad oggetto condotte diverse afferenti a diversi illeciti: il primo procedimento, infatti, si riferisce alle carenze organizzative e del sistema dei controlli interni ed è evidentemente funzionale al rispetto di standard unitari di corretta gestione degli operatori finanziari attivi sul mercato;
il secondo invece, affidato a CONSOB, riguarda i profili di inadempimento degli obblighi di adottare procedure idonee a garantire l'efficiente, corretto e trasparente svolgimento dei servizi di intermediazione finanziaria e delle attività di investimento, in funzione di protezione tanto del cliente, ritenuto soggetto debole nell'ambito del rapporto intersoggettivo corrente tra questi e l'operatore finanziario, quanto della corretta gestione dei servizi sul mercato finanziario (cfr. Cass. 3845/20, pag. 8;
si veda anche, nello stesso senso Cass. n. 21017/19). Con il secondo motivo si lamenta il vizio di contraddittorietà della motivazione e omesso esame di fatto decisivo in cui la corte territoriale sarebbe incorsa ritenuto sussistente l'identità delle condotte contestate al C dalla Consob e dalla Banca d'Italia, senza esibire un autonomo apparato argomentativo, ma richiamando la motivazione del decreto 18 dicembre 2013 della stessa Corte che, tuttavia, siffatta identità aveva escluso. Il motivo risulta assorbito dall'accoglimento del primo mezzo di impugnazione. 20. In definitiva il ricorso va accolto e l'impugnata sentenza va cassata con rinvio alla Corte di appello di Milano che si atterrà al principio che - poiché le sanzioni previste dall'articolo 190 T.U.F., nel testo ratione temporis applicabile alla fattispecie in esame, non presentano le caratteristiche di sanzione sostanzialmente penale nel senso definito dalla CEDU nella sentenza Engel - l' applicazione di tali sanzioni a carico del medesimo soggetto tanto ad opera della Banca d'Italia quanto ad opera della Consob non viola il principio del ne bis in idem. 21. Il giudice di rinvio regolerà anche le spese del giudizio di legittimità.
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