Cass. pen., sez. II, sentenza 25/05/2023, n. 22928
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la seguente SENTENZA sul ricorso proposto nell'interesse di C L nato a AGRIGENTO il 03/05/1977 avverso la sentenza del 02/05/2022 della CORTE APPELLO di CALTANISSETTAvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;udita la relazione svolta dal Consigliere A L;lette le conclusioni del PG ALESSANDRO CIMMINO, che ha chiesto l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla pena, con rideterminazione della stessa, con declaratoria di inammissibilità del ricorso nel resto;lette le conclusioni dell'avv. C M, che ha insistito nell'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza pronunciata il 2 maggio 2022 e depositata il 5 maggio 2022, la Corte di Appello di Caltanissetta, in parziale riforma della sentenza emessa dal Giudice per l'udienza preliminare del Tribunale di Caltanissetta nei confronti di L C, ha ridotto la pena inflitta all'imputato a nove anni, un mese e venti giorni ed euro 3.600 di multa, confermando nel resto la condanna in ordine a tutti i reati contestati. 2. Avverso questa decisione, l'imputato ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo del proprio difensore, deducendo sei motivi di ricorso, che qui si riassumono nei termini di cui all'art. 173 disp. att. cod. proc. pen. 2.1. Con il primo motivo, si censura l'inosservanza e l'erronea applicazione degli artt. 56-624 e 629, secondo e terzo comma, cod. pen., sul presupposto che possa configurarsi il tentativo di rapina impropria solo quando, al contrario di quello che è accaduto nel caso di specie, la violenza sia stata posta in essere dopo la sottrazione, per conseguire il definitivo impossessamento;nonché il difetto di motivazione in ordine alla mancata derubricazione della contestata tentata rapina impropria in tentato furto, essendosi la Corte nissena limitata a riprodurre testualmente un principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite. 2.2. Con il secondo motivo, la difesa deduce l'inosservanza e l'erronea applicazione degli artt. 192, comma 2, cod. proc. pen. e 624-bis cod. pen., censurando il ragionamento inferenziale della Corte che ha ritenuto provata la commissione dei delitti di furto in abitazione contestati ai capi di imputazione nn. 3) e 5) sulla sola base della «immediata consequenzialità cronologica» rispetto al successivo utilizzo delle carte di pagamento ivi sottratte;nonché il difetto di motivazione in ordine all'affermazione di responsabilità dell'imputato per i reati suddetti. 2.3. Con il terzo motivo, si rileva l'inosservanza e l'erronea applicazione degli artt. 50, 81 e 493-ter cod. pen., poiché i giudici di appello non avrebbero preso in considerazione la possibilità che l'indebito utilizzo continuato di carte di pagamento contestato ai capi di imputazione nn. 4) e 6) potesse viceversa essere stato sorretto dalla erronea convinzione di operare legittimamente, dato che le carte medesime erano già «dotate del codice pin necessario»;nonché il difetto di motivazione in ordine all'affermazione di responsabilità dell'imputato per i reati suddetti. 2.4. Con il quarto motivo, ci si duole dell'inosservanza e dell'erronea applicazione degli artt. 133, 56 e 628, secondo e terzo comma, cod. pen., quanto all'esito finale della rideterminazione della pena per il delitto di tentata rapina impropria aggravata;nonché il difetto di motivazione in ordine all'applicazione di una sanzione così marcatamente afflittiva. 2.5. Con il quinto motivo, la difesa contesta, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 63, quarto comma, e 99 cod. pen., la correttezza del riconoscimento nei confronti di C della recidiva reiterata, specifica e infraquinquennale, senza valutare il notevole lasso di tempo intercorso e valorizzando invece circostanze non univoche sul punto;nonché il difetto di motivazione in ordine alla misura dell'aumento di pena a titolo di recidiva, prossima ai limiti massimi consentiti. 2.6. Il sesto motivo stigmatizza la violazione del divieto di reformatio in peius, conseguente a un aumento per la recidiva in misura maggiore rispetto al giudizio di primo grado. 3. Disposta la trattazione scritta del procedimento in cassazione, ai sensi dell'art. 23, comma 8, decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito nella legge 18 dicembre 2020, n. 176 (applicabile in forza di quanto disposto dall'art. 94, comma 2, decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, come modificato dal decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199), in mancanza di richiesta di discussione orale nei termini previsti, il Procuratore generale e la difesa hanno depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è fondato, limitatamente alla doglianza relativa alla violazione del divieto di reformatio in peius. 2.1. Il primo motivo è manifestamente infondato. La censura del ricorrente muove, testualmente, dall'assioma che «il tentativo di rapina impropria postula che la sottrazione si sia realizzata e che la minaccia o la violenza sia diretta all'impossessamento, non verificatosi per la reazione della persona offesa o per l'intervento di fattori esterni interruttivi dell'azione criminosa». Questa ricostruzione sistematica, peraltro affermata in modo del tutto apodittico, è affatto erronea e, peraltro, contraria al costante insegnamento di questa Corte. Secondo la monolitica giurisprudenza di legittimità, infatti, è ravvisabile la rapina impropria nella forma tentata, non solo quando manchi l'impossessamento, ma anche quando non si sia ancora realizzata la sottrazione: l'ipotesi del tentativo di rapina impropria è pienamente configurabile nel caso in cui l'agente, dopo aver compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco alla sottrazione della cosa altrui, non portati a compimento per cause indipendenti dalla propria volontà, adoperi violenza o minaccia per procurare a sé o ad altri l'impunità (Sez. U, n. 34952 del 19/04/2012, Reina, Rv. 253153;Sez. 2, n. 35134 del 25/03/2022, Velkovic, Rv. 283847;Sez. 2, n. 14377 del 31/03/2021, Paolino, Rv. 281116). È solo ai fini della configurazione della rapina impropria consumata (e non nella forma soltanto tentata) che si ritiene, viceversa, sufficiente che l'agente, dopo aver compiuto la sottrazione della cosa mobile altrui, adoperi violenza o minaccia per assicurare a sé o ad altri il possesso della res, mentre non è necessario che ne consegua l'impossessamento, non costituendo quest'ultimo l'evento del reato, ma un elemento che appartiene al dolo specifico (Sez. 2, n. 15584 del 12/02/2021, Bevilacqua, Rv. 281117;Sez. 2, n. 11135 del 22/02/2017, Tagaswill, Rv. 269858). La Corte di appello ha fatto corretta applicazione di questo principio, offrendone adeguatamente conto in motivazione, con indicazione dell'autorevole precedente giurisprudenziale e riportando la massima sopra enunciata, del tutto in termini con il caso di specie, quale diretta risposta allo specifico motivo di appello ove, ricostruiti i fatti (incontroversi nella loro concreta dinamica già in sede di appello e descritti in dettaglio nella sentenza del tribunale, pp. 4-6), la difesa instava per la derubricazione in tentativo di furto, senza peraltro fare cenno ai fatti di minaccia aggravata senza dubbio pure al contempo posti in essere (p. 1).
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